Alle amministrative si afferma il centrodestra grazie alla crescita di un Carroccio adesso troppo forte anche per Berlusconi.
di Emiliano Biaggio
Il centrosinistra perde, il centrodestra vince. Risultati inappellabili quelle delle regionali, che vedono una netta affermazione della Lega e una brutta capitolazione del Pd, che perde regioni strategiche come Piemonte e Lazio. Sconfitta più cocente in quest'ultima, dato che nella regione non figuravano le liste del Pdl. Ma il centrosinistra cede anche Campania, Calabria e adesso il computo è di 11 regioni a 8 per il centrodestra. La sinistra, insomma perde terreno e anche laddove ancora mantiene la propria supremazia, deve fare i conti con la crescita della Lega. Nelle "rosse" Emilia Romagna, Toscana e Liguria, il Carroccio guadagna infatti rispettivamente l'8%, il 6% e il 5%. Dati che devono tener conto dell'elevato astensionismo - che ha toccato il 36% finendo, dati alla mano, col penalizzare il centrosinistra - ma che vanno letti anche alla luce dell'emorrargia continua del Pd: il Partito democratico, infatti, ha perso 2 milioni di voti rispetto a quanto raccolto nel 2005 da Ds e Margherita insieme. Per Ignazio Marino «sarebbe un errore non fare autocritica oggi e non ammettere che il centrosinistra esce sconfitto dalle elezioni regionali», ma il segretario del Pd Pier Luigi Bersani questo errore lo compie. «Non canto vittoria ma non parlo di sconfitta», dice. E a quanti gli contestano il risultato del Piemonte, risponde che «è falso che il Pd al Nord sia andato male». Tesi difficile da sostenere, per un partito che resiste solo in Liguria - e grazie al 3,3% dell'Udc - e in Trentino Alto Adige - dove però non si è votato. E anche in Emilia Romagna i consensi sono stati persi, tant'è che Giorgio Tonini non fa fatica a riconoscere, a differenza del suo segretario, che «l'Emilia si sta nordizzando». Critico Veltroni: «C’è gente sfiduciata che non vede un’alternativa credibile a Berlusconi», afferma, avviando di fatto la resa dei conti interna al partito. «Dobbiamo cambiare linea radicalmente e dire qualcosa, da mesi si parla solo di alleanze», critica il franceschiniano Paolo Gentiloni. Lo staff di Bersani fa quadrato intorno al leader, dicendo che il 7 a 6 «pochi mesi fa ce lo sognavamo». Il Pd esce dunque sconfitto e imbarazzato, ma nel Pdl gli umori non sono dei migliori: Berlusconi si ritrova con una piccola crisi interna al governo seguita alle dimissioni rassegnate da Raffele Fitto - ministro per i Rapporti con le regioni che ha rimesso il proprio mandato dopo la sconfitta del candidato in Puglia, da lui indicato - e con un Pdl che ha perso un milione di voti e che in Veneto ha subito adirittura lo storico sorpasso della Lega. Lega che conquista anche il Piemonte e già chiede il conto al premier, con il ministero dell'agricoltura lasciato vacante da Zaia e la poltrona del sindaco di Milano. Se prima il presidente del consiglio doveva guardarsi da Fini, adesso deve fare i conti con una Lega ancora più forte e quindi ancor più ingombrante. Ma soprattutto, ancor più necessaria per racimolare voti. Voti che prendono - e bene - Beppe Grillo e Antonio Di Pietro, con il primo addirittura ago della bilancia - alla fine decisivo - in Piemonte e con un eletto in Emilia Romagna. L'Italia esprime così il proprio scontento per la politica, con scelte per chi - almento sulla carta - vuole offrire un'alternativa. Avvertimento od orientamento che sia, l'Italia assume un nuovo volto. E non solo per un assetto sempre più tendente al monocolore causa anche la crisi della sinistra, ma anche per la vittoria di schieramenti che non guardano alla Repubblica - la lega - e alla politica - i grillini. In mezzo ci sono l'Idv - che fa dell'antiberlusconismo un cavallo di battaglia dimenticando che non vale un programma di governo - e l'Udc - che spiazza i propri elettori appoggiando ora il centrodestra ora il centrosinistra. Contribuendo alla disaffezione generale che affligge il paese.
(editoriale della puntata del 2 aprile 2010 di E' la stampa bellezza, su Radio Libera Tutti)
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