Monday, 22 July 2013

L'Unione europea fa bene alla Gran Bretagna

In vista del referendum sul dentro o fuori dall'Ue promesso dal premier Cameron il governo realizza un dossier sui costi-benefici dell'appartenenza ai ventisette. Il Regno Unito - questo il responso - fa male ad uscire.

di Emiliano Biaggio

Fare parte dell'Unione europea per la Gran Bretagna è un bene, e uscirne avrebbe più aspetti negativi che positivi. A dirlo è il governo di Londra, guidato dal conservatore David Cameron (e dal liberale Nick Clegg un po' sparito dalle scene) che proprio sull'Unione europea ha promesso ai sudditi di Sua maestà un referendum per lasciare decidere ai britannici del proprio destino. Una scelta dettata da ragioni interne al partito dei Tories, all'interno del quale si ingrossa sempre più l'ala euroscettica timorosa di dover concedere sovranità ad un paese storicamente e tradizionalmente portata a imporla. E' vero che il rapporto prodotto dal governo britannico - che servirà da base per indire il referendum - evidenzia la necessità per il paese dell'oltre Manica di «mantenere il controllo sulle politiche fiscali nazionali», ma lo stesso studio - definito a Downing Street come «la più ampia analisi dell’impatto dell’adesione all’Unione europea mai intrapresa» - mette in luce che a fronte di qualche "contro" ci sono molti più "pro" nel far parte dell'Ue. La differenza tra costi e benefici, tra economia e politica, è un beneficio complessivo per il Regno Unito? «Non è possibile dare una risposta semplice, inequivocabile e universalmente accettata», si riconosce nel dossier. Ciò premesso, «la maggior parte degli osservatori, e in effetti la maggior parte delle evidenze ricevute per questa relazione, risponde positivamente». Insomma, il Regno Unito con l'Unione europea ci guadagna, non ci rimette. I benefici dell'appartenenza alla grande famiglia europea sono «sensibilmente maggiori che se non ci fosse stata». Non saranno contenti i colleghi di partito di Cameron, desiderosi di troncare ogni rapporto col vecchio continente e ridare centralità al proprio paese nel palcoscenico internazionale. Ma in vista del possibile referendum (i conservatori hanno promesso di indirlo entro il 2017 se dovessero vincere le elezioni del 2015) l'elettorato britannico riceve un avvertimento chiaro.


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