Spazio dedicato a cosa succede in Italia.
Chi fa che cosa, dove, come e soprattutto perchè. Protagonisti e
comparsate nel paese dove tutto (ma proprio tutto!) è davvero possibile.
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di Emiliano Biaggio - La
situazione per la Lega intanto si fa sempre più insostenibile: dalle
telefonate intercettate tra l'ormai ex tesoriere del Carroccio
Belsito e Dagrada, emerge il sommerso: «Tu – dice Delgrana a
Belsito – al capo precisi la cosa del discorso soldi. Castelli
vuole andare a vedere la “cassa” e quelli che sono i problemi,
perché comunque tu non è che puoi nascondere quelli che sono i
“costi della famiglia”, cioè da qualche parte vengono fuori».
Sì, dalle sviste di altri. Dei revisori dei bilanci della Lega, ad
esempio. In sei – tre esterni e tre interni – non facevano nulla.
«Io – ammette candidamente Dagrada – gli preparavo tutta la
relazione, gliela inviavo e loro non facevano altro che firmarmela...
non guardavano un cazzo». Colpa loro che sono dei fannulloni,
quindi. No?! 'Fannulloni? Vergogna!', tuona Brunetta. 'Renato, vedi
che non sei più ministro', gli ricordano. 'Ah, già'. Comunque, ci
sono da giustificare «i costi liquidi dei ragazzi di Renzo». Sono
«151.000» euro, dice Belsito, ex tesoriere al corrente dei conti e
dei conti corrente. «No – corregge Dagrada – 251mila euro sono i
ragazzi, ma sono fuori gli alberghi, che non ti riesco a scindere
quando girano con lui, mi entrano nel cumulo e riprendere tutte le
fatture è impossibile». Alessandro Marmello, autista e bodyguard
di Renzo Bossi, sente che le cose si mettono male e di fatto si
costituisce. «Non ce la faccio più, non voglio continuare a passare
soldi al figlio di Umberto Bossi in questo modo», si sfoga. Si, ma
quale modo? «E' denaro contante che ritiro dalle casse della Lega a
mio nome, sotto la mia responsabilità. Lui incassa e non fa una
piega, se lo mette in tasca come fosse la cosa più naturale del
mondo. Adesso basta, sono una persona onesta». La persona onesta
spiega meglio: «Poteva essere la farmacia, ristoranti, la benzina
per la sua auto, spese varie, cose così. Insomma, quando avevo
finito la scorta di denaro andavo in cassa, firmavo e ritiravo. Mi è
capitato anche di dover fare il pieno di benzina pure per la sua auto
privata». Ovviamente si tratta di «soldi pubblici, almeno credo,
non spendibili per accontentare le spese personali di Renzo Bossi».
La casata padana più influente del regno del nord è in crisi, e
come se non bastasse su re Umberto si abbatte le profezia di Nadia
Dagrada, intercetta dagli inquirenti. «Se queste persone mettono
mano ai conti del Federale – dice a Francesco Belsito riferendosi
proprio agli investigatori – vedono quelle che sono le spese della
moglie, dei figli, e a questo punto salta la Lega». Che infatti
salta. Si dimette Renzo Bossi. «Ha fatto bene a dimettersi, erano
due mesi che mi diceva che era stufo di stare in Regione», commenta
il padre. Rosi Mauro viene espulsa dal consiglio federale del
partito, e alla fine anche re Umberto cede e abdica. «Mi dimetto per
il bene del movimento e dei militanti», annuncia al popolo padano.
«La priorità è il bene della Lega e continuare la battaglia». Il
partito quindi c'è ancora, messo nelle mani dei triumviri reggenti
Roberto Maroni, Roberto Calderoli e Manuele Dal Lago. «Nessuno mi ha
chiesto le dimissioni», fa sapere l'Umberto che fu signore di
Padania. «L'ho deciso io, perchè ero di intralcio, ma il fatto che
io abbia dato le dimissioni non vuol dire che io scompaia». Una
promessa o una minaccia? «Resto nella Lega, da ultimo sostenitore o
da segretario io resto sempre a disposizione della causa». Bossi
cerca di salvare la faccia, almeno quella. «Chi sbaglia paga,
qualunque sia il cognome che eventualmente porti». E così si fa da
parte. E' il 5 aprile 2012: a vent'anni esatti dalle elezioni del
'92, prima vera vittoria politica della Lega Nord, Umberto Bossi si
dimette. Si chiude un'era politica. Ma continua tutto il resto. (2 di 2, the end)
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