Tuesday, 31 May 2011

Vince l'Italia dei senza cervello.

I ballottaggi bocciano Berlusconi e la maggioranza, ora lacerata e in crisi interna. L'ira della Lega e le incognite sulla tenuta del governo i prossimi banchi di prova.

l'e-dittoreale
Il centrosinistra travolge Berlusconi nei ballottaggi, e trasforma la sconfitta del primo turno in quella che il ministro Calderoli non esista a definire «una sberla». Vincono i senza cervello, quanti cioè, hanno preferito l'alternativa al berlusconismo e al centrodestra. Milano, Napoli, Trieste, Crotone, Cagliari, Iglesias, Mantova, Novara, Rho, persino Arcore: Pdl e Lega perdono praticamente ovunque, e la maggioranza si spacca. Sandro Bondi, dopo le dimissioni da ministro della Cultura, si dimette da coordinatore del Pdl; la corrente degli scajoliani chiede la testa degli altri coordinatori del Pdl Verdini e La Russa, Liberamente - la corrente dei ministri Frattini, Carfagna e Prestigiacomo - invita a riflettere sulla sconfitta politica. Berlusconi aveva fatto di queste amministrative un test, un referendum sulla sua persona e sulla sua maggioranza: bocciati entrambi. Nonostante questo Berlusconi annuncia che andrà avanti, non mollerà e quindi non rassegnerà le dimissioni. Bisognerà capire come andrà avanti, adesso che il Pdl è percorso da rancori e spaccature, adesso che si è innescato un clima di resa dei conti e da "tutti contro tutti". Roberto Formigoni avverte: o si cambia o si perderanno anche le politiche del 2013. Che è lo stesso che dice la Lega, al momento intenzionata ad andare avanti perchè non più così forte e certa che in caso di un imminente voto politico - qualora si dovesse una crisi di Governo - quasi certamente comporterebbe una nuova ulteriore emorragia di voti e calo dei consensi. Intanto il popolo dei senza cervello si gode la festa, resa ancor più dolce dalle invocazioni di Frattini per primarie che indichino i candidati alla successione di Berlusconi. Il popolo dei senza cervello, infatti, ha dimostrato una cosa: che il popolo è sovrano e che è la gente che sceglie. Hanno vinto i candidati sindaci scelti con le primarie, segno che il paese ha una gran voglia di democrazia. Segno che nessuno vuole rappresentanti imposti dai partiti. Segno che questa legge elettorale, che non consente la libera scelta dei nomi, va cambiata. Il popolo senza cervello lancia messaggi chiari, che il diretto destinatario però non capisce. All'indomani del voto, un pur comprensibilmente irritato premier, lancia il suo anatema: «ve ne pentirete». Berlusconi non ha capito niente: non ha capito di aver sbagliato tutto, dai candidati alla campagna elettorale, dai toni agli insulti, e non ha colto nessuna delle indicazioni date dal popolo. Non ha capito che il popolo che legittima a governare è lo stesso che può anche delegittimare. Il popolo dei senza cervello, insomma, ha dimostrato di avere molto più acume - e cervello - dell'attuale capo di governo.

Thursday, 26 May 2011

Iraq, fiumi di greggio grazie a Eni

La società del cane a sei zampe pronta all'aumento delle attività estrattive con 68 nuove trivellazioni. Che fanno ben capire il motivo della presenza straniera su suolo iracheno.


di Emanuele Bonini - Eni perfora ed estrae greggio in Iraq. Sempre meglio e sempre di più, con il chiaro e dichiarato obiettivo di «incrementare la produzione del campo petrolifero iracheno di Zubayr», il giacimento di cui Eni si è aggiudicato lo sfruttamento nell'ottobre del 2009. Adesso un funzionario iracheno ha fatto sapere che la società energetica italiana intende accrescere l'estrazione e la produzione di petrolio attraverso la perforazione di «circa 68 nuovi pozzi nel corso del prossimo anno». Si tratterebbe, più nello specifico, di aumentare le attività di estrazione da inizio 2012, così da portare la produzione del campo di Zubayr a 700.000 barili al giorno entro il 2013. L'attività sarebbe in linea con quanto Eni stabilì già nel 2009 - quando si aggiudicò i diritti del giacimento nei pressi di Bassora, nel sud dell'Iraq - e cioè di far sì che Zubayr fosse in grado di garantire una riserva di quattro miliardi di barili di petrolio, dei quali Eni intenderebbe estrarre 1,125 milioni di barili di petrolio al giorno nei prossimi 6 anni. L'esportazione della democrazia fa bene, insomma. Sicuramente all'Italia che, proprio come gli altri paesi, in Iraq non è andata per interessi economici. (fonte foto: Staffetta Quotidiana)

Wednesday, 25 May 2011

Tramonta la Spagna di Zapatero

Debacle alle amministrative, il Psoe controlla solo una comunità autonoma e scivola a dieci punti percentuali dai popolari. Socialisti mai così male nella storia democratica del paese.

di Emiliano Biaggio

Dal miracolo al tracollo: la Spagna depone il suo leader, e accoglie di nuovo la destra dopo la parentesi Zapatero ormai praticamente chiusa. Le amministrative spagnole sono la cronaca di una morte annunciata per il capo del governo e il suo partito, il Partito socialista (Psoe): l'elettorato non perdona l'amministrazione che non ha saputo far fronte alla crisi, che nella monarchia iberica è costata il posto di lavoro a oltre 2 milioni di persone. Il responso delle urne è dunque bocciatura: Psoe al 27,7% dei consensi - risultato peggiore di sempre da quanto la Spagna è una democrazia - e partito popolare (Pp) al 37,5%. Un distacco di dieci punti percentuali, che rilancia la destra e segna l'affossamento della sinistra. Ma i numeri della crisi socialista sono tutti qui: dopo queste elezioni i socialisti contrallano solo 1 comunità autonoma su 17, perdendo roccaforti tradizionali come la Castiglia La Mancia - che il Psoe guidava dalla fine del franchismo - Barcellona - socialista da 32 anni - e Siviglia, nella rossa Andalusia. «Congratulazioni al Pp, ma non mi dimetto», ha commentato a caldo lo sconfitto Zapatero, che infiamma un già incandescente partito puntando alle primarie per designare il prossimo leader socialista e suo successore. Una parte del Psoe, Patxi Lopez capofila, vuole invece un confronto interno al partito e una designazione per congresso. E mentre per un possibile post-Zapatero si fanno i nomi di Carme Chacon (l'attuale ministro della Difesa) e Alfredo Perez Rubalcaba (l'attuale vicepremier e ministro degli Interni), Ana Mato, segretaria del partito popolare, annuncia l'inizio di una nuova fase. «È l'inizio di una nuova tappa politica per il paese», afferma. Il 2012, anno delle politiche, è sempre più vicino, e il Psoe vede il proprio consenso cadere e i propri sostenitori allontanarsi: la Spagna dei miracoli è sulla via del tramonto.

Tuesday, 24 May 2011

Amministrative, specchio di un'Italia in malora

Ministri che insultano, capi di governo che invitano a violare le leggi e Parlamento che imbavaglia il popolo sovrano. Che accetta di prostituirsi in cambio di pochi spiccioli.

l'e-dittoreale*

Comunque vadano i ballottaggi, una cosa è già chiara: l’Italia ha perso, e gli italiani con essa. Il nostro paese ha perso credibilità, e abbiamo mostrato quanto la corruzione e la prostituzione siano dilaganti. Una lezione di immoralità e illiceità, in uno squallido e triste spettacolo decadente fatto di attacchi beceri e litigi. Berlusconi, promettendo prima di non abbattere le case abusive a Napoli e poi di non far pagare le multe a Milano ha dato l’ennesima lezione di legalità, mostrando come e quanto ormai le regole e il loro rispetto non contino più nulla. Il tutto per conquistare voti in più, inducendo alla corruzione il popolo italiano, che adesso dovrà decidere se vendersi o meno. Con le sue uscite il presidente del consiglio ha dimostrato quanto sia un prodotto di un popolo, per nulla indignato ma anche forse compiaciuto da certe idee che nel resto d’Europa farebbero la morte politica e le dimissioni di molti, forse di tutti. Con Bossi che dà del matto a Pisapia capiamo quale sia il livello culturale dei nostri politici e dei nostri governanti, e ci rendiamo conto quanto il bon ton non rientri nelle eccellenze del Made in Italy. Ancora, un capo di governo che trasmette in contemporanea interviste dal sapore di discorso alla nazione dà il senso della deriva sempre più evidente di questa nostra democrazia malata e incancrenita sì, ma non certo dalla magistratura come invece sostiene Berlusconi. A ulteriore riprova di ciò la Camera blinda con la fiducia il decreto Omnibus, cancellando il referendum su acqua e nucleare e calpestando quella sovranità popolare tanto cara al premier che sempre si dice autorizzato dall’elettorato. Lo stesso elettorato a cui mette il bavaglio negando l’espressione, proprio come intende fare con la stampa. Ma l’ultimo colpo inferto a questo nostro paese l’assesta la Lega, che chiede di spostare dei ministeri da Roma a Milano, rimettendo in discussione un altro pezzo d’Italia e innescando una lite furibonda all’interno della stessa maggioranza. Nel frattempo, mentre si discute di tutto tranne ciò di cui l’Italia avrebbe bisogno, il nostro paese si impoverisce: prima Standard & Poors rivede al ribasso il nostro grado di stabilità e affidabilità finanziaria, poi l’Istat rileva che un italiano su quattro è a rischio povertà. E mentre per i giovani non c’è futuro e probabilmente neanche speranza, per i giovanissimi l’abbandono della scuola è ormai sempre più la regola. Dalla Gelmini nessun commento, probabilmente è impegnata a compiacere sessualmente il premier, lei che ha fatto il giro del mondo e della stampa estera per questo. O forse attende solo la fine di questa campagna elettorale, che mette in mostra ancora una volta il desolante scenario dell’Italia, sempre più venduta al miglior offerente e ormai orfana della propria umana dignità.


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poi editoriale del 27 maggio 2011 per E' la stampa bellezza, su radioliberatutti.it

Monday, 23 May 2011

Netanyahu: «i confini di Israele non si toccano»

Il premier israeliano gela Obama, che aveva chiesto di ripartire dalle frontiere del 1967.

di Emiliano Biaggio

In Palestina è ora di procedere con la soluzione della questione arabo-israeliana: «La linea di confine di Israele deve essere quella del 1967. I palestinesi devono avere uno stato sovrano». «Impensabile». Barack Obama rilancia, Bejamin Netanyahu chiude i margini di trattativa. Il presidente degli Stati Uniti nel discorso ai diplomatici statunitensi cerca di far ripartire i negoziati di pace - arenati anche grazie alle politiche degli insediamenti di Israele - e detta le condizioni: due stati e confini ben delimitati. Dal premier israeliano immediata e secca la replica: «Se Israele è pronto a fare compromessi generosi per la pace, non può ritornare alle frontiere del 1967, perché queste sono indifendibili». Netanyahu ribadisce quindi quello che è un leit-motive di sempre insieme al diritto di esistere dello stato ebraico: la sicurezza. In nome di questa concessioni non se ne possono fare. Per cui, ammesso che ci siano margini per trattare e l'effettiva volontà di Israele di voler venire a caso della questione, le condizioni dovranno essere altre. Peraltro sono le stesse di sempre: Gerusalemme a Israele e nuove colonie, la cui costruzione è stata fermata solo poche volte e e per un breve periodo come specchietto per le allodole. Il problema è che anche Hamas, tra i palestinesi, non vuole sconti: la Palestina tutta è dei palestinesi. «Noi non accettiamo la politica di Obama e nemmeno la sua richiesta di riconoscere quello che lui ha definito Stato ebraico», afferma Ismail Radwan, portavoce di Hamas. Intanto Obama, dopo le sue dichiarazioni, fa marcia indietro: davanti all'assemblea annuale dell'Aipac, la principale lobby filo-israeliana negli Usa, il presidente spiega che quello dei confini del 1967 è il punto di partenza da cui negoziare. Israeliani e palestinesi «negozieranno una frontiera diversa da quella che esisteva il 4 giugno 1967», tenendo conto delle «nuove realtà demografiche sul terreno e i bisogni delle due parti», laddove "nuove realtà demografiche" contempla le nuove conquiste di territorio compiute da Israele in questi 44 anni con le colonie. «Lasciatemi chiarire cosa significa 'confini del 1967 con scambi mutualmente concordati'. Significa- continua Obama- che, per definizione, israeliani e palestinesi negozieranno un confine che è diverso da quello esistente il 4 giugno 1967. Questo è ciò che 'scambi mutualmente concordati' significa». Insomma, ancora una volta gli Stati Uniti scelgono Israele e abbandonano la Palestina. Vero è che il sogno obamiano di avere uno stato palestine all'Onu (come da lui stesso teorizzato nel settembre 2010 nel suo discorso all'assemblea generale delle Nazioni Unite) resterà per l'appunto un sogno: Obama non sosterrà più il progetto, tra gli applausi del governo di Tel Aviv e la contrarietà dell'Anp e Abu Mazen. Peccato che nessuno capisca che concedendo sempre a Israele e negando sistematicamente ai palestinesi alimenti spirito anti-israeliano, rafforzando chi, come Ahmadinejad, propugna la distruzione di Israele.

«Di Canio fascista non ti vogliamo»

Il club di quarta divisione del Swindon Town lo ingaggia come allenatore, ma gli sponsor lo scaricano per le sue idee politiche.

di Emiliano Biaggio

Sei fascista? Non ti vogliamo. In Inghilterra non fanno sconti, e Paolo Di Canio adesso paga il conto. Salato. Già, perchè il Swindon Town, formazione appena retrocessa in League Two (la quarta divisione inglese) si era affidata all'ex calciatore di Lazio e West Ham per cercare di risalire la china, ma gli sponsor hanno minacciato di non sostenere economicamente la squadra per via del suo futuro allenatore a questo punto meno certo. «Abbiamo deciso di non sponsorizzare più lo Swindow Town Football Club perchè non possiamo avere rapporti commerciali con un club che ha un allenatore fascista», ha spiegato Andy Newman, segretario di Gmb Union, sindacato e sponsor del Swindon Town che versa al piccolo club 4.000 sterline l'anno.
In Inghilterra, dove Di Canio ha vinto il premio fair play, non dimenticano il saluto romano fatto al termine del derby del 17 novembre 2005. Allora l'interessato spiegò che «ho sempre e solo manifestato a tutti che il mio saluto ha una valenza non politica ma esclusivamente di appartenenza sportiva». Salvo riconoscere che sì, «sono un fascista» ma «non sono un razzista». In Inghilterra, terra non certo in odor di bolscevismo e storicamente imperialista, i fascisti però non li vogliono. In Italia, invece, ce li abbiamo ancora tutti. Nonostante siano fuorilegge.

Sunday, 22 May 2011

Il Rayo Vallecano in primera, per la prima volta quattro club madrileni nella Liga

Madrid, Atletico, Getafe e Rayo la prossima stagione tutte nella massima serie: Spagna come l'Inghilterra.

di Emiliano Biaggio

Non solo premier, da adesso anche la Spagna avrà un piccolo campionato di calcio cittadino all'interno della massima serie professionistica. Già, perchè con la promozione in primera division - o Liga - del Rayo Vallecano e la salvezza del Getafe il prossimo anno, per la prima volta storia nella storia, giocheranno ben 4 squadre madrilene in massima serie. Un fatto fino ad oggi tipico solo del calcio d'oltre Manica: in Inghilterra, da sempre, disputano la first division - o premiership - più club londinesi: Arsenal, Chelsea, Tottenham, Fulham, West Ham (quest'ultima però appena retrocessa, ma dalla seconda divisione arriverà il Queens Park Rangers, altra squadra di Londra appena promossa). In Inghilterra è insomma cosa di tutti gli anni avere un quarto del campionato di calcio circoscritto attorno a una sola città, ma adesso anche gli spagnoli potranno vivere un'esperienza nuova che darà sicuramente uno spunto di curiosità in più. Certamente la supremazia cittadina sarà la posta in palio per Rayo Vallecano e Getafe, club assai modesti rispetto ai favoriti di sempre del Madrid e a una formazione dal palmares di tutto rispetto quale l'Atletico. Quindi, insomma, le due madrilene di sempre partono sicuramente con i favori del pronostico, ma attenzione: un derby è sempre un derby, e il prossimo anno in Liga solo a Madrid se ne giocheranno ben sei.

Tuesday, 17 May 2011

Amministrative, le urne bocciano Berlusconi

Al centrosinistra Bologna e Torino, Pisapia al ballottaggio e avanti a Milano. L'ira della Lega. Bersani: «inversione di tendenza»

di Emiliano Biaggio

Silvio Berlusconi ha perso: il test elettorale delle amministrative boccia infatti il Pdl e la maggioranza, che esce sconfitta al primo turno a Bologna e Torino, e che si vede costretta al ballottaggio a Milano e Napoli. Nel capoluogo lombardo, addirittura contro ogni pronostico il centrosinistra è avanti e i partiti di governo arrivano al secondo turno dovendo inseguire. Nessuno avrebbe potuto prevedere un simile esito, e a questo punto occorrerà capire come Berlusconi intenderà procedere di qui in avanti. Il presidente del consiglio si è speso in prima persona, e in nessuno dei casi ha saputo ripetere quel ciclo virtuoso che lo aveva visto finora vincente ovunque aveva portato la propria persona. Toni forse troppo alti, promesse troppo difficili da poter mantenere o spiegazioni della realtà difficili da far passare come credibili i tre fattori che probabilmente hanno pesato sul centrodestra, dove adesso è difficile credere che non si aprirà una resa dei conti interna. La Lega anche più del Pdl mal digerisce il ballottaggio a Milano con la sinistra in vantaggio, e non è un mistero che il partito di Bossi non aveva preso bene la candidatura di Letizia Moratti a sindaco; Milano è e resta un obiettivo del Carroccio, che non accetta di vedersela sfilare da Giuliano Pisapia. «La Lega ha sempre fatto vincere Berlusconi, questa è la prima volta che Berlusconi fa perdere la Lega», sibila un furibondo Umberto Bossi. «Non siamo più noi a far vincere Silvio, ma è Silvio a far perdere noi», aggiunge rincarando la dose. Segni di spaccatura all'interno di una maggioranza dove dalle parole del leader leghista si capisce chiaramente quali siano ormai i veri rapporti di forza. E' forse presto per parlare di crisi, ma una cosa è certa: come sottolinea un raggiante Pier Luigi Bersani, «vinciamo noi e perdono loro». Questo, del resto, sembrano dire i numeri: alla comunali, nei capoluoghi di provincia al primo turno vince il centro sinistra 6-3 (si va al ballottaggio in altri 6 capoluoghi), mentre alle provinciali il centrosinistra si afferma 3-2 al primo turno (vittoria a Gorizia, Ravenna e Lucca, mentre il centrodestra prevale a Treviso e a Campobasso). Attenzione, però: perchè il centrosinistra al momento non avanza. Conferma infatti i propri sindaci e i propri presidenti di provincia, senza strappare niente al centrodestra, centrodestra che viceversa toglie campobasso al Pd. Bersani insiste col sostenere che «l'inversione di tendenza c'è stata», ma restano ancora da assegnare sei capoluoghi e altrettante province. E' dunque presto per tirare somme e stilare bilanci, poichè il quadro vero e completo si avrà solo a fine mese. Solo allora si potrà dire come sono andate realmente le cose. Intanto le certezze sono due: Berlusconi ha perso il test politico nelle 4 principali città (Bologna, Torino, Milano e Napoli), Bersani raggiunge i suoi obiettivi: conquistare al primo turno Bologna e Torino e costringere il centrodestra al ballottaggio a Milano e Napoli. In questo il Pd ha certamente vinto: ma a Bologna deve fare i conti con i grillini, al 10%, mentre a Napoli deve cedere al candidato dell'Idv: sarà infatti De Magistris a sfidare Lettieri. Più che vera vittoria per il centrosinistra sembra essere reale sconfitta per il centrodestra. La sintesi della situazione politica prova a darla Nichi Vendola: «Il miracolismo di Berlusconi ha smesso di incantare. La sinistra ce la può fare, ma deve superare le fratture innaturali come quelle di Napoli».
poi editoriale del 20 maggio 2011 per E' la stampa bellezza, su radioliberatutti.it

Dietro-front di Obama: sì alle trivelle

Obama presidente "nero": autorizzate estrazioni di petrolio in Alaska e golfo del Messico. In barba alla promessa green economy.

di Emiliano Biaggio

Doveva essere il paladino dell'ambiente e dell'ecologia, per un rilancio in grande stile del paese e l'avvio in chiave sostenibile di una nuova era per gli Stati Uniti. Invece Barack Obama rinnega sè stesso e si rimangia parole e impegni presi in campagna elettorale, dicendo "sì" a nuove estrazioni petrolifere. Green economy addio, quindi. Il presidente Usa torna sulle proprie decisioni e dispone l'incremento di estrazioni di greggio in Alaska e nel golfo del Messico, lo stesso golfo del Messico già sommerso dalla marea nera e vittima di uno dei peggiori disastri ambientali di sempre, tanto da indurre lo stesso Obama ad annunciare il blocco dei permessi di estrazioni e regole più severe per il settore. Adesso invece il contrordine. Motivo di questo dietro-front il caro benzina, mai così alto: 4 dollari al gallone. Così se in politica estera Obama ha ottenuto nuovi apprezzamenti e consensi grazie all'uccisione di Bin Laden, sul fronte interno il presidente degli Stati Uniti rischia seriamente pericolosi scivoloni. E quindi l'annuncio: «sono state date direttive al ministero dell'Interno per consentire vendite con patto di locazione nelle riserve nazionali petrolifere dell'Alaska, rispettando le aree più sensibili e per accelerare la valutazione delle riserve petrolifere e di gas nell'Atlantico centrale e meridionale». Non siamo proprio al "drill baby drill" (trivella baby, trivella) di Sarah Palin, ma pur con tutte le garanzie ecologiche del caso si aprono nuovi territori all'estrazione del greggio per contribuire ad aumentare la produzione interna e «rendere il Paese meno dipendente dalle importazioni». Obama schiavo delle lobby del petrolio come il suo predecessore Bush junior? Il diretto interessato sembra lasciar intendere di no, quando annuncia controlli e giro di vite contro gli speculatori. «Dobbiamo essere certi che nessuno se ne approfitti alle spalle del consumatore al distributore di benzina», afferma Obama. «Per questo ho chiesto al segretario per la Giustizia di condurre un'inchiesta per essere certi che non vi siano manipolazioni dei prezzi con l'unico intento di favorire la speculazione». Green economy? Yes we can. Ma non oggi.

Saturday, 14 May 2011

(...Intervallo...) miglior programma RLT di approfondimento

(...Intervallo...) PAROLE PAROLE è il migliore programma di approfondimento dell'anno tra le trasmissioni del palinsesto di Radio Libera Tutti. Gli ascoltatori hanno infatti votato (...Intervallo...), premiando così Andrea Storani (www.andreastorani.it) e il sottoscritto con l'RLT Award 2011. Un prezioso quanto gradito riconoscimento per quanto fatto finora, e un motivo per proseguire con rinnovato e ulteriore impegno il lavoro di approfondimento. Un sentito grazie a quanti seguono e scelgono (...Intervallo...)

Berlusconi: «Limitare i poteri del presidente della Repubblica»

Show del premier a Crotone: «La sovranità è dei pm di sinistra, maggioranza coesa senza Fini e Casini»

di Emiliano Biaggio

Giustizia, riforme, assetto istituzionale. Silvio Berlusconi è un fiume in piena, tocca tutti i punti caldi della sua agenda politica e torna ad attaccare magistrati ed avversari. A Crotone, dove il presidente del Consiglio si trova per sostenere la candidatura a sindaco di Dorina Bianchi (Udc), Berlusconi infiamma la platea del Palamilone alzando i toni dello scontro: «La sovranità non è più del popolo che attraverso il Parlamento si fa le sue leggi. La sovranità in questo momento, in queste condizioni, con questa malattia della democrazia, è dei pm di sinistra. E questo noi non possiamo tollerarlo». Berluscono si scaglia poi indirettamente contro il capo dello Stato e quella Costituzione che, a suo giudizio, dà pochi poteri al capo del governo. Perciò, scandisce dal palco, «dobbiamo cambiare i poteri del presidente della Repubblica e dobbiamo attribuire dei poteri, come tutti gli altri paesi dell'Europa e dell'occidente, al governo e al presidente del Consiglio». Immediate le reazioni dei principali esponenti politici. A dette del segretario del Pd Bersani «non possiamo andare avanti in questo modo. Bisogna che l'Italia si occupi dei problemi veri e non sempre dei problemi suoi e di questo chiacchiericcio continuo». Proprio al centrosinistra Berlusconi riserva una delle sue stoccate: nel suo intervento calabrese il presidente del consiglio sostiene infatti che «quelli di sinistra sono sempre incazzati» e «si lavano poco». Ma lo show del premier continua, con Berlusconi che torna ad invocare una commissione d'inchiesta contro i magistrati. Un'ipotesi bocciata dal presidente della Camera e leader di Fli, Gianfranco Fini. «Chiedere alla maggioranza che sostiene il governo di approvare una proposta di legge per una commissione parlamentare che deve indagare sui pubblici ministeri che stanno processando il presidente del Consiglio mi sembra che non accada in nessuna democrazia del mondo». Critico anche il leader dell'Udc, Pierferdinando Casini: «Ma è possibile che chi governo il paese definisca cancro gli altri poteri dello Stato?». Nel suo intervento Berlusconi proprio a Fini e a Casini riserva l'ultimo passaggio, quello relativo alle riforme. «Via Casini e via Fini- afferma- abbiamo finalmente una maggioranza coesa, politicamente compatta, cose che fino ad ora non eravamo riusciti a fare per il veto che ci veniva dato da questi nostri alleati». Adesso, conclude il premier, si potrà procedere alla legge sulle intercettazioni. Come spiega, «siamo biricchini, ma questo fa parte della nostra libertà, del nostro diritto alla privacy che è una parte fondamentale del superiore diritto di libertà. Che lo Stato deve tutelare e garantire».
(editoriale del 13 maggio 2011 per E' la stampa bellezza, su radioliberatutti.it)

Friday, 6 May 2011

Engle: «Negli Stati Uniti una crisi di crediti, difficile dire quando ci sarà ripresa»

Erano gli inizi del 2008, e si iniziava a parlare di crisi e recessione. Ma soprattutto non si riusciva a capire quando il mondo sarebbe uscita dal peggior periodo dal dopoguerra a oggi. In questa brene intervista "d'archivio" al premio Nobel per l'economia Robert Engle ancora l'attualità dell'incertezza.

Intervista di Emiliano Biaggio*

La crisi economica c’è, e negli Stati Uniti sembra già aver raggiunto proporzioni più che preoccupanti. Questa l’analisi del premio Nobel per l’economia, Robert Engle che, a margine del forum di Cernobbio, spegne l’ottimismo del presidente americano George Bush.
Professore, ieri la Bear Stearns ha rivelato di essere in crisi di liquidità: c’è da preoccuparsi? Non possiamo rimanere indifferenti, perché significa che negli Stati Uniti si comincia ad avere una crisi dei crediti. E questo contribuisce ulteriormente all’incertezza sui mercati finanziari. Questa crisi è dovuta al crollo dei mutui subprime?.
«Non solo. E’ un po’ tutta l’economia statunitense ad aver problemi. Sicuramente quello del settore immobiliare è un fattore di non poco conto, ma non dimentichiamo che l’economia interna è in difficoltà. Abbiamo avuto una crescita nel settore delle esportazioni ma, al contempo, abbiamo assistito ad un declino dei settori interni. Occorre lavorare su questi fattori macroeconomici, perché l’incertezza macroeconomia per il mondo della finanza».
Il presidente Bush ha cercato di rassicurare dicendo che tornerà la crescita…
«Certo, i mercati si riprenderanno anche se è un momento difficile. Ci troviamo in un periodo turbolento, che potrebbe divenirlo anche di più».
Quando finiranno queste turbolenze economiche?
«Difficile dirlo. Potrebbero durare a lungo, ma la verità è che non lo sappiamo».

*intervista del 15 marzo 2008

Tuesday, 3 May 2011

Morto nel mistero il re del terrore

L'annuncio di Obama: «Osama bin Laden è stato ucciso». Tra mille interrogativi.

di Emiliano Biaggio

Osama Bin Laden è morto. Questo, per ora, sembra essere l'unico dato certo di una vicenda dai mille interrogativi e dai tanti aspetti ancora tutti da chiarire. «Posso dire al popolo americano e al mondo che gli Stati Uniti hanno condotto un'operazione che ha portato alla morte di Osama Bin Laden», ha annunciato il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, in una conferenza stampa straordinaria. Il leader di Al Qaeda è morto in Pakistan, e da quanto si è successivamente appreso non si trovava affatto in grotte o bunker, ma in una casa fortificata ad Abbottabad. Dubbi quindi sul ruolo delle autorità pakistane e sui servizi segreti del Pakistan, l'Isi, così come dubbi su chi abbia effettivamente sparato il colpo decisivo: media pakistani sostengono che Osama bin Laden sarebbe stato ucciso da una sua guardia del corpo, e che quindi il re del terrore sarebbe stato tradito. O forse venduto. Obama non è entrato nel dettaglio, limitandosi a dire che «sotto la mia direzione una piccola squadra di americani ha portato a termine l'operazione con straordinario coraggio ad abilità. Nessun americano è stato ferito. Dopo uno scontro a fuoco, hanno ucciso Osama Bin Laden e hanno preso possesso del suo corpo». Scontro a fuoco dunque c'è stato, ma non si sa di che entità. Come non si nulla del corpo di bin Laden, gettato in mare - fanno sapere dal Pentagono - per evitare che possa nascere una sorta di mausoleo e di simboli per jihadisti. Peccato che l'Islam preveda solo sepultura nel terreno col defunto rivolto verso la Mecca. Non a caso Obama ha detto che «oggi il mondo è migliore» ma non più sicuro. Il mondo islamica contesta la sepultura di bin Laden in mare, Al Qaeda annuncia nuovi attacchi. Tutto è ancora da risolvere, niente è chiaro: per il futuro e per il passato. Attorno alla figura di bin Laden restano troppi interrogativi: perchè quella foto, quella mostrata dai media pakistani e visibilmente contraffatta? Perchè nessuno ha visto il corpo? perchè bin Laden era in città? Che ruolo ha il Pakistan e cosa otterrà adesso in cambio? Sono stati i marines statunitensi a prendere il capo di Al Qaeda o fedelissimi che hanno tradito? Come cambierà lo scenario internazionale ora? Certo è che notizia migliore Obama alla sua nazione non poteva dare, in un periodo che vede gli Stati Uniti in affanno e l'inquilino della Casa Bianca in calo nei sondaggi. Obama, a quanto pare, ha diretto le operazioni e sembra abbia ordinato in prima persona di eliminare bin Laden, e questo sicuro lo premierà. L'11 settembre 2001 l'allora presidente George W. Bush disse: «Sarà fatta giustizia». Il 2 maggio 2011, «giornata storica», Obama ha detto: «giustizia è stata fatta». Sempre che di giustizia si possa parlare.
(poi editoriale del 6 maggio 2011 per E' la stampa bellezza, su radioliberatutti.it)

Sunday, 1 May 2011

Wojtyla, un criminale beato in odor di santità

Ha promosso il dialogo, la tolleranza, l'uguaglianza sociale. Ma anche condannato a morte milioni e milioni di persone per le visioni retrograde della sua Chiesa. Che lo erge a eroe.

l'e-dittoreale

Karol Wojtyla è beato. Credenti da ogni parte del mondo lo chiedevano e quasi lo pretendevano, e alla fine sono stati accontentati. Adesso la strada per la santificazione del papa polacco è più vicina. Perchè Wojtyla merita di essere santo: almeno tutti lo sostengono all'interno della Chiesa, e tanti lo credono tra i fedeli. Su una cosa non c'è dubbio: più meglio di tanti suoi predecessori Giovanni Paolo II seppe esortare il dialogo, seppe incitare la via della diplomazia e l'abbandono della violenza e delle aggressione. E poi promosse il dialogo interreligioso, mai così fondamentale in un mondo profondamente diviso su questione confessionali e teologiche, basti pensare all'eccidio di cristiani in Nigeria o in India. oggi più che mai, in un mondo dove cellule impazzite del jihadismo islamico minano la convivenza dei popoli e gli equilibri tra nazioni. Giovanni Paolo II fu anche colui che invitò tutti a non aver paura di fronte a un mondo diviso, sempre sull'orlo di una possibile nuova guerra tra blocchi e superpotenze, fu colui queste divisioni riuscì a superarle contribuendo alla caduta dei regimi oppressivi dell'altra parte del mondo. E non a caso. L'elezione di Wojtyla a capo della Chiesa di Roma non fu affatto casuale, al contrario fu una scelta consapevole e ben meditata. Era un'investitura politica, perchè la Chiesa la politica l'ha sempre fatta e non ha mai smesso di farla. In Italia, come nel resto del mondo. E proprio nel mondo Wojtyla portò la parola propria e di Cristo, i suoi messaggi di fratellanza, uguaglianza, giustizia. Al mondo il pontefice parlò sempre e continuamente, e anche quando le sue condizioni di salute non erano ottimali era sempre presente in prima persona in ogni angolo del globo per portare in prima persona il proprio messaggio. In questo Wojtyla era forse unico: era il papa di tutti. Amava la gente e stava a contatto con la gente, di ogni estrazione sociale ed età. Anche di ogni fede. Perchè seppe parlare a Israele, alla Chiesa ortodossa, all'islam, ai monaci tibetani. Anche ai generale e ai colonnelli argentini, e al più celebre alto ufficiale cileno. Perchè si dialoga con tutti, nessuno escluso. Un messaggio di pace e di speranza come grande esempio per un mondo diverso e forse migliore. Ma va detto che un pontefice resta pur sempre un pontefice, e in questo Wojtyla non fece eccezione: su temi come la vita, la famiglia e la contraccezione Giovanni Paolo II mantenne quella rigidità e quella chiusura proprie della Chiesa. No all'aborto, no alle unioni di fatto, no alla fecondazione assistita, no al preservativo: anche il papa della gente seppe voltare le spalle alla sua stessa gente, mostrando tutti i limiti non tanto propri quanto di un'intera istituzione sempre poco incline al progressismo. Negando diritti a famiglie di fatto, si venivano a generare quelle disuguaglianze da Wojtyla sempre aspramente criticate; ma soprattutto negano l'uso del preservativo vennero condannate a morte milioni e milioni di persone: studi della Banca Mondiale stimano che solo nei paesi dell'Africa subsahariana vi siano dai 25 ai 28 milioni di persone infette da HIV, più del 60% di tutta la popolazione malata di aids e più dei tre quarti delle donne. Gli stessi studi dicono che in America latina e nell'area caraibica si contino complessivamente circa 2 milioni di sieropositivi. Dire di no al preservativo in queste realtà vuol dire non fermare i contagi e la diffusione della malattia, condannando altre persone e le generazioni future. Una simile responsabilità è proprio di Karol Wojtyla, quello stesso Karol Wojtyla voluto beato e considerato santo da un mondo cieco, ipocrita e stolto. COndannare all'unanimità e dall'umanità un dittatore che stermina 6 milioni di ebrei si può e si deve, come si può invece tacere le vittime di Woytilismo? Nessuno neanche osa chiederselo, e molti riteranno questo domanda e questo accostamento blasfemo, provocatorio e insostenibile. Wojtyla come Hitler: come pensare una cosa simile? In effetti, per numero di vittime Wojtyla ne ha fatte anche di più. Con una differenza: Hitler ha ucciso e sterminato, Wojtyla ha emesso condanne a morte. Questo basta per rendere beato un boia prossimo alla santificazione? Diceva, nel 1947, Chaplin: "Se si ammazza una persona si è un criminale. Se se ne ammazzano milioni si è un eroe. Le grandi cifre santificano tutto".