Tra scetticismi e sospetti reciproci per discutere la ricostruzione del paese. Holbrooke: «Per noi nessun problema». Teheran: «Preoccupati per la stabilità».
di Emiliano Biaggio
L'Iran al tavolo di pace per l'Afghanistan. E' questa la notizia del vertice fortemente voluto dalle autorità italiana per fare il punto della situazione nel paese asiatico e delineare le strategie di ricostruzione dello stato. Attorno allo stesso tavolo, infatti, delegazione iraniana e statunitense, per quello che è un avvenimento di non poco conto. Tra Stati Uniti e Iran non corre buon sangue, anzi. I rapporti sono tesi da quando nel 1979 l'ambasciata usa a Teheran venne occupata da studenti seguaci di Khomeini. Da allora i due paesi hanno smesso di avere rapporti, e in genere sono gli elvetici a incontrare per conto di Washington qualsiasi emissario di Teheran. Il ministro degli Esteri italiano, Franco Frattini si gode il successo di questa compresenza. «Questo dimostra che non è una coalizione dell'Occidente, ma un gruppo di paesi che credono nella necessità di aiutare l'Afghanistan». Cauto ottimismo arriva anche dagli Stati Uniti. Richard Holbrooke, consigliere speciale del presidente Obama e del segretario di Stato Hilary Clinton per Pakistan e Afghanistan, ricorda che è nell'interesse della repubblica islamica far sì che l'Afghanistan ritrovi normalità. «L'Iran ha un ruolo da giocare per una soluzione pacifica» della crisi afghana. Quanto alla presenza con rappresentanti irananiani, aggiunge, «per gli Stati Uniti non c'è alcun problema a vedere gli inviati dell'Iran intorno a questo tavolo». Anzi, la presenza a Roma di una delegazione iraniana insieme agli inviati di dieci paesi musulmani e dell'Oci (Organizzazione della Conferenza Islamica) dimostra che in Afghanistan «non c'è nessuno scontro di civiltà» ma «un fronte unito contro minacce comuni».
Gli Stati Uniti sanno che l'Iran preferisce un Afghanistan stabile, ma allo stesso tempo la casa Bianca non vede l'ora di porre fine a una missione già costata quasi 360 miliardi di dollari. Quindi qualsiasi mano tesa è ben vista, soprattutto in questi tempi di crisi economica e conti fuori posto. Ma lo scetticismo resta da entrambe le parti, così come i reciproci sospetti. L'inviato speciale di Teheran, Mohammad Ali Ghanezadeh, tiene a sottolineare che la repubblica islamica intende raggiungere «una soluzione regionale». Da Teheran, l portavoce del ministro degli Esteri iraniano, Ramin Mehmanparast, fa sapere che «La repubblica islamica dell'Iran, in qualità di governo vicino, è profondamente preoccupata per la stabilità dell'Afghanistan, e per questo ha fornito assistenza per la ricostruzione». Un'attività che inquieta l'amministrazione Usa: il portavoce della Casa Bianca Bill Burton esprime disappunto per quello si teme essere un sostegno ai talebani. «Il popolo americano e la comunita' mondiale hanno ogni ragione per essere preoccupati del tentativo dell'Iran di esercitare una cattiva influenza sull'Afghanistan», dichiara Burton. «Lo provino», replica l'inviato speciale iraniano per l'Afghanistan. Insomma, restano attriti e tensioni. Ma il dialogo, si sa, è fatto anche di toni accesi. E' impensabile che di punto in bianco Teheran e washington inizino a tessere rapporti cordiali. Ma diciamolo: per molti era anche impensabile che diplomatici dei due paesi potessero sedersi attorno allo stesso tavolo.
di Emiliano Biaggio
L'Iran al tavolo di pace per l'Afghanistan. E' questa la notizia del vertice fortemente voluto dalle autorità italiana per fare il punto della situazione nel paese asiatico e delineare le strategie di ricostruzione dello stato. Attorno allo stesso tavolo, infatti, delegazione iraniana e statunitense, per quello che è un avvenimento di non poco conto. Tra Stati Uniti e Iran non corre buon sangue, anzi. I rapporti sono tesi da quando nel 1979 l'ambasciata usa a Teheran venne occupata da studenti seguaci di Khomeini. Da allora i due paesi hanno smesso di avere rapporti, e in genere sono gli elvetici a incontrare per conto di Washington qualsiasi emissario di Teheran. Il ministro degli Esteri italiano, Franco Frattini si gode il successo di questa compresenza. «Questo dimostra che non è una coalizione dell'Occidente, ma un gruppo di paesi che credono nella necessità di aiutare l'Afghanistan». Cauto ottimismo arriva anche dagli Stati Uniti. Richard Holbrooke, consigliere speciale del presidente Obama e del segretario di Stato Hilary Clinton per Pakistan e Afghanistan, ricorda che è nell'interesse della repubblica islamica far sì che l'Afghanistan ritrovi normalità. «L'Iran ha un ruolo da giocare per una soluzione pacifica» della crisi afghana. Quanto alla presenza con rappresentanti irananiani, aggiunge, «per gli Stati Uniti non c'è alcun problema a vedere gli inviati dell'Iran intorno a questo tavolo». Anzi, la presenza a Roma di una delegazione iraniana insieme agli inviati di dieci paesi musulmani e dell'Oci (Organizzazione della Conferenza Islamica) dimostra che in Afghanistan «non c'è nessuno scontro di civiltà» ma «un fronte unito contro minacce comuni».
Gli Stati Uniti sanno che l'Iran preferisce un Afghanistan stabile, ma allo stesso tempo la casa Bianca non vede l'ora di porre fine a una missione già costata quasi 360 miliardi di dollari. Quindi qualsiasi mano tesa è ben vista, soprattutto in questi tempi di crisi economica e conti fuori posto. Ma lo scetticismo resta da entrambe le parti, così come i reciproci sospetti. L'inviato speciale di Teheran, Mohammad Ali Ghanezadeh, tiene a sottolineare che la repubblica islamica intende raggiungere «una soluzione regionale». Da Teheran, l portavoce del ministro degli Esteri iraniano, Ramin Mehmanparast, fa sapere che «La repubblica islamica dell'Iran, in qualità di governo vicino, è profondamente preoccupata per la stabilità dell'Afghanistan, e per questo ha fornito assistenza per la ricostruzione». Un'attività che inquieta l'amministrazione Usa: il portavoce della Casa Bianca Bill Burton esprime disappunto per quello si teme essere un sostegno ai talebani. «Il popolo americano e la comunita' mondiale hanno ogni ragione per essere preoccupati del tentativo dell'Iran di esercitare una cattiva influenza sull'Afghanistan», dichiara Burton. «Lo provino», replica l'inviato speciale iraniano per l'Afghanistan. Insomma, restano attriti e tensioni. Ma il dialogo, si sa, è fatto anche di toni accesi. E' impensabile che di punto in bianco Teheran e washington inizino a tessere rapporti cordiali. Ma diciamolo: per molti era anche impensabile che diplomatici dei due paesi potessero sedersi attorno allo stesso tavolo.
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