Finiani critici e leghisti che invitano a gettare la spugna: il ddl intercettazioni adesso inquieta Berlusconi.
di Emiliano Biaggio
Le proteste fuori dal Parlamento Silvio Berlusconi e i suoi se le aspettavano. Ma la levata di scudi all'interno delle camere non l'avevano calcolata. E la questione adesso diventa davvero politica. Perchè il ddl intercettazioni, dopo le proteste del mondo dell'informazione - con l'ampio risalto dato da personaggi di spicco del settore quale Ezio Mauro, niente meno che Rupert Murdoch e financo "il fedele" Vittorio Feltri - già rischia di pagare un prezzo più salato del previsto; se poi si aggiunge la questione interna al Pdl, logico che si pensi di far passare il testo a palazzo Madama per poi farlo volutamente arenare a Montecitorio. Perchè in queste ultime ore le voci che circolano sono proprio queste: quella di un ddl intercettazioni divenuto improvvisamente patata bollente e provvedimento scomodo al premier - che ironia della sorte propria per sua comodità l'aveva sponsorizzato - che adesso lo vorrebbe lasciar stare. Non prima di aver mostrato di non aver ceduto. Perchè se è vero che in minima parte preoccupa l'opinione pubblica - che con la crisi ha forse altro a cui pensare - dall'altra a rendere inquieto il premier è soprattutto il "rompete le righe" interno alla maggioranza. La Lega, attraverso il presidente dei senatori Federico Bricolo, manda un messaggio chiaro: «I cittadini sono stanchi delle continue polemiche sulle intercettazioni. E' ora di dire basta per concentrarsi» su altro. La priorità del Carroccio, si sa, è il federalismo fiscale. La manovra da 24 miliardi toglierà 10 miliardi agli enti locali per i malumori dei leghisti e i conseguenti timori di un Berlusconi che teme ripicche in salsa padana. Ripicche che, a sentire Bricolo, sono già in atto. Dura tegola per un presidente del consiglio già alle prese con la minoranza finiana, la stessa che sul ddl intercettazioni ha già espresso più di qualche riserva e più di qualche critica. Berlusconi sa che il polverono alzato dalla bozza in discussione al Senato ha inciso sull'indice di gradimento dell'esecutivo e vuole evitare che un'eventuale ripercussione per questo provvedimento possa fornire ai finiani l'occasione per dire "l'avevamo detto". Insomma, Berlusconi ha allo studio una strategia che vorrebbe un voto proprio al Senato - per non mostrare segni di ripensamento e quindi di debolezza - per passare la patata bollente alla Camera dove lasciarlo naufragare o riprenderlo in un altro momento. Allarme rientrato? Forse. Del resto i tabù non si infrangono in un giorno solo: prima di infrangerli si discute di una lora rottura. Che è quello che ormai accaduto.
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