Sunday, 13 November 2011

bLOGBOOK - Gent

Gent

Tra Antwerpen, Mechelen e Gent, quest'ultima è senza dubbio la più "olandese". Gent si specchia e si dipanda su tanti canali, si ricongiunge sempre a sè stessa attraverso un'infinita rete di ponti, e si attraversa anche solcandone le acque su cui sorge. Per la sua conformazione richiama alla mente Amsterdam, per i suoi camminamenti radenti la superficie dei canali ricorda invece Utrecht. Gent, punto d'incontro e punto di raccordo. Qui il Lys si getta nello Schelda, ed è qui che nasce questa città un tempo gloriosa, che deve il proprio nome proprio a questa immissione fluviale: Gand, nome francofono del centro urbano, deriva dalla parola celtica "Ganda", che vuol dire, appunto, confluenza. Ma Gent si collaca a metà strada di quell'itinerario non solo geografico che lo Schelda traccia: dalle città francesi di Lille e Dunkerque, tutte le rotte commerciali fluviali passano per Gent prim'ancora che per Antwerpen. Molte case antiche della città hanno infatti il magazzino direttamente sull'acqua, perchè in passato i commercianti - di cereali, principalmente - caricavano e scaricavano direttamente nei canali dai propri centri di affari. Ciò permetteva di eliminare i costi portuali, e non a caso per alcuni secoli Gent è stata è una delle città più ricche e fiorenti dell'Europa. Il suo massimo splendore si ha tra l'XI e il XIII secolo, quando Gent si impone come centro di produzione e lavorazione di tessuti, che successivamente diventerà Antwerpen. Fino al 1.200 Gent fu la seconda città d'Europa per numero di abitanti dopo Parigi, e fino a tutto il secolo XIII, anche grazie alla fiorente industria della lana affermatasi nella limitrofa Bruges, rappresentò la prima area industrializzata del Medio Evo.
Oggi Gent ha perso buona parte di quella passata importanza, ma resta comunque la terza città del Belgio per dimensioni e abitanti, e la prima città universitaria del regno, con i suoi 65.000 studenti iscritti. Capoluogo della regione delle Fiandre orientali, è famosa per essere la città natale di Carlo V, famoso imperatore e personaggio che ha consegnato alla storia una memoria indelebile. Come indelebili per la città sono le guerre di religione di fine '600 e '700: da repubblica calvinista qual era sempre stata, la Spagna impose il cattolicesimo, ancora oggi religione ufficiale. A raccontare la storia di questa città sono le attrazioni che non si può fare a meno di vedere. Il castello dei conti (Gravensteen), ad esempio, si erge imponente subito dietro la piazza grande. Eretto nel 1180 da Filippo d'Alsazia sui resti di un precedente castello risalete al IX secolo, la fortezza fu la sede e il centro del potere dei conti di Fiandra per tutto il medioevo. Per un certo periodo ospità anche gli uffici della Corte suprema di Fiandra, e divenne automaticamente una prigione e un luogo di tortura. La cappella privata dei conti di Fiandra venne ben presto trasformata in camera di supplizio. Abbandonato alla fine del XIV secolo, cadde in rovina e solo nel 1830 venne riscoperto dalla città, che nel 1889 inizià un'imponente opera di restauro che di fatto portò alla ricostruzione del castello. Ciò che rimaneva della struttura originaria, pericolante, venne abbattuto e l'intero castello venne portato a nuova vita. «E' un dodicesimo di com'era», confessa Erik, un abitante del posto. «Dell'originale non è rimasto niente. L'hanno completamente ricostruito, e in scala ridotta. In origine era dodici volte più grande», afferma quasi con severità. La ricostruzione, mi spiega, è ancora oggi oggetto di ampio dibattito. Per molti rappresenta l'unico castello medievale dei conti di Fiandra conservato pressoché intatto, ma il nodo sta tutto in quella parola: "conservato". «Forse ne abbiamo conservato la memoria ricostruendolo. Ma l'abbiamo ricostruito, non l'abbiamo conservato. Se l'avessimo conservato non avremmo dovuto ricostruirlo». Il ragionamento di Erik è condivisibile, ma al forestiero questo è un tema che non interessa. Nonostante l'artificiosità storica del sito, il Granvensteen ospita centinaia di visitatori ogni giorno.
Oltre il Gravensteen si elevano le tre torri medievali simbolo di Gent: i campanili della cattedrale di San Bavone e della chiesa di San Nicola, insieme al Beffroi, la torre campanaria. «Sei fortunato», mi dice un passante. «Adesso si vedono tutte e tre. Fino a un'ora fa ne avevamo solo una». E' vero. La nebbia che circonda la città e il paesaggio fiammingo rendono difficile scorgere anche le cose più vicine, e conferiscono un'atmosfera spettrale a una città che, col suo gotico, ben si presta a scenari cupe. Ma contrariamente a quanto visto in altri posti, il fatto che il tempo non sia benevolo e il fatto che sia domenica non rende affatto Gent una città fantasma. Al contrario, è ricca di vita e movimento. La cattedrale di San Bavone è stata "ritoccata" anch'essa. E' consacrata nel 942 e nel 1.038, a lavori ultimati, è una chiesa romanica. Poi, anche per la crescita demografica della città, si rese necessario un'ingrandimento della struttura ecclesiastica. I lavori ebbero luogo tra il XIV e XVI secolo, e alla fine di questi la chiesa era l'attuale struttura gotica che occupa la piazza. La cattedrale conserva al proprio interno due veri e propri tesori artistici: il "polittico dell'Adorazione dell'Agnello mistico" - costituito da 10 pannelli di legno di quercia, realizzato dai fratelli Jan e Hubert van Eyck tra il 1426 e il 1432 e considerato l'apice della pittura fiamminga del XV secolo - "L'entrata di San Bavone nel chiostro", tela dipinta da Rubens nel 1623. Il Beffroi, la torre campanaria, rappresenta il potere comunale. Realizzata tra il 1313 e il 1380, ancora oggi scandisce ritmi e tempo della città. Infine c'è la chiesa di San Nicola, anch'essa - come la cattedrale di San Bavone - frutto di un'opera di "ammodernamento" tra il XIII e il XIV secolo che portò l'originaria struttura romanica a diventare l'attuale edificio gotico. La sua importanza si deve alle cappelle private poste oltre abside e altare, riservate ai personaggio più influenti della città.
Altro luogo storico per la città di Gent è il Rabot, fortezza del XV secolo un tempo antica porta della cinta muraria di difesa nonchè "checkpoint" sul fiume Lys. Ma il Rabot era anche qualcosa di più: era infatti un'installazione dotata di una chiusa, che operava quindi da diga decidendo le sorti dello scorrimento e del traffico fluviali. Da qui il nome Rabot, derivante dalla storpiatura del verbo francese "rabattre" (abbassare, deprimere). Realizzato tra il 1489 e il 1491 per volere di Massimiliano d'Asburgo - dopo la conquista della città - al fine di dotare Gent di un punt
o di forza e di un eccezionale strumento di difesa, nel 1860 venne parzialmente demolito per permettere la chiusura del fiume, che oggi ha nel Rabot uno dei punti in cui termina la propria corsa. Oggi restano dunque il corpo centrale e le due torri, solo una parte cioè della costruzione originaria. La civilizzazione ha imposto un nuovo corso, e al posto del corso d'acqua oggi - laddove una volte proseguiva il fiume che oggi termina la propria corsa alla fortezza - c'è una lunga lingua d'asfalto. E' la strada che, proprio come il fiume una volta, collega Gent a Bruges. Ma i tesori di Gent sono quelli nascosti, quelli visibili solo dall'interno, quelli a cui si accede attraversando fiumi e canali. Per lo più spazi privati, o vecchie costruzioni cadenti inaccessibili ma che ancora conservano - e mostrano - come si viveva fino a pochi decenni fa. Carrucole sospese sull'acqua, approdi in disuso, cantine allagate. Tutto quanto mostra la storia di vita di un popolo che ha ormai perduto usi e costumi di un tempo. Il tempo di oggi, invece, è di quelli che non consente di stare troppo a lungo fermi, e le coperte fornite dal capitano di vascello non bastano. Se come dice qui si produce l'Augustiner (che è una birra tedesca, ma a quanto pare qui c'è un importante stabilimento), la birreria è certamente un'attrazione di degustazioni che non si può non visitare in Belgio. Ma oggi sarà la tappa forzata per un thè caldo. Posti non mancano, così sfido ancora per qualche minuto le temperature rigide per cercare un posto meno centrale. Seguo il flusso di persone lungo una strada già illuminata dalle decorazioni natalizie. Giungo al Caffè Theater, il bar dell'Opera. Suona come da intellettuali, ma ho un gran bisogno di darmi delle arie. Calde. Entro e ordino, e mentre gusto il tepore interno, poso la penna sul tavolo. C'è un diaro di viaggio da aggiornare.

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