Un monaco tibetano portato via |
L'Europa e gli Stati Uniti si astengano dal prendere posizioni su questioni che riguardano solo e soltanto la Cina. Sale di tono il confronto tra Bruxelles, Washington e Pechino, con le autorità cinesi che invitano i rappresentanti delle istituzioni comunitarie e del governo Usa a non occuparsi di quanto avviene all'interno del paese asiatico. A scatenare l'incidente diplomatico la presa di posizione sul Tibet dell'Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza dell'Ue, Catherine Ashton, che è intervenuta sull'aumento del numero dei monaci buddisti che si uccidono protestare contro la politica cinese in Tibet e per richiamare l'attezione su una questione mai risolta improvvisamente tornata nelle agende politiche. Un intervento mal accolto, perchè arrivato a distanza ravvicinata da quello dell'amministrazione di Barack Obama. Strano ma vero, a pochi giorni di distanza Stati Uniti e Unione europea hanno sollevato il caso, per il disappunto del governo di Pechino. Di Tibet, da sempre, in Cina si preferisce non parlare. Una linea mantenuta anche quando lo scorso 11 dicembre Maria Otero, il sottosegretario di stato americano per la sicurezza dei civili e i diritti umani nonchè coordinatore speciale per le questioni tibetane, ha espresso «la profonda preoccupazione» della Casa Bianca per il numero sempre più elevato di monaci che si danno fuoco. «Le autorità cinesi - ha detto Otero - hanno risposto a questi incidenti con misure che irrigidiscono controlli già severi alle libertà di religione, espressione, riunione e associazione dei tibetani». Per Otero «la retorica ufficiale che denigra la cultura tibetana e quanti si immolano non fanno altro che accrescere il clima di tensione». Dichiarazioni che non sono passate inosservate a Pechino, dove però si è preferito tacere. Ma a distanza di pochi giorni sono arrivate le dichiarazioni di lady Ashton. «Siamo preoccupati per le restrizioni all'espressione dell'identità tibetana. Nel rispetto dell'integrità territoriale cinese, l'Unione europea esorta le autorità cinesi ad assicurare che i diritti civili, politici, economici, sociali e culturali dei tibetani siano rispettati». Inoltre Ashton ha chiesto alla Cina di «permettere libero accesso a tutte le aree autonome tibetane a diplomatici e giornalisti».
Le dichiarazioni di Ashton hanno indotto la Cina a replicare. Le parole dell'Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza dell'Ue risultano inaccettabili per i cinesi. Il Tibet "storico" era comprende le tre regioni del Kham, Amdo e U-Tsang, ma dal 1965 Kham e Amdo sono parte delle province cinesi del Qinghai, dello Sichuan, del Gansu e dello Yunnan. Oggi i cinesi per Tibet intendono lo Xizang, o regione autonoma tibetana (Tar), che comprende il territorio dello U-Tsang. Parlare di aree tibetane autonome al plurale, come ha fatto Ashton, significa automaticamente schierarsi col movimento tibetano che reclama l'indipendenza del Tibet storico. Immediata, quindi, la risposta di Pechino. «Le questioni tibetane sono totalmente questioni di politica interna della Cina», ha detto Hua Chunying, il portavoce del ministro degli Esteri cinese. «Recentemente alcuni politici di Stati Uniti e Unione europea hanno mosso accuse alla Cina per fatti riguardanti il Tibet. Tali affermazioni - ha aggiunto - sono spiacevoli ingerenze negli affari interni della Cina». Dal portavoce del ministro degli Esteri cinese è quindi giunto l'invito a «rispettare la sovranità della Cina e evitare di interferire nuovamente con le questioni di politica interna cinese».
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