Washington attacca Israele e le sue politiche sugli insediamenti nei Territori, e riceve l'Anp. Alla fine si riconoscono i crimini dello Stato ebraico, responsabile dei continui fallimenti dei negoziati di pace.
di Emiliano Biaggio
«Gli Stati Uniti non riconoscono la legittimità delle colonie israeliane e continueranno a sostenere questa posizione». Philip J. Crowley, portavoce del dipartimento di Stato, assesta un duro colpo a Israele, in una dichiarazione che è al tempo stesso un atto d'accusa e una mossa politica. Accusa contro le costruzioni continue di insediamenti nei territori palestinesi, atti fortemente compromissori del processo di pace; mossa politica di bocciatura delle decisioni delle autorità israeliane, scaricate dall'alleato di sempre. Nessuno alla Casa Bianca si azzarda ad imputare a chiare lettere responsabilità ad Israele, ma con la politica degli insediamenti- questo invece lo lasciano intendere chiaramente- lo Stato ebraico concorre a far naufragare la road-map. Per questo «la nostra posizione sugli insediamenti non è cambiata e non cambierà», ribadisce Crowley, nel doppio tentativo di ridare linfa a un impegno obamiano di soluzione della questione su cui tanto lo stesso Obama ha puntato, e fare pressioni sulle autorità israeliane. Se da una parte gli Stati Uniti criticano duramente gli israeliani per le colonie chiudendo - per il momento - le porte del dialogo, dall'altra il segretario di Stato, Hillary Clinton annuncia l'incontro a Washington il capo negoziatore palestinese, Saeb Erakat. L'obiettivo, fa sapere da Ramallah l'Autorità nazionale palestinese, è tentare di trovare una via d'uscita alla nuova fase di stallo nei negoziati di pace con gli israeliani. Ma vera battaglia si gioca proprio con questi ultimi, perchè quanto avverrà vuol dire che allo stato attuale si tratta con chi è disposto non solo ad ascoltare ma anche a offrire punti di negoziato. L'Anp propone uno stato palestinese entro i confini del 1967, con il nodo tutto da sciogliere di Gerusalemme. Ma almeno dà l'impressione di voler chiudere una volte per tutte la questione arabo-israeliana, a differenza dell'altra parte. Perchè Israele, per quanto da Tel Aviv neghino, ha forti responsabilità, dato che continua come se niente fosse a costruire nei territori, colonizzandoli. Non si chiede ad Israele di scomparire, nè si mette in discussione lo Stato ebraico o il suo diritto di esserci, ma sarebbe ora riconoscere che Israele è uno stato fuori legge che opera al di fuori del diritto e all'interno di un unilateralismo e di una repressione che non sono degne di chi tanto, ogni giorno, ricorda la Shoah e invita il mondo tutto a non dimenticarla. Ora il mondo tutto dovrebbe invece ricordare alle autorità israeliane e agli israeliani il valore della legalità e l'importanza del rispetto delle regole. Perchè se gli insediamenti non hanno legittimità, non trovano diritto e infrangono delle norme di legge. E non rispettare la legge, è un reato. E' compiere un crimine. La comunità internazionale dovrebbe anche ricordare a Netanyahu, Lieberman e all'intera classe politica israeliana che l'autoritarismo è alla base delle tante sofferenze passate patite dal popolo d'Israele. Per intenderci: Hitler era autoritario. E imperialista. Israele oggi come si comporta? Col piglio e il temperamento di una potenza autoritaria e imperialista. A Tel Aviv (e non solo) non devono prendersela quindi se qualcuno opera audaci o azzardati paragoni, o formula accuse pesanti o ancora solleva critiche dure, ma le scomode e antipatiche analogie ci sono. Se in Medio Oriente la situazione precipita è colpa dei razzi Qassam o dei tank israliani? E' colpa dei mujaheddin o dello Shin Bet? E' colpa dell'intifada o delle Tzahal? Se si risponde a favore di Israele si chiudono gli occhi di fronte alla realtà e si cancellano diritto e regole. Sacrificando tutto in nome di un più che discutibile credo per cui quello ebraico è il popolo eletto e a questo è tutto dovuto. Se ebrei ed israeliani vogliono crederci, è un loro diritto. Ma sia chiaro: tutti gli altri non hanno alcun dovere di sposare un simile principio.
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