Spazio
dedicato a cosa succede in Italia. Chi fa che cosa, dove, come e
soprattutto perchè. Protagonisti e comparsate nel paese dove tutto
(ma proprio tutto!) è davvero possibile.
di Emiliano Biaggio - «Voglio
continuare a essere il leader dei moderati». Silvio da Arcore si
candida nuovamente a nuova nuova guida del paese. Bossi è finito,
Fini è sparito, Monti non durerà. E allora? Allora il cavaliera
riorganizza le armate. Ciò che resta del Pdl sconfitto sul campo di
battaglia elettorale e dilaniato dalle guerre civili deve andare
avanti. Berlusconi ha un solo obiettivo: «Lavorare ogni giorno, con
tutte le mie forze, come ho sempre fatto, affinché, terminata la
fase comunque transitoria del governo Monti, un centrodestra in parte
rinnovato e più ampio torni a guidare il Paese». «Non c'e limite
al peggio», commenta il segretario del Pd. Ma si riferisce a
Berlusconi o al suo Pd, dove Renzi promette di fare piazza pulita?
«Senza fare nomi caro D'Alema, Veltroni, Rosy, Franco Marini, in
questi anni avete fatto molto per il paese, per l'Italia, ma adesso
anche basta». Renzi “il rottamatore” rottama la vecchia classe
dirigente di un Pd votato al cambiamento. Da chi non si sa, però «io
credo che noi siamo maggioranza nel Pd, se non lo saremo, prenderemo
atto. Non io Matteo, ma noi amministratori. Non siamo
extraterrestri». No, è solo il Pd. Che Renzi vuole trasformare. «La
nostra scommessa è essere maggioranza». Ci riuscirà? Se Buffon
scommette forse sì. Ma intanto «vanno cambiate idee, forme e
facce…», dice Renzi. No no, è falso. «Bisogna scartare gli
inetti tra i vecchi», dice invece Deborah Serracchiani. Che sbaglia,
e infatti Renzi, molto democraticamente, glielo fa notare. «Non si
deve per forza stare appiccicati alla poltrona, non l’ha ordinato
il medico». A Berlusconi forse invece sì, perchè torna a reclamare
il trono di primo ministro perduto per l'avvento della tecnocrazia.
«C'è stata una pausa nella democrazia del nostro Paese», attacca
Silvio da Arcore. Tanto tempo fa, in un terra neanche a noi troppo
lontanta, «c'era un governo democraticamente eletto, che stava
governando in modo certamente non abominevole, ma a un certo punto
c'è stata la crisi dello spread e delle Borse e sono arrivati i
nominati dal presidente della Repubblica ma la situazione non è
cambiata». Questo dimostra che «non era colpa mia» se le cose
andavano male. Così come non è colpa sua se la sua trasformazione
dell'Italia non è avvenuta. «Chiedo scusa agli italiani, nel 1994
li ho illusi. Mi ero impegnato a mettere in atto una rivoluzione
liberale. Non ci sono riuscito, ma mi illudevo che si potesse fare».
Il problema, rivela Berlusconi, è che «mi sono reso conto solo dopo
delle difficoltà: io sono un perseguitato dalla giustizia. Ieri
mattina si è tenuta la 2.637ma udienza contro di me». L'in nero
cavaliere pronuncia quindi il suo proclama col quale annuncia la sua
nuova discesa in campo. «Se dovessi rispondere a chi mi chiede se
oggi io abbia ancora intenzione di dedicarmi alla politica e
dedicarmi al Paese, io dovrei rispondere in un solo modo: “Sì io
ci sto, ma mi dovete dare il 51 per cento”». Il che significa
governabilità e possibilità di fare quello che vuole. Tipo mettere
una croce sopra la magistratura. «Io stesso, fino ai primi momenti
di Mani Pulite, conservavo, pur con crescenti perplessità, quella
fiducia nei magistrati che mi aveva insegnato mio padre», ammette
Berlusconi. Che poi tornara ad affondare il colpo contro le toghe
rosse. «Se c'è una cosa che non perdonerò mai a certi magistrati è
proprio il fatto di aver distrutto questo sentimento, che era un
valore e un ideale». Ma il Berlusconi che verrà non scenderà a
patti col nemico. «La sinistra, quando vince, non scende a patti»,
denuncia alla nazione. «Quando nel 2006 prevalsero per 24.000 voti
alle elezioni politiche proponemmo un governo di unità nazionale per
gestire il paese spaccato a metà. Non si peritarono neppure di
rispondere». Nel Pdl, invece, «non abbiamo esitato a farci da parte
perchè abbiamo ritenuto che questo sarebbe stato più conveniente
per il paese al fine di consentire una larga convergenza di fronte
all'emergenza. Questa è la differenza tra noi e loro». Oltre al
fatto che loro non hanno una ricetta anti-crisi e Berlusconi sì.
«Cominciamo a stampare euro noi con la nostra Zecca...», suggerisce
il premier che fu ignorando che stampare euro è una prerogativa
della sola Banca centrale europea. «Era una battuta, detta tra
l’altro con ironia», spiega in una nota diffusa per chetare la
solita stampa che mistifica la realtà. «Che venga scambiata per una
proposta, è cosa grave per chi dice di fare informazione». Però a
dire il vero proprio una battuta ironica non era. «Ho lanciato
l'idea di domandarsi se noi, e gli altri Stati, non si abbia la
convenienza, qualora la Bce non abbia poteri più forti, di uscire
noi dall'euro: apriti cielo, mi hanno accusato di tutto e invece non
è poi una cosa così peregrina, certamente avremmo il vantaggio di
poter svalutare la nostra moneta, all'occorrenza». E comunque «la
Bce sia più forte o la Germania esca dall'euro». Berlino tace, la
presidente dei senatori del Pd invece no. «Da Berlusconi, che ha
governato fino a qualche mese fa contribuendo a portare il Paese
nell'attuale situazione di difficoltà, non accettiamo stupidaggini
travestite da lezioni di economia». Ad Anna Finocchiaro fa eco il
suo leader, Pierluigi Bersani. «Vorrei che Berlusconi ci evitasse
queste uscite». Bersani, per una volta non sei solo...
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