Il paese va verso la costituzione di un unico blocco confessionale. Che potrebbe fare dell'Iraq un secondo Iran.
di Emanuele Bonini - In Iraq si riconteggiano i voti: dopo delle elezioni contestatissime, a due mesi dalle consultazioni per rinnovare il Parlamento, l’Alta commissione elettorale chiede ulteriori verifiche sulle schede. Il 7 marzo scorso dalla urne era uscito un paese diviso in due, con il partito di Iyad Allawi (Iraqiya) che aveva 91 seggi, e quello di Nuri Al-Maliki (Stato di diritto) che ne aveva racimolati 89. Numeri che di fatto avevano consegnato il paese all'ingovernabilità per l'impossibilità di formare esecutivi autonomi e creare maggioranze parlamentari compatte. Adesso il riconteggio fa sperare l'una e l'altra parte di poter uscire da questa situazione, non congeniale per nessuno. Ma nelle logiche politiche alleanze e coalizioni non sono mai solo idee astratte: ecco allora che Stato di diritto e Alleanza nazionale irachena (Ina- Iraqi National Alliance, che riunisce i partiti sciiti di ispirazione più chiaramente settaria, come il Siic- Supremo Consiglio Islamico Iracheno guidato da Ammar al-Hakim e la corrente di Muqtada al-Sadr, il partito Fadhila) - principali partiti sciiti del paese - si sono accordati per formare un unico blocco parlamentare, aprendo quindi la strada alla formazione di un nuovo governo. Questa Alleanza, se i numeri dovessero essere confermati, permetterebbe ai due partiti di avere, insieme, 159 deputati. Una quota di seggi molto vicina ai quei 163 necessari per avere una maggioranza qualificata per la formazione di un esecutivo. Secondo le leggi irachene 163 è la quota in parlamento per poter considerare vincitore uno schieramento. «Abbiamo superato buona parte delle divergenze e ora ci prepariamo a definire l’alleanza di governo», ha affermato il deputato di Alleanza nazionale irachena, Abdel Razzaq al-Qathimi. Una mossa, quella dei due partiti sciiti, che se concretizzata, permetterebbe di relegare all'opposizione di Iyad Allawi ma soprattutto darebbe vita ad un'amministrazione tutta sciita che renderebbe più appetibili ipotesi di avvicinamenti all'Iran, repubblica islamica e sciita. Forse, vale la pena sottolineare, perchè Nuri al-Maliki è sì sciita ma non particolarmente ben visto a Teheran, per via del suo ruolo ricoperto nella politica irachena a fianco degli Stati Uniti. Insomma, all'Iran un esecutivo sciita potrebbe andar bene (al-Maliki è uno e si può aggirare, e questo a Teheran lo sanno), mentre le forze di coalizione temono per un ipotetico governo confessionale anche se preferibbero "l'alleato" al-Maliki. E' lui, va ricordato, ad aver tentato - nell'interesse delle compagnie petrolifere straniere - di promuovere in ogni modo la legge sul petrolio che poi il suo alleato numero uno nella coalizione Stato di dritto, il ministero del Petrolio Hussein Sharistani, ha implementato privatizzando di fatto i maggiori giacimenti iracheni al di fuori di ogni approvazione parlamentare, e firmando contratti - tra i vari anche con l'italiana Eni - nonostante la ferma opposizione di movimenti e sindacati iracheni. Intanto, mentre a Baghdad proseguono i riconteggi delle schede elettorali e si decide sull'eventuale premier (non è infatti chiaro se Stato di diritto e Alleanza nazionale irachena abbiano raggiunto un accordo anche sul nome del futuro primo ministro), montano le polemiche. Si contesta in particolare l’interpretazione dell’articolo della Costituzione in base al quale «il più grande tra i blocchi parlamentari è incaricato di formare il governo». La coalizione di Allawi definisce «illegittima» la decisione della corte federale irachena secondo cui tale blocco può essere formato anche da alleanze realizzate dopo il voto. Lo scacchiere iracheno, insomma, rimane ancora in bilico. Anche perchè in tutto questo bisognerà vedere cosa intenderanno fare i sadristi. Muqtada al-Sadr, leader del Movimento sadrista, già da tempo risiede in Iran e già da tempo ha sconfessato la figura di Maliki. Tutti avrebbero discusso con al-Sadr in persona per una ripresa dei negoziati fra le due coalizioni, ma al-Sadr non intende lavorare per l'Iraq, o almeno, non questo Iraq. Timori poi tra i curdi, che non si aspettavano una riunificazione delle forze sciite. Al nord dell'Iraq adesso si teme una crescita di influenza degli sciiti che potrebbero andare a ledere quella curda. Alleanza del Kurdistan (il Pdk di Barzani e l'Upk di Talabani) teme altre crisi in arrivo.
di Emanuele Bonini - In Iraq si riconteggiano i voti: dopo delle elezioni contestatissime, a due mesi dalle consultazioni per rinnovare il Parlamento, l’Alta commissione elettorale chiede ulteriori verifiche sulle schede. Il 7 marzo scorso dalla urne era uscito un paese diviso in due, con il partito di Iyad Allawi (Iraqiya) che aveva 91 seggi, e quello di Nuri Al-Maliki (Stato di diritto) che ne aveva racimolati 89. Numeri che di fatto avevano consegnato il paese all'ingovernabilità per l'impossibilità di formare esecutivi autonomi e creare maggioranze parlamentari compatte. Adesso il riconteggio fa sperare l'una e l'altra parte di poter uscire da questa situazione, non congeniale per nessuno. Ma nelle logiche politiche alleanze e coalizioni non sono mai solo idee astratte: ecco allora che Stato di diritto e Alleanza nazionale irachena (Ina- Iraqi National Alliance, che riunisce i partiti sciiti di ispirazione più chiaramente settaria, come il Siic- Supremo Consiglio Islamico Iracheno guidato da Ammar al-Hakim e la corrente di Muqtada al-Sadr, il partito Fadhila) - principali partiti sciiti del paese - si sono accordati per formare un unico blocco parlamentare, aprendo quindi la strada alla formazione di un nuovo governo. Questa Alleanza, se i numeri dovessero essere confermati, permetterebbe ai due partiti di avere, insieme, 159 deputati. Una quota di seggi molto vicina ai quei 163 necessari per avere una maggioranza qualificata per la formazione di un esecutivo. Secondo le leggi irachene 163 è la quota in parlamento per poter considerare vincitore uno schieramento. «Abbiamo superato buona parte delle divergenze e ora ci prepariamo a definire l’alleanza di governo», ha affermato il deputato di Alleanza nazionale irachena, Abdel Razzaq al-Qathimi. Una mossa, quella dei due partiti sciiti, che se concretizzata, permetterebbe di relegare all'opposizione di Iyad Allawi ma soprattutto darebbe vita ad un'amministrazione tutta sciita che renderebbe più appetibili ipotesi di avvicinamenti all'Iran, repubblica islamica e sciita. Forse, vale la pena sottolineare, perchè Nuri al-Maliki è sì sciita ma non particolarmente ben visto a Teheran, per via del suo ruolo ricoperto nella politica irachena a fianco degli Stati Uniti. Insomma, all'Iran un esecutivo sciita potrebbe andar bene (al-Maliki è uno e si può aggirare, e questo a Teheran lo sanno), mentre le forze di coalizione temono per un ipotetico governo confessionale anche se preferibbero "l'alleato" al-Maliki. E' lui, va ricordato, ad aver tentato - nell'interesse delle compagnie petrolifere straniere - di promuovere in ogni modo la legge sul petrolio che poi il suo alleato numero uno nella coalizione Stato di dritto, il ministero del Petrolio Hussein Sharistani, ha implementato privatizzando di fatto i maggiori giacimenti iracheni al di fuori di ogni approvazione parlamentare, e firmando contratti - tra i vari anche con l'italiana Eni - nonostante la ferma opposizione di movimenti e sindacati iracheni. Intanto, mentre a Baghdad proseguono i riconteggi delle schede elettorali e si decide sull'eventuale premier (non è infatti chiaro se Stato di diritto e Alleanza nazionale irachena abbiano raggiunto un accordo anche sul nome del futuro primo ministro), montano le polemiche. Si contesta in particolare l’interpretazione dell’articolo della Costituzione in base al quale «il più grande tra i blocchi parlamentari è incaricato di formare il governo». La coalizione di Allawi definisce «illegittima» la decisione della corte federale irachena secondo cui tale blocco può essere formato anche da alleanze realizzate dopo il voto. Lo scacchiere iracheno, insomma, rimane ancora in bilico. Anche perchè in tutto questo bisognerà vedere cosa intenderanno fare i sadristi. Muqtada al-Sadr, leader del Movimento sadrista, già da tempo risiede in Iran e già da tempo ha sconfessato la figura di Maliki. Tutti avrebbero discusso con al-Sadr in persona per una ripresa dei negoziati fra le due coalizioni, ma al-Sadr non intende lavorare per l'Iraq, o almeno, non questo Iraq. Timori poi tra i curdi, che non si aspettavano una riunificazione delle forze sciite. Al nord dell'Iraq adesso si teme una crescita di influenza degli sciiti che potrebbero andare a ledere quella curda. Alleanza del Kurdistan (il Pdk di Barzani e l'Upk di Talabani) teme altre crisi in arrivo.
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