Non la ricordavo così graziosa, questa città. A essere onesti non potrei affatto ricordarmela, visto che è la prima volta che cammino per questi luoghi, che calpesto queste vie e scorro questi palazzi. Ma solo adesso che mi ci trovo posso saperlo. L’ultima volta dovevo essere in periferia, o in qualche altro quartiere. Di certo non al centro. Bruxelles, come ogni città, ha nel suo centro storico un piccolo capolavoro artistico e stilistico. La Grand Place è l’apoteosi del tardo gotico europeo, con i suoi palazzi imponenti a cintare su ogni lato lo slargo. Ma è famoso per la sua infiorata, esplosione cromatica che dona a questo angolo di città, adesso gremito di persone, un ornamento che poche città si concedono. La città anticamente era concentrata tutta qui: l’hotel de Ville e la Maison de Roi, espressione del potere centrale, e le case di tutti gli ordini professionali, compongono la cornice della piazza, ancora oggi richiamo per migliaia di persone. La piazza parla tutte le lingue del continente: francese, tedesco, italiano, spagnolo, olandese e romeno si fondono tra loro in unico grande melting pot linguistico. Bruxelles attrae più gente di quanto non si possa pensare, e ancor più turisti. Mi mescolo tra di loro in questa piacevole giornata autunnale dal sapore estivo, cercando le zone irradiate da un sole incredibilmente caldo, mentre con gli occhi osservo la città che si muove intorno a me al ritmo dei miei passi.
Non ci sono auto, questa è la sola parte della città chiusa al transito. Il solo rumore è quello prodotto dal brusio delle persone che affollano le strade e le piazze di questo angolo di città. C’è chi si incontra, chi medita acquisti, chi si reca in uno dei tanti negozi di souvenir per dedicare un pensiero a persone care, chi semplicemente si gode la giornata al tavolino di un qualche locale. Vado alla Danish tavern, che a dispetto del nome ha un'ampia gamma di birre belga. Mi siedo e ordino una birra: cos’altro potrei chiedere in Belgio? Arriva la mia Grimberger. Una chiara, ma del resto ho chiesto semplicemente una birra, senza specificare quale. La sorseggio in maniche di camicia mentre offro il mio viso al sole. Poi apro la cartina e studio la mia posizione. Dopo un’occhiata lunga due sorsi di birra so dove devo andare. Per curiosità studio il percorso che ho fatto per arrivare fin dove sono. Casa mia non è lontana dal centro. Non mi affanno a finire la mia chiara, oggi devo solo gustarmi questa giornata, e brindare ai miei primi successi. Sette giorni che sono qui, e da quattro già collaboro per un’agenzia. Certo, non ci vivo, ma oggi non ci voglio pensare. Svuoto il bicchiere e mi rivesto: dove sto andando richiede di passare per vie non assolate.
Avete presente la statua di Peter Pan nei giardini di Kensington? Ebbene, il Manneken pis in una cosa gli somiglia: le dimensioni. E’ una statuina posta sull’apice di una fontana tardo gotica, della quale – proprio come il Peter Pan a Kensington – potreste tranquillamente non accorgervi. E’ alta si e no mezzo metro, e il fatto che il Belgio sia il paese che ha dato alla luce i puffi è solo una coincidenza. Per gli abitanti della città il bambino nudo che fa pipì è un simbolo importantissimo: rappresenta il loro spirito libero e la loro apertura mentale. Sarà forse per questo se è Bruxelles la capitale d’Europa.
Vado oltre. Se non ricordo male subito a sinistra dovrebbe esserci una birreria di due piani, la Poechenellekelder. E infatti è lì. Le indicazioni che mi ha dato Timothy prima di partire sono esatte. “Devi andarci”, mi ha detto. “E’ un posto bello ma soprattutto pieno di birre buone, tutte artigianali”. Oggi è lunedì, e in Belgio musei e buona parte dei locali il lunedì riposano, e questo non fa eccezione. Tornerò. Intanto penso a Timothy e soprattutto a chi da Timothy mi ha sempre allietato le serate: in Gallerie Saint Hubert c’era un negozio che faceva al caso loro. E quindi al mio. Mentre mi dirigo noto quante persone di colore ci siano in questa città. Quanto inciderà il passato coloniale di questo piccolo paese, e quanto la crisi?
“Mi scusi signore”. Una ragazza con un grosso zaino in spalla richiama la mia attenzione. “Saprebbe dirmi dove si trova Rue du Cardinal Mercier?”. “Mi spiace, ma non parlo francese”. La ragazza mi guarda per un attimo senza proferir parola. Quindi, dopo un attimo di esitazione, mi parla in inglese. “Saprebbe dirmi dove si trova Rue du Cardinal Mercier?” “Mi spiace davvero, ma non sono del posto. Provi a chiedere in libreria”. La ragazza mi guarda, mi ringrazia e se ne va via ridendo. “Tipico”, avrà pensato. “Quando all’estero chiedi informazioni a qualcuno trovi sempre chi è più straniero di te”. Beh, almeno in questo siamo uguali: persi in un luogo che ancora non ci appartiene. Avrei dovuto tirar fuori la cartina della città e aiutarla, ma ci ho pensato troppo tardi. Solo dopo ci si rende conto delle cose. In genere dei propri errori. Basta, non è per avere certi pensieri che sono uscito di casa. Vado e compro quello che devo comprare, non prima di aver assaporato questa via commerciale al coperto di una cupola di vetro. Realizzata verso la fine della prima metà dell’ottocento, avrebbe poi finito col fornire uno spunto ad altre città, come Milano per la sua galleria Vittorio Emanuele. Guardo l’orologio: si è fatto tardi. Torno a piazza reale e oltrepasso il Magrittè museum, in tempo per il tram che sta arrivando. Salgo sulla carrozza e prendo posto su un seggiolino che guarda verso la direzione di marcia. Guardo avanti. Vado avanti. Mentre alle mie spalle il centro si fa sempre più lontano.
Non ci sono auto, questa è la sola parte della città chiusa al transito. Il solo rumore è quello prodotto dal brusio delle persone che affollano le strade e le piazze di questo angolo di città. C’è chi si incontra, chi medita acquisti, chi si reca in uno dei tanti negozi di souvenir per dedicare un pensiero a persone care, chi semplicemente si gode la giornata al tavolino di un qualche locale. Vado alla Danish tavern, che a dispetto del nome ha un'ampia gamma di birre belga. Mi siedo e ordino una birra: cos’altro potrei chiedere in Belgio? Arriva la mia Grimberger. Una chiara, ma del resto ho chiesto semplicemente una birra, senza specificare quale. La sorseggio in maniche di camicia mentre offro il mio viso al sole. Poi apro la cartina e studio la mia posizione. Dopo un’occhiata lunga due sorsi di birra so dove devo andare. Per curiosità studio il percorso che ho fatto per arrivare fin dove sono. Casa mia non è lontana dal centro. Non mi affanno a finire la mia chiara, oggi devo solo gustarmi questa giornata, e brindare ai miei primi successi. Sette giorni che sono qui, e da quattro già collaboro per un’agenzia. Certo, non ci vivo, ma oggi non ci voglio pensare. Svuoto il bicchiere e mi rivesto: dove sto andando richiede di passare per vie non assolate.
Avete presente la statua di Peter Pan nei giardini di Kensington? Ebbene, il Manneken pis in una cosa gli somiglia: le dimensioni. E’ una statuina posta sull’apice di una fontana tardo gotica, della quale – proprio come il Peter Pan a Kensington – potreste tranquillamente non accorgervi. E’ alta si e no mezzo metro, e il fatto che il Belgio sia il paese che ha dato alla luce i puffi è solo una coincidenza. Per gli abitanti della città il bambino nudo che fa pipì è un simbolo importantissimo: rappresenta il loro spirito libero e la loro apertura mentale. Sarà forse per questo se è Bruxelles la capitale d’Europa.
Vado oltre. Se non ricordo male subito a sinistra dovrebbe esserci una birreria di due piani, la Poechenellekelder. E infatti è lì. Le indicazioni che mi ha dato Timothy prima di partire sono esatte. “Devi andarci”, mi ha detto. “E’ un posto bello ma soprattutto pieno di birre buone, tutte artigianali”. Oggi è lunedì, e in Belgio musei e buona parte dei locali il lunedì riposano, e questo non fa eccezione. Tornerò. Intanto penso a Timothy e soprattutto a chi da Timothy mi ha sempre allietato le serate: in Gallerie Saint Hubert c’era un negozio che faceva al caso loro. E quindi al mio. Mentre mi dirigo noto quante persone di colore ci siano in questa città. Quanto inciderà il passato coloniale di questo piccolo paese, e quanto la crisi?
“Mi scusi signore”. Una ragazza con un grosso zaino in spalla richiama la mia attenzione. “Saprebbe dirmi dove si trova Rue du Cardinal Mercier?”. “Mi spiace, ma non parlo francese”. La ragazza mi guarda per un attimo senza proferir parola. Quindi, dopo un attimo di esitazione, mi parla in inglese. “Saprebbe dirmi dove si trova Rue du Cardinal Mercier?” “Mi spiace davvero, ma non sono del posto. Provi a chiedere in libreria”. La ragazza mi guarda, mi ringrazia e se ne va via ridendo. “Tipico”, avrà pensato. “Quando all’estero chiedi informazioni a qualcuno trovi sempre chi è più straniero di te”. Beh, almeno in questo siamo uguali: persi in un luogo che ancora non ci appartiene. Avrei dovuto tirar fuori la cartina della città e aiutarla, ma ci ho pensato troppo tardi. Solo dopo ci si rende conto delle cose. In genere dei propri errori. Basta, non è per avere certi pensieri che sono uscito di casa. Vado e compro quello che devo comprare, non prima di aver assaporato questa via commerciale al coperto di una cupola di vetro. Realizzata verso la fine della prima metà dell’ottocento, avrebbe poi finito col fornire uno spunto ad altre città, come Milano per la sua galleria Vittorio Emanuele. Guardo l’orologio: si è fatto tardi. Torno a piazza reale e oltrepasso il Magrittè museum, in tempo per il tram che sta arrivando. Salgo sulla carrozza e prendo posto su un seggiolino che guarda verso la direzione di marcia. Guardo avanti. Vado avanti. Mentre alle mie spalle il centro si fa sempre più lontano.
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