L'Unione europea condanna il rigore, con Schulz che critica le politiche portate avanti e Barroso che - timidamente - corregge il tiro.
di Emiliano Biaggio
«Come affermato dal primo ministro italiano nel suo discorso alla Camere, l'austerità sta soffocando non solo l'Italia, ma anche molti paesi dell'Eurozona». In Europa qualcuno non crede più alle cure che la stessa Europa ha prescritto per guarire alla crisi. Non sono solo gli stati membri (cosa piuttosto prevedibile), sono le stesse istituzioni comunitarie che iniziano a rimettere in discussione quanto fatto finora. Martin Schulz, l'eurodeputato promosso "kapò" da Berlusconi ed eletto presidente del Parlamento europeo dall'Europa, lo dice chiaramente: così non va. «Come affermato dal primo ministro italiano nel suo discorso alla Camere, l'austerità sta soffocando non solo l'Italia, ma anche molti paesi dell'Eurozona». Deve prendere spunto dal discorso pronunciato da Enrico Letta alla Camera, Schulz, per bacchettare Barroso e la sua squadra, per sfiduciare di fatto una Commissione europea più di matrice tedesca che a guida portoghese. Pochi giorni fa l'uomo col portafoglio degli Affari economici, Olli Rehn, ha fatto marcia indietro spiegando che adesso i risultati ci sono e si può allentare la pressione rigorista. «Il rallentamento del consolidamento è possibile ora grazie agli sforzi fatti dai Paesi in difficoltà, all'impegno della Banca centrale europea e alle politiche di bilancio credibili». Ma Rehn non può sconfessare sè stesso e la sua politica, quindi ha dovuto difendere le strategie messe a punto a palazzo Berlaymont. «Queste parole - ha aggiunto per spiegare il senso delle sue parole - non rappresentano un "liberi tutti": il consolidamento dei conti pubblici resta essenziale», è «un ingrediente necessario della nostra strategia». Nulla di più sbagliato e falso secondo Schulz, che dopo pochi giorni critica apertamente i piani anti-crisi della Commissione Ue. «Servono misure urgenti per ridare ossigeno all'economia e speranza ai giovani, quelle misure che il Parlamento europeo sta invocando dall'inizio della crisi». Fino a oggi non è stato fatto niente e quello che è stato fatto non è servito a nulla: è questa l'accusa di Schulz al duo Barroso-Rehn, se è vero che il Parlamento europeo sta ancora aspettando quello che chiedeva da inizio a crisi. La Commissione Ue ha puntato sulle esportazioni, sul libero scambio (si inizia a negoziare per un importante accordo con gli Stati Uniti) e sul risanamento, costringendo i governi nazionali a politiche che hanno finito con strozzare ancor più la domanda interna anzichè rivitalizzarla. Deve averlo capito anche il presidente della Commissione europea, arrivato a riconoscere che la politica di austerità «ha raggiunto il suo limite». Non è un'autocritica la sua, nè tanto meno lo sconfessare i dogmi (anche se Bruxelles affermano che «la Commissione europea non ha dogmi in economia») di un diritto confessionale sancito dal patto per la stabilità e la crescita, quanto la cresciuta consapevolezza della disaffezione crescente per l'Europa. Quello che nè Barroso nè i suoi commissari hanno capito è che la situazione italiana è il frutto di un voto-antieuropeo, di una bocciatura delle misure imposte da Bruxelles. Ha dovuto ricordarlo il neo-presidente del Consiglio in occasione della sua visita ufficiale a Berlino nella sua prima uscita da capo di governo. «Il messaggio che arriva dall'elettorato italiano - ha detto Letta - è che per avere fiducia occorre che giungano notizie positive dall'Europa», e in Italia - così come in altri stati membri - queste notizie positive non arrivano. In Commissione europea non l'hanno capito, o forse quando l'hanno capito è stato troppo tardi.
di Emiliano Biaggio
«Come affermato dal primo ministro italiano nel suo discorso alla Camere, l'austerità sta soffocando non solo l'Italia, ma anche molti paesi dell'Eurozona». In Europa qualcuno non crede più alle cure che la stessa Europa ha prescritto per guarire alla crisi. Non sono solo gli stati membri (cosa piuttosto prevedibile), sono le stesse istituzioni comunitarie che iniziano a rimettere in discussione quanto fatto finora. Martin Schulz, l'eurodeputato promosso "kapò" da Berlusconi ed eletto presidente del Parlamento europeo dall'Europa, lo dice chiaramente: così non va. «Come affermato dal primo ministro italiano nel suo discorso alla Camere, l'austerità sta soffocando non solo l'Italia, ma anche molti paesi dell'Eurozona». Deve prendere spunto dal discorso pronunciato da Enrico Letta alla Camera, Schulz, per bacchettare Barroso e la sua squadra, per sfiduciare di fatto una Commissione europea più di matrice tedesca che a guida portoghese. Pochi giorni fa l'uomo col portafoglio degli Affari economici, Olli Rehn, ha fatto marcia indietro spiegando che adesso i risultati ci sono e si può allentare la pressione rigorista. «Il rallentamento del consolidamento è possibile ora grazie agli sforzi fatti dai Paesi in difficoltà, all'impegno della Banca centrale europea e alle politiche di bilancio credibili». Ma Rehn non può sconfessare sè stesso e la sua politica, quindi ha dovuto difendere le strategie messe a punto a palazzo Berlaymont. «Queste parole - ha aggiunto per spiegare il senso delle sue parole - non rappresentano un "liberi tutti": il consolidamento dei conti pubblici resta essenziale», è «un ingrediente necessario della nostra strategia». Nulla di più sbagliato e falso secondo Schulz, che dopo pochi giorni critica apertamente i piani anti-crisi della Commissione Ue. «Servono misure urgenti per ridare ossigeno all'economia e speranza ai giovani, quelle misure che il Parlamento europeo sta invocando dall'inizio della crisi». Fino a oggi non è stato fatto niente e quello che è stato fatto non è servito a nulla: è questa l'accusa di Schulz al duo Barroso-Rehn, se è vero che il Parlamento europeo sta ancora aspettando quello che chiedeva da inizio a crisi. La Commissione Ue ha puntato sulle esportazioni, sul libero scambio (si inizia a negoziare per un importante accordo con gli Stati Uniti) e sul risanamento, costringendo i governi nazionali a politiche che hanno finito con strozzare ancor più la domanda interna anzichè rivitalizzarla. Deve averlo capito anche il presidente della Commissione europea, arrivato a riconoscere che la politica di austerità «ha raggiunto il suo limite». Non è un'autocritica la sua, nè tanto meno lo sconfessare i dogmi (anche se Bruxelles affermano che «la Commissione europea non ha dogmi in economia») di un diritto confessionale sancito dal patto per la stabilità e la crescita, quanto la cresciuta consapevolezza della disaffezione crescente per l'Europa. Quello che nè Barroso nè i suoi commissari hanno capito è che la situazione italiana è il frutto di un voto-antieuropeo, di una bocciatura delle misure imposte da Bruxelles. Ha dovuto ricordarlo il neo-presidente del Consiglio in occasione della sua visita ufficiale a Berlino nella sua prima uscita da capo di governo. «Il messaggio che arriva dall'elettorato italiano - ha detto Letta - è che per avere fiducia occorre che giungano notizie positive dall'Europa», e in Italia - così come in altri stati membri - queste notizie positive non arrivano. In Commissione europea non l'hanno capito, o forse quando l'hanno capito è stato troppo tardi.