Tuesday, 31 January 2012

Eurostat: disoccupazione stabile al 9,9% in Ue

In Eurozona raggiunge il 10,4%. I giovani i più colpiti.

di Emiliano Biaggio - La disoccupazione in Europa non aumenta, ma neppure diminuisce: a dicembre 2011 il tasso dei senza lavoro è stato del 9,9%, lo stesso del mese precedente. Lo rileva l’Eurostat nel suo rapporto mensile. Analoga la situazione per quanto riguarda l’Europa a 17: anche qui il tasso di disoccupazione non ha registrato alcuna variazione rispetto ai livelli dei 30 giorni precedenti (10% a dicembre 2011, come a novembre 2011).
L’Istituto di statistica europeo stima che a dicembre sia arrivato a quasi 24 milioni il numero dei senza lavori in tutta l’Ue (23.816.000 tra uomini e donne), 16 milioni e mezzo dei quali nella zona Euro. A risentire della crisi soprattutto i giovani sotto i 25 anni: sono 5,5 i milioni di disoccupati nei 27 paesi membri. Livelli preoccupanti in Spagna (49,6%), Grecia, (46,6%) e Slovacchia (35,1%). Poco rassicurante anche la situazione in Italia, dove sono senza un lavoro tre giovani su dieci (30,1%).

Monday, 30 January 2012

Van Rompuy: «Sì a Eurobond e Tobin Tax»

Sulla stessa linea del presidente del Consiglio europeo anche Martin Schulz, numero uno dell'Europarlamento.

di Emanuele Bonini (fonte: FIRSTonline)

«Vogliamo una tassa sulle transazioni finanziarie. Vogliamo gli Eurobond. Vogliamo un’agenzia di rating europea». Il presidente del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy, detta la linea scandendo quelli che sono – a suo giudizio – gli strumenti per far fronte alla crisi. Nel suo intervento di apertura del vertice del Consiglio Ue, Van Rompy, ricorda che lo scorso marzo «una schiacciante maggioranza di parlamentari europei aveva questo l’introduzione» di una Tobin tax, e che sarebbe più che mai opportuno introdurla «per equità». Per Van Rompuy, infatti, «a quanti hanno provocato la crisi non si può permettere di scappare con miliardi di bonus nei portafogli». Quanto agli Stability bond, il presidente del Consiglio Ue non ha dubbi sul fatto che «potranno attenuare la crisi del debito e stabilizzare il sistema bancario». Gli Eurobond sono in sostanza «un’arma efficace contro le speculazioni». Infine, «occorre un’agenzia di rating europea per mettere un freno al monopolio statunitense» e per avere un organismo che «diffonda i propri giudizi sulla base di criteri chiari».
Sulla stessa linea di Van Rompuy il presidente del Parlamento europeo, Martin Schulz, che suggerisce di «aumentare il gettito europeo attraverso una tassa sulle transazioni finanziarie». Sì anche agli Eurobond: «Gli Stability bond riducono lo spread», sostiene.
Resta da chiarire come risponderanno gli stati a queste sollecitazioni: contraria all’introduzione di una Tobin tax è infatti la Gran Bretagna, mentre la Germania guarda con diffidenza il ricorso agli Eurobond.

Saturday, 28 January 2012

bLOGBOOK - Namur

Namur

Nessuno direbbe che Namur riveste grande importanza. E' ad un'ora da Bruxelles, e a sud il centro siderurgico e carbonifero di Charleroi attira le attenzioni economiche del Belgio e non solo. Ma Namur è capoluogo dell'omonima provincia e capitale della regione della Vallonia, il Belgio francofono. Quando si pensa a una città della Vallonia viene subito in mente Liegi, ma a quanto pare si tratta di un pensiero errato, frutto della poco conoscenza del paese. Neppure Namur si è saputa sottrarre a quello che in Belgio è uno storico unico comun denominatore: la decadenza. Mechelen, Gent, Brugge, Antwerpen: tutte città che hanno perso la propria importanza, e Namur non è da meno. Dal prestigio avuto prima con i Merovingi e poi con i conti delle Fiandre, la città ha assistito a un lento e inesorabile declino. Storie di declini e decadenze, di antichi fasti e vecchie glorie: più che sui fiumi il Belgio si specchia su ciò che fu. In un'Europa in crisi, la storia passata del Belgio appare ben si sposa con le realtà del presente.
Namur è scintillante di sole e pulsante di vita. L'ultima settimana di saldi e la bella giornata sono un richiamo per molta gente, che si riversa per le strade per concludere gli ultimi acquisti scontati o godersi la piacevole atmosfera. Il mondo appare come sospeso: non c'è il solito vento gelido, e dove batte il sole l'inverno per un attimo scompare. Ma come si finisce nelle zone d'ombra i cinque gradi tornano a farsi sentire. I camminamenti pedonali a raso dei fiumi ricorda molto Utrecht, e scorrere insieme al Mosa e al Sambre risulta piuttosto piacevole. La città di per sè non è assai suggestiva, ma comunque si lascia ammirare. Sarà per il sole, o per le strade brulicanti di vita, ma l'impressione che dà al visitatore e al turista di passaggio è di una piacevole vivibilità. Il percorso che conduce alla cittadella è immerso nel verde: un angolo di bosco che produce aria buona tra tanto smog urbano. I prati, gli alberi, il verde: più si sale verso la fortezza e più Namur scompare: il brusio cittadino si fa sempre più distante, e i suoni della natura iniziano a imporsi. Gli uccelli che cinguettano, lo scorrere dell'acqua lungo i piccoli canali, il suono del vento. Tutto è pace. Lungo il sentiero sono disseminate mappe e tavole dove poter leggere e studiare la storia di quel luogo. Costruito nel X secolo dai Merovingi, nel XIII secolo divenne residenza dei conti delle Fiandre. Nel 1488, dopo la rivolta di Namur contro l'imperatore Massimiliano I d'Asburgo, la cittadella venne ulteriormente fortificata. Ma è solo nel 1620 che la cittadella arriva ad avere la fisionomia che ancora oggi conserva: per volere di Luigi XIV, re di Francia, venne ampliata e ricostruita. Espugnata alla fine del secolo dall'olandese Guglielmo III d'Orange-Nassau, restò sotto controllo olandese fino al 1830, quandò passò sotto il regno dell'indipendente Belgio al termine della guerra d'indipendenza. Sede militare fino al 1977, oggi ospita il museo.
Le città dall'alto sono quasi sempre tutte uguali. Tetti, guglie e campanili. Eppure il panorama è davvero entusiasmante. Probabilmente è per via del bel tempo, che fa apparire tutto migliore. Il tempo, del resto, influisce sugli umori e sugli stati d'animo. Se si cerca pace la cittadella è il posto migliore dove trovarlo, a dispetto delle vie del centro, dove tutto è ordinato movimento, continuo rumore, incessante attività. La sfida della partenza, la scommessa del viaggio, la paura di non farcela, la voglia di tornare; nuovi stimoli, vecchi legami, stessi turbamenti. I dubbi e le incertezze di sempre, le tante nuove incognite. Troppo movimento nell'animo, troppo malessere. Mi imbatto nell'unico esempio di cattedrale tardo-barocca di tutto il regno, la basilica di sant'Albano. Come è beffardo a volte il destino. Le vie dello shopping mi ricordano che devo fare degli acquisti, e devo sbrigarmi se voglio usufruire dei saldi. Quanto può essere un'ora di distanza tra due città? Abbastanza. La linea di confine tra mondi diversi è anche ben più sottile. Namur, non distante dalla capitale di Belgio ed Europa, mostra un altro Belgio e un'altra Europa, dove l'inglese non è parlato perchè non conosciuto. Una città che, attraverso queste esperienze di vita, suggerisce allo straniero di cimentarsi con la lingua locale. E' ora di studiare il francese, ma è anche ora di tornare. Suona strano, per chi è destinato a rimanerci da queste parti. Ma ogni cosa ha un inizio e una fine. E il normale epilogo porta con sè anche la morte dei sogni. O forse no. Forse ne porta di nuovi. Chiudo gli occhi. 

LE FOTO DI NAMUR 

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Friday, 27 January 2012

Taleb Omar: «Abbandonati da tutti, i saharawi sono pronti a riarmarsi»

Parla il primo ministro della Repubblica araba saharawi democratica. L'obiettivo dei saharawi è votare un referendum per l'autodeterminazione, ma il Marocco parla solo di autonomia. In vent'anni di pace si è ottenuto meno che in sedici di guerra. La popolazione è esasperata.


di Luca Attanasio (per Limes. Fonte foto: Limes)

A quasi un anno delle rivolte pacifiche di Gdeim Izik, nei pressi di El Aium, capitale dei Territori Occupati, il Sahara Occidentale è a un bivio. Nella seconda metà di dicembre 2011 si svolgerà a Tifariti - capitale dei Territori Liberati - il congresso del Fronte Polisario. Varie le questioni all’ordine del giorno, ma una sola quella di rilievo: ci sarà il ritorno alle armi?
Dal 1975 al 1991, la guerra intensa contro Marocco - e per un breve lasso di tempo con Mauritania - ha portato a una sensibilizzazione internazionale riguardo la questione: un'ottantina di Stati (nessuno in Occidente) ha riconosciuto diplomaticamente la Repubblica araba saharawi democratica (Rasd); Sotto l'egida dell'Onu il governo marocchino, a seguito del cessate il fuoco dichiarato il 4 settembre 1991, si era impegnato all’esecuzione di un referendum sull’autodeterminazione.
Nel ventennio che va dal 5 settembre 1991 a oggi, invece, ci sono state solo promesse e frustrazioni. Risoluzioni Onu, deliberazioni Ue, dispiegamento della Minurso (Missione delle Nazioni Unite per il referendum nel Sahara Occidentale), colloqui continui Polisario-Marocco, non hanno spostato di un centimetro la barra dei risultati politici. E il popolo saharawi comincia a rumoreggiare.
Il Marocco insiste nel sostenere che non si tratta di un popolo, ma della regione più a sud del proprio Stato - nozione ampliamente sconfessata dal mancato riconoscimento da parte di tutta la comunità internazionale dei confini previsti dalle cartine di Maometto VI e dall’inserimento del Sahara Occidentale nella lista Onu dei popoli in attesa di autodeterminazione - ed è pronto a concedere un referendum solo sull’autonomia.
I Saharawi vedono in ciò un inganno e puntano a un unico obiettivo: il referendum per l’autodeterminazione. Intanto, allertano le caserme. Di seguito, il punto di vista del primo ministro della Rasd Abdel Kader Taleb Omar. (legge l'intervista)

Thursday, 26 January 2012

Per l'Ue il Sahara Occidentale è del Marocco

La commissione Commercio del Parlamento europeo vota la proposta di modifica all'accordo per gli scambi con Rabat. Includendo la repubblica Saharawi.

di Emiliano Biaggio

Il Sahara occidentale non è uno stato indipendente e sovrano. Non per l'Unione europea. La commissione Commercio del Parlamento Ue ha infatti adottato una provvedimento per chiedere all'Aula di Strasburgo di includere un nuovo protocollo per l'agricoltura e la pesca all'interno dell'accordo commerciale tra la stessa Unione europea e il Marocco. Ebbene il nuovo protocollo che si chiede di inserire nel patto bilaterale include anche il Sahara occidentale. Difficile credere che si tratti di una svista, dati gli interessi di Spagna e Francia perchè il Marocco annetta il Sahara occidentale, ancora oggi destinato a non avere alcuno status. La questione del Sahara occidentale rischia quindi di avviarsi un triste epilogo per il popolo saharawi. Il provvedimento ha innescato subito immediate sdegnate reazioni. All'interno del Parlamento europeo sono stati i Verdi- Alleanza libera europea a richiamare l'attenzione sul tema. In particolare Josè Bové, vicepresidente della commissione Agricoltura, denuncia l'illegittimità del testo votato: a Bruxelles, infatti, non si sarebbe tenuto conto del diritto internazionale. «L'inserimento all'interno dell'accordo del territorio del Sahara Occidentale comporta problemi politici e legali, in quanto è in conflitto con l'ordinamento internazionale», denuncia. Per questo motivo «il Parlamento non dovrebbe garantire il proprio consenso a una simile modifica dell'accordo». L'auspicio è quindi che «l'Aula, al momento di esprimere il voto, sia cosciente di tutto ciò e tenga conto di queste raccomandazioni». Intanto però resta il fatto che in Ue c'è chi non vuole un Sahara Occidentale indipendente e sovrano, ma - al contrario - annesso e sottomesso al Marocco. Il tutto per motivi squisitamente economici.

Wednesday, 25 January 2012

Rifiuti in Campania, l'Europa commissaria l'Italia

Concessi al nostro paese sei mesi per adeguarsi alle richieste, poi saranno multe salatissime. Intanto l'Ue detta misure, tempistiche e condizioni. Proprio come sul fronte economico e delle riforme.

di Emiliano Biaggio

La buona notizia è che l’Italia ha evitato – per ora – di dover pagare multe salatissime, nell’ordine di 500.000 mila euro al giorno, e di aver ottenuto sei mesi di tempo per dare risposte all’emergenza rifiuti in Campania. La cattiva notizia è che il nostro paese è stato di fatto commissariato dall’Unione europea, che detta le misure da adottare e le tempistiche e le condizioni da rispettare. L’esito dell’incontro tra il commissario europeo all’Ambiente, Janez Potočnik, e il ministro dell’Ambiente, Corrado Clini, è questo. L’Unione europea tende una mano all’Italia, concedendo un ulteriore, ultimo, termine per convincere Bruxelles che il nostro paese merita l’archiviazione delle procedure d’infrazione e delle condanne. Questo, scandisce Potočnik, perché da una parte si riconosce al governo di Roma – e ancor più agli Enti locali – di aver varato «un buon piano» per la gestione dei rifiuti, e dall’altra perché si è consapevoli del fatto che «la questione dei rifiuti della Campania non è di semplice soluzione».
L’Italia, rileva Potočnik, «ancora non sta attuando le misure chieste dalla Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo, e siamo pronti a riferire alla Corte di giustizia». Allo stesso tempo, però, al nostro paese sono concessi «sei mesi di tempo per attuare una efficiente gestione dei rifiuti speciali». Attenti, questo non significa nulla: «Non stiamo sospendendo nulla», sottolinea il commissario Ue. All’Italia, quindi, si concede in sostanza il tempo per dimostrare di adempiere alle richieste dalla Corte di Strasburgo e di lavorare per risolvere una volta per tutte la questione rifiuti campana. Solo in quel caso si potrà valutare di non procedere nei confronti del governo di Roma. Ma fino ad allora l’Italia dovrà rispettare la "road map" tracciata a Bruxelles e imposta dall’Ue: da oggi a giugno 2012 l’Italia dovrà attuare la gestione dei rifiuti speciali, oltre che garantire più riciclo, maggior recupero dei rifiuti organici e maggior ricorso al trasferimento via nave ad altri paesi (Paesi Bassi, principalmente); fino al 2014, inoltre, sarà in vigore un "periodo di transizione" della gestione dei rifiuti più generale. A partire dall’1 gennaio 2015 tutto dovrà essere in grado di funzionare e il piano della regione Campania dovrà essere pienamente operativo. Questo significa anche la realizzazione e la messa in esercizio dei 3 termovalorizzatori (Napoli est, Salerno e Acerra).
Ce la farà l’Italia? Se segue le indicazioni dell’Europa ce la può fare. «Siamo pronti a scongelare i fondi di coesione per l’Italia», così da «cofinanziare» le opere che servono per far fronte all’emergenza rifiuti in Campania, annuncia Potočnik. Lo scongelamento dei fondi non sarà però totale, ma parziale e deciso dopo un’analisi «caso per caso», per evitare così sprechi o utilizzi impropri. Lo sblocco dei fondi, congelati dopo l’apertura della procedura d’infrazione, avverrà comunque «a determinate condizioni», precisa il commissario Ue. In primo luogo si dovrà «finanziare ogni attività e ogni misura utile a garantire la separazione, il recupero e il riciclo dei rifiuti e la realizzazione degli impianti di incenerimento» che servono alla Campania. In secondo luogo, «l’Italia dovrà fare la propria parte e dimostrare di dare attuazione al piano regionale» e a quanto stabilito dalla Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo. Insomma, l'Ue detta la linea, l'Italia deve eseguire le disposizioni impartite, esattamente come è stato sul piano politico ed economico. Una situazione logica conseguenza dell'assenza, negli ultimi anni, di una classe dirigente e perfettamente in linea con la situazione generale del paese. Il deterioramento della crisi rifiuti in Campania ha imposto la cabina di regia comunitaria, adesso «tutto dipende dall’Italia», avverte Potočnik. Per l’Italia è dunque l’ultima chiamata: o esce dall’emergenza una volta per tutte o sarà sommersa da multe onerose, oltre che dalla spazzatura. Corrado Clini, da parte sua, promette che l’Italia risponderà alle sollecitazioni comunitarie: «Controlleremo e lavoreremo insieme», fa sapere il ministro dell’Ambiente. Il commissariamento è iniziato.

Brics, Civets e Carbs - Ecco i nuovi giganti mondiali

Mattoni, zibetti e carboidrati: sono loro i Paesi che guideranno l'economia mondiale nei prossimi anni - Il termine più recente è Carbs e indica i maggiori produttori di commodities al mondo - Da un'analisi trasversale emerge che il Sudafrica che si trova in tutti e tre gli appellativi - Russia e Brasile presenti in 2 gruppi su 3.

di Camilla Carabini (per FIRSTonline)
CARBS - E' l'ultima novità. L'acronimo si deve a Citigroup e raggruppa i maggiori provider di commodities al mondo: con una quota che oscilla dal quarto alla metà del totale della produzione globale di ogni materia prima. Nel complesso possiedono una quantità di commodities quantificabili per 60mila miliardi di dollari - al livello delle quotazioni attuali. I loro mercati azionari hanno seguito il ciclo di questi beni e dal 2003 hanno più che raddoppiato il loro peso complessivo e aumentato di oltre 20 volte i valori dei volumi trattati quotidianamente. Il valore reale delle loro valute rispetto al dollaro si è quasi raddoppiato. Infine le riserve di valuta pregiata accomulate hanno superato complessivamente 1000 miliardi di dollari. (leggi tutto)
fonte foto: FIRSTonline.info

Tuesday, 24 January 2012

Monti: «Vogliamo riformare l’Italia»

Il capo del governo a Bruxelles: tutti compiano sforzi. Noi facciamo la nostra parte, anche in Europa.

di Emiliano Biaggio

«Vogliamo riformare l’Italia». Poche e chiare parole, quelle del presidente del Consiglio, Mario Monti, al termine del consiglio Ecofin, la riunione dei ministri dell’Economia e delle finanze dei paesi dell’Ue. A Bruxelles nella sua doppia veste di capo di governo e ministro dell’Economia a interim, Monti lancia un messaggio chiaro al paese, all’Europa e ai mercati: l’Italia intende andare avanti sulla strada del rinnovamento e della ripresa. Costi quel che costi. «Come Italia stiamo facendo la nostra parte», sottolinea. «Siamo coscienti del fatto che in Italia nell’immediato si chiede un contributo importante alle professioni e a determinati settori, ma in questo momento – continua Monti - tutti gli italiani stanno facendo sforzi. E se tutti lavoriamo insieme, questi sforzi saranno minori e più equamente distribuiti». Monti si rivolge quindi agli scontenti: «Capiamo la difficoltà delle categorie, dialoghiamo con tutti, ma il rispetto della legalità si deve esigere».
Nell’agenda del "professore" non c’è solo il Belpaese. «L’Italia vuole fare la propria parte per il mercato unico». In tal senso Monti ritiene che «sfruttare le opportunità di crescita e occupazione sia necessario», e che tali opportunità siano «da cogliere per il mercato unico europeo». In altre parole, «crescita e occupazione entrino nell'agenda dell'Ue». Tradotto: servono misure strutturali, perché il rigore in tema di finanza pubblica da solo non basta. «Chi ha voluto il "fiscal compact" lo ha voluto solo per sentirsi rassicurato di fronte alla propria opinione pubblica». Un riferimento chiaro alla Germania, quello di Monti, che rimprovera ai tedeschi di aver voluto modificare, con la Francia, le regole del patto di stabilità, contribuendo alla crisi che ora attanaglia il vecchi continente. «Il ministro delle finanze polacco – scandisce Monti – mi ha fatto notare come nel 2003 ci sia stata la violazione del patto di stabilità da parte di due grandi paesi, e che solo ora stiamo affrontando il problema». Proprio sui paesi e loro diverse posizioni Monti ha voluto soffermarsi, lasciando intendere che tutto è possibile. «La mia percezione è che le visioni, le posizioni e le valutazioni di tutti i soggetti in gioco, siano suscettibili di varazioni al verificarsi – ormai imminente – di un accordo politico». Niente forzature, quindi. E nemmeno ostruzionismi. «La soluzione migliore delle situazioni ritengo sia lasciarle evolvere». Ciò vale sia per l’Esm, il meccanismo europeo di stabilità, che per la Banca centrale europea. «Se i mercati considerano credibile l'ammontare dell’Esm è molto probabile che quei soldi non debbano mai essere esborsati», spiega Monti. E a chi gli chiede se la Bce potrà diventare prestatore di denaro in ultima istanza, Monti risponde in maniera sibillina. «Credo che anche qui si possa assistere a un’evoluzione».

La Crozia dice "sì", il referendum promuove l'Ue

Per l'adesione il 66,2% dei votanti, appena il 43%. Tutti soddisfatti, ma il risultato non sembra affatto una vittoria.

di Emiliano Biaggio

La Croazia è a tutti gli effetti il ventottesimo stato membro dell'Unione europea. Al referendum per l'accesso in Ue vincono infatti i "sì", facendo prevalere la linea pro-adesione. Si è espresso in questo senso il 66,2% dei votanti, contro il 33,8% che ha invece bocciato l'idea di una Croazia in Europa. Il risultato sancisce un percorso durato praticamente dieci anni: il paese balcanico entrerà a tutti gli effetti l'1 luglio 2013, le richieste di ammissione iniziarono nel 2003. A Zagabria, quindi, c'è grande soddisfazione. «La Croazia - ha commentato il presidente della Repubblica, Ivo Josipovic - ha detto il suo grande sì all'Unione europea dalla quale si attende molto, e sono convinto che i croati sapranno cogliere questa occasione». Raggiante anche il premier croato, Zoran Milanovic. «Abbiamo preso una decisione storica, cruciale per il nostro futuro», ha commentato. L'esito referendario croato è stato salutato con favore anche a Bruxelles: «Ci congratuliamo con la Croazia e il suo popolo per la scelta compiuta», il commento di Josè Manuele Barroso ed Herman Van Rompuy, presidenti di Commissione e Consiglio europeo. «Con questo mandato popolara adesso il governo croato potrà completare quelle riforme che ancora mancano». A Bruxelles c'è la convinzione che «l'accesso della Croazia è chiaro segnale per l'intera regione dell'Europa sud-orientale», nel senso che «con coraggio politico e riforme determinate si può ottenere di entrare in Ue».
A Zagabria e a Bruxelles, però, sfugge un dato: a pronunciarsi, in Croazia, è stato appena il 43,5% della popolazione. Ha votato, quindi, meno della metà della popolazione avente diritto. Significa che c'è dunque un 56,7% di croati poco interessati al tema, sinonimo di mancanza di convinzione nella scelta dei governi o addirittua espressione di un orientamento euro-scettico. Non va taciuto, inoltre, che un elettore su tre ha detto "no" all'Unione europea. Non è poco. Insomma, c'è un 10% di croati contrari all'Ue, mentre un ampio 56,7% non scalpita certo per l'adesione: sembra quindi evidente come l'Unione europea sia una cosa di pochi e per pochi, e non una realtà per tutti. Un accordo tra governi e burocrati, e non un volere delle genti. Sarà per questo che il premier croato, Zoran Milanovic, subito dopo il voto referendario ha tenuto a precisare che «il successo dipenderà solo da noi stessi». Ma a chi si riferisse non è affatto chiaro.