Wednesday, 30 December 2009

Sull'attenti. Compagnia, at-tenti!

Le manifestazioni dell'opposizione sono una «nauseante mascherata» e «la stampa estera fa parte del complotto» contro il governo. Chi lo dice? Verrebbe da dire Berlusconi, invece sono - nell'ordine - Ahmadinejd e i pasdaran, rispettivamente presidente dell'Iran e i guardiani della rivoluzione della repubblica islamica. Un paese, questo, che mette sotto cotrollo i mezzi d'informazione, soprattutto internet. Esattamente come vorrebbero fare in Italia, e non è escluso che possa essere fatto di qui a breve. Le analogie con il paese degli ayatollah non sono poche, e soprattutto non sono di poco conto. Se poi si aggiunge che si vuole rimettere mano alla Costituzione, appare inquietante ma non del tutto fuori luogo la vignetta qui sopra. Forse, ancor più inquietante, è l'immagine che viene offerta della e dalla opposizione. (fonte vignetta. Il Corriere della Sera del 29 dicembre 2009)

Tuesday, 29 December 2009

L'ombra delle trivelle sulle acque norvegesi

Le estrazioni petrolifere off-shore nell'arcipelago di Lofoten e Vesteralen dividono il Paese. MA adesso il governo è chiamato a dover prendere una decisione. Tra spinte di conservazione paesaggistica ed interessi economici. Guardando alla vicina Russia.

di Alberto Fiorillo

Petrolio o paesaggio? La scelta di una delle due risposte determinerà il futuro dell'arcipelago norvegese delle Lofoten e Vesteralen, un paradiso naturalistico dove il riconfermato governo laburista di Oslo vorrebbe avviare nuove trivellazioni petrolifere per sfruttare i giacimenti al largo delle loro coste. La questione divide la Norvegia da molto tempo. Il primo ministro Jens Stoltenberg ha rimandato per il momento ogni decisione sullo sfruttamento del petrolio delle Lofoten, ma il governo sta subendo fortissime pressioni della lobby petrolifera che ha già completato la fase preliminare delle ricerche (con studi sismici e geologici) propedeutica alle trivellazioni esplorative. I tre partiti di sinistra che formano la coalizione di governo in Norvegia (Partito laburista, sinistra socialista e partito di centro) nella loro piattaforma comune prevedono di non aprire le Lofoten e le Vesteralen allo sfruttamento petrolifero, confermando la decisione presa nel 2006. Però ora si trovano di fronte alla decisione se autorizzare o meno l'avvio della Valutazione di impatto ambientale (Via) e sembrano intenzionati a dare via libera. Secondo la Total, molto attiva nei mari norvegesi, bisogna rimpiazzare al più presto gli attuali giacimenti off-shore: il picco di produzione è stato ormai superato e i giacimenti si stanno riducendo, occorre quindi puntare alle isole del grande nord per garantire la continuità dell'industria petrolifera norvegese e dei posti di lavoro nel settore. Helge Lund, amministratore della Statoil, compagnia petrolifera della quale lo Stato detiene i due terzi delle azioni, calcola che le entrate potenziali che potrebbero venire dal petrolio della Lafoten siano di almeno 180 miliardi di euro. L'Olf, la Confindustria del petrolio norvegese, promette dal canto suo «duemila nuovi posti di lavoro senza il minimo danno all'ambiente o alla pesca». I petrolieri sono sostenuti dalla destra populista del Partito del Progresso (il secondo partito della Norvegia) che minimizza ogni rischio ambientale. Sul giornale Novethic un deputato della destra, Pal Arne Davidsen, spiega che «ci sono voluti circa 25 anni tra la scoperta del giacimento di Sno Hvit e l'inizio del suo sfruttamento. I progressi tecnologici saranno tali che si potranno sicuramente ridurre al minimo i rischi».
L'altro argomento forte dei petrolieri è lo sfruttamento futuro dell'enorme giacimento russo di Stockhman, attualmente in fase di sviluppo, che comporterà un forte aumento del traffico marittimo al largo delle coste norvegesi. Un'azione che forzerà in ogni modo le autorità norvegesi a sviluppare delle tecnologie e dei servizi di soccorso in caso di maree nere. Forti della vicinanza con un potenziale inquinamento prodotto dalla Russia i favorevoli all'apertura di nuovi pozzi off-shore spingono sull'acceleratore, mentre per gli ambientalisti norvegesi si tratta di un'aggressione a quello che in patria è considerato un santuario della natura. Le acque delle Lofoten ospitano l'ultimo grande stock di merluzzo del pianeta e soprattutto le sue aree riproduttive. Inoltre le Lofoten hanno una fiorente industria turistica che potrebbe essere compromessa dalle trivellazioni o, peggio, da incidenti e maree nere.

Monday, 28 December 2009

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Scompare il nome del blog, ma non chi cura queste pagine. Almeno per ora. Una risposta - polemica - a quanti minacciano di voler mettere bavagli alla rete, piccoli o grandi che siano. Al posto di Emiliano Biaggio nessuna lettera, perchè il dibattito di questi giorni lascia senza parole e solo con diverse e serie preoccupazioni. In testa a queste pagine tre punti, tre linee, tre punti: chiedete a un telegrafista cosa significa, e già che ci siamo, vediamo se c'è qualcuno che si preoccupa delle sorti di questo paese. In alternativa, lanciamo bottiglie contenenti messaggi.
Nonostante il dietro-front del governo, questo blog continua a mantenere tre punti-tre linee- tre punti, perchè comunque permane il dubbio di una "mini-censura" a venire e perchè al di là di tutto resta la gravità del voler mettere mano alla rete. Si inizia rimettendo in discussione, si finisce con il ridefinire. Finchè si vorrà ridiscutere la democrazia e le sue regole, ci sarà di che preoccuparsi. E di che chiedere aiuto.

Emiliano Biaggio

Internet, niente censura. All'orizzonte solo un bavaglio più piccolo.

Maroni fa marcia indietro, e chiede una «autoregolamentazione» per «rimuovere contenuti che integrino gravi reati». E' in arrivo una "censurina"?

di Emiliano Biaggio

Alla fine il Governo su internet fa retromarcia. All'indomani dell'aggressione di Berlusconi il ministro dell'Interno Roberto Maroni aveva annunciato un decreto per chiudere tutti quei siti e quelle pagine di sociaò network che inneggiavano all'odio. Il ministro leghista però fa marcia indietro. Due volte. Prima Maroni fa sapere che «non ho obiezioni a che si proceda con un disegno di legge, e non con un decreto, per consentire al Parlamento di discutere una materia così delicata», fermo restando che serve «una norma che consenta alla magistratura di rimuovere dal web le pagine in cui la magistratura stessa, e non il governo, ravvisi un reato, ad esempio di apologia o di istigazione». Insomma, a intervenire sulla rete non sarebbe il governo ma la magistratura. Un passo avanti, peccato che la magistratura sia nel mirino dell'esecutivo. Ad ogni modo, il ministro fa un ulteriore mossa all' indietro: non ci sarà un disegno di legge per prevenire la commissione di reati gravi su internet ma si procederà alla realizzazione di un codice di autoregolamentazione tra tutti i soggetti coinvolti. Al termine dell'incontro con i gestori delle reti internet e i rappresentanti dei social network, Maroni fa infatti sapere che «ci siamo impegnati ad elaborare delle proposte e a costituire un tavolo con tutti i soggetti che sono intervenuti, che sarà riconvocato a metà gennaio, per discutere le nostre proposte e valutare la possibilità di trovare una soluzione e cioè un codice di autoregolamentazione piuttosto che una norma di legge». Se alla fine si raggiungerà un'intesa, si tratterà - precisa Maroni - di «un grande accordo di responsabilità fra tutti gli operatori, e sarebbe il primo caso al mondo» di una sorta di compromesso tra la necessità di tutelare «la libertà di espressione del pensiero e quella di rimuovere contenuti che integrino gravi reati». Ben vengano i passi indietro del governo, ora resta da vedere cosa porteranno l'anno nuovo e la Befana. Ma resta il dubbio sul significato di queste sibilline parole: «rimuovere contenuti che integrino gravi reati», «rimuovere contenuti». Non è comunque censura? C'è il rischio che alla fine un bavaglio alla rete si metta lo stesso? C'è, eccome se c'è. Anche se vogliono farci credere di no. Staremo a vedere, ma le libertà e i diritti si negano piano piano, a meno di colpi di stato. Attenzione.

Thursday, 24 December 2009

Com'è il rancio? La Russa: «Non lo so, ma di certo è buono»

Sappiamo dove sono e quanto rischiano i nostri militari, ma non come mangiano.

«Soldato, com'è il rancio?». «Ottimo, comandante». Ma è proprio cosi? Chissà se la risposta del ministro della Difesa risponde in maniera esauriente alla curiosità dei leghisti Carolina Lussana e Marco Reguzzoni, che in particolare vogliono conoscere provenienza, qualità e modalità di conservazione della carne somministrata alle Forze armate. La Russa pone una premessa, partendo dal sistema di "outsourcing" che, spiega, «equivale all’affidamento a un fornitore esterno dell’attività svolta dalla società committente». Ciò consente «la terzializzazione di attività no-core e una ottimizzazione nel rapporto costo-efficacia dei servizi». Ma tutto ciò, ammette lo stesso La Russa, porta ad una «parziale perdita di controllo delle attività terzializzate», ed è per questo che «è importante affidarsi a partners qualificati». Ne consegue che «in ragione di tali considerazioni non è possibile dare una risposta dettagliata ed esaustiva come richiesto». Ma, assicura il ministro, «è possibile dare ampia assicurazione sul raggiungimento della cosiddetta "costumer satisfaction", ossia piena soddisfazione del cliente relativamente alla fruizione del servizio che, in questo caso, si traduce nella piena rispondenza delle forniture di tale tipo di genere alimentare alle esigenze delle Forze Armate». La Russa aggiunge poi che il servizio di vettovagliamento è ormai appaltato all'esterno a ditte del libero mercato, le quali – puntualizza - «devono essere in possesso di certificazione International organization for standardization e si obbligano alla rispetto della normativa igienico-sanitaria comunitaria per le produzioni alimentari di origine animale» e inoltre devono attenersi a precise tecniche nel processo di preparazione dei pasti.

Wednesday, 23 December 2009

Cinepanettoni "d'autore", l'Italia cancella il cinema

Neri Parenti messo sullo stesso piano di Griffith, Fellini e Lynch. Col beneplacito tutto "made in Italy" del mercato e della non-cultura.

di Emiliano Biaggio

Cinema d'essai, in lingua anglosassone "art cinema", filone artistico che produce pellicole non commericiali e film d'autore, frutto della produzione indipendente e per un pubblico ristretto. L'esatto contrario, insomma, per dei film per il grande pubblico: queste utlime pellicole puntano infatti sulla quantità e sul record d'incassi ai botteghini, mentre il cinema d'essai guarda alla qualità del prodotto. Questo, almeno, in Italia era vero fino ieri. I parametri definiti dall'allora ministro alla Cultura Giuliano Urbani (II governo Berlusconi), fanno di pellicole quali Natale a Beverly Hills film d'essai. Una contraddizione in termini, e - se la concezione di cinema d'essai resta valida - una vera e propria negazione del film d'autore. La morte del film di qualità, per intenderci. Un negazionismo storico, perchè se adesso si considera d'essai un film "di massa" e di bassa qualità, allora si rimettono in discussione interpreti del cinema e della storia del cinema quali Griffith (The birth of a nation e Intolerance), Eisenstein (battleship Potemkin e Alexander Nevskij). Ma d'essai è anche il cinema di Toshiro Mifune, Michelangelo Antognoni e Stanley Kubrick: film di un certo tipo per spettatori di un certo livello, insomma. Ben altra cosa, quindi, rispetto alla tipologia di spettatore cui si rivolge Natale a Beverly hills. Ora, va detto che negli Stati Uniti il termine è stato usato dapprima per definire tutti i film stranieri, in particolar modo i "B-movie" di Italia e Francia, quindi - a partire dagli anni Settanta - quelli europei sessualmente espliciti. Da questo punto di vista, allora, nessun problema: i cinepanettoni sono "di serie B" e sessualmente espliciti, per cui dal punto di vista più strettamente hollywodiano - e quindi più cinematografico - tutto torna. Resta tuttavia un dubbio: anche se - a detta di qualcuno - si possono fregiare del titolo di "d'essai", possono essere chiamati film? In fin dei conti, i criteri Urbani non premiano la qualità del prodotto, quanto la sua 'domanda' e la casa di produzione che genera business. Anche stavolta, insomma, vince la logica del capitale e l'arte - quand'anche ci sia - resta solo un mero valore aggiunto decorativo. Ne consegue che sul grande schermo italiano passano innanzitutto prodotti da vendere: sì, nel nostro paese il cinema è morto. Il 25 dicembre ricorre l'anniversario della morte di Chaplin: quale occasione migliore per riscoprire l'arte?

Tuesday, 22 December 2009

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Scompare il nome del blog, ma non chi cura queste pagine. Almeno per ora. Una risposta - polemica - a quanti minacciano di voler mettere bavagli alla rete, piccoli o grandi che siano. Al posto di Emiliano Biaggio nessuna lettera, perchè il dibattito di questi giorni lascia senza parole e solo con diverse e serie preoccupazioni. In testa a queste pagine tre punti, tre linee, tre punti: chiedete a un telegrafista cosa significa, e già che ci siamo, vediamo se c'è qualcuno che si preoccupa delle sorti di questo paese. In alternativa, lanciamo bottiglie contenenti messaggi.

Emiliano Biaggio

Saturday, 19 December 2009

Video choc, aggressione a Berlusconi è una montatura



L'aggressione a Berlusconi è avvenuta davvero oppure è stata tutta una montatura studiata a tavolino? Questo video sembra propendere per la seconda ipotesi. In fin dei conti di cose che "non tornano" ce ne sono: quando si rompono due denti il dolore è lancinante e tale da stordire una persona; se poi si aggiungono gli effetti derivanti da frattura al naso, non ci si regge in piedi. Berlusconi invece si è alzato per tornare a salutare la folla. E poi, come mai la scorta non è partita subito? Perchè non hanno condotto subito il presidente del Consiglio all'ospedale se davvero le sue condizioni erano quelle diffuse dai bollettini medici? Da un punto di vista mediatico non c'è dubbio che l'aggressione abbia "bucato" lo schermo e non solo. E anche dal punto di vista politico è servito da pretesto... Pardon, da motivo, per chiedere di mettere mano (e bavaglio) alla rete. Dietrologia, anti-berlusconismo o inquietante realtà? Guardare il video e riflettere.

Friday, 18 December 2009

Brasile e Cina: «Ci siamo anche noi. E non ci fermerete»

Lula e Jiabao a Copenhagen per parlare di clima avvertono il mondo: «vogliamo anche noi la possibilità di diventare ricchi».

di Emiliano Biaggio

«Non veniamo qui in ginocchio, e non abbiamo bisogno di denaro per risolvere i nostri problemi. Qui a Copenhagen la questione non è solo quella del denaro, si tratta di dare a tutti i paesi in via di sviluppo le opportunità di poter vivere come gli altri paesi industrializzati». Anche perchè, «adesso che abbiamo iniziato a crescere, non vogliamo tornare al passato». Interviene all'assemblea plenaria del vertice mondiale sul clima Luis Ignacio Lula da Silva, ma non parla prettamente di clima. Il messaggio che lancia dal Bella Center di Copenhagen il presidente del Brasile, suona più come pro-memoria per il tempo a venire e per le trattative future. Lula si dice «frustrato» per tutti i colloqui «non così utili» avuti nella capitale danese, e fa capire di non gradire il comportamento degli altri Paesi, specie quelli degli Stati più industrializzati. Questi ultimi promettono aiuti ai Pesi in via di sviluppo per 100 miliardi di dollari, anche se non dicono come e quando intendono erogarli. Ma il presidente del Brasile non si limita a riflettere sul presente, e vuole mettere le cose in chiaro anche e soprattutto per il futuro. «Bisogna fare attenzione», bisogna scongiurare la possibilità che «questi interventi nei paesi in via di sviluppo diventino troppo invasivi». Il presidente del Brasile si riferisce anche al denaro, ai 100 miliardi di dollari promessi ai paesi in via di sviluppo per poter mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici. «C'è bisogno di trasparenza per capire dove questi fondi verrano posizionati», ammonisce. Ma Lula tiene a sottolineare che non si tratta solo di una questione di soldi, perchè «il denaro non ha risolto niente nel passato e non lo farà neanche in futuro. Ciò che vogliamo è la possibilità di lavorare tutti insieme». Fuor di parafrasi il messaggio del leader brasiliano è questo: i paesi meno ricchi non sono in vendita, e devono essere considerati come tutti gli altri. Non devono essere esclusi, ma inclusi, perchè nell'era della globalizzazione bisogna ragionare in termini globali. «Non c'è da discutere solo un accordo tra paesi, ma un qualcosa di più serio», sottolinea Lula. Chi approfitta del palcoscenico mondiale di Copenhagen per tracciare la politica del "di qui in avanti", è la Cina, che con il premier Wen Jiabao ricorda «l'importanza della riduzione delle emissioni di CO2 e degli aiuti da dare ai paesi poveri per farli uscire dalla loro condizione di povertà», una piaga che «affligge soprattutto i paesi in via di sviluppo». E la Cina rientra proprio in questa categoria di Stati. Anche dal governo di Pechino arriva dunque lo stesso messaggio di Lula: stiamo attraversando la nostra crescita e non vogliamo rinunciarvi, perchè anche noi abbiamo gli stessi diritti ad essere ricchi, proprio come i paesi ricchi. Cina e Brasile sono seriamente intenzionati ad andare dritti per le rispettive strade: una sfida per gli equilibri geopolitici.

«I didn't get why they were so happy»

Last days of communism in Czechoslovakia seen by a child's eyes. «Students and intelectuals explainded us what it was goin' on»

Texts and article by Emiliano Biaggio

«I was only nine year old. For a child of my age, it was not an easy task to get closer to the truth». November 1989 represents for everyone a symbolic moment, a really short bur really strong period which has changed the history. And it's so still today, twenty years later, for those who know what we are talking about. Petr, 29 years old, blonde hair and sky-coloured eyes, today knows about november 1989, but at that time he coul not. Because he was too young, and above all very far from both Berlin and Prague. In 1989 "his" Czech republic was still Czechoslovakia, and there the falling of communism arrived the 17th of november, 12 days after the break at the german Kruscev's wall. «I remember that living in a small town, it was very difficult even for adults to get any piece of news about what was going on in Prague or abroad. Not counting the oficial propaganda in state owned tv or newspaper: We heard about some criminal striving to destabilize our paradise on Earth and even perhaps destroy socialism». Socialism, falling of Berlin wall, velvet revolution: for a so young witness of history too much words, too much concepts, and each of them not easy to be comprehended. And that's true especially when also your parents are looking for some explanation to give. «I must admit that in our family we were eager to break the cloud around the events in Prague. The leaders of the opposition movement (students and intelectuals) were travelling around the country talking to people on the streets and in the factories, trying to explain them, what they were doing. And they gained the support». So, in Czechoslovakia it was the change of people, began from the people and transmitted to the people. In Vsetin, small town at overt 300 kilometres from Prague where Petr spent his childhood and where he still today comes to visit his relativs, Czechs answered the calling. «There were some marches and manifestations. I guess it was the beginning of december». December. In Berlin the wall had been smashed down since one month, and soviet system was over. It happended also in Czechoslovakia, where «the new free elections were proposed for 1990», remembers Petr, who still has impressed in his mind the joy of people in those days. «I remember the splendid atmosphere of hope and happiness, solidarity and optimism, that was just omnipresent». What about today? What remains of that atmosphere? «Sincerely, I am totally fed up with the propaganda of nowadays media, and I wont certainly attend any of the official program during these days». Petr doesn't talk about the present, and we undestrand something is wrong. Maybe hopes have been disappointed, or maybe he does not remember the past and cannot make a comparison between what was and what is. But now he's older, he can see the embarassment of his people. «Today seems like, some people are still trying to cover up their old conformity and cowardness by kicking the old communists. And I dont want to be part of this spectacle».

Thursday, 17 December 2009

«Non capivo perchè erano tanto felici»

La caduta del comunismo vista dagli occhi di un bambino: «erano gli intellettuali che spiegavano cosa succedeva».

Testi raccolti da Emiliano Biaggio

«Avevo nove anni. Per un bambino della mia età non era facile capire cosa stesse realmente accadendo». Per tutti il novembre 1989 rappresenta un momento simbolo, un brevissimo ma intenso periodo che ha cambiato la storia. E lo è ancora oggi, a distanza di vent'anni, per chi sa di cosa stiamo parlando. Petr, 29 anni, capelli biondi e occhi azzurro cieli, oggi lo sa, ma allora non poteva. Perchè era piccolo, ma soprattutto distante da Berlino. E anche da Praga. Nel 1989 la sua Repubblica Ceca era ancora Cecoslovacchia, e lì la caduta del regime comunista arrivò il 17 novembre, 12 giorni dopo l'abbattimento del muro voluto da Kruscev. «Ricordo che, vivendo in un piccolo paese, era molto difficile anche per gli adulti avere una qualche notizia di cosa stava accadendo a Praga e all'estero. Per non parlare poi della propaganda sui giornali e in tv: sentivamo dire che dei criminali stavano cercando di destabilizzare il nostro paradiso in Terra, e che volevano addirittura abolire il socialismo». Socialismo, caduta del muro di Berlino, rivoluzione di velluto: per un testimone della storia così giovane, tante espressioni e concetti tutti insieme, e ognuno non facile da affrontare comprendere. Soprattutto se anche i tuoi genitori, da cui vorresti risposte, sono alla ricerca di spiegazioni da dare. «Devo ammettere che nella mia famiglia eravamo impazienti di rompere quella cortina che avvolgeva gli eventi di Praga. Furono i leader del movimento di opposizione - studenti e intellettuali per lo più - che, viaggiando per il Paese e parlando con la gente per le strade e nelle fabbriche, cercavano di spiegare cosa stava accandendo. E in questo modo ottennero sostegno». In Cecoslovacchia, dunque, fu il cambiamento della gente, iniziato dalle persone e trasmesso alle persone. A Vsetin, paese a più di 300 chilometri da Praga dove Petr viveva quando era bambino e dove ancora oggi a far visita ai parenti, i cechi risposero alla chiamata. «Ricordo cortei e manifestazioni. Credo fossero gli inizi di dicembre». Dicembre. A Berlino il muro era stato buttato giù praticamente da un mese, e il sistema sovietico era già stato rimosso. Infatti in Cecoslovacchia «furono indette libere elezioni per il 1990», ricorda oggi Petr, che da bambino qual era allora ha ancora impresso la gioia collettiva di quei giorni. «Ricordo un'atmosfera splendida. C'erano felicità, solidarietà, ottimismo, speranza». E oggi che ne è di quell'atmosfera? «Per quanto mi riguarda sono stufo dei messaggi di oggi, di quello che scrivono e dicono i mezzi d'informazione. E non ho partecipato ad alcun evento di commemorazione». Petr non parla del suo presente, ma si intuisce che qualcosa non va. Forse le aspettative nutrite sono state disattese, o forse perchè non ricordano bene il passato che non c'è più non sarebbe in grado di fare un confronto. Chissà. Ma adesso che è adulto, si accorge dell'imbarazzo che prova il suo popolo. «Oggi sembra che ci sia chi cerca di nascondere il vecchi conformismo e la mancanza di coraggio nell'affrontare il regime comunista».

Wednesday, 16 December 2009

Cop15, e Prestigiacomo disse: «Dove si entra?»

Il ministro dell'Ambiente italiano impiega due ore solo per individuare l'ingresso del palazzo che ospita il vertice sul clima.

di Emiliano Biaggio.

Stefania Prestigiacomo è un ministro, quello dell'Ambiente per l'esattezza. Un dettaglio non irrilevante per chi, per il ruolo che ha, è chiamato a discutere di temi quali clima, natura e ambiente. Soprattutto se di tutto ciò si discute - o almeno si tenta di farlo - in sede internazionale, nell'ambito di una conferenza mondiale sul clima. Che poi è il vertice in corso a Copenhagen. In corso per tutti, non per Prestigiacomo, che si "perde" per le vie della capitale danese, e impiega due ore per trovare l'ingresso della sede che ospita il summit. No, non è una barzelletta, per quanti ci siano un francese, un inglese e un italiano. O meglio, l'italiano c'era ma stava da tutt'altra parte. A sentire quanto riportato da alcuni organi di informazione, Prestigiacomo sarebbe rimasta bloccata per oltre un'ora all'ingresso del "Bella Center", la sede del vertice Onu sul clima. Questo dopo aver girato in auto per trovare un varco, ma non si capisce per quale motivo, una volta all'ingresso, non abbia varcato la soglia. Per il presidente dei Verdi, Angelo Bonelli, «il fatto che il ministro dell'Ambiente Stefania Prestigiacomo si sia persa tra la folla e non abbia trovato l'ingresso della Cop15, è il segnale di un ministro che non sa cosa sia venuta a fare al vertice». per carità, «nessuna mancanza di rispetto nei confronti di Prestigiacomo», si affretta a spiegare Bonelli. Piuttosto, puntualizza, si tratta di una «semplice constatazione del fatto che il ministro dell'Ambiente italiano sembra essere venuto a Copenhagen più per una passeggiata che per altro». Ironia facile, quella del presidente dei Verdi, del quale i maligni potrebbero dire che se Prestigiacomo si è dimenticata di entrare nella sede del vertice, del Sole che ride si sono dimenticati un pò tutti. Ma su una cosa Bonelli ha ragione: l'immagine offerta da Prestigiacomo «è il segnale di come il nostro paese sia ormai diventato il fanalino di coda per la lotta ai cambiamenti climatici». Gli altri, almeno, ci sono. Per non decidere nulla, a quanto sembra. Ma noi, non sappiamo neanche come si fa ad arrivarci. Può Copenhagen portare a qualcosa?

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Scompare il nome del blog, ma non chi cura queste pagine. Almeno per ora. Una risposta - polemica - a quanti minacciano di voler mettere bavagli alla rete, piccoli o grandi che siano. Al posto di Emiliano Biaggio nessuna lettera, perchè il dibattito di questi giorni lascia senza parole e solo con diverse e serie preoccupazioni. In testa a queste pagine tre punti, tre linee, tre punti: chiedete a un telegrafista cosa significa, e già che ci siamo, vediamo se c'è qualcuno che si preoccupa delle sorti di questo paese. In alternativa, lanciamo bottiglie contenenti messaggi.

Emiliano

Tuesday, 15 December 2009

Quando a essere aggredita è la democrazia

Aggredito il presidente del Consiglio, nel mirino finiscono tv, internet, sindacati e partiti di opposizione.
L'e-dittoreale

Berlusconi aggredito a Milano da Massimo Tartaglia, uomo affetto da disturbi psichici che ha colpito al volto il premier con un souvenir. Conseguenze del gesto, dicono le fonti mediche, due denti rotti, frattura del setto nasale e lesione del labbro. Ma a risentirne non è solo il presidente del Consiglio, come testimoniano le reazioni scatenate da quanto accaduto. Prim'ancora dell'aggressione a Milano si erano alzati fischi, «una cosa che non si può accettare» a detta del ministro dell'Istruzione, Mariastella Gelmini. A un giornalista che le chiede se non si possono più accettare le contestazioni, Gelmini risponde «si, penso che serva un disegno di legge che sanzioni in maniera decisa certi comportamenti». Il ministro dell'Istruzione, di fatto non fa che dire che il dissenso non è permesso. Come se non bastasse, il ministro dell'Interno urla con forza che «bisogna chiudere i siti più volenti». Si mette mano alla rete, insomma, oscurando siti e blog come in Cina e Iran, tanto per fare un esempio. Paesi, quelli citati, non proprio emblema di democrazia e contestati in fatto di rispetto di diritti umani. Ma del resto, avverte Maroni, «sui social network sono subito apparsi più di 300 gruppi inneggianti a Tartaglia con titoli espliciti e violenti. Su You tube sono apparsi video dell'aggressione al Presidente del consiglio con appelli alla violenza». Youtube e social network (il più famoso - e usato - dei quali è Facebook, su cui sono apparsi gruppi pro-Tartaglia), veri e propri canali telematici "di massa": se si oscurano questi canali si assesta un duro colpo alla democrazia e a tutti i principi ad essa collegata, non bisogna nasconderselo. Per questo le ultime dichiarazioni non devono passare inosservate, perchè contengono in sè il rischio della deriva anti-democratica e il germe della dittautura. Come se non bastasse, il capogruppo del Pdl alla Camera Fabrizio Cicchitto, nell'aula di Montecitorio sostiene la tesi secono cui la campagna di odio contro Berlusconi «è condotta dal network Repubblica-L'Espresso, da Il Fatto, dalla trasmissione di Santoro Annozero e da un terrorista mediatico di nome Travaglio». Per il deputato del Pdl «l'Italia dei valori, attraverso il suo leader di Pietro, sta evocando la violenza» insieme a «qualche settore giustizialista del Pd». Come se non bastasse, Cicchitto denuncia «l'allarmante e spesso improprio protagonismo degli organismi sindacali e istituzionali della magistratura: dall'Anm con i suoi proclami politici, al Csm con il suo continuo e strumentale ricorso alle cosiddette pratiche di tutela e ai pareri non richiesti sulle leggi in discussione in Parlamento». Attacchi a tutto campo, quindi. Si mettono in discussione partiti di opposizione, giudici, sindacati, programmi televisivi e giornalisti, e quindi libertà di stampa, libertà di espressione e libertà di opinione. Intanto Maroni annuncia che giovedì arriveranno sul tavolo del Consiglio dei ministri due proposte: una che intende inasprire le misure anti-contestazione alle manifestazioni, l'altra per valutare l'oscuramento dei siti internet «che inneggiano all'odio». Il ministro dell'Interno non si sbilancia: «Non ho intenzione di dire quali: lo dirò prima al Consiglio dei ministri, essendo misure delicate, che riguardano terreni delicati come la libertà di espressione sul web e quella di manifestazione, ancorché in luoghi pubblici». C'è poco da dire: il clima è veramente esasperato. A farne le spese non Berlusconi, ma tutto il Paese, ordinamento compreso. Come si è arrivati a questo? Come mai oggi si respira quest'aria pesante? Di Pietro, subito dopo aver stigmatizzato l'aggressione al premier ha detto parole che hanno scatenato un terremoto politico: «Io non voglio che ci si mai violenza, ma Berlusconi con i suoi comportamenti e il suo menefraghismo istiga alla violenza», ha affermato il leader dell'Idv. Diciamolo: in questi anni Berlusconi si è preoccupato dei suoi affari e dei suoi problemi più che concepire politiche realmente sociali. E ha attaccato sempre Quirinale, magistratura e opposizione. Il clima di oggi è quello che piano piano si è costruito nel tempo. Quello a cui siamo giunti è quindi un punto di arrivo, su cui anche il premier ha le sue responsabilità - forse ben consapevoli. A Satiricon diceva satirico Daniele Luttazzi: «Di questo passo, dove andremo a finire? Ci siamo già».

(Editoriale per la puntata del 18 dicembre 2009 di E' la stampa bellezza, in onda su
Radio Libera Tutti.)

Saturday, 12 December 2009

Italians



Berlusconi a Bonn ha dato spettacolo, o meglio, ha parlato e fatto parlare di sè. Proprio come nel 2003, quando sempre in sede di Unione europea (a Bonn era al congresso del Ppe, uno dei partiti dell'Ue) diede del capò all'europarlamentare Schultz. Ecco allora un video - noto e famoso - che ci ricorda come il nostro paese sia un'anomalia europea e dell'Unione euroopea. Fotogrammi per ridere, e per deridere.

Tuesday, 8 December 2009

In arrivo altri 750 milioni per le missioni all'estero. Che sono una trentina.

Dal Marocco all'India, passando per Malta, Georgia e Bahrein, ecco dove finiscono i soldi pubblici per gli impegni di pace armati.


di Emanuele Bonini - Quanto ci costano gli altri 1.000 soldati in Afghanistan? E' stato detto, finora oltre 8.300 euro l'anno pro-capite. E adesso la Finanziaria che si appresta ad essere approvata prevede 750 milioni di euro per le missioni all'estero. Che non è solo Afghanistan. Forse nessuno lo sa, o magari in molti se ne sono scordati, ma attualmente sono 33 le operazioni militari che vedono impegnati i contingenti italiani in 21 Paesi, per un totale di 9.100 militari schierati sul campo, secondo Sky Tg24. Per fare cosa? Per la stabilizzazione delle aree di crisi e "peacekeeping", vale a dire mantenimento della pace. Tre le aree dove sono numericamente più impiegati: la gran parte è stanziata in Afghanistan, in Libano e nell'area balcanica. Ma i nostri soldati, secondo documenti del ministero della Difesa, si trovano anche a Malta, Marocco, Sudan, Repubblica democratica del Congo, Cipro, India e Pakistan, Bosnia, Egitto, Emirati arabi, Bahrein e Georgia. Le fonti governative parlano di 8.730 militari impegnati "solo" in 30 operazioni in corso in "solo" 20 Paesi, ma i dati sono aggiornati ad agosto. Ad ogni modo resta indicativo il fatto di quanto si spenda nel settore militare e di come non altrettanto si faccia per le politiche sociali.

Monday, 7 December 2009

Sul web la rassegna stampa settimanale. Libera a tutti.

Su radioliberatutti.it i principali avvenimenti dei 7 giorni "in salsa agro-dolce".

di Emiliano Biaggio

I principali avvenimenti della settimana rivisti e riletti alla luce degli sviluppi dei principali temi nazionali ed internazionali. Analisi puntuale delle notizie per una rassegna stampa settimanale su web realizzata attraverso gli articoli dei principali quotidiani, riletti con sottile e graffiante ironia per vivere il mondo di tutti i giorni in allegria. E' la stampa bellezza!, programma in onda tutti i venerdi su Rlt- Radio Libera Tutti, dalle 14.30 alle 16.00. Fatti, commenti, satira e apprfondimenti in una formula nuova e originale e frizzante per scoprire e gustare la bellezza e il divertimento dell'informazione e dell'essere informati. Una clip di apertura per riepilogare e presentare i temi della settimana, un editoriale introduttivo del tema - o dei temi - da dibattere, e a seguire la "tribuna politica" e tanto altro. Con Andrea, Davide e Simone in studio, e con interventi in diretta e in sede di esperti e opinionisti, dibattiti e focus per momenti di confronto e spunti di riflessione su politica, economia, società e - naturalmente - informazione.

Saturday, 5 December 2009

Afghanistan, l'Italia invia altri 1.000 soldati

Fino a oggi la missione ci è costata più di 8.300 euro a testa ogni anno. Figuriamoci adesso.

di Emanuele Bonini

Gli Stati Uniti chiamano, l'Italia - ma non solo - risponde. Il presidente Usa Barack Obama chiede agli alleati altri soldati per l'Afghanistan, e il consiglio dei ministri dà il via libera all'invio di altri 1.000 uomini. Partiranno nel 2010, e si andranno ad aggiungere ai 2.700 già schierati. Ma chi pagherà la loro permanenza? Finora la guerra in Afghanistan ci è costata 2,4 miliardi di euro, una media di 300 milioni ogni anno, ma le stime dicono che attualmente le spese militari per il solo Afghanistan (abbiamo soldati anche in Libano) ha superato il mezzo miliardo. Ciò vuol dire che a ogni singolo italiano questa guerra costa più di 8.300 euro all'anno. Calcolare quanto costa al contribuente non è possibile, per via del fenomeno dell'evasione fiscale, ma certo è che con famiglie che nel nostro paese fanno fatica ad arrivare a fine mese, una simile voce di spesa significa andare a gravere ulteriormente sulla vita dei nuclei famigliari. Per cui un ulteriore aumento della spesa bellica rischia di diventare difficile da far digerire, e non solo al "tesoriere" Tremonti, ma anche agli elettori. Intanto però l'Italia aumenta il proprio impegno, caratterizzandosi come il paese alleato che ha messo in cantiere il più grande aumento di truppe. Il Governo, nella seduta del Cdm, ha comunque stabilito nel 2013 l'anno della fine della missione in Afghanistan: bisogna tirare la cinghia "solo" per altri tre o quattro anni. (fonte foto: Limes)

Wednesday, 2 December 2009

Obama: «altri 40.000 soldati in Afghanistan. Per vincere»

Dall'accademia militare di West Point (New York), dove Bush lanciò la guerra preventiva al terrore, il presidente Nobel per la pace rilancia la campagna avviata dal suo predecessore.

di Emanuele Bonini

Trentamila soldati da inviare entro sei mesi, «per vincere» la guerra ai talebani, al fondamentalismo islamico e, quindi, al terrorismo. Una mobilitazione rapida per una vittoria rapida, almeno secondo i calcoli. Perchè secondo i piani di Barack Obama dall'estate 2011 i soldati statunitensi inizieranno a essere smobilitati. Il tanto atteso annuncio di un aumento di truppe in Afghanistan non ha deluso le aspettative: il presidente degli Stati Uniti ha confermato le voci circolate e le notizie trapelate negli ultimi giorni, per una decisione che va a rispondere alle richieste dello stato maggiore dell'esercito, che aveva sollecitato più uomini e mezzi per contrastare la controffensiva talebana nel paese. Perciò, adesso, ai 68.000 soldati già presenti sul territorio, se ne vanno ad aggiungere altre tre decine di migliaia, portando a 100.000 il numero degli uomini del solo contingente statunitense. Con l'America in recessione, e con un conflitto costato finora più di 230 miliardi di dollari, la Casa Bianca opta per una scelta che - secondo le stime - costerà all'Erario federale tra i 15 e i 30 miliardi di dollari l'anno. Obama, nel suo discorso, ha glissato sul come conta finanziare queste nuove ulteriori spese militari. Alla nazione, e ai contribuenti ormai stanchi di una campagna durata già otto anni, ha soltanto ricordato che in Afghanistan «è in gioco la sicurezza nazionale dell'America». Un messaggio che il presidente Usa rivolge anche agli alleati. «Questo fardello- sostiene Obama- non è soltanto il nostro. Non è soltanto la guerra dell’America». Alla comunità internazionale vengono chiesti 10.000 soldati, e a quanto pare ne sarebbero stati sollecitati 2.000 alla Germania, 1.500 ciascuno a Italia e Francia e 1.000 al Regno Unito, oltre ad altre 4.000 unità che proverrebbero da altri membri della Nato. Immediate le risposte della comunità internazionale: il premier britannico, Gordon Brown, fa sapere che invierà 500 uomini, mentre il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi garantisce che l'Italia «farà la sua parte». Persino la Spagna risponde all'appello statunitense, con il governo di Madrid che annuncia l'invio di 200 soldati. Da sottolineare la semplicità nel trovare uomini e mezzi per la campagna afghana e l'immediata disponibilità dei diversi paesi a dare ognuno il proprio contributo. Cose, queste, venute clamorosamente a mancare quando, appena due settimane fa, si chiedeva di individuare risorse e strategie per combattere la fame nel mondo. Allora tutti assenti, oggi tutti pronti a spendere. In tempo di crisi, per di più. Il gioco vale la candela? Difficile dirlo, certo è che «gli attacchi aumenteranno», annunciano i talebani. Ma Obama è sicuro: «l'Afghanistan non è perduto», e soprattutto, aggiunge, «non è un altro Vietnam». Meno male, con quello che ci costa... E non solo in termini economici: dal 2001 a oggi sono caduti sul campo 1.533 soldati, 486 solo quest'anno. Per non parlare delle decine di migliaia di vittime civili: solo nei primi mesi del 2009 ne sono state conteggiate 1.013, ben il 24% in più rispetto allo stesso periodo del 2008. Ma non deve soprendere, sono i numeri propri di una guerra, e in Afghanistan si combatte. Obama dice fino al 2011. Nel frattempo tutti resteranno a guardare. Anche chi, nel sud del mondo, riuscirà a non morire di fame.

Tuesday, 1 December 2009

«Berlusconi confonde leadership con monarchia assoluta». Fini parla fuorionda e si apre il caso.

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Galeotto fu il microfono. Il presidente della Camera, Gianfranco Fini, non si accorge che la trasmittente della telecamera è in funzione e commenta gli ultimi avvenimenti politici, partendo dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Spatuzza. «Spero facciano riscontri con scrupolo... Se quello che dice è vero è una bomba atomica...». Fini si lascia andare in dichiarazioni a tutto campo, e a proposito del premier dice: «Berlusconi confonde leadership con monarchia assoluta». Subito scoppia il caso. «Fini non sa cosa sia la riconoscenza», commenta Paolo Romani, viceministro allo Sviluppo economico con delega alle comunicazioni. da parte sua un messaggio di un certo tipo. Luca Cordero di Montezemolo, ironizza: Fini?
«E' il presidente della Camera, per il momento...». C'è chi sostiene che scherzando si dicano grandi verità, e allora probabilmente il presidente della Fiat rischia di non andare lontano dal vero. Il Pdl al momento minimizza, ma il portavoce del partito, Daniele Capezzone, è lapidario: «Tocca al presidente della Camera spiegare il senso delle sue parole». Parole che suonano come un vero e proprio richiamo all'ordine. Ed ecco allora le precisazioni del portavoce di Fini, Fabrizio Alfano: «Il presidente della Camera si riferiva a quanto emerso dagli organi di informazione nel corso delle ultime settimane relativamente alle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, tra cui Brusca, Ciancimino e Spatuzza, in ordine alle quali intendeva sottolineare la necessità di riscontrare con il massimo scrupolo l'attendibilità delle loro parole». Ma precisazioni a parte, nel Pdl è sempre più crisi interna. Emiliano Biaggio (fonte video: la Repubblica)