Tuesday, 22 November 2011

Trionfo Rajoy, la Spagna torna a destra

Gli elettori bocciano i socialisti di Zapatero e consegnano il Paese al Pp, che già controlla quasi tutte le regioni. Al nuovo premier la maggioranza assoluta, con cui potrà governare incontrastato.

di Emiliano Biaggio

La Spagna torna a destra come ai tempi di Franco. Gli elettori consegnano il paese al Partito popolare e al suo leader, Mariano Rajoy, con un consenso senza precedente nella storia della Spagna democratica. Il Pp è il primo partito del paese con il 44,55% dei voti, risultato che consente alla formazione di destra di avere la maggioranza assoluta nel Congresso dei deputati: 186 seggi su 350, ben 32 in più rispetto alle politiche del 2008 e 3 in più rispetto al suo massimo storico (183, ottenuto nel 2000 con Aznar). E mentre crolla il Partito socialista - appena 110 seggi, 59 un meno rispetto alla scorsa tornata elettorale - avanza l'estrema sinistra: Izquierda Unita passa infatti da 2 a 11 deputati. Ma nel quadro rinnovato del parlamento spagnolo, il dato principale è la maggioranza schiacciante che la destra ha e che, com'è facile prevedere, servirà per smantellare le politiche in senso sociale e le leggi sulla memoria storica promosse da Zapatero. Per una destra che mai ha condannato il franchismo e che sempre è rimasta fortemente ancorata alla Chiesa di Spagna, adesso è l'ora della scrittura di una nuova pagina per la storia del regno. I numeri, del resto, ci sono, e il rischio non è remoto. Anche perchè l'occasione è davvero propozia: gli elettori hanno punito severamente i socialisti, e a poco sono servite le dimissioni di Zapatero, che pur aveva intravisto in questo gesto l'unico modo per evitare l'inevitabile. «Il popolo ha parlato», il primo commento del nuovo capo di governo. «Lo ha detto forte e chiaro. Ha deciso per il cambiamento». Ed è quello che ripete a stretto giro Josè Manuel Barroso, presidente della Commissione europea. «Lei - afferma riferendosi a Rajoy - ha ricevuto dal popolo spagnolo un chiaro e forte appoggio in un momento importante sia per la Spagna, sia per l'Unione europea». Da oggi, quindi, si volta pagina. L'era Zapatero si chiude davvero, e se ne apre una nuova, inaugurata dal vincitore Rajoy che si affaccia dal balcone della sede del Partito popolare (Pp) per parlare alla folla e dire che «già da domani mattina mi metterò al lavoro per il Paese». Rajoy ha promesso tagli «ovunque» fatta eccezione per le pensioni. L'obiettivo è abbassare il deficit al 4,4% nel 2012 (dal 9,3% dello scorso anno) per portarlo poi al 3% nel 2013. I popolari puntano inoltre a rilanciare l’economia abbassando le imposte sulle imprese con un aliquota unica del 20% per le Pmi e promettono fino a 3.000 euro di sgravi per ogni posto di lavoro creato. Ma è scontato che Rajoy non si limiterà a traghettare il paese fuori dalla crisi: adesso potrà rimettere mano a qui temi caldi che tanto hanno fatto discutere in questi anni: matrimoni gay, depenalizzazione dell’aborto, divorzio veloce. Cui si aggiunge il capitolo della guerra civil riaperto con la legge della memoria storica, che ha riconosciuto e ampliato i diritti dei familiari delle vittime della guerra civile e della dittatura. Da paese all'avanguardia a paese di retroguardia, il pericolo è reale. Del resto il Pp nella nuova legislatura avrà un potere quasi assoluto: controlla già quasi tutte le regioni, le città più importanti meno Barcellona, e con la maggioranza assoluta in parlamento può governare da solo, senza negoziare appoggi. Non a caso El Pais, quotidiano vicino al Psoe, il giorno dopo le elezioni ha titolato soltanto "La Spagna concede tutto il potere al Pp", proprio come fu per Franco, quel signore «intelligente e moderato, coraggioso e cattolico» che guidò un regime «autoritario ma non totalitario», come riportato solo lo scorso maggio dal "Dizionario Biografico" della Reale Accademia di Storia di Madrid.

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