Un ministro che si dimette, un sottosegretario che si difende e la certezza che qualcosa di nuovo succederà. "La cricca" degli appalti che scuote il governo e mostra un'Italia corrotta, avida ed egoista.
l'e-dittoreale
Appalti, tangenti, riciclaggio di denaro, regali e favori, forse anche sesso. Quello che sta investendo la classe politica italiana è una vera e propria furia degna di un fiume in piena. E questo fiume in piena ha sfondato i primi argini e provocato le prime pesanti conseguenze di un'inondazione che non si capisce di quale entità potrà essere e quanto potrà essere devastante. L'impressione è che la forza d'urto sarà dirompente: le indagini sugli appalti dei grandi eventi e sul G8 hanno portanto alla luce un vero e proprio "sistema". Anemone e soci - "la cricca", come sono stati ribattezzati - sembra avevano le mani in pasta in tutti quei settori dove l'affare era sicuro. L'Aquila, la Maddalena, Roma. E i clienti - forse soci - tutti esponenti di spicco: Claudio Scajola, Guido Bertolaso, Gianni Letta, Denis Verdini. Tutti nomi altisonanti, tutti soggetti comparsi a più ripresi nell'intero filone di indagini, quello principale e quelli paralleli. In uno di questi è finito - in tutti i sensi - Claudio Scajola, dimessosi da ministro pur - al momento - non essendo incriminato. Una vittima eccellente di una classe politica e di un governo sempre più invischiati in un torbido affare. Ma se le dimissioni di Scajola lasciano col fiato sospeso e con mille interrogativi, non meno strana appare la difesa pubblica e in diretta di Bertolaso. Di fatti gioca d'anticipo: dice chiaramente che l'inchiesta andrà avanti e allora offre quelle spiegazioni mai date finora. Vuole tirarsi fuori da un pantano dove al momento c'è dentro fino al collo (gli inquirenti sospettano abbia ricevuto una mazzetta: «Pare sospettino 50 mila euro», ammette lo stesso Bertolaso). Lui ma non solo: c'è Denis Verdini, coordinatore del Pdl, incriminato in un altro filone collegato alle indagini principali; c'è Scajola, come detto; ma c'è anche Pietro Lunardi, ex ministro delle Infrastrutture, a sottolineare come il "sistema" non è storia di oggi. Ancora, un ruolo centrale sembra averlo Evaldo Biasini, don Evaldo detto "Don bancomat", a sottolineare il ruolo del prelato. A quanto pare a sua disposizione il sacerdote aveva una sorta di tesoretto: Anemone avrebbe ricevuto alcuni appalti dalla Congregazione e, a lavori ultimati, anziché riscuotere il dovuto, lasciava il denaro nelle mani di don Evaldo che, a richiesta, ridistribuiva le somme a vari personaggi. Ancora, compare il nome di monsignor Francesco Camaldo, assistente del Papa. Uno che conta, eccome, negli ambienti vaticani. «Probabilmente non fu lui ad introdurre Balducci in Vaticano», fa sapere la Santa Sede. «Probabilmente». Ancora dubbi per un quadro a tinte fosche che va oltre a Tangentopoli: allora la politica alimentava e finanziava sè stessa, ora sembra che sia diventata il mezzo per permettere a tanti singoli di fare i propri affari personali a scapito di tutti e tutto. E' la fine della ragion di Stato per l'apoteosi dell'interesse personalistico, che in nome dell'utile non esita a creare corsie preferenziali, ad aggirare leggi e sovvertire valori. Diritto ed etica: a soccombere, sotto il peso di una classe dirigente corrotta, sono loro. Il governo, per ora, regge. Qualcuno già si chiede per quanto ancora. Attenzione, però: perchè se è vero che in questo ambiente di politici che fanno delle istituzioni le sedi propri affari c'è Silvio Berlusconi al primo posto, lui imprenditore da sempre, è vero anche che ci sono Luigi Zanda, Raffaele Ranucci, Roberto Della Seta, Emma Bonino, Vannino Chiti, Vincenzo De Luca, Francesco Ferrante, Daniela Mazzucconi, Claudio Molinari, Emanuela Baio. Tutti esponenti del Pd, che in Senato hanno votato un emendamento della maggioranza per cancellare quel passaggio del decreto per la Protezione civile spa dove si legge «Al fine di assicurare risparmi di spesa, compromessi e clausole compromissorie inserite nei contratti stipulati per la realizzazione d'interventi connessi alle dichiarazioni di stato di emergenza sono nulli». Questo per evitare che somme richieste nei progetti degli imprenditori e tagliate dalla Protezione civile venissero in seguito impegnate (e recuperate) in sede di arbitrati. Tradotto: aiuti alle imprese e agli imprenditori, in una conferma ulteriore di connivenze, favori e malcostume diffuso. Che non fa certo l'interesse e il bene del paese.
l'e-dittoreale
Appalti, tangenti, riciclaggio di denaro, regali e favori, forse anche sesso. Quello che sta investendo la classe politica italiana è una vera e propria furia degna di un fiume in piena. E questo fiume in piena ha sfondato i primi argini e provocato le prime pesanti conseguenze di un'inondazione che non si capisce di quale entità potrà essere e quanto potrà essere devastante. L'impressione è che la forza d'urto sarà dirompente: le indagini sugli appalti dei grandi eventi e sul G8 hanno portanto alla luce un vero e proprio "sistema". Anemone e soci - "la cricca", come sono stati ribattezzati - sembra avevano le mani in pasta in tutti quei settori dove l'affare era sicuro. L'Aquila, la Maddalena, Roma. E i clienti - forse soci - tutti esponenti di spicco: Claudio Scajola, Guido Bertolaso, Gianni Letta, Denis Verdini. Tutti nomi altisonanti, tutti soggetti comparsi a più ripresi nell'intero filone di indagini, quello principale e quelli paralleli. In uno di questi è finito - in tutti i sensi - Claudio Scajola, dimessosi da ministro pur - al momento - non essendo incriminato. Una vittima eccellente di una classe politica e di un governo sempre più invischiati in un torbido affare. Ma se le dimissioni di Scajola lasciano col fiato sospeso e con mille interrogativi, non meno strana appare la difesa pubblica e in diretta di Bertolaso. Di fatti gioca d'anticipo: dice chiaramente che l'inchiesta andrà avanti e allora offre quelle spiegazioni mai date finora. Vuole tirarsi fuori da un pantano dove al momento c'è dentro fino al collo (gli inquirenti sospettano abbia ricevuto una mazzetta: «Pare sospettino 50 mila euro», ammette lo stesso Bertolaso). Lui ma non solo: c'è Denis Verdini, coordinatore del Pdl, incriminato in un altro filone collegato alle indagini principali; c'è Scajola, come detto; ma c'è anche Pietro Lunardi, ex ministro delle Infrastrutture, a sottolineare come il "sistema" non è storia di oggi. Ancora, un ruolo centrale sembra averlo Evaldo Biasini, don Evaldo detto "Don bancomat", a sottolineare il ruolo del prelato. A quanto pare a sua disposizione il sacerdote aveva una sorta di tesoretto: Anemone avrebbe ricevuto alcuni appalti dalla Congregazione e, a lavori ultimati, anziché riscuotere il dovuto, lasciava il denaro nelle mani di don Evaldo che, a richiesta, ridistribuiva le somme a vari personaggi. Ancora, compare il nome di monsignor Francesco Camaldo, assistente del Papa. Uno che conta, eccome, negli ambienti vaticani. «Probabilmente non fu lui ad introdurre Balducci in Vaticano», fa sapere la Santa Sede. «Probabilmente». Ancora dubbi per un quadro a tinte fosche che va oltre a Tangentopoli: allora la politica alimentava e finanziava sè stessa, ora sembra che sia diventata il mezzo per permettere a tanti singoli di fare i propri affari personali a scapito di tutti e tutto. E' la fine della ragion di Stato per l'apoteosi dell'interesse personalistico, che in nome dell'utile non esita a creare corsie preferenziali, ad aggirare leggi e sovvertire valori. Diritto ed etica: a soccombere, sotto il peso di una classe dirigente corrotta, sono loro. Il governo, per ora, regge. Qualcuno già si chiede per quanto ancora. Attenzione, però: perchè se è vero che in questo ambiente di politici che fanno delle istituzioni le sedi propri affari c'è Silvio Berlusconi al primo posto, lui imprenditore da sempre, è vero anche che ci sono Luigi Zanda, Raffaele Ranucci, Roberto Della Seta, Emma Bonino, Vannino Chiti, Vincenzo De Luca, Francesco Ferrante, Daniela Mazzucconi, Claudio Molinari, Emanuela Baio. Tutti esponenti del Pd, che in Senato hanno votato un emendamento della maggioranza per cancellare quel passaggio del decreto per la Protezione civile spa dove si legge «Al fine di assicurare risparmi di spesa, compromessi e clausole compromissorie inserite nei contratti stipulati per la realizzazione d'interventi connessi alle dichiarazioni di stato di emergenza sono nulli». Questo per evitare che somme richieste nei progetti degli imprenditori e tagliate dalla Protezione civile venissero in seguito impegnate (e recuperate) in sede di arbitrati. Tradotto: aiuti alle imprese e agli imprenditori, in una conferma ulteriore di connivenze, favori e malcostume diffuso. Che non fa certo l'interesse e il bene del paese.
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