Il dibattito scientifico anima anche le politiche tra Stati. Che non accettano dictat in nome di semplici teorie. Soprattutto dopo i dati "gonfiati" dell'Ipcc.
di Emiliano Biaggio
L’attività principale del Comitato intergovernativo per i cambiamenti climatici (Ipcc) consiste nel produrre periodicamente Rapporti di Valutazione scientifica sullo stato delle conoscenze nel campo del clima e dei cambiamenti climatici (Assessment Reports). In tale ottica, l'Ipcc affronta il problema della possibile evoluzione futura dei cambiamenti climatici in atto. L'evoluzione futura del clima, che non è prevedibile in modo deterministico, viene descritta sotto forma di scenari, i quali sono stati spesso oggetto di forti critiche, essendo basati su ipotesi discutibili di sviluppo socio-economico mondiale e su imprecisi modelli numerici di simulazione climatica.
Nel rapporto 2007, nello scenario ritenuto più probabile dal team di esperti, come detto si prevedeva lo scioglimento dei ghiacciai dell’Himalaya entro il 2035. Ma secondo lo stesso scenario l'aumento della temperatura media globale sarà compreso fra 0,6 e 0,7 gradi al 2030 e raggiungerà circa 3°C o poco più nel 2100, e per quell’anno il livello del mare aumenterà mediamente tra i 28 ed i 43 centimetri. Recentemente, però, si è scoperto che le previsioni si basavano su un articolo pubblicato nel 1999 (ben otto anni prima del rapporto) sul New Scientist. La stessa rivista scientifica ha spiegato che quell’articolo venne pubblicato sulla base di una telefonata ad uno scienziato indiano della Jawaharlal Nehru University di Delhi. Lo scienziato in questione, Syed Hasnain, ha quindi affermato al giornale che il proprio articolo era frutto di un’ipotesi. L’Ipcc è finito quindi sotto accusa, per la seconda volta dopo le aspre polemiche per la diffusione di e-mail – sembra forse per l’intrusione di hacker russi - di ricercatori della Sezione di ricerche climatiche dell’università East Anglia in cui si ammetteva che alcuni dati erano stati «potenziati» per evidenziare meglio il riscaldamento globale. Il Comitato per i cambiamenti climatici, a seguito dello scandalo che lo ha visto coinvolto, ha annunciato lo scorso 25 febbraio che nominerà un gruppo scientifico indipendente per l’esame delle sue procedure. Un rimettere in discussione che dà forza agli scettici riproponendo con rinnovata enfasi il dibattito sul clima. L’Ipcc ha sempre sostenuto che il riscaldamento globale sia frutto dell’attività dell’uomo, i negazionisti no. L’Ipcc e i suoi sostenitori sostengono che la soluzione per il global warming sia passare dalla crescita illimitata alla gestione intelligente di ricchezza e risorse, e qui la questione diventa politica, poiché a scegliere se continuare con l’attuale modello di sviluppo o puntare su “alternative” sono i governi. Lo scorso ottobre l’esecutivo delle Maldive ha organizzato il primo consiglio dei ministri subacqueo per chiedere ai leader di tutto il mondo di adoperarsi per questi nuovi modelli più sostenibili, richiamando l’attenzione sul rischio legato allo scioglimento dei ghiacci e gli effetti futuri legati all’innalzamento del livello dei mari. Ma successivamente i paesi emergenti quali Cina, India e Brasile hanno detto alla Conferenza mondiale di Copenhagen dello scorso dicembre che non intendono rinunciare al proprio sviluppo, semmai sono i paesi più industrializzati a dover fare delle rinunce. Il summit danese non ha prodotto alcun risultato, e all’Onu il segretario esecutivo dell’Unfccc (la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici), Yvo de Boer si è dimesso. Un duro colpo, se si pensa che l’Unfccc ha il compito di produrre il protocollo post-Kyoto, il nuovo accordo mondiale per una riduzione delle emissioni dei gas a effetto serra. (2. Continua)
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