Friday, 30 December 2011
E' morto a 85 anni Mirko Tremaglia, deputato ed ex ministro. Convinto fascista, fu attivo repubblichino e poi ministro repubblicano. Come titolare del dicastero per gli italiani nel mondo propose e fece varare la legge che ha permesso di far votare in Italia milioni di residenti all'estero, ridando voce a tanti fascisti di cui il paese si era privato. Militante prima di Msi, poi in An, quindi nel Pdl e infine in Fli. Del fascismo disse: «I ragazzi di Salò hanno rappresentato una parte viva e eccezionale della gioventù italiana. Con La Russa avevamo pensato a una celebrazione per i caduti di Salò, poi non se ne è fatto più niente. Non ci sono morti di serie A e serie B, è giusto portare rispetto per i morti partigiani e per quelli della Rsi». Dei principi democratici e dell'idea su cui si basa la Costituzione e l'Italia repubblicana, Tremaglia disse: «L’antifascismo non è un valore». I familiari e gli amici lo piangono, l'Italia libera, democratica, antifascista festeggia la sua scomparsa.
Tuesday, 27 December 2011
Leggibile on-line Mad in Italy
Disponibile on-line Mad in Italy, ultima fatica letteraria del sottoscritto. La rubrica pseudo-politica tutta da ridere è diventata un libro tutto da leggere: per farlo basta cliccare qui oppure schiacciare il tasto del mouse sull'apposita voce all'interno della sezione "scritti biaggeschi", sulla colonna di destra. Per l'autore una grande soddisfazione, per tutti voi un regalo di natale davvero particolare tutto da gustare.
L'esperienza di una legislatura attraverso le dichiarazioni "poco onorevoli" dei protagonisti. Un libro originale che ripropone la storia del governo Berlusconi IV attraverso la raccolta delle affermazioni meno onorevoli di ministri e parlamentari. Uno spazio dedicato a chi fa che cosa, dove, come e soprattutto perchè. Pagine che racchiudono protagonisti e comparsate del paese dove tutto (ma proprio tutto!) è davvero possibile. Le gesta (per lo più verbali) di una classe politica specchio del paese, per uno spaccato dell'Italia di oggi e il racconto di una fase storica per la politica (e non solo) del Belpaese.
L'esperienza di una legislatura attraverso le dichiarazioni "poco onorevoli" dei protagonisti. Un libro originale che ripropone la storia del governo Berlusconi IV attraverso la raccolta delle affermazioni meno onorevoli di ministri e parlamentari. Uno spazio dedicato a chi fa che cosa, dove, come e soprattutto perchè. Pagine che racchiudono protagonisti e comparsate del paese dove tutto (ma proprio tutto!) è davvero possibile. Le gesta (per lo più verbali) di una classe politica specchio del paese, per uno spaccato dell'Italia di oggi e il racconto di una fase storica per la politica (e non solo) del Belpaese.
Monday, 26 December 2011
Monday, 19 December 2011
L'ultima notte al coffee shop
Dal prossimo anno per entrare nei locali che hanno reso famosa la città olandese servirà una tessera che sarà rilasciata solo ai residenti ed è boom di turisti per gli ultimi giorni di apertura a tutti.
di Cristina Nadotti (fonte: Repubblica.it)
È pur sempre un momento storico e in tanti non vogliono perderselo. Amsterdam prevede che il 31 dicembre, per chiudere in bellezza il 2011, saranno molti più del solito i visitatori della città. Ad attirare almeno il 15 per cento in più di turisti non saranno i musei con i capolavori di Van Gogh o le illuminazioni suggestive dei canali, ma la possibilità di fumare l'ultimo spinello prima dell'entrata in vigore della nuova legge.
Nonostante la crisi e la necessità di stringere la cinghia, ci sarà chi potrà permettersi di essere parte della festa locale mangiando chicchi d'uva a Madrid, o scambiandosi maialini a Vienna e chi, soprattutto se ha tra i 18 e i 24 anni, sceglierà di salutare il nuovo anno in un coffee shop, celebrando per l'ultima volta il mito dell'Olanda permissiva e libertaria. Dal primo gennaio 2012 Amsterdam sarà un po' meno la patria della beedoogbeleid, la politica della tolleranza, perché non permetterà più che un gran numero dei turisti che la visitano ogni anno - si stima sia il 23 per cento circa - lo faccia soltanto per sballarsi in un coffee shop. La nuova legge, approvata tra mille polemiche e scontri tra il governo centrale e l'amministrazione cittadina, trasformerà i 220 locali dove è consentita la vendita di cannabis in club privati. Per fumare uno spinello si dovrà perciò essere soci del locale, ma per ottenere la tessera si è tenuti a dimostrare di risiedere legalmente in Olanda. (leggi tutto)
di Cristina Nadotti (fonte: Repubblica.it)
È pur sempre un momento storico e in tanti non vogliono perderselo. Amsterdam prevede che il 31 dicembre, per chiudere in bellezza il 2011, saranno molti più del solito i visitatori della città. Ad attirare almeno il 15 per cento in più di turisti non saranno i musei con i capolavori di Van Gogh o le illuminazioni suggestive dei canali, ma la possibilità di fumare l'ultimo spinello prima dell'entrata in vigore della nuova legge.
Nonostante la crisi e la necessità di stringere la cinghia, ci sarà chi potrà permettersi di essere parte della festa locale mangiando chicchi d'uva a Madrid, o scambiandosi maialini a Vienna e chi, soprattutto se ha tra i 18 e i 24 anni, sceglierà di salutare il nuovo anno in un coffee shop, celebrando per l'ultima volta il mito dell'Olanda permissiva e libertaria. Dal primo gennaio 2012 Amsterdam sarà un po' meno la patria della beedoogbeleid, la politica della tolleranza, perché non permetterà più che un gran numero dei turisti che la visitano ogni anno - si stima sia il 23 per cento circa - lo faccia soltanto per sballarsi in un coffee shop. La nuova legge, approvata tra mille polemiche e scontri tra il governo centrale e l'amministrazione cittadina, trasformerà i 220 locali dove è consentita la vendita di cannabis in club privati. Per fumare uno spinello si dovrà perciò essere soci del locale, ma per ottenere la tessera si è tenuti a dimostrare di risiedere legalmente in Olanda. (leggi tutto)
Sunday, 18 December 2011
E' morto Havel, protagonista del cambiamento
A capo della rivoluzione di velluto ha messo in crisi il comunismo in Cecoslovacchia, che ha guidato fino al 1992. Poi ha scritto le prima pagine della "nuova" Repubblica ceca.
di Emiliano Biaggio
La Repubblica ceca piange Vaclav Havel, l'Europa tutta lo ricorda e gli rende omaggio. Dopo una lunga malattia si spegne a 75 anni una delle personalità più importanti dal secondo dopoguerra a oggi. Ultimo presidente della Cecoslovacchia e primo presidente della Repubblica ceca, Havel è stato l'uomo del cambiamento, il traghettatore della Cecoslovacchia verso il nuovo mondo, quello occidentale. Ma quello fu il ruolo che Havel ricoprì solo alla fine dell'esperienza comunista e del controllo di Mosca, segnati dalla rivoluzione di velluto di cui egli stesso fu promotore e leader insieme all'allora connazionale Alexander Dubček. L'opposizione non violenta sorta il 17 novembre 1989 a Bratislava e immediatamente estesa in tutta la Cecoslovacchia, finì per scrivere la storia, di quel paese e non solo: a inizio dicembre i confini con la Germania ovest e l'Austria vennero smilitarizzati, e il 10 dicembre presidente comunista Gustáv Husák nominò un governo in buona parte non comunista e si dimise. Era la fine di un'era. Nasceva una nuova Cecoslovacchia, che aveva in Havel il presidente della Repubblica. Egli fu uno strenuo sostenitore dell'unità tra cechi e slovacchi, e si battè perchè i due popoli potessero continuare ad avere uno stesso comune destino. Quando fu chiaro che Repubblica ceca e Slovacchia avrebbero continuanto separatemente il cammino post-comunista, Havel si dimise. Sarebbe poi stato eletto dal parlamento ceco presidente della Repubblica ceca. E' il 2 febbraio 1993. Haver manterrà al carica di capo dello Stato per un decennio esatto, traghettando il nuovo paese europeo verso il nuovo ordine globale. Sostenne con forza l'adesione del suo paese alla Nato, avvenuta poi nel 1999, e si battè per dare certezze e sicurezza alla sua nazione intessendo legami sempre più forti con gli Stati Uniti. Dopo essere stati per decenni satelliti di Mosca, era la svolta definitiva. Amato dalla sua gente, Havel attirò su di sè aspre critiche quando disse "sì" al progetto di scudo spaziale degli Stati Uniti. «E' sempre un bene se l'America è un po' ancorata in Europa», si limitò a spiegare alla sua gente, per la quale concepì un'epoca nuova, completamente diversa dall'isolazionismo patito con il comunismo. Perchè con la fine del regime non c'era solo un nuovo stato, ma anche una nuova Europa, quella che sarebbe stata definita solo nel 1992 con il trattato di Maastricht.
Havel non ce l'ha fatta a traghettare il suo paese verso questa nuova Europa, per la quale ha comunque tracciato la rotta. I suoi successori, nel 2004, hanno saputo compiere quel passo che il leader ceco non aveva avuto modo di fare, portando la Repubblica ceca nell'Ue. Imprigionato dai comunisti perché dissidente, ha lottato per la libertà e l'indipendenza di due popoli, arrivando a consegnare un nuovo destino alla Repubblica ceca e alla Slovacchia di oggi. Tutti non hanno potuto fare a meno di ricordarlo. A partire da Lech Walesa, altro nome storico per l'Europa d'oltre cortina. «È stato un grande teorico della nostra epoca - ha detto - e la sua voce mancherà enormemente all'Europa, soprattutto ora che attraversa un periodo di profonda crisi». «La sua dedizione alla libertà e alla democrazia è indimenticabile tanto quanto la sua grande umanità», il corodoglio di Angela Merkel, leader della Germania di oggi e vecchia esponente della Ddr di ieri. Havel era «un europeo», ha detto invece Josè Manuel Barroso, presidente della Commissione Ue, «E' stato un campione della democrazia e della libertà». Ora che non c'è più «il suo nome sarà per sempre legato alla riunificazioned dell'Europa e all'espansione dei suoi valori nelle regioni centrale e orientale del continente».
di Emiliano Biaggio
La Repubblica ceca piange Vaclav Havel, l'Europa tutta lo ricorda e gli rende omaggio. Dopo una lunga malattia si spegne a 75 anni una delle personalità più importanti dal secondo dopoguerra a oggi. Ultimo presidente della Cecoslovacchia e primo presidente della Repubblica ceca, Havel è stato l'uomo del cambiamento, il traghettatore della Cecoslovacchia verso il nuovo mondo, quello occidentale. Ma quello fu il ruolo che Havel ricoprì solo alla fine dell'esperienza comunista e del controllo di Mosca, segnati dalla rivoluzione di velluto di cui egli stesso fu promotore e leader insieme all'allora connazionale Alexander Dubček. L'opposizione non violenta sorta il 17 novembre 1989 a Bratislava e immediatamente estesa in tutta la Cecoslovacchia, finì per scrivere la storia, di quel paese e non solo: a inizio dicembre i confini con la Germania ovest e l'Austria vennero smilitarizzati, e il 10 dicembre presidente comunista Gustáv Husák nominò un governo in buona parte non comunista e si dimise. Era la fine di un'era. Nasceva una nuova Cecoslovacchia, che aveva in Havel il presidente della Repubblica. Egli fu uno strenuo sostenitore dell'unità tra cechi e slovacchi, e si battè perchè i due popoli potessero continuare ad avere uno stesso comune destino. Quando fu chiaro che Repubblica ceca e Slovacchia avrebbero continuanto separatemente il cammino post-comunista, Havel si dimise. Sarebbe poi stato eletto dal parlamento ceco presidente della Repubblica ceca. E' il 2 febbraio 1993. Haver manterrà al carica di capo dello Stato per un decennio esatto, traghettando il nuovo paese europeo verso il nuovo ordine globale. Sostenne con forza l'adesione del suo paese alla Nato, avvenuta poi nel 1999, e si battè per dare certezze e sicurezza alla sua nazione intessendo legami sempre più forti con gli Stati Uniti. Dopo essere stati per decenni satelliti di Mosca, era la svolta definitiva. Amato dalla sua gente, Havel attirò su di sè aspre critiche quando disse "sì" al progetto di scudo spaziale degli Stati Uniti. «E' sempre un bene se l'America è un po' ancorata in Europa», si limitò a spiegare alla sua gente, per la quale concepì un'epoca nuova, completamente diversa dall'isolazionismo patito con il comunismo. Perchè con la fine del regime non c'era solo un nuovo stato, ma anche una nuova Europa, quella che sarebbe stata definita solo nel 1992 con il trattato di Maastricht.
Havel non ce l'ha fatta a traghettare il suo paese verso questa nuova Europa, per la quale ha comunque tracciato la rotta. I suoi successori, nel 2004, hanno saputo compiere quel passo che il leader ceco non aveva avuto modo di fare, portando la Repubblica ceca nell'Ue. Imprigionato dai comunisti perché dissidente, ha lottato per la libertà e l'indipendenza di due popoli, arrivando a consegnare un nuovo destino alla Repubblica ceca e alla Slovacchia di oggi. Tutti non hanno potuto fare a meno di ricordarlo. A partire da Lech Walesa, altro nome storico per l'Europa d'oltre cortina. «È stato un grande teorico della nostra epoca - ha detto - e la sua voce mancherà enormemente all'Europa, soprattutto ora che attraversa un periodo di profonda crisi». «La sua dedizione alla libertà e alla democrazia è indimenticabile tanto quanto la sua grande umanità», il corodoglio di Angela Merkel, leader della Germania di oggi e vecchia esponente della Ddr di ieri. Havel era «un europeo», ha detto invece Josè Manuel Barroso, presidente della Commissione Ue, «E' stato un campione della democrazia e della libertà». Ora che non c'è più «il suo nome sarà per sempre legato alla riunificazioned dell'Europa e all'espansione dei suoi valori nelle regioni centrale e orientale del continente».
Saturday, 17 December 2011
AS Grifondoro, maggica giallo-rossa
Hogwarts è il regno della magia, e ospita - come è noto - le quattro case. Ognuna di queste è contraddistinta dai propri colori, e quelli del Grifondoro sono noti a tutti, anche grazie alla squadra di quidditch. A proposito del quidditch, pochi sanno che ognuna delle squadre ha un proprio centro sportivo e una propria sede sportiva. La società di capitan Potter ne ha una davvero invidiabile, come si vede dalla foto accanto. In perfetto stile Hogwarts - ricalca gli interni della scuola di magia e stregoneria - la sede è interamente rivestita di stoffe giallo-rosse, usate come carta da parati in ogni singola stanza del Godric sporting center. Qui si può vedere la sala relax, dove gli atleti si concedono partite di biliardo alla fine degli allenamenti.
Thursday, 15 December 2011
bLOGBOOK
Visto da dietro una finestra il mondo appare incredibilmente piccolo. Largo ed esteso quanto il campo visivo che l'occhio umano può coprire lungo il vetro. Il mondo può allora essere una strada, un cortile, magari - se si è all'ultimo piano - una porzione sterminata di cielo. Oppure può essere la facciata di un palazzo, una strada: dipende su cosa si affaccia la finestra da cui noi guardiamo il mondo. Ma belle o meno che siano le immagini che penetrano i vetri chiusi, la tentazione di uscire per vedere se c'è altro oltre a ciò che si scorge è davvero intensa, specie se dietro a quella finestra ci si ritrova costretti. Fuori piove: le piccole pozzanghere che si formano sull'irregolare pavimentazione pedonale realizzano piccoli specchi dove il mondo si riflette. Fuori tira vento: lo si vede dai fusti degli alberi che si piegano e dai fogli di giornale che roteano sulla strada. Fuori fa freddo: lo si capisce guardando i passanti che si stringono nei loro cappotti, dai cappucci tirati sulla testa. In giornata come queste stare al caldo, al riparo della propria casa, è forse la soluzione migliore. Peccato solo che sia la scelta obbligata. Il freddo porta con sè i mali della brutta stagione, costringendo a letto e alle cure del caso. In questo caso all'autosoccorso. E' in questi casi che si capisce cosa significhi veramente essere via di casa, anche se questa non è proprio questa l'espressione più giusta per definire quel senso di smarrimento che si avverte. E' lo stordimento dovuto all'influenza. No, è un'altra cosa. I brividi di freddo testimoniano la rigidità delle temperature o l'aumento della febbre? Nel dubbio la coperta è il rimedio migliore. Visto da sotto una coperta il mondo è un soffitto o un parete. Gli spazi si restringono sempre di più, il senso di oppressione aumenta. Si vorrebbe avere luce, sole, aria fresca, tante strade su cui camminare, infiniti angoli da girare, nessuna finestra da cui guardare. Si finisce col sentirsi prigionieri, e ci si rende conto di come debba essere il mondo visto da dietro le sbarre. O forse no, si può immaginare.
"A cosa pensi?"
"A te"
"A me?"
"A te"
"Ma io..."
"Lo so. Tu hai altri progetti"
"Io non esisto"
"Ma... Scusa, io ti vedo, io ti sento. Che stai dicendo?"
"Mi vedi perchè mi vuoi vedere"
"Che cosa sei?"
"Sono quello che vuoi"
"Sei un sogno?"
No, forse sono illusioni. O deliri. Vista con la maschera deformante della malattia la realtà assume contorni sfumati e forme indistinte. La finestra da cui filtra la luce del giorno resta una frontiera lontana e difficile da raggiungere, e l'unica dimensione vera in cui ci si può ritrovare è quella che viviamo. Come quella di ogni giorno, del resto. Ma se è vero che ogni giorno è diverso l'uno dall'altro, anche in questo caso la realtà è mutevole. Difficile dire cosa sia concreto e cosa no.
"Dove sei? Perché non mi rispondi?"
"Te l'ho detto. Non esisto"
"Sì che esisti. Lo so che esisti"
"Come fai a dirlo?"
"Vedo la tua ombra"
"A volte l'ombra non ci permette di vedere molte cose. Come la verità che non vuoi accettare""Che significa? Vuoi forse dirmi che non esisti per me?"
"No. Esisto perchè tuo vuoi che io esista. Ma non sono reale"
"Questo non ha senso. Vuol dire che sono pazzo? O forse..."
"Non dirlo"
Quando ci si sveglia il mondo è una dilatazione spazio-temporale. Occorre del tempo prima di rendercisi conto dove ci troviamo e cosa stiamo facendo. Ciò è ancor più vero quando alla naturale stanchezza si aggiunge la spossatezza del malanno e gli effetti dei medicinali assunti per contrastarlo. Se ci si riesce ad alzare senza sbandamenti vuol dire che la strada della guarigione è guarita. Il primo pensiero va allora all'esterno, perchè a forza di stare rinchiusi è naturale avvertire il bisogno di uscire. Per cui si corre a scostare la tendina. Visto da dietro una finestra il mondo appare incredibilmente piccolo. Largo ed esteso quanto il campo visivo che l'occhio umano può coprire lungo il vetro. Il mondo può allora essere una strada, un cortile, magari - se si è all'ultimo piano - una porzione sterminata di cielo.
"A cosa pensi?"
"A te"
"A me?"
"A te"
"Ma io..."
"Lo so. Tu hai altri progetti"
"Io non esisto"
"Ma... Scusa, io ti vedo, io ti sento. Che stai dicendo?"
"Mi vedi perchè mi vuoi vedere"
"Che cosa sei?"
"Sono quello che vuoi"
"Sei un sogno?"
No, forse sono illusioni. O deliri. Vista con la maschera deformante della malattia la realtà assume contorni sfumati e forme indistinte. La finestra da cui filtra la luce del giorno resta una frontiera lontana e difficile da raggiungere, e l'unica dimensione vera in cui ci si può ritrovare è quella che viviamo. Come quella di ogni giorno, del resto. Ma se è vero che ogni giorno è diverso l'uno dall'altro, anche in questo caso la realtà è mutevole. Difficile dire cosa sia concreto e cosa no.
"Dove sei? Perché non mi rispondi?"
"Te l'ho detto. Non esisto"
"Sì che esisti. Lo so che esisti"
"Come fai a dirlo?"
"Vedo la tua ombra"
"A volte l'ombra non ci permette di vedere molte cose. Come la verità che non vuoi accettare""Che significa? Vuoi forse dirmi che non esisti per me?"
"No. Esisto perchè tuo vuoi che io esista. Ma non sono reale"
"Questo non ha senso. Vuol dire che sono pazzo? O forse..."
"Non dirlo"
Quando ci si sveglia il mondo è una dilatazione spazio-temporale. Occorre del tempo prima di rendercisi conto dove ci troviamo e cosa stiamo facendo. Ciò è ancor più vero quando alla naturale stanchezza si aggiunge la spossatezza del malanno e gli effetti dei medicinali assunti per contrastarlo. Se ci si riesce ad alzare senza sbandamenti vuol dire che la strada della guarigione è guarita. Il primo pensiero va allora all'esterno, perchè a forza di stare rinchiusi è naturale avvertire il bisogno di uscire. Per cui si corre a scostare la tendina. Visto da dietro una finestra il mondo appare incredibilmente piccolo. Largo ed esteso quanto il campo visivo che l'occhio umano può coprire lungo il vetro. Il mondo può allora essere una strada, un cortile, magari - se si è all'ultimo piano - una porzione sterminata di cielo.
Wednesday, 14 December 2011
breviario
"Esci," disse Sarah.
"Da dove: da te, dal letto o dalla stanza?"
tratto da La casa del sonno di Jonathan Coe (Feltrinelli, 1998)
"Da dove: da te, dal letto o dalla stanza?"
tratto da La casa del sonno di Jonathan Coe (Feltrinelli, 1998)
Mad in Italy diventa un libro. Che storia...
Spazio dedicato a cosa succede in Italia. Chi fa che cosa, dove, come e soprattutto perchè. Protagonisti e comparsate nel paese dove tutto (ma proprio tutto!) è davvero possibile. Cosa ci ricordano queste parole? Mad in Italy, la pseudo-rubrica politica tutta da ridere ora in un unico libro. Terminata la scrittura e la fase di pubblicazione del nuovo scritto, ennesima fatica di una frenetica e intensa attività amanuense. Presto, dunque, disponibile on-line Mad in Italy, quasi certamente per l'inizio del nuovo anno. Prossimamente, comunque. Del resto si sa, anno nuovo vita nuova. O no?
P.s.: quella a fianco non è la copertina del libro che verrà, solo un collage di immagini che hanno caratterizzato la rubrica su queste pagine web. la copertina è ancora in fase di definizione e verrà mostrata al momento opportuno.
P.s.: quella a fianco non è la copertina del libro che verrà, solo un collage di immagini che hanno caratterizzato la rubrica su queste pagine web. la copertina è ancora in fase di definizione e verrà mostrata al momento opportuno.
Sunday, 11 December 2011
bLOGBOOK - Waterloo
Waterloo
Un uomo solo contro il mondo, un uomo da solo contro tutti. Lui, Napoleone, che prima seppe fare suo un continente creando un impero, e poi in grado di sfidare ciò che di quel continente restava. Un esercito, quello napoleonico, contro le truppe di Gran Bretagna, regno dei Paesi Bassi, regno di Hannover, ducato di Brunswick, ducato di Nassau, regno di Prussia. Una lotta impari, condotta in una battaglia talmente famosa e forse epica da essere ancora oggi ricordata in tutto il mondo: la battaglia di Waterloo. Le stampa dell'epoca dipingono una cittadina di campagna, come tante nell'allora Benelux riunito nel regno dei Paesi Bassi, strade sterrate, campi e qualche cascina. Qua e là delle fattorie, che diventeranno poi quartier generale delle varie armate. Oggi Waterloo è una piccola cittadina di oltre 29.000 persone, che vive ancora di quella che è passata alla storia come "la battaglia delle battaglie". Un titolo dovuto ai numeri: 180.000 i soldati che si fronteggiarono in campo aperto, 43.000 i morti solo nello scontro del 18 luglio 1815, quello decisivo che ha sancito la fine dell'era napoleonica e scritto una nuova pagina per la storia d'Europa. Una storia celebrata ancora oggi: qui a Waterloo, ma non solo. Si contano nel mondo 125 città omonime a quella belga, senza contare Wellington, capitale della Nuova Zelanda intitolata al comandante britannico, il duca di Wellington. Waterloo, oggi, è Waterloo e Braine-l'Alleud, due comuni distinti e distanti. Quattro chilometri di strada separa questi due posti, ognuno con la propria importanza. Il primo, quello dal nome altisonante, per essere stato il luogo dove Wellington stabiliì il proprio quartier generale prima della battaglia del 18 giugno 1815; il secondo, quello che pochi conoscono, deve la propria importanza al campo di battaglia dove Napoleone vide la disfatta della sue armate, della sua Francia, e della sua idea di Europa. Oggi il comune di Waterloo è solo la sede del museo che ricostruisce e ripercorre parte della storia di quella battaglia, e il vecchio quartier generale di Wellington custodisce la storia essendo la sede del museo. Braine-l'Alleud, invece, è reso ancor più grande, e non solo per il maggior numero di abitanti (poco più di 37.000): il campo di battaglia si sviluppa qui, e qui è stato eretto il "monte del leone" (o Butte de lion), monumento commemorativo della vittoria britannica contro le armate napoleoniche. Un monte artificiale a forma di cono alla cui sommità è stata posta una gigantesca statua di pietra raffigurante un leone, stemma reale della casata dei Paesi Bassi, introdotto in Gran Bretagna quando sul trono salì la casata d'Orange. Il leone appoggia una zampa su una sfera, a simboleggiare il dominio della Gran Bretagna sul mondo. Il leone è in direzione del campo di battaglia sottostante, anche se la testa è rivolta a sinistra, quasi a rendere grazie a Blucher, che allora da quella parte arrivò con i soldati prussiani a ricongiungersi con quelli britannici. L'arrivo del generale Blucher decise le sorti della battaglia che tanto avrebbe fatto parlare, non solo gli storici. Se andate al museo di Braine-l'Alleud potrete assistere a due filmati sulla battaglia, uno dei quali realizzato mettendo insieme parti del film di Sergej Bondarčuk. Oggi Waterloo conserva intatti i luoghi che la storia ha reso celebri, e su quel campo di battaglia fa rivivere i momenti più significativi di quel 18 luglio 1815. Rappresentazioni in costume ricostruiscono infatti scene della battaglia, mentre a tavola la birra Waterloo rifocilla il turista e il passante. Una birra, come suggerisce il nome, prodotta in zona e servita in boccali di ceramica. Arrivare qui da Bruxelles è un attimo: 20 minuti con l'intercity, anche se dovete sapere dove scendere. Waterloo è infatti il comune dove non si trova il campo di battaglia, ma questo si impara arrivandoci. Scendere a Braine-l'Alleud sarebbe stato forse l'ideale, ma non avrebbe permesso di visitare il quartier generale che fu di Wellington. L'aria è di quelle più che frizzanti: cinque gradi con il sole restano comunque pochi. Ma la giornata permette di sfidare le rigidità invernali. Se piace camminare, dal campo di battaglia alla stazione sono 20 minuti, da trascorrere tra campi aperti, verdi prati e deliziosi quartieri residenziali. Oggi Waterloo è calma.
Other destionations visited:
Amsterdam / Antwerpen / Berlino / Binche / Braine l'Alleud / Brugge / Budapest / De Haan / Den Haag / Durbuy / Gent / Halle / Knokke / Leuven / Liège / Mechelen / Mons / Namur / New York city / Oostende / Santiago de Compostela / Strasbourg / Tournai / Vilvoorde /
Un uomo solo contro il mondo, un uomo da solo contro tutti. Lui, Napoleone, che prima seppe fare suo un continente creando un impero, e poi in grado di sfidare ciò che di quel continente restava. Un esercito, quello napoleonico, contro le truppe di Gran Bretagna, regno dei Paesi Bassi, regno di Hannover, ducato di Brunswick, ducato di Nassau, regno di Prussia. Una lotta impari, condotta in una battaglia talmente famosa e forse epica da essere ancora oggi ricordata in tutto il mondo: la battaglia di Waterloo. Le stampa dell'epoca dipingono una cittadina di campagna, come tante nell'allora Benelux riunito nel regno dei Paesi Bassi, strade sterrate, campi e qualche cascina. Qua e là delle fattorie, che diventeranno poi quartier generale delle varie armate. Oggi Waterloo è una piccola cittadina di oltre 29.000 persone, che vive ancora di quella che è passata alla storia come "la battaglia delle battaglie". Un titolo dovuto ai numeri: 180.000 i soldati che si fronteggiarono in campo aperto, 43.000 i morti solo nello scontro del 18 luglio 1815, quello decisivo che ha sancito la fine dell'era napoleonica e scritto una nuova pagina per la storia d'Europa. Una storia celebrata ancora oggi: qui a Waterloo, ma non solo. Si contano nel mondo 125 città omonime a quella belga, senza contare Wellington, capitale della Nuova Zelanda intitolata al comandante britannico, il duca di Wellington. Waterloo, oggi, è Waterloo e Braine-l'Alleud, due comuni distinti e distanti. Quattro chilometri di strada separa questi due posti, ognuno con la propria importanza. Il primo, quello dal nome altisonante, per essere stato il luogo dove Wellington stabiliì il proprio quartier generale prima della battaglia del 18 giugno 1815; il secondo, quello che pochi conoscono, deve la propria importanza al campo di battaglia dove Napoleone vide la disfatta della sue armate, della sua Francia, e della sua idea di Europa. Oggi il comune di Waterloo è solo la sede del museo che ricostruisce e ripercorre parte della storia di quella battaglia, e il vecchio quartier generale di Wellington custodisce la storia essendo la sede del museo. Braine-l'Alleud, invece, è reso ancor più grande, e non solo per il maggior numero di abitanti (poco più di 37.000): il campo di battaglia si sviluppa qui, e qui è stato eretto il "monte del leone" (o Butte de lion), monumento commemorativo della vittoria britannica contro le armate napoleoniche. Un monte artificiale a forma di cono alla cui sommità è stata posta una gigantesca statua di pietra raffigurante un leone, stemma reale della casata dei Paesi Bassi, introdotto in Gran Bretagna quando sul trono salì la casata d'Orange. Il leone appoggia una zampa su una sfera, a simboleggiare il dominio della Gran Bretagna sul mondo. Il leone è in direzione del campo di battaglia sottostante, anche se la testa è rivolta a sinistra, quasi a rendere grazie a Blucher, che allora da quella parte arrivò con i soldati prussiani a ricongiungersi con quelli britannici. L'arrivo del generale Blucher decise le sorti della battaglia che tanto avrebbe fatto parlare, non solo gli storici. Se andate al museo di Braine-l'Alleud potrete assistere a due filmati sulla battaglia, uno dei quali realizzato mettendo insieme parti del film di Sergej Bondarčuk. Oggi Waterloo conserva intatti i luoghi che la storia ha reso celebri, e su quel campo di battaglia fa rivivere i momenti più significativi di quel 18 luglio 1815. Rappresentazioni in costume ricostruiscono infatti scene della battaglia, mentre a tavola la birra Waterloo rifocilla il turista e il passante. Una birra, come suggerisce il nome, prodotta in zona e servita in boccali di ceramica. Arrivare qui da Bruxelles è un attimo: 20 minuti con l'intercity, anche se dovete sapere dove scendere. Waterloo è infatti il comune dove non si trova il campo di battaglia, ma questo si impara arrivandoci. Scendere a Braine-l'Alleud sarebbe stato forse l'ideale, ma non avrebbe permesso di visitare il quartier generale che fu di Wellington. L'aria è di quelle più che frizzanti: cinque gradi con il sole restano comunque pochi. Ma la giornata permette di sfidare le rigidità invernali. Se piace camminare, dal campo di battaglia alla stazione sono 20 minuti, da trascorrere tra campi aperti, verdi prati e deliziosi quartieri residenziali. Oggi Waterloo è calma.
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Amsterdam / Antwerpen / Berlino / Binche / Braine l'Alleud / Brugge / Budapest / De Haan / Den Haag / Durbuy / Gent / Halle / Knokke / Leuven / Liège / Mechelen / Mons / Namur / New York city / Oostende / Santiago de Compostela / Strasbourg / Tournai / Vilvoorde /
Saturday, 10 December 2011
bLOGBOOK
La gente cammina, si ferma, osserva. Qualcuno entra nei negozi e compra, qualcun altro mangia. C'è chi si bacia, chi scatta foto, chi studia cartine. E' un sereno sabato pomeriggio di dicembre, con il Natale alle porte. Tutto ricorda le festività imminenti: le vetrine dei negozi allestite per l'occasione, i mercatini organizzati per l'occasione, l'enorme albero di Natale e il gran presepio in place Royal, le luminarie lungo le strade. E poi ancora le buste ricolme di pacchi nelle mani dei passanti, i cappelli da babbo natale. Perfino il Manneken Pis sfoggia abiti natalizi. Se non fosse per i regali da fare quest'anno non lo avvertirei. Molti dei pacchettini che avevo in mente di confezionare li ho preparati molto prima di partire, anche per questo quest'anno il Natale scorre più come un problema per le ultime scelte da compiere. Un problema, già. Ma solo perchè in sintonia con tutto il resto. In realtà è piacevole percorrere le vie del centro piene di gente, illuminate da luci e risplendenti di colori. Strade festose e allegre, con musica agli incroci e negli slarghi, e gli aromi di vin brulè che si confondono a quelli del waffel, del cioccolato, dei ristoranti etnici, dell'inconfondibile fruttura belga. Ma per delle festività che arrivano, altre se ne vanno. L'inverno ha portato con sè le sue temperature rigide, lasciando i locali e gli spazi di Bruxelles orfani dei loro tavoli all'aperto. Al loro posto una costellazione di piccoli banconi dove consumare in piedi bevande calde, valida alternativa alle birre.
Torno sui miei passi, sul mio passato. Torno a boulevard Emile Jacqmain, dove anni fa sfilai in corteo per una delle più singolari manifestazioni. Sempre che di manifestazione si possa parlare, ma questo potrei dirlo solo io. Che a stento ho ricordato il mio passato. Sì, ero qui dove sono ancora oggi. Ma tutta la gente di allora, che fine ha fatto? Ricordo solo questo tratto di strada. Dove si fermò quel corteo? Dove conduce questa strada? Lontano dai colori, dai suone e dagli aromi del centro, verso luoghi dall'aspetto meno accogliente e vitale. Le auto sfrecciano senza sosta lungo quest'arteria stradale, i pedoni passeggiano verso mete misteriose: tutti siamo di passaggio in questo mondo. Anche in questa città? Una mamma spinge una carrozzina: qualcuno si ferma.
I maglioni non sono male, per le cravatte non c'è che l'imbarazzo della scelta. Dove sono gli sciarponi di lana a maglie grandi? Cercare può essere un divertimento, uno stimolo, una curiosità, un passatempo, una passione. Trovare è quasi sempre una sfida. E le sfide o si vincono o si perdono. E io ho paura, questa è la verità. Di non farcela, è chiaro. Ma è solo questo? No, non è solo questo. Il mio cercare cos'è? Dipende da quello che cerco e per chi. Per me cosa e quanto ho cercato? E come? Ho freddo. Sarà che sto morendo? No, stupido. E' solo il freddo di qui, il freddo dell'inverno. Entro in un cafè di Place de Brouckère, se non ricordo male lo stesso dove alcuni di noi allora si fermarono per una birra. Il posto si sviluppa in lungo, verso il fondo. Pochi tavoli, tutti poco illuminati per via delle luce tenuta bassa. Supero i primi tavoli, oltre i quali inizia il bancone, che corre per tutta l'estensione verticale della birreria/caffetteria. Ordino un caffè, e mi siedo su uno dei tavoli sistemati sulla parete sinistra, di fronte al bancone. Me ne accordo solo in un secondo momento, ma senza volerlo ho scelto di sedere sotto un piccolo poster di Charlie Chaplin che sembra raffigurare una scena di Tempi moderni: l'uomino seduto a terra, appoggiato in un angolo della strada, con una donna che rigorda Paulette Goddard che dorme accanto a lui. Chaplin. Cinema. Associazioni di idee, raffigurazioni di visi. Il caffè amaro si fa dolce, ma come tutte le cose - specie se buone - finisce. Pago e affronto il freddo. Uscendo chiudo un'altra porta dietro di me.
Torno sui miei passi, sul mio passato. Torno a boulevard Emile Jacqmain, dove anni fa sfilai in corteo per una delle più singolari manifestazioni. Sempre che di manifestazione si possa parlare, ma questo potrei dirlo solo io. Che a stento ho ricordato il mio passato. Sì, ero qui dove sono ancora oggi. Ma tutta la gente di allora, che fine ha fatto? Ricordo solo questo tratto di strada. Dove si fermò quel corteo? Dove conduce questa strada? Lontano dai colori, dai suone e dagli aromi del centro, verso luoghi dall'aspetto meno accogliente e vitale. Le auto sfrecciano senza sosta lungo quest'arteria stradale, i pedoni passeggiano verso mete misteriose: tutti siamo di passaggio in questo mondo. Anche in questa città? Una mamma spinge una carrozzina: qualcuno si ferma.
I maglioni non sono male, per le cravatte non c'è che l'imbarazzo della scelta. Dove sono gli sciarponi di lana a maglie grandi? Cercare può essere un divertimento, uno stimolo, una curiosità, un passatempo, una passione. Trovare è quasi sempre una sfida. E le sfide o si vincono o si perdono. E io ho paura, questa è la verità. Di non farcela, è chiaro. Ma è solo questo? No, non è solo questo. Il mio cercare cos'è? Dipende da quello che cerco e per chi. Per me cosa e quanto ho cercato? E come? Ho freddo. Sarà che sto morendo? No, stupido. E' solo il freddo di qui, il freddo dell'inverno. Entro in un cafè di Place de Brouckère, se non ricordo male lo stesso dove alcuni di noi allora si fermarono per una birra. Il posto si sviluppa in lungo, verso il fondo. Pochi tavoli, tutti poco illuminati per via delle luce tenuta bassa. Supero i primi tavoli, oltre i quali inizia il bancone, che corre per tutta l'estensione verticale della birreria/caffetteria. Ordino un caffè, e mi siedo su uno dei tavoli sistemati sulla parete sinistra, di fronte al bancone. Me ne accordo solo in un secondo momento, ma senza volerlo ho scelto di sedere sotto un piccolo poster di Charlie Chaplin che sembra raffigurare una scena di Tempi moderni: l'uomino seduto a terra, appoggiato in un angolo della strada, con una donna che rigorda Paulette Goddard che dorme accanto a lui. Chaplin. Cinema. Associazioni di idee, raffigurazioni di visi. Il caffè amaro si fa dolce, ma come tutte le cose - specie se buone - finisce. Pago e affronto il freddo. Uscendo chiudo un'altra porta dietro di me.
Friday, 9 December 2011
Euro più forte, Europa a due velocità
Passi avanti per l'unione fiscale, ma Londra non ci sta - L'accordo uscito da Bruxelles approvato da 26 Paesi membri. Toccherà alla Bce gestire il Fondo salva-Stati - Monti: "Accordo di vasta portata, presto vertice di Francia e Germania a Roma". I mercati festeggiano.
di Emanuele Bonini (per FIRSTonline)
Unione fiscale, Fondo salva-Stati rafforzato con 500 miliardi di euro e gestito direttamente dalla Banca centrale europea, ruolo di controllo della Commissione europea sui bilanci degli stati membri, fine della partecipazione dei privati alla ristrutturazione del debito. Doveva essere revisione, e revisione è stata. Al termine di lunghe ed estenuanti trattative – contraddistinte da strappi interni ai 27 paesi – il Consiglio europeo vara le misure salva-euro. Previste sanzioni ‘semi automatiche’ per chi viola gli accordi (l’eventuale punizione sarà inflitta a meno che tre quarti dei Paesi votino contro) e per chi supera del 3% il rapporto deficit/Pil (previste infatti sanzioni salvo voto contrario di una maggioranza qualificata), regole di bilancio in Costituzione con la Commissione europea chiamata a vigilare sul loro rispetto.
Ancora, il fondo di stabilità (Efsf) continuerà a finanziare i programmi avviati fino a metà 2013, quando l’Efsf verrà sostituito dall'Esm (European stability mechanism, il meccanismo di stabilità europeo), che arriverà ad avere una capacità di prestito effettiva di 500 miliardi di euro. A proposito di risorse economiche, c’è la disponibilità a valutare la possibilità di garantire prestiti al Fondo monetario internazionale per 150 miliardi di euro, estendibili eventualmente fino a 200. Finisce inoltre l’era del cosiddetto Psi, il coinvolgimento dei privati nella ristrutturazione dei debiti sovrano. (leggi tutto)
di Emanuele Bonini (per FIRSTonline)
Unione fiscale, Fondo salva-Stati rafforzato con 500 miliardi di euro e gestito direttamente dalla Banca centrale europea, ruolo di controllo della Commissione europea sui bilanci degli stati membri, fine della partecipazione dei privati alla ristrutturazione del debito. Doveva essere revisione, e revisione è stata. Al termine di lunghe ed estenuanti trattative – contraddistinte da strappi interni ai 27 paesi – il Consiglio europeo vara le misure salva-euro. Previste sanzioni ‘semi automatiche’ per chi viola gli accordi (l’eventuale punizione sarà inflitta a meno che tre quarti dei Paesi votino contro) e per chi supera del 3% il rapporto deficit/Pil (previste infatti sanzioni salvo voto contrario di una maggioranza qualificata), regole di bilancio in Costituzione con la Commissione europea chiamata a vigilare sul loro rispetto.
Ancora, il fondo di stabilità (Efsf) continuerà a finanziare i programmi avviati fino a metà 2013, quando l’Efsf verrà sostituito dall'Esm (European stability mechanism, il meccanismo di stabilità europeo), che arriverà ad avere una capacità di prestito effettiva di 500 miliardi di euro. A proposito di risorse economiche, c’è la disponibilità a valutare la possibilità di garantire prestiti al Fondo monetario internazionale per 150 miliardi di euro, estendibili eventualmente fino a 200. Finisce inoltre l’era del cosiddetto Psi, il coinvolgimento dei privati nella ristrutturazione dei debiti sovrano. (leggi tutto)
Europa in pezzi, Unione a 23
Gran Bretagna, Svezia, Repubblica ceca e Ungheria dicono "no" al piano di revisione "Merkozy". Consiglio europeo sancisce la spaccatura comunitaria.
di Emiliano Biaggio
Si cercano risposte comuni alla crisi e decisioni condivise per garantire la sopravvivenza dell’Euro, ma a Bruxelles ieri sera hanno prevalso le divisioni. Ci sono infatti due Europe, quella dei ventisette paesi membri e quella del ‘club’ dei diciassette dell’Eurozona, c’è l’asse Merkel-Sarkozy che spinge per riforme dei trattati e regole più severe e il fronte che a tutto ciò si oppone guidato da Gran Bretagna e Polonia. Incertezza, divisioni e attriti è ciò che hanno contraddistinto la prima giornata di lavori, quella aperta ancora prima della cena a 27. Al suo arrivo il cancelliere tedesco, Angela Merkel, ha "battezzato" la riunione del Consiglio europeo annunciando un vertice dei paesi dell’area Euro per riscrivere i trattati di funzionamento dell’Ue. «L'Ue è a 27 e non a 17», l’immediata risposta del primo ministro olandese, Mark Rutte, che ha ribadito le posizione che già erano state prese nel pomeriggio a Marsiglia al vertice del Ppe da Donald Tusk, primo ministro della Polonia, paese che detiene la presidenza di turno del Consiglio europeo. E se la Danimarca – paese non dell’Eurozona - ha sposato la linea franco-tedesca («se i paesi della zona dell'euro ritengono che la soluzione della crisi passa anche dal cambiamento del trattato, credo che bisogna essere aperti a questa soluzione», ha detto il premier danese Helle Thorning Schmidt), la Svezia –a altro paese non dell’Eurozona – ha invece dettato un’altra agenda («la priorità è aumentare la potenza di fuoco del ‘firewall, per riguadagnare la fiducia dei mercati», ha scandito il primo ministro svedese Fredrik Reinfeldt). La Germania non ha mostrato disponibilità a concessioni, con Angela Merkel che a inizio cena (cominciata in ritardo) ha fatto sapere che il vertice dei 17 paesi dell’Eurozona si sarebbe tenuto nella notte, a pasto finito. Una mossa per cercare di scardinare le resistenze di alcuni attori, Svezia e Gran Bretagna in particolare. «Non ho un mandato per trattare una riforma dei trattati», ha detto Reinfeldt. La stabilità della zona dell'euro «è importante», ma «per noi è importante anche proteggere gli interessi della Gran Bretagna» ha invece riconosciuto il premier britannico. Quella in corso a Bruxelles, ha detto Cameron, «è una partita a scacchi contro 26 avversari, non uno solo».
E’ in questo scenario che Mario Monti ha portato la propria proposta: procedere a 27, evitando pericolose spaccature fra i Paesi di Eurolandia e gli altri partner Ue, per rafforzare l'unione dei bilanci nazionali e la sorveglianza sui conti pubblici attraverso le regole che già ci sono o al limite con una riforma “light” dei trattati. Per il presidente del Consiglio, che intende giocare da mediatore e ritagliare al nostro paese un ruolo di primo piano, la priorità adesso è «rafforzare i firewall nostri», quelli cioè dell’Unione europea tutta, evitando pericolose fughe di alcuni paesi verso logiche di pochi’. L’idea di Monti è sostenere la linea di Commissione e Consiglio europeo, che spingono per una rapida attuazione alle regole per il rafforzamento della disciplina di bilancio, al limite inserendo alcune di queste norme nei trattati attraverso una procedura acceleratà (la cosiddetta "fast track") che potrebbe evitare il rischio di imprevedibili ratifiche nazionali. Alla fine ne è nata un'Europa a 23: I 17 Paesi dell’eurozona più altri sei volontari (Bulgaria, Lettonia, Lituania, Polonia, Romania e Danimarca). Restano fuori Svezia, Repubblica Ceca, Ungheria e soprattutto Gran Bretagna. «Noi non vogliamo aderire all'euro, siamo contenti di esserne fuori, come lo siamo di non fare parte della zona Schengen», ha detto alla fine il premier britannico David Cameron. «Noi - ha aggiunto - non vogliamo rinunciare alla nostra sovranità come stanno facendo questi Paesi. Noi vogliamo i nostri tassi di interesse, la nostra politica monetaria: quello che ci veniva offerto non era buono per la Gran Bretagna, quindi meglio che si facciano un trattato tra di loro». "Loro", i ventitre, degli accordi li hanno già trovati: stabilita infatti l'unione fiscale, decretato il via libera alla concessione di prestiti su base bilaterale al Fondo monetario internazionale per 200 miliardi di euro per rafforzare il Fondo salva-Stati (Efsf). Fondo salva-Stati che sarà gestito direttamente dalla Bce e non si chiamerà più Efsf ma a partire dalla sua entrata in vigore, prevista per luglio 2012, sarà sostituito dall'Esm (European Stability Mechanism. il meccanismo di stabilità europea).
di Emiliano Biaggio
Si cercano risposte comuni alla crisi e decisioni condivise per garantire la sopravvivenza dell’Euro, ma a Bruxelles ieri sera hanno prevalso le divisioni. Ci sono infatti due Europe, quella dei ventisette paesi membri e quella del ‘club’ dei diciassette dell’Eurozona, c’è l’asse Merkel-Sarkozy che spinge per riforme dei trattati e regole più severe e il fronte che a tutto ciò si oppone guidato da Gran Bretagna e Polonia. Incertezza, divisioni e attriti è ciò che hanno contraddistinto la prima giornata di lavori, quella aperta ancora prima della cena a 27. Al suo arrivo il cancelliere tedesco, Angela Merkel, ha "battezzato" la riunione del Consiglio europeo annunciando un vertice dei paesi dell’area Euro per riscrivere i trattati di funzionamento dell’Ue. «L'Ue è a 27 e non a 17», l’immediata risposta del primo ministro olandese, Mark Rutte, che ha ribadito le posizione che già erano state prese nel pomeriggio a Marsiglia al vertice del Ppe da Donald Tusk, primo ministro della Polonia, paese che detiene la presidenza di turno del Consiglio europeo. E se la Danimarca – paese non dell’Eurozona - ha sposato la linea franco-tedesca («se i paesi della zona dell'euro ritengono che la soluzione della crisi passa anche dal cambiamento del trattato, credo che bisogna essere aperti a questa soluzione», ha detto il premier danese Helle Thorning Schmidt), la Svezia –a altro paese non dell’Eurozona – ha invece dettato un’altra agenda («la priorità è aumentare la potenza di fuoco del ‘firewall, per riguadagnare la fiducia dei mercati», ha scandito il primo ministro svedese Fredrik Reinfeldt). La Germania non ha mostrato disponibilità a concessioni, con Angela Merkel che a inizio cena (cominciata in ritardo) ha fatto sapere che il vertice dei 17 paesi dell’Eurozona si sarebbe tenuto nella notte, a pasto finito. Una mossa per cercare di scardinare le resistenze di alcuni attori, Svezia e Gran Bretagna in particolare. «Non ho un mandato per trattare una riforma dei trattati», ha detto Reinfeldt. La stabilità della zona dell'euro «è importante», ma «per noi è importante anche proteggere gli interessi della Gran Bretagna» ha invece riconosciuto il premier britannico. Quella in corso a Bruxelles, ha detto Cameron, «è una partita a scacchi contro 26 avversari, non uno solo».
E’ in questo scenario che Mario Monti ha portato la propria proposta: procedere a 27, evitando pericolose spaccature fra i Paesi di Eurolandia e gli altri partner Ue, per rafforzare l'unione dei bilanci nazionali e la sorveglianza sui conti pubblici attraverso le regole che già ci sono o al limite con una riforma “light” dei trattati. Per il presidente del Consiglio, che intende giocare da mediatore e ritagliare al nostro paese un ruolo di primo piano, la priorità adesso è «rafforzare i firewall nostri», quelli cioè dell’Unione europea tutta, evitando pericolose fughe di alcuni paesi verso logiche di pochi’. L’idea di Monti è sostenere la linea di Commissione e Consiglio europeo, che spingono per una rapida attuazione alle regole per il rafforzamento della disciplina di bilancio, al limite inserendo alcune di queste norme nei trattati attraverso una procedura acceleratà (la cosiddetta "fast track") che potrebbe evitare il rischio di imprevedibili ratifiche nazionali. Alla fine ne è nata un'Europa a 23: I 17 Paesi dell’eurozona più altri sei volontari (Bulgaria, Lettonia, Lituania, Polonia, Romania e Danimarca). Restano fuori Svezia, Repubblica Ceca, Ungheria e soprattutto Gran Bretagna. «Noi non vogliamo aderire all'euro, siamo contenti di esserne fuori, come lo siamo di non fare parte della zona Schengen», ha detto alla fine il premier britannico David Cameron. «Noi - ha aggiunto - non vogliamo rinunciare alla nostra sovranità come stanno facendo questi Paesi. Noi vogliamo i nostri tassi di interesse, la nostra politica monetaria: quello che ci veniva offerto non era buono per la Gran Bretagna, quindi meglio che si facciano un trattato tra di loro». "Loro", i ventitre, degli accordi li hanno già trovati: stabilita infatti l'unione fiscale, decretato il via libera alla concessione di prestiti su base bilaterale al Fondo monetario internazionale per 200 miliardi di euro per rafforzare il Fondo salva-Stati (Efsf). Fondo salva-Stati che sarà gestito direttamente dalla Bce e non si chiamerà più Efsf ma a partire dalla sua entrata in vigore, prevista per luglio 2012, sarà sostituito dall'Esm (European Stability Mechanism. il meccanismo di stabilità europea).
Thursday, 8 December 2011
Europa al bivio: o trova un accordo salva-euro o rischia un fallimento storico
Il piano Merkel-Sarkozy per mettere sotto controllo i bilanci degli Stati e rafforzare l'euro parte in salita e Cameron fa i capricci ma l'Europa non ha più tempo per tergiversare: o scommette sulla moneta unica e fa passi avanti verso l'unione fiscale o salta tutto.
di Emanuele Bonini (per FIRSTonline)
Fondo salva-Stati, revisione dei trattati, ruolo dei privati, allargamento dell'Ue, energia, Iran e il suo nucleare. E' un'agenda ricca quella del Consiglio europeo in programma a Bruxelles, decisivo per le sorti della moneta unica e per il futuro dell'Unione europea. Tanto che i lavori ufficiali verranno anticipati da una cena a 27 per iniziare a lavorare sulle questioni più spinose, per sondare il terreno di quello che per alcuni temi è un vero e proprio campo minato. I capitoli relativi alla governance economica sono fatti quelli che più di ogni altro lasciano con il fiato sospeso, perchè al centro di veri e propri 'braccio di ferro'. Da una parte la Germania, che fa della revisione dei trattati Ue in senso più severo la condizione imprescindibile per qualsiasi intervento a sostegno dei paesi con problemi di debito sovrano. (leggi tutto)
di Emanuele Bonini (per FIRSTonline)
Fondo salva-Stati, revisione dei trattati, ruolo dei privati, allargamento dell'Ue, energia, Iran e il suo nucleare. E' un'agenda ricca quella del Consiglio europeo in programma a Bruxelles, decisivo per le sorti della moneta unica e per il futuro dell'Unione europea. Tanto che i lavori ufficiali verranno anticipati da una cena a 27 per iniziare a lavorare sulle questioni più spinose, per sondare il terreno di quello che per alcuni temi è un vero e proprio campo minato. I capitoli relativi alla governance economica sono fatti quelli che più di ogni altro lasciano con il fiato sospeso, perchè al centro di veri e propri 'braccio di ferro'. Da una parte la Germania, che fa della revisione dei trattati Ue in senso più severo la condizione imprescindibile per qualsiasi intervento a sostegno dei paesi con problemi di debito sovrano. (leggi tutto)
Serbia e Montenegro, l'Europa può attendere
Per i due paese balcanici si complica il percorso per l'ingresso nell'Ue. Per entrambi, infatti, ci sarebbero ancora sforzi da compiere.
di Emiliano Biaggio
Si complica l'iter di ingresso nell'Ue per Serbia e Montenegro. I due paesi, infatti, non sembrano aver soddisfatto pienamente tutti i membri dell'Unione europea, divisi sul da farsi. Per il Montenegro, paese già a status di "candidato", sembra prendere corpo l'ipotesi di ingresso «a determinate condizioni», fanno sapere fonti diplomatiche.
Per alcuni paesi, infatti, le autorità di Podgorica - che pure hanno compiuto notevoli passi avanti, come riconosciuto dal rapporto della Commissione europea - devono intraprendere ulteriori sforzi nella lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata. Il tema sarà quindi oggetto del vertice del Consiglio europeo di venerdì, dove si chiarirà se un ingresso del Montenegro sarà fatto slittare oppure no.
Più delicato il caso serbo. Il paese - che chiede il riconoscimento dello status di "candidato" - «ha ancora alcune cosa da chiarire sul rapporto con il Kosovo», fanno sapere da Bruxelles. Qui la divisione è più marcata: alcuni paesi - tra cui l'Italia - sono dell'idea che la Serbia abbia dimostrato di essere un paese affidabile e di aver fatto molto per quanto riguarda i rapporti con il tribunale penale internazionale dell'Aja, le riforme richieste dall'Ue e per lo stesso Kosovo. Ci sarebbe inoltre la volontà di premiare il lavoro e gli sforzi compiuti dal primo ministro Boris Tadic, ma altri paesi oppongono resistenza. Molto probabilmente si concederanno altri mesi alle autorità di Belgrado per soddisfare le ultime richieste e superare così gli ultimi ostacoli. Il rischio è però un rallentamento del processo di integrazione della repubblica balcanica.
di Emiliano Biaggio
Si complica l'iter di ingresso nell'Ue per Serbia e Montenegro. I due paesi, infatti, non sembrano aver soddisfatto pienamente tutti i membri dell'Unione europea, divisi sul da farsi. Per il Montenegro, paese già a status di "candidato", sembra prendere corpo l'ipotesi di ingresso «a determinate condizioni», fanno sapere fonti diplomatiche.
Per alcuni paesi, infatti, le autorità di Podgorica - che pure hanno compiuto notevoli passi avanti, come riconosciuto dal rapporto della Commissione europea - devono intraprendere ulteriori sforzi nella lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata. Il tema sarà quindi oggetto del vertice del Consiglio europeo di venerdì, dove si chiarirà se un ingresso del Montenegro sarà fatto slittare oppure no.
Più delicato il caso serbo. Il paese - che chiede il riconoscimento dello status di "candidato" - «ha ancora alcune cosa da chiarire sul rapporto con il Kosovo», fanno sapere da Bruxelles. Qui la divisione è più marcata: alcuni paesi - tra cui l'Italia - sono dell'idea che la Serbia abbia dimostrato di essere un paese affidabile e di aver fatto molto per quanto riguarda i rapporti con il tribunale penale internazionale dell'Aja, le riforme richieste dall'Ue e per lo stesso Kosovo. Ci sarebbe inoltre la volontà di premiare il lavoro e gli sforzi compiuti dal primo ministro Boris Tadic, ma altri paesi oppongono resistenza. Molto probabilmente si concederanno altri mesi alle autorità di Belgrado per soddisfare le ultime richieste e superare così gli ultimi ostacoli. Il rischio è però un rallentamento del processo di integrazione della repubblica balcanica.
Wednesday, 7 December 2011
Ecco la manovra Monti, equa solo per i ricchi
Il governo catto-bancario delude le attese e colpisce in modo pesante gli italiani. Risparmiando i soliti noti in nome dell'Europa monetaria.
di Emiliano Biaggio
Stretta sulle pensioni, stangata sulle case, aumento delle tasse. Eccola, la manovra lacrime e sangue di Mario Monti che impone sacrifici per tutti e segna in maniera indelebile il futuro delle prossime generazioni. Se equità doveva essere, così non è stato. Il governo dei tecnici ha infatti deciso di adottare misure che colpiscono tutti: l'equità è forse racchiusa in questo principio di uguaglianza. Della patrimoniale, appena un accenno: decretata infatti un'imposta "una tantum" dell’1,5% sui capitali rientrati grazie allo scudo fiscale. Torna l'Ici sulla prima casa, che si chiamerà Imu e scatterà dall'1 gennaio 2012, includendo anche l'Irpef sui redditi fondiari. La tassa non sarà progressiva: non si applica, in sostanza, il principio per cui chi ha di più paga di più. Modifiche epocali sul fronte previdenziali: spariscono le pensioni calcolate con il sistema retributivo, per far posto a pensioni calcolate unicamente con il sistema contributivo. Il metodo retributivo, che si applica a quanti che al 31 dicembre 1995 hanno maturato almeno 18 anni di contributi versati, calcola l'importa della pensione con la formula "base pensionabile X numero di anni di contributi versati X Aliquota". Le pensioni contributive, invece, tengono conto dell’andamento del Pil. Con questo sistema l'aliquota contributiva di riferimento per calcolare i contributi da accreditare corrisponde al 33 % della retribuzione percepita. In pratica, con la manovra di Monti, gli assegni dipenderanno dal livello dei versamenti accantonati e non dal livello delle retribuzioni degli ultimi anni di lavoro. Quanto all'età pensionabile, è la fine del sistema delle quote, che spariscono definitivamente. La pensione di anzianità resta solo in questi due casi: 41 anni e un mese di contributi per le donne, 42 anni e un mese per gli uomini. Di fatto, viene incamerata nell'anzianità la finestra mobile. Per le pensioni di vecchiaia, cioè tutte le altre, accelera il percorso della parificazione fra donne e uomini. L'età sale a 62 anni già dal 2012 per le lavoratrici del privato. Per gli uomini, l'età minima sempre dal 2012 è 66 anni. Dall’anno prossimo poi saranno abolite le cosiddette finestre mobili. In sostanza, nel 2022 ci vorranno 67 anni per andare in pensione. Misure dure, ma si sapeva che Monti avrebbe avuto il compito di realizzare questo piano di macelleria sociale, redatto dal suo predecessore nella famosa lettera. La manovra da 30 miliardi ha nel capito Ici ricavi stimati per 10 miliardi, cui si aggiungeranno quelli dell'aumento del costo dei carburanti. Un'altra misura, insomma, che andrà a gravare sulle famiglie. Dal 1° gennaio 2012 l'imposta di fabbricazione sulla benzina salirà a 704,20 euro per mille litri, mentre quella del diesel a 593,20 euro per mille litri. C'è già chi ha calcolato che con l'effetto moltiplicatore dell'Iva l'impatto sui prezzi al consumo sarà di quasi 10 centesimi per la verde e di 13,6 centesimi per il gasolio. Per cercare di dare un senso di equità ecco allore l'imposta erariale annuale sugli aeromobili privati, che induce a domandarsi quanti nel nostro paese possono permettersi aerei. Monti ha detto che la manovra «salva l'Italia», ma non è così: il provvedimento del governo catto-bancario salva la banche, risparmia i pochi ricchi e falcidia tutti gli altri. Se Monti voleva dimostrare di essere un paladino dell'equità, come premier ha già fallito. Se invece doveva dimostrare di essere un mero funzionario dell'Ue che ci ha commissariato, allora ha già dato prova di grande professionalità e affidabilità.
di Emiliano Biaggio
Stretta sulle pensioni, stangata sulle case, aumento delle tasse. Eccola, la manovra lacrime e sangue di Mario Monti che impone sacrifici per tutti e segna in maniera indelebile il futuro delle prossime generazioni. Se equità doveva essere, così non è stato. Il governo dei tecnici ha infatti deciso di adottare misure che colpiscono tutti: l'equità è forse racchiusa in questo principio di uguaglianza. Della patrimoniale, appena un accenno: decretata infatti un'imposta "una tantum" dell’1,5% sui capitali rientrati grazie allo scudo fiscale. Torna l'Ici sulla prima casa, che si chiamerà Imu e scatterà dall'1 gennaio 2012, includendo anche l'Irpef sui redditi fondiari. La tassa non sarà progressiva: non si applica, in sostanza, il principio per cui chi ha di più paga di più. Modifiche epocali sul fronte previdenziali: spariscono le pensioni calcolate con il sistema retributivo, per far posto a pensioni calcolate unicamente con il sistema contributivo. Il metodo retributivo, che si applica a quanti che al 31 dicembre 1995 hanno maturato almeno 18 anni di contributi versati, calcola l'importa della pensione con la formula "base pensionabile X numero di anni di contributi versati X Aliquota". Le pensioni contributive, invece, tengono conto dell’andamento del Pil. Con questo sistema l'aliquota contributiva di riferimento per calcolare i contributi da accreditare corrisponde al 33 % della retribuzione percepita. In pratica, con la manovra di Monti, gli assegni dipenderanno dal livello dei versamenti accantonati e non dal livello delle retribuzioni degli ultimi anni di lavoro. Quanto all'età pensionabile, è la fine del sistema delle quote, che spariscono definitivamente. La pensione di anzianità resta solo in questi due casi: 41 anni e un mese di contributi per le donne, 42 anni e un mese per gli uomini. Di fatto, viene incamerata nell'anzianità la finestra mobile. Per le pensioni di vecchiaia, cioè tutte le altre, accelera il percorso della parificazione fra donne e uomini. L'età sale a 62 anni già dal 2012 per le lavoratrici del privato. Per gli uomini, l'età minima sempre dal 2012 è 66 anni. Dall’anno prossimo poi saranno abolite le cosiddette finestre mobili. In sostanza, nel 2022 ci vorranno 67 anni per andare in pensione. Misure dure, ma si sapeva che Monti avrebbe avuto il compito di realizzare questo piano di macelleria sociale, redatto dal suo predecessore nella famosa lettera. La manovra da 30 miliardi ha nel capito Ici ricavi stimati per 10 miliardi, cui si aggiungeranno quelli dell'aumento del costo dei carburanti. Un'altra misura, insomma, che andrà a gravare sulle famiglie. Dal 1° gennaio 2012 l'imposta di fabbricazione sulla benzina salirà a 704,20 euro per mille litri, mentre quella del diesel a 593,20 euro per mille litri. C'è già chi ha calcolato che con l'effetto moltiplicatore dell'Iva l'impatto sui prezzi al consumo sarà di quasi 10 centesimi per la verde e di 13,6 centesimi per il gasolio. Per cercare di dare un senso di equità ecco allore l'imposta erariale annuale sugli aeromobili privati, che induce a domandarsi quanti nel nostro paese possono permettersi aerei. Monti ha detto che la manovra «salva l'Italia», ma non è così: il provvedimento del governo catto-bancario salva la banche, risparmia i pochi ricchi e falcidia tutti gli altri. Se Monti voleva dimostrare di essere un paladino dell'equità, come premier ha già fallito. Se invece doveva dimostrare di essere un mero funzionario dell'Ue che ci ha commissariato, allora ha già dato prova di grande professionalità e affidabilità.
Tuesday, 6 December 2011
Curioso fuoriprogramma in occasione di Lazie-Novara. L'aquila Olimpia, che abitualmente compie un volo per lo stadio prima dell'inizio dei match casalinghi dei bianco-celesti, è "scappata" e non è tornata nella sua postazione al termine della sua svolazzata, come invece abitualmente fa. Qualcuno però l'ha prontamente recuperata, come si vede nella foto. I laziali stiano tranquilli, Olimpia non è andata persa.
A Vienna la prima scuola di sesso
E' la Aisos school, istituto europeo che propone corsi pratici.
di Marzio Di Mezza
I primi a riportare la notizia sarebbero stati quelli del Daily Mail. E in poche ore della Aisos School se n'è parlato in tutte le lingue del pianeta. Aisos, come spiega l'ideatrice dell'iniziativa sul sito ufficiale dell'istituto, «è la prima scuola europea orientata verso lo sviluppo di competenze e tecniche sessuali». Cioè una scuola di sesso. Ylva Maria Thompson, che dell'Aisos School ne è anche la direttrice, ci tiene a specificare: «Al contrario di molte scuole che hanno a che fare con la sessualità, l'educazione di base Aisos non è teorico, ma molto pratico». Più pratica che teoria, dunque, al fine di imparare l'arte di dare e ricevere piacere sessuale. Le iscrizioni si sono aperte una settimana fa ed è stato subito boom di iscrizioni, con alcune richieste, sembra, provenienti anche dall'Italia. I corsi sono a numero chiuso, per un massimo di venti iscritti. Per partecipare bisogna aver compiuto il sedicesimo anno di età e il primo appuntamento in aula è fissato per il 9 gennaio 2012 in un palazzo viennese del 18esimo secolo, completamente ristrutturato. Nelle 200 ore di lezione sono previste dieci settimane di Tecniche sessuali, otto settimane di Massaggi sessuali e poi anche uno studio sulla storia del Sesso per quattro settimane a cominciare dal 5 marzo.
Sul sito è scaricabile anche il modulo di registrazione. Per quanto riguarda i costi, è tutto spiegato nelle pagine della Aisos: per un semestre 1,400 €. «Ciò fornisce un letto in camera doppia, tre pasti al giorno dal lunedi al venerdì». Ulteriori 500 € per la sistemazione in camera singola. Mentre i pacchetti week-end costano 250 € e comprendono due notti in camera doppia con colazione e due pasti al giorno in una taverna vicina. Insomma, se proprio si vuole trascorrere un week end diverso...
(fonte: agenzia fuoritutto)
di Marzio Di Mezza
I primi a riportare la notizia sarebbero stati quelli del Daily Mail. E in poche ore della Aisos School se n'è parlato in tutte le lingue del pianeta. Aisos, come spiega l'ideatrice dell'iniziativa sul sito ufficiale dell'istituto, «è la prima scuola europea orientata verso lo sviluppo di competenze e tecniche sessuali». Cioè una scuola di sesso. Ylva Maria Thompson, che dell'Aisos School ne è anche la direttrice, ci tiene a specificare: «Al contrario di molte scuole che hanno a che fare con la sessualità, l'educazione di base Aisos non è teorico, ma molto pratico». Più pratica che teoria, dunque, al fine di imparare l'arte di dare e ricevere piacere sessuale. Le iscrizioni si sono aperte una settimana fa ed è stato subito boom di iscrizioni, con alcune richieste, sembra, provenienti anche dall'Italia. I corsi sono a numero chiuso, per un massimo di venti iscritti. Per partecipare bisogna aver compiuto il sedicesimo anno di età e il primo appuntamento in aula è fissato per il 9 gennaio 2012 in un palazzo viennese del 18esimo secolo, completamente ristrutturato. Nelle 200 ore di lezione sono previste dieci settimane di Tecniche sessuali, otto settimane di Massaggi sessuali e poi anche uno studio sulla storia del Sesso per quattro settimane a cominciare dal 5 marzo.
Sul sito è scaricabile anche il modulo di registrazione. Per quanto riguarda i costi, è tutto spiegato nelle pagine della Aisos: per un semestre 1,400 €. «Ciò fornisce un letto in camera doppia, tre pasti al giorno dal lunedi al venerdì». Ulteriori 500 € per la sistemazione in camera singola. Mentre i pacchetti week-end costano 250 € e comprendono due notti in camera doppia con colazione e due pasti al giorno in una taverna vicina. Insomma, se proprio si vuole trascorrere un week end diverso...
(fonte: agenzia fuoritutto)
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