I Fratelli Musulmani vincono le elezioni in Egitto, che segna la svolta coranica.
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l'e-dittoreale
Da repubblica araba a repubblica araba e islamica. L'Egitto cambia. E lo fa radicalmente. Le elezioni nel paese che fu di Mubarak segnano la vittoria dei Fratelli Musulmani, formazione di matrice coranica che promette di cambiare il paese in senso democratico. Mohammed Morsi ottiene il 51,7% dei voti e diventa il nuovo presidente dell'Egitto. «Siamo arrivati a questo momento grazie al sangue versato dai martiri della rivoluzione. L'Egitto – annuncia il neopresidente – inizierà una nuova fase della sua storia». Il punto è capire quale fase si aprirà, se quella di uno stato arabo moderno o quella di un nuovo sultanato stile medio-Oriente. Nessuno si aspettava che dopo decenni di regime di Mubarak il popolo egiziano scegliesse la soluzione dell'integralismo religioso, tutti speravano che fossero altri gli interlocutori con cui dover a che fare. Ma la democrazia ha in sé queste e altre variabili. O inconvenienti. Sembra di rivivere la situazione della Palestina, dove le elezioni libere e democrattiche volute dall'Occidente – Stati Uniti su tutti – scontentarono l'intero scacchiere mondiale perchè dalle urne uscì vincitore quell'Hamas – islamico e integralista come il movimento dei Fratelli Musulmani – che tutti davano per sconfitto. In quel caso i pionieri della democrazia furono i primi a riconoscere che in quel frangente la democrazia non funzionò, e l'esito di quelle elezioni venne ignorato. Le consultazioni vennero considerate nulle e Hamas divenne improvvisamente un movimento terroristico, finendo nella lista nere delle organizzazioni da abbattere. Merito della pressione di Israele, oggi più che mai preoccupato da cosa succederà adesso che i Fratelli Musulmani – quelli che simpatizzano per i fratelli arabi palestinesi – controllano un paese la cui stabilità e soprattutto il non coinvolgimento nell'infinita questione israelo-palestinese sono di fondamentale importanza. Hosni Mubarak manteneva una situazione di stabilità alle relazioni bilaterali, anche se questo non coincideva con i sentimenti di gran parte del popolo egiziano. Il nuovo leader del paese dei faraoni ha promesso che «manterremo tutti gli accordi e i trattati internazionali perché siamo interessati alla pace dinanzi a tutto il mondo». Il riferimento evidente è all'accordo di pace firmato nel 1979 dall'Egitto con Israele, da sempre criticato dagli islamisti e ancora difficile da digerire all'interno del movimento di Morsi. Bisogna come si evolverà questo islamismo legal-democratico organizzato nel Partito Libertà e Giustizia, espressione dello stesso gruppo islamista e presieduto dallo stesso Morsi, che ha rinunciato alla sua attività di militanza per guidare un paese da ricostruire. La storia insegna che i movimenti islamici con la democrazia ben poco si sposano e difficilmente si trovano, che quasi mai si coniugano con la dignità della donna, eguaglianza di diritti, tolleranza e progressismo. L'Egitto, che da quando esiste non ha mai avuto altro che dei, faraoni, re e capi autoritari, non può imparare a volare in un battito d'ali. I problemi del paese restano allo stato delle cose irrisolti. Bisogna capire che ne sarà della minoranza cristiana ora che i musulmani hanno il potere, ma soprattutto bisogna coinvolgere la popolazione nel cambiamento: ha votato solo il 51% degli aventi diritto. C'è la metà della nazione da dover includere nella vita del paese. Un segno inequivocabile di questa volontà deve darla Morsi, che nelle trattative per la formazione del nuovo governo dovrà consultare tutte le diverse forze sociali e politiche. E' l'auspicio del governo degli Stati Uniti, il primo a congratularsi col nuovo presidente per il successo elettorale auspicando, non a torto, che l'Egitto rimanga «un pilastro di pace, sicurezza e stabilità regionale». Questa è l'incertezza più grande del nuovo Egitto, il meno laico di sempre e il più coranico che mai.
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