Tuesday, 14 December 2010

Silvio Berlusconi, una geopolitica molto personale (2)

Tappe, obiettivi ed esiti della strategia territoriale del Cavaliere. Dall’uso delle etichette geopolitiche nelle elezioni del 1994 alla retorica dei fatti e dei luoghi, ormai evaporata. Il proliferare delle Leghe. La personalizzazione come boomerang. di Ilvo Diamanti (editoriale del numero 6/2010 di Limes)

IL TERRITORIO COME MARCHIO E COME NETWORK: Silvio Berlusconi ha adottato il territorio come argomento di marketing, ma anche come fattore di aggregazione e di coalizione. Cioè: come network. Fin dall’inizio della sua esperienza politica, in occasione della campagna elettorale del 1994. Le prime elezioni della (cosiddetta) Seconda Repubblica. Una fase di svolta, durante la quale il sistema partitico e istituzionale è in piena crisi, in pieno sfaldamento. Sottoposto a molteplici, laceranti tensioni. Non ultima, anzi tra le più importanti, quella territoriale, interpretata dalla Lega Nord. Soggetto politico che si muove tra rivolta economica e protesta politica. La sua proposta – anzitutto simbolica ed emotiva – si riassume nella lotta «contro Roma e il Sud». Riflette, quindi, una duplice domanda di cambiamento: socio-economico e geopolitico. Roma, infatti, appare e viene polemicamente rappresentata come la capitale del sistema partitocratico e della corruzione politica. Luogo del centralismo statale e dell’intervento pubblico assistenziale. Il Sud costituisce, invece, il principale beneficiario della spesa pubblica, a cui Roma – lo Stato centrale – destina una quota spropositata delle risorse prodotte soprattutto nel Nord. D’altronde, gran parte della base elettorale dei partiti di governo della Prima Repubblica (la Dc, anzitutto, ma anche il Psi), dopo gli anni Settanta si era prevalentemente spostata nel Mezzogiorno. Accompagnata e sostenuta – appunto – dalla spesa pubblica e dalla protezione dello Stato. Anche Silvio Berlusconi, peraltro, è molto caratterizzato dal punto di vista territoriale. È un imprenditore di Milano, capitale del «nuovo» Nord. Epicentro della ribellione contro il sistema partitocratico della Prima Repubblica. È la città di Mani Pulite, l’alternativa a Roma, ma anche a Torino, capitale del «vecchio» Nord, che si regge(va) sulla grande industria protetta dalla politica e dallo Stato. Milano, invece, è il baricentro del capitalismo di produzione dei beni immateriali. Finanza, servizi, comunicazione. Berlusconi ne riflette l’immagine. E a sua volta contribuisce a definirla. In una certa misura, è un altro Nord. Diverso da quello rappresentato da Torino e dalla Fiat. Diverso anche dal Nord della Lega. Che rappresenta il neocapitalismo rampante, espresso dalla piccola e piccolissima impresa, che si sviluppa soprattutto nelle province non metropolitane. Pedemontane, più che padane. E corre dal Nord-Est al Nord della Lombardia, fino a toccare alcune province del Nord-Ovest, periferiche rispetto a Torino (Cuneo, in primo luogo). È l’erede della Dc, dal punto di vista della base elettorale. Ma se ne distacca per molti altri versi. La Lega è, infatti, diversa e opposta alla Dc per stile, linguaggio, proposta.
Berlusconi, dunque, interpreta un altro Nord: non di sinistra, ma neppure leghista. Per tradizione e storia, sicuramente anticomunista. Per biografia e geografia, contiguo e concorrente al Nord leghista. Tuttavia, per interesse politico ed elettorale, oltre che imprenditoriale, non può fare la guerra a Roma e al Sud. Significherebbe, tra le altre cose, rinunciare a vincere. Condannarsi ad essere minoranza. Come il Pci e la sinistra, che non avevano mai governato, in Italia, non solo per il vincolo internazionale, ma anche perché rinchiusi in una larga ma delimitata riserva di caccia elettorale. L’enclave della zona rossa, che circoscrive le – ed è circoscritta dalle – regioni dell’Italia centrale. Per questo Berlusconi, in vista delle elezioni del 1994, allestisce una coalizione che rammenta un catalogo di etichette territoriali. Aggrega, in un unico cartello elettorale, oltre alla Lega Nord, anche Alleanza nazionale. Partito post-fascista, gemmato dal Msi proprio in vista del voto. Per base elettorale, una sorta di Lega Sud. Associa, inoltre, anche i neodemocristiani del Ccd. Complemento della Lega nel Nord e di An nel Sud. In questo modo, peraltro, oppone il Nuovo (le emergenti identità territoriali) al Vecchio (i partiti di ex e di post: comunisti, democristiani eccetera).
Insomma, Berlusconi convoglia in un unico contenitore (il Polo) contesti – sociali, economici e anzitutto simbolici – largamente inconciliabili. Fin dal nome: il Nord e la nazione (ancorata a Roma e nel Sud, patrie di An). Berlusconi li riconcilia e li riassume, fornendo loro una cornice comune, definita dal suo «partito personale». Il quale, non per caso, si chiama Forza Italia. Un nome significativo. Più che evocare la nazione raffigura la Nazionale di calcio. Richiama il paese delle passioni, che si identificano nella maglia dei calciatori. Azzurra, come la bandiera di Forza Italia. Come la casacca dei militanti forzisti. Gli «azzurri». L’Italia di Berlusconi evoca, inoltre, la televisione, di cui egli è il più importante e potente imprenditore privato. Non solo in ambito nazionale. Quella che egli interpreta e raffigura è un’Italia «senza territorio», appunto. Ma è un network capace di connettere e di tenere insieme i diversi territori – altrimenti inconciliabili e contrapposti – rappresentati dalla Lega e da An. La sua immagine personale, la sua costruzione mediale di «italiano medio», in grado di vincere e di raggiungere il successo in ogni campo, gli consentono di offrire una colla ai pezzi di un paese spezzato dalla politica, oltre che dall’economia. Peraltro, la sua capacità di comprendere e maneggiare le logiche della nuova legge elettorale semi-maggioritaria gli permette di costruire un cartello vincente, evitando i contrasti fra attori politici e territoriali tanto lontani. Così costruisce un’alleanza distinta: a Nord con la Lega; al Centro-Sud con An. Lega Nord, Lega Sud. Entrambi uniti da Forza Italia. L’unico e il solo partito in grado di presentare una distribuzione del voto «nazionale»; comunque, non circoscritta e marcata territorialmente. A differenza degli alleati, ma anche dei partiti di centro-sinistra. Così la Seconda Repubblica nasce insieme all’Italia mediatica e personalizzata di Silvio Berlusconi. Capace di sostituire con il marketing la perdita di forza dell’ideologia. E di personalizzare questo «paese di compaesani», come lo definisce Paolo Segatti. Questo paese di paesi. Proponendo se stesso come modello. Il sogno americano all’italiana. Visto che gli italiani (non tutti, ovviamente, ma una parte rilevante di essi) sono dei «Berlusconi più poveri» (per echeggiare una felice formula di Massimo Gramellini).
La «geopolitica nazionale» di Berlusconi, dunque, è una costruzione personale e personalizzata. Opera abile e complessa, mediale e narrativa. Diplomatica e organizzativa. Perché solo lui è in grado di tenere insieme i partiti e i leader che rappresentano le diverse Italie. Bossi, Fini, Casini. E solo lui è in grado di imporre confini territoriali stretti e invalicabili agli avversari, ai «nemici» del centro-sinistra. La parola e lo stigma «comunista», che Berlusconi usa senza sosta e come mai era avvenuto nella Prima Repubblica, quando i comunisti esistevano davvero, costringe il centro-sinistra dentro allo storico recinto delle regioni rosse del Centro Italia. Lo riduce a una sorta di Lega di Centro (come la definisce Marc Lazar). (2 continua)

No comments:

Post a Comment