Monday, 25 October 2010

La Russia sovrana

Mosca non ha fatto la fine dell'Unione Sovietica ed è di nuovo sovrana, ma deve modernizzarsi. Lo farà in maniera non-occidentale. La malattia della Russia è anche una malattia dell'Europa.

di Lucio Caracciolo (su LaRepubblica del 24 ottobre 2010)
Dieci anni fa la Russia pareva avviata a fare la fine dell'Unione Sovietica. I tormentati anni di Eltsin, seguiti al suicidio dell'impero sovietico – che Putin battezzerà «la grande catastrofe geopolitica» – sembravano preannunciare la disgregazione di quel che restava dello spazio statuale russo. Molti in Occidente se l'auguravano, senza forse valutare i rischi connessi alla disintegrazione di una superpotenza nucleare. Putin impiegò otto anni per raddrizzare la barra, usando dei tradizionali metodi del Cremlino, così da ricostruire la “verticale del potere”. La Federazione Russa appariva ricompattata sotto l'autorità centrale, tanto da consentire il passaggio di consegne fra Putin e il suo delfino Medvedev.
Certo, la Russia è di nuovo sovrana. Ma quanto solida è questa sovranità? E come si riaffaccia Mosca nella competizione mondiale? Il 10 settembre scorso lo stesso presidente Medvedev ha tracciato un bilancio non consolatorio: «Un'economia inefficace, una sfera sociale semisovietica, una democrazia non consolidata, tendenze demografiche negative, il Caucaso instabile. Problemi molto grandi perfino per uno Stato come la Russia». Superata l'emergenza, restano irrisolti i nodi strutturali che minano la crescita e la stabilità della Russia. Donde la nuova parola d'ordine: «Modernizzazione». Si tratta di emancipare la Russia dalla schiavitù dell'energia e delle materie prime, che agisce come una droga contro l'innovazione. Non solo economica, anche sociale e politica. Ma attenzione: né Medvedev né gli altri leader russi hanno intenzione di copiare l'Occidente. Per molti russi democrazia è sinonimo di caos. Ascoltiamo ancora il presidente: «Si dice della necessità di forzare un cambiamento del sistema politico. Alcune volte si dice che si dovrebbe tornare ai "democratici" anni Novanta. Ma il ritorno a uno Stato paralizzato è inammissibile. Per questo voglio deludere i sostenitori della rivoluzione permanente. Noi non andremo di fretta». Con ciò Medvedev vuole smentire le analisi di alcuni neocremlinologi, che l'hanno eretto a sfidante di Putin. La strana coppia che da un paio d'anni gestisce gli affari russi ha mostrato segni di logoramento, ma non è sul punto di divorziare. Immaginare un Medvedev “filo-occidentale” in rotta di collisione con il “veterorusso” Putin è piuttosto irrealistico. Tuttavia, la crisi economica scoppiata negli Stati Uniti ha reso più evidenti i limiti della crescita russa. L'obsolescenza delle infrastrutture e l'arretratezza delle tecnologie civili sono una zavorra intollerabile. Ma i cambiamenti socio-politici, prima ancora che economici, connessi alla modernizzazione del paese comportano prezzi tali da frenare lo slancio dei riformatori. Toccare le rendite di potere è pericoloso, specie in uno Stato a forte tradizione autoritaria. Molto dipenderà dal clima internazionale. Per modernizzarsi, la Russia ha bisogno dell'Europa. Specie della Germania. Lo sosteneva novant'anni fa Keynes, nelle sue celeberrime “Conseguenze economiche della pace”. Non è meno vero oggi. Con una differenza: se la modernizzazione economica e politica della Russia fallisse, le conseguenze per noi europei sarebbero più pesanti che mai. La malattia della Russia è anche una malattia dell'Europa. Ne guariremo insieme. O continueremo a soffrirne insieme.

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