Thursday, 28 June 2012

Mad in Italy, rubrica pseudo-politica da ridere (vol. 55, (la) lotta continua)



Spazio dedicato a cosa succede in Italia. Chi fa che cosa, dove, come e soprattutto perchè. Protagonisti e comparsate nel paese dove tutto (ma proprio tutto!) è davvero possibile.

di Emiliano Biaggio - «Voglio continuare a essere il leader dei moderati». Silvio da Arcore si candida nuovamente a nuova nuova guida del paese. Bossi è finito, Fini è sparito, Monti non durerà. E allora? Allora il cavaliera riorganizza le armate. Ciò che resta del Pdl sconfitto sul campo di battaglia elettorale e dilaniato dalle guerre civili deve andare avanti. Berlusconi ha un solo obiettivo: «Lavorare ogni giorno, con tutte le mie forze, come ho sempre fatto, affinché, terminata la fase comunque transitoria del governo Monti, un centrodestra in parte rinnovato e più ampio torni a guidare il Paese». «Non c'e limite al peggio», commenta il segretario del Pd. Ma si riferisce a Berlusconi o al suo Pd, dove Renzi promette di fare piazza pulita? «Senza fare nomi caro D'Alema, Veltroni, Rosy, Franco Marini, in questi anni avete fatto molto per il paese, per l'Italia, ma adesso anche basta». Renzi “il rottamatore” rottama la vecchia classe dirigente di un Pd votato al cambiamento. Da chi non si sa, però «io credo che noi siamo maggioranza nel Pd, se non lo saremo, prenderemo atto. Non io Matteo, ma noi amministratori. Non siamo extraterrestri». No, è solo il Pd. Che Renzi vuole trasformare. «La nostra scommessa è essere maggioranza». Ci riuscirà? Se Buffon scommette forse sì. Ma intanto «vanno cambiate idee, forme e facce…», dice Renzi. No no, è falso. «Bisogna scartare gli inetti tra i vecchi», dice invece Deborah Serracchiani. Che sbaglia, e infatti Renzi, molto democraticamente, glielo fa notare. «Non si deve per forza stare appiccicati alla poltrona, non l’ha ordinato il medico». A Berlusconi forse invece sì, perchè torna a reclamare il trono di primo ministro perduto per l'avvento della tecnocrazia. «C'è stata una pausa nella democrazia del nostro Paese», attacca Silvio da Arcore. Tanto tempo fa, in un terra neanche a noi troppo lontanta, «c'era un governo democraticamente eletto, che stava governando in modo certamente non abominevole, ma a un certo punto c'è stata la crisi dello spread e delle Borse e sono arrivati i nominati dal presidente della Repubblica ma la situazione non è cambiata». Questo dimostra che «non era colpa mia» se le cose andavano male. Così come non è colpa sua se la sua trasformazione dell'Italia non è avvenuta. «Chiedo scusa agli italiani, nel 1994 li ho illusi. Mi ero impegnato a mettere in atto una rivoluzione liberale. Non ci sono riuscito, ma mi illudevo che si potesse fare». Il problema, rivela Berlusconi, è che «mi sono reso conto solo dopo delle difficoltà: io sono un perseguitato dalla giustizia. Ieri mattina si è tenuta la 2.637ma udienza contro di me». L'in nero cavaliere pronuncia quindi il suo proclama col quale annuncia la sua nuova discesa in campo. «Se dovessi rispondere a chi mi chiede se oggi io abbia ancora intenzione di dedicarmi alla politica e dedicarmi al Paese, io dovrei rispondere in un solo modo: “Sì io ci sto, ma mi dovete dare il 51 per cento”». Il che significa governabilità e possibilità di fare quello che vuole. Tipo mettere una croce sopra la magistratura. «Io stesso, fino ai primi momenti di Mani Pulite, conservavo, pur con crescenti perplessità, quella fiducia nei magistrati che mi aveva insegnato mio padre», ammette Berlusconi. Che poi tornara ad affondare il colpo contro le toghe rosse. «Se c'è una cosa che non perdonerò mai a certi magistrati è proprio il fatto di aver distrutto questo sentimento, che era un valore e un ideale». Ma il Berlusconi che verrà non scenderà a patti col nemico. «La sinistra, quando vince, non scende a patti», denuncia alla nazione. «Quando nel 2006 prevalsero per 24.000 voti alle elezioni politiche proponemmo un governo di unità nazionale per gestire il paese spaccato a metà. Non si peritarono neppure di rispondere». Nel Pdl, invece, «non abbiamo esitato a farci da parte perchè abbiamo ritenuto che questo sarebbe stato più conveniente per il paese al fine di consentire una larga convergenza di fronte all'emergenza. Questa è la differenza tra noi e loro». Oltre al fatto che loro non hanno una ricetta anti-crisi e Berlusconi sì. «Cominciamo a stampare euro noi con la nostra Zecca...», suggerisce il premier che fu ignorando che stampare euro è una prerogativa della sola Banca centrale europea. «Era una battuta, detta tra l’altro con ironia», spiega in una nota diffusa per chetare la solita stampa che mistifica la realtà. «Che venga scambiata per una proposta, è cosa grave per chi dice di fare informazione». Però a dire il vero proprio una battuta ironica non era. «Ho lanciato l'idea di domandarsi se noi, e gli altri Stati, non si abbia la convenienza, qualora la Bce non abbia poteri più forti, di uscire noi dall'euro: apriti cielo, mi hanno accusato di tutto e invece non è poi una cosa così peregrina, certamente avremmo il vantaggio di poter svalutare la nostra moneta, all'occorrenza». E comunque «la Bce sia più forte o la Germania esca dall'euro». Berlino tace, la presidente dei senatori del Pd invece no. «Da Berlusconi, che ha governato fino a qualche mese fa contribuendo a portare il Paese nell'attuale situazione di difficoltà, non accettiamo stupidaggini travestite da lezioni di economia». Ad Anna Finocchiaro fa eco il suo leader, Pierluigi Bersani. «Vorrei che Berlusconi ci evitasse queste uscite». Bersani, per una volta non sei solo...

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