Saturday, 10 December 2011

bLOGBOOK

La gente cammina, si ferma, osserva. Qualcuno entra nei negozi e compra, qualcun altro mangia. C'è chi si bacia, chi scatta foto, chi studia cartine. E' un sereno sabato pomeriggio di dicembre, con il Natale alle porte. Tutto ricorda le festività imminenti: le vetrine dei negozi allestite per l'occasione, i mercatini organizzati per l'occasione, l'enorme albero di Natale e il gran presepio in place Royal, le luminarie lungo le strade. E poi ancora le buste ricolme di pacchi nelle mani dei passanti, i cappelli da babbo natale. Perfino il Manneken Pis sfoggia abiti natalizi. Se non fosse per i regali da fare quest'anno non lo avvertirei. Molti dei pacchettini che avevo in mente di confezionare li ho preparati molto prima di partire, anche per questo quest'anno il Natale scorre più come un problema per le ultime scelte da compiere. Un problema, già. Ma solo perchè in sintonia con tutto il resto. In realtà è piacevole percorrere le vie del centro piene di gente, illuminate da luci e risplendenti di colori. Strade festose e allegre, con musica agli incroci e negli slarghi, e gli aromi di vin brulè che si confondono a quelli del waffel, del cioccolato, dei ristoranti etnici, dell'inconfondibile fruttura belga. Ma per delle festività che arrivano, altre se ne vanno. L'inverno ha portato con sè le sue temperature rigide, lasciando i locali e gli spazi di Bruxelles orfani dei loro tavoli all'aperto. Al loro posto una costellazione di piccoli banconi dove consumare in piedi bevande calde, valida alternativa alle birre.
Torno sui miei passi, sul mio passato. Torno a boulevard Emile Jacqmain, dove anni fa sfilai in corteo per una delle più singolari manifestazioni. Sempre che di manifestazione si possa parlare, ma questo potrei dirlo solo io. Che a stento ho ricordato il mio passato. Sì, ero qui dove sono ancora oggi. Ma tutta la gente di allora, che fine ha fatto? Ricordo solo questo tratto di strada. Dove si fermò quel corteo? Dove conduce questa strada? Lontano dai colori, dai suone e dagli aromi del centro, verso luoghi dall'aspetto meno accogliente e vitale. Le auto sfrecciano senza sosta lungo quest'arteria stradale, i pedoni passeggiano verso mete misteriose: tutti siamo di passaggio in questo mondo. Anche in questa città? Una mamma spinge una carrozzina: qualcuno si ferma.
I maglioni non sono male, per le cravatte non c'è che l'imbarazzo della scelta. Dove sono gli sciarponi di lana a maglie grandi? Cercare può essere un divertimento, uno stimolo, una curiosità, un passatempo, una passione. Trovare è quasi sempre una sfida. E le sfide o si vincono o si perdono. E io ho paura, questa è la verità. Di non farcela, è chiaro. Ma è solo questo? No, non è solo questo. Il mio cercare cos'è? Dipende da quello che cerco e per chi. Per me cosa e quanto ho cercato? E come? Ho freddo. Sarà che sto morendo? No, stupido. E' solo il freddo di qui, il freddo dell'inverno. Entro in un cafè di Place de Brouckère, se non ricordo male lo stesso dove alcuni di noi allora si fermarono per una birra. Il posto si sviluppa in lungo, verso il fondo. Pochi tavoli, tutti poco illuminati per via delle luce tenuta bassa. Supero i primi tavoli, oltre i quali inizia il bancone, che corre per tutta l'estensione verticale della birreria/caffetteria. Ordino un caffè, e mi siedo su uno dei tavoli sistemati sulla parete sinistra, di fronte al bancone. Me ne accordo solo in un secondo momento, ma senza volerlo ho scelto di sedere sotto un piccolo poster di Charlie Chaplin che sembra raffigurare una scena di Tempi moderni: l'uomino seduto a terra, appoggiato in un angolo della strada, con una donna che rigorda Paulette Goddard che dorme accanto a lui. Chaplin. Cinema. Associazioni di idee, raffigurazioni di visi. Il caffè amaro si fa dolce, ma come tutte le cose - specie se buone - finisce. Pago e affronto il freddo. Uscendo chiudo un'altra porta dietro di me.

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