Nonostante le ristrettezze economiche, per i corrispondenti
dalla capitale dell’Ue non è difficile trovare materiale per i loro
pezzi. Il problema semmai è un eccesso d’informazione che rischia di
deformare la realtà.
di James Panichi (fonte: presseurop)
Ogni giorno, negli ultimi due mesi, ho piazzato il mio computer
portatile nell'area riservata alla stampa della Commissione europea,
letteralmente a pochi passi dalla sala per le conferenze stampa. Ogni
volta mi ritrovo circondato da un esercito multinazionale (e
multilingue) di giornalisti precari che approfittano del wifi gratuito e
di quello che ha tutta l'aria di essere un caffè regalato (come è
possibile che costi 90 centesimi a tazza?). I corrispondenti con la C
maiuscola, che lavorano per i pezzi grossi della stampa, sono riuniti
dietro l'angolo all'International press centre ospitato nel Résidence
palace. Noi freelance invece siamo ammassati in una stanza
affollatissima.
Dato che sono l'unico australiano in giro e non ho affinità con gli
altri anglofoni, sono stato adottato da un gruppo di italiani. Mi hanno
subito informato che i miei diritti umani vengono calpestati ogni volta
che mangio al ristorante della Commissione (quello del Consiglio
europeo dall'altro lato della strada è molto meglio). Gli italiani sono
un battaglione molto interessante: sono intelligenti, eloquenti, parlano
un buon inglese e sono quasi tutti sulla trentina. Uno di loro si è
creato una nicchia gestendo una piccola agenzia di stampa e una rivista
di aviazione; un altro ha trovato un impiego nell'ufficio di Bruxelles
di un canale via cavo italiano; un altro ancora gestisce una newsletter
sull'agricoltura. Passano tutti da un contratto all'altro, a volte da un
lavoro all'altro, e sono sempre alla ricerca di un incarico retribuito.
Mi hanno presentato al decano del corpo dei giornalisti italiani a
Bruxelles: un distinto gentiluomo il cui biglietto da visita sembra una
tautologia: collaboratore fisso. Mi hanno raccontato che il suo giornale
non vuole pagarlo come corrispondente da Bruxelles, ma ha accettato di
comprargli un certo numero di articoli a settimana e pagargli una sorta
di onorario. Non è l'unico: di recente il secondo quotidiano italiano,
La Repubblica, ha sostituito il suo corrispondente da Bruxelles in
pensione con… la stessa persona: gli hanno detto che poteva tenersi
l'incarico ma in qualità di collaboratore occasionale con contratto
esclusivo. Oggi l'ufficio di Bruxelles del quotidiano romano è composto
da un ex corrispondente che incrementa la pensione svolgendo lo stesso
lavoro che faceva prima.
Insomma, capirete, non è certo la vita eccitante che qualcuno
potrebbe associare al giornalismo nella più importante città d'Europa.
Un giorno mi è capitato di intercettare un giornalista che chiedeva al
telefono informazioni sul pranzo servito (gratis) alla conferenza che
avrebbe dovuto seguire. “Quando dici sandwich, di che tipo di sandwich
parli?”. Poco dopo mi sono ritrovato vicino a un cronista impegnato in
un braccio di ferro con il suo giornale, che lo voleva a un incontro
annuale in patria ma non intendeva pagare il biglietto aereo. Il
capufficio alla fine ha ceduto, ma il giornalista è stato obbligato
prendere un volo Ryanair da Charleroi (la città che odiano un po' tutti,
a un'ora di macchina a sud di Bruxelles). Il giornalista ha passato il
resto della giornata a brontolare.
È difficile dire in che modo questa precarietà influisca sulla
qualità della copertura delle notizie europee, soprattutto considerando
che molti dei freelance che siedono vicino a me mentre scrivo questo
pezzo hanno sempre vissuto questa condizione. Lavorano a ritmo serrato. A
mezzogiorno assistono a una conferenza stampa e poi passano l'ora
successiva a battere al computer come forsennati. Non viaggiano quasi
mai, e ammettono candidamente di non avere tempo per documentarsi. Sono
qui per racimolare le notizie comode che l'Unione europea offre loro
ogni giorno.
Se le notizie facili sono il tuo mestiere, lavorare all'Unione
europea è una pacchia. Ogni giorno le caselle postali fuori dalla sala
stampa della Commissione europea si riempiono di dispacci per i media
che illustrano importanti (e costose) decisioni politiche. Puoi
procurarti abbastanza facilmente il numero di telefono cellulare di
eloquenti consiglieri (poliglotti) in grado di fornirti un contesto o
una citazione volante per la notizia. Puoi presenziare alle “riunioni
tecniche”, e se giochi bene le tue carte puoi persino accaparrarti
un'intervista con un commissario.
Per i media elettronici ci sono due canali online che coprono gli
eventi Ue (in Lussemburgo, a Bruxelles e a Strasburgo) e più video on
demand di quanti ne possa contenere qualsiasi memory card. Gli studi e i
tecnici sono messi a disposizione gratuitamente. Se vuoi registrare
un'intervista televisiva con un eurodeputato ti basta chiamare i ragazzi
del settore audiovisivo.
Un giorno ho messo assieme tutte le comunicazioni ufficiali che sono
riuscito a trovare, quindici: un annuncio del commissario alle politiche
regionali sulla competizione e l'assistenza pubblica; una commissione
del parlamento europeo che voleva indagare sulla Common european sales
law; un annuncio del vicepresidente Catherine Ashton sulle elezioni in
Ucraina; l'approvazione da parte della Commissione della fusione di due
compagnie di comunicazioni… Nel frattempo la mia casella di posta
elettronica si è riempita di messaggi inviati da istituzioni Ue di cui
ignoravo l'esistenza.
(leggi la seconda parte dell'articolo)
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