Incontro - una storia d'autuno
Lei è la stessa di sempre, uguale a come la ricordavo. E' solo diventata una donna, ma non è cambiata. E infatti non esito a riconoscerla. Il sorriso è lo stesso di allora, così come il taglio di capelli. Il che, per una donna, non è scontato. Io invece devo essere cambiato, perchè lei impiega un pò per inquadrarmi.
"Io ti conosco. Ciao, Valentina. Come stai?"
"Bene, grazie. Ma quindi ci conosciamo?!"
"Sì. Ci siamo conosciuti anni fa".
"Ah, due anni fa, sempre qui a Bruxelles?".
"No. Io a Bruxelles ci sono arrivato solo un mese fa, e prima non c'ero mai stato. Ci siamo conosciuti a Roma. Tu lavoravi in un'agenzia, una di quelle economiche, ma non ricordo quale".
"Reuters. Ora ricordo. Tu sei il figlio di...".
La interrompo. "Sì". Suona beffardo pensare che nel paese dove essere figli di è un requisito fondamentale per trovare un posto nel mondo del lavoro, il mio essere figlio di non mi abbia aiutato in alcun modo. Se fossi stato figlio di non mi sarei trovato mai qui, eppure eccomi. Ma questa non può essere una colpa imputabile a mio padre, a cui devo comunque tanto. E' solo un sistema profondamente sbagliato tipicamente italiano. Lei lo deve sapere quanto me, probabilmente. Perchè nonostante abbia un cognome altisonante nel settore, ancora non si è sistemata. L'avevo lasciata a Roma in cerca di una sistemazione, l'avevo persa di vista, poi l'avevo rincontrata sempre a Roma dove era nuovamente alla ricerca di stabilità, quindi l'avevo persa di nuovo. Fino a stasera.
"Tu stavi alla Dire", mi fa lei.
"Hai detto bene". Mai modo e tempo verbali sono stati più appropriati. "Che ci fai qui? L'ultima volta ti avevo vista a Roma, e se non sbaglio eri stata richiamata".
"Esatto. Reuters non mi aveva rinnovato il contratto e io ero stata a Milano per un anno. Poi mi ha ripreso la Reuters ma sempre a tempo determinato, e quando mi è scaduto il contratto non mi è stato rinnovato. Quindi sono stata a Bruxelles, dove ho conosciuto il mio attuale ragazzo, Tim. Ho fatto un po' avanti e indietro, nel frattempo ho imparato l'olandese, che qui aiuta molto se lo sai, e tra due giorni farò un colloquio di lavoro".
E' una storia che ho già sentito. In alcuni punti è diversa dalle altre, ma sono i particolari. La trama è la stessa di tante storie già raccontate da altre persone. E' anche la mia storia. C'è poco da dover dire, quindi. Se non che ci sarebbe bisogno di un bel lieto fine, proprio come quelle storie che da piccini ci sentivamo raccontare. Per il resto, davvero non c'è nulla da dire.
"In bocca al lupo". "Crepi. E te che fai?"
"Cerco lavoro. Sono qui a propormi come collaboratore".
"Fai bene, ma non sarà facile. Anch'io ci provai quando venni qui la prima volta. Non per scoraggiarti, ma qui tutti di base parlano tre lingue, e tutti inglese e francese. Per cui se tu conosci queste due lingue in Italia hai un curriculum alto, ma qui se nella media bassa. In bocca al lupo pure a te".
"Lo so. Non è facile, qualcosa dovrà pur accadere. In un senso o nell'altro. Ma quindi tu non vivi qui?".
"No, sono di passaggio. Cioè, spero di restare, perchè questo vorrebbe dire assunzione. Però io in realtà sto a Milano, anche perchè Tim lì ha un lavoro a tempo indeterminato".
"Ah. E quindi? Cioè... Non per farmi gli affari vostri, ma quindi in caso venissi assunta?"
"Vedremo. Una cosa alla volta. Magari all'inizio faremo avanti e indietro, una volta ciascuno. Oppure si trasferisce lui. Alle brutte il rapporto si tronca. Qui vengo per il lavoro, ma soprattutto per i soldi che offrono. Sono tanti, e sarebbero tutti miei. Con quelli finalmente potrei farmi una vita tutta mia, permettermi quello che finora ho sempre sognato".
Le ultime parole sono di quelle che potrebbero aprire dibattiti infiniti. Io le leggo come il famoso pragmatismo femminile. Sì, è una donna. Amore e romanticismo saranno anche importanti, ma da soli non nutrono nè pagano. Il denaro è ciò che serve all'uomo per vivere. Il partner si può sempre cambiare, il lavoro - soprattutto se retribuito con un certo salario - non sempre. E i soldi magari non faranno la felicità come sostiene qualcuno (che in genera non ce li ha), ma certo permettono di fare tante più cose.
"Una casa?", le domando.
"Sì, ma non solo. Anche una famiglia, in prospettiva".
Comprendo perfettamente. Per crescere i figli servono soldi, occorre una solidità e una certezza economica. Basi solide e sicure su cui costruire il nido. Il che, di questi tempi, è merce piuttosto rara.
"Beh, ti auguro di riuscirci".
"Grazie. Auguri anche a te. Io in questi giorni non mi farò vedere, ma se bazzichi questo posto è possibile che ci rivedremo".
"Finchè sarò qui mi troverai qui".
"Beh, allora ciao. Mi ha fatto piacere riverderti".
"Ciao".
Anche stavolta non ho chiesto numeri di telefono, ma non importa. So che presto o tardi la rivedrò. Mentre penso a questo, mi perdo sulle solite filosofie spicciole sul quanto è strana e imprevedibile la vita, su quanto è piccolo il mondo e altri luoghi comuni simili tipo "siamo tutti sulla stessa barca". E' vero, ma senza le scialuppe di salvataggio. Basta, o questo pessimismo mi schiaccerà, adesso che trova terreno fertile in uno stato psico-emotivo fragile. Per fortuna, senza rendermente conto, sono già arrivato a casa. Così posso farmi una dormita. Non prima di essermi lavato via questo freddo gelido.
Lei è la stessa di sempre, uguale a come la ricordavo. E' solo diventata una donna, ma non è cambiata. E infatti non esito a riconoscerla. Il sorriso è lo stesso di allora, così come il taglio di capelli. Il che, per una donna, non è scontato. Io invece devo essere cambiato, perchè lei impiega un pò per inquadrarmi.
"Io ti conosco. Ciao, Valentina. Come stai?"
"Bene, grazie. Ma quindi ci conosciamo?!"
"Sì. Ci siamo conosciuti anni fa".
"Ah, due anni fa, sempre qui a Bruxelles?".
"No. Io a Bruxelles ci sono arrivato solo un mese fa, e prima non c'ero mai stato. Ci siamo conosciuti a Roma. Tu lavoravi in un'agenzia, una di quelle economiche, ma non ricordo quale".
"Reuters. Ora ricordo. Tu sei il figlio di...".
La interrompo. "Sì". Suona beffardo pensare che nel paese dove essere figli di è un requisito fondamentale per trovare un posto nel mondo del lavoro, il mio essere figlio di non mi abbia aiutato in alcun modo. Se fossi stato figlio di non mi sarei trovato mai qui, eppure eccomi. Ma questa non può essere una colpa imputabile a mio padre, a cui devo comunque tanto. E' solo un sistema profondamente sbagliato tipicamente italiano. Lei lo deve sapere quanto me, probabilmente. Perchè nonostante abbia un cognome altisonante nel settore, ancora non si è sistemata. L'avevo lasciata a Roma in cerca di una sistemazione, l'avevo persa di vista, poi l'avevo rincontrata sempre a Roma dove era nuovamente alla ricerca di stabilità, quindi l'avevo persa di nuovo. Fino a stasera.
"Tu stavi alla Dire", mi fa lei.
"Hai detto bene". Mai modo e tempo verbali sono stati più appropriati. "Che ci fai qui? L'ultima volta ti avevo vista a Roma, e se non sbaglio eri stata richiamata".
"Esatto. Reuters non mi aveva rinnovato il contratto e io ero stata a Milano per un anno. Poi mi ha ripreso la Reuters ma sempre a tempo determinato, e quando mi è scaduto il contratto non mi è stato rinnovato. Quindi sono stata a Bruxelles, dove ho conosciuto il mio attuale ragazzo, Tim. Ho fatto un po' avanti e indietro, nel frattempo ho imparato l'olandese, che qui aiuta molto se lo sai, e tra due giorni farò un colloquio di lavoro".
E' una storia che ho già sentito. In alcuni punti è diversa dalle altre, ma sono i particolari. La trama è la stessa di tante storie già raccontate da altre persone. E' anche la mia storia. C'è poco da dover dire, quindi. Se non che ci sarebbe bisogno di un bel lieto fine, proprio come quelle storie che da piccini ci sentivamo raccontare. Per il resto, davvero non c'è nulla da dire.
"In bocca al lupo". "Crepi. E te che fai?"
"Cerco lavoro. Sono qui a propormi come collaboratore".
"Fai bene, ma non sarà facile. Anch'io ci provai quando venni qui la prima volta. Non per scoraggiarti, ma qui tutti di base parlano tre lingue, e tutti inglese e francese. Per cui se tu conosci queste due lingue in Italia hai un curriculum alto, ma qui se nella media bassa. In bocca al lupo pure a te".
"Lo so. Non è facile, qualcosa dovrà pur accadere. In un senso o nell'altro. Ma quindi tu non vivi qui?".
"No, sono di passaggio. Cioè, spero di restare, perchè questo vorrebbe dire assunzione. Però io in realtà sto a Milano, anche perchè Tim lì ha un lavoro a tempo indeterminato".
"Ah. E quindi? Cioè... Non per farmi gli affari vostri, ma quindi in caso venissi assunta?"
"Vedremo. Una cosa alla volta. Magari all'inizio faremo avanti e indietro, una volta ciascuno. Oppure si trasferisce lui. Alle brutte il rapporto si tronca. Qui vengo per il lavoro, ma soprattutto per i soldi che offrono. Sono tanti, e sarebbero tutti miei. Con quelli finalmente potrei farmi una vita tutta mia, permettermi quello che finora ho sempre sognato".
Le ultime parole sono di quelle che potrebbero aprire dibattiti infiniti. Io le leggo come il famoso pragmatismo femminile. Sì, è una donna. Amore e romanticismo saranno anche importanti, ma da soli non nutrono nè pagano. Il denaro è ciò che serve all'uomo per vivere. Il partner si può sempre cambiare, il lavoro - soprattutto se retribuito con un certo salario - non sempre. E i soldi magari non faranno la felicità come sostiene qualcuno (che in genera non ce li ha), ma certo permettono di fare tante più cose.
"Una casa?", le domando.
"Sì, ma non solo. Anche una famiglia, in prospettiva".
Comprendo perfettamente. Per crescere i figli servono soldi, occorre una solidità e una certezza economica. Basi solide e sicure su cui costruire il nido. Il che, di questi tempi, è merce piuttosto rara.
"Beh, ti auguro di riuscirci".
"Grazie. Auguri anche a te. Io in questi giorni non mi farò vedere, ma se bazzichi questo posto è possibile che ci rivedremo".
"Finchè sarò qui mi troverai qui".
"Beh, allora ciao. Mi ha fatto piacere riverderti".
"Ciao".
Anche stavolta non ho chiesto numeri di telefono, ma non importa. So che presto o tardi la rivedrò. Mentre penso a questo, mi perdo sulle solite filosofie spicciole sul quanto è strana e imprevedibile la vita, su quanto è piccolo il mondo e altri luoghi comuni simili tipo "siamo tutti sulla stessa barca". E' vero, ma senza le scialuppe di salvataggio. Basta, o questo pessimismo mi schiaccerà, adesso che trova terreno fertile in uno stato psico-emotivo fragile. Per fortuna, senza rendermente conto, sono già arrivato a casa. Così posso farmi una dormita. Non prima di essermi lavato via questo freddo gelido.
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