E la Commissione Ue corre ai ripari: definisce meglio il reato e lo punisce più severamente.
fonte: agenzia FuoriTutto
Almeno 2,45 milioni di persone al mondo sono costrette al lavoro forzato a seguito di tratta. E' partendo da questo dato drammatico che la commissione europea ritiene opportuno un intervento normativo Ue contro la tratta degli esseri umani e avanza una precisa proposta per un coordinamento da parte degli Stati dell'Unione. Ogni anno - secondo dati dell'organizzazione internazionale del lavoro - 1,225 milioni di persone sono vittime della tratta a fini di lavoro forzato. Nella maggior parte dei casi (43%) alla base della tratta a fini di lavoro forzato e' lo sfruttamento sessuale, per il 32% il fine e' lo sfruttamento economico. Le donne e le ragazze rappresentano il 50% dello sfruttamento economico forzato, mentre per lo sfruttamento sessuale le donne e le ragazze sono la schiacciante maggioranza (98%). I minori di 18 anni sono tra il 40% e il 50% di tutte le vittime del lavoro forzato.
Numeri spaventosi. Ed ecco allora che la commissione Ue avanza una proposta di direttiva che dia una nuova e più dettagliata definizione del reato di tratta; preveda una reclusione non inferiore ai 5 anni e in caso di aggravanti non inferiore ai 10; introduca agevolazioni per lo svolgimento delle indagini e dell'azione penale e il coordinamento fra più giurisdizioni; la possibilità che gli autori del reato provenienti dalla Ue siano perseguiti anche se commettono il reato al di fuori dell'Unione europea, come ad esempio il cosiddetto turismo sessuale; assistenza e sostegno alle vittime e ovviamente l'adozione di ogni misura per prevenire e scoraggiare la domanda, fonte di tutte le forme di sfruttamento.
Monday, 31 January 2011
Saturday, 29 January 2011
Licenziare? In Francia ormai è un gioco
"Plan Social", spopola il passatempo da tavolo per ridurre tutti sul lastrico e delocalizzare in Cina. Giocando sulla disperazione altrui e certificando un modello che di divertente ha molto poco.
di Emiliano Biaggio
In Francia il licenziamento dei lavoratori diventa un gioco di società, nel quale si vestono i panni di spietati azionisti il cui solo interesse è il profitto. Un gioco di cattivo gusto e di cinica e spietata attualità: perchè scopo del perverso gioco - ricalcante un'identitica realtà poco giocosa e ancor meno divertente - è licenziare tutti i dipendenti per chiudere l'azienda e andare a delocalizzare. Più che un gioco, una trasposizione con dadi, carte e tabellone, della società attuale. Che piace. Perchè "Plan Social" (questo il nome dell'articolo) è già andato a ruba: sono stati acquistati i primi 3.000 pezzi messi in vendita e la Arplay - la casa editrice del gioco - ne he messi in produzione altro 10.000. "Plan Social", a ben vedere, non si presenta come un gioco vero e proprio. Del resto è il nome stesso del prodotto ludico a suggerirlo: il Plan Social è il piano di riduzione del personale che le imprese adottano quando sono in difficoltà e devono tagliare i costi. Non uno svago, dunque, quanto una lotta all'ultimo colpo all'occupazione e allo stato sociale, in una folla corsa per essere i primi a licenziare tutti in tronco e andar via. Ma è tutto scritto sulla scatola: prim'ancora di aprire e cercare le regola del gioco, sulla confezione trovate scritti infatti la spiegazione del tutto. «Un gioco spietato– spiega Arplay– che risveglierà i vostri istinti più biechi e la vostra crudeltà intrinseca. E che la forza del liberismo sia con voi».
E allora, pronti-via: 54 carte, divise per settori produttivi e qualifiche dei dipendenti, vengono distribuite ai partecipanti, che interpretano il ruolo dell'azionista cinico interessato solo ai risultati finanziari. Vince chi riesce per primo a licenziare tutti i suoi dipendenti, chiudere l'azienda e trasferire la produzione in un paese - magari totalitario - dove la manodopera è a buon mercato. Attenzione, poichè non tutte le carte hanno lo stesso valore. Eliminare un operaio è molto più semplice, e meno redditizio, che sbarazzarsi di un tecnico o di un dirigente. Così come è più difficile disfarsi di quelle che rappresentano dipendenti contrattualmente più garantiti, come le donne incinte o i delegati sindacali. L'idea, commercialmente parlando, ha funzionato, ma "Plan Social" è già un caso: di mercato, e sociale. Infatti, se da una parte Arplay vende, incassa e rimette in produzione il suo gioco (per ora in Francia, ma forse solo in attessa di delocalizzare), dall'altra si apre il dibattito. "Plan Social" «se permetterà di educare qualcuno, tanto meglio», osserva Edouard Martin, sindacalista del gruppo Arcelor Mittal. «Penso che questo gioco- aggiunge- debba anche essere insegnato nelle scuole di commercio che formano i futuri manager», perchè «consente di denunciare un capitalismo diventato folle». Ma per il professor Michel LeJoyeux, psichiatra all’ospedale Bichat di Parigi, "Plan social" è allo stesso tempo «allucinante e rivelatore: con questo gioco stiamo abbattendo un tabù. L’idea è moralmente inaccettabile. Qui si scherza con la disperazione dell’uomo».
di Emiliano Biaggio
In Francia il licenziamento dei lavoratori diventa un gioco di società, nel quale si vestono i panni di spietati azionisti il cui solo interesse è il profitto. Un gioco di cattivo gusto e di cinica e spietata attualità: perchè scopo del perverso gioco - ricalcante un'identitica realtà poco giocosa e ancor meno divertente - è licenziare tutti i dipendenti per chiudere l'azienda e andare a delocalizzare. Più che un gioco, una trasposizione con dadi, carte e tabellone, della società attuale. Che piace. Perchè "Plan Social" (questo il nome dell'articolo) è già andato a ruba: sono stati acquistati i primi 3.000 pezzi messi in vendita e la Arplay - la casa editrice del gioco - ne he messi in produzione altro 10.000. "Plan Social", a ben vedere, non si presenta come un gioco vero e proprio. Del resto è il nome stesso del prodotto ludico a suggerirlo: il Plan Social è il piano di riduzione del personale che le imprese adottano quando sono in difficoltà e devono tagliare i costi. Non uno svago, dunque, quanto una lotta all'ultimo colpo all'occupazione e allo stato sociale, in una folla corsa per essere i primi a licenziare tutti in tronco e andar via. Ma è tutto scritto sulla scatola: prim'ancora di aprire e cercare le regola del gioco, sulla confezione trovate scritti infatti la spiegazione del tutto. «Un gioco spietato– spiega Arplay– che risveglierà i vostri istinti più biechi e la vostra crudeltà intrinseca. E che la forza del liberismo sia con voi».
E allora, pronti-via: 54 carte, divise per settori produttivi e qualifiche dei dipendenti, vengono distribuite ai partecipanti, che interpretano il ruolo dell'azionista cinico interessato solo ai risultati finanziari. Vince chi riesce per primo a licenziare tutti i suoi dipendenti, chiudere l'azienda e trasferire la produzione in un paese - magari totalitario - dove la manodopera è a buon mercato. Attenzione, poichè non tutte le carte hanno lo stesso valore. Eliminare un operaio è molto più semplice, e meno redditizio, che sbarazzarsi di un tecnico o di un dirigente. Così come è più difficile disfarsi di quelle che rappresentano dipendenti contrattualmente più garantiti, come le donne incinte o i delegati sindacali. L'idea, commercialmente parlando, ha funzionato, ma "Plan Social" è già un caso: di mercato, e sociale. Infatti, se da una parte Arplay vende, incassa e rimette in produzione il suo gioco (per ora in Francia, ma forse solo in attessa di delocalizzare), dall'altra si apre il dibattito. "Plan Social" «se permetterà di educare qualcuno, tanto meglio», osserva Edouard Martin, sindacalista del gruppo Arcelor Mittal. «Penso che questo gioco- aggiunge- debba anche essere insegnato nelle scuole di commercio che formano i futuri manager», perchè «consente di denunciare un capitalismo diventato folle». Ma per il professor Michel LeJoyeux, psichiatra all’ospedale Bichat di Parigi, "Plan social" è allo stesso tempo «allucinante e rivelatore: con questo gioco stiamo abbattendo un tabù. L’idea è moralmente inaccettabile. Qui si scherza con la disperazione dell’uomo».
Thursday, 27 January 2011
Afghanistan, aumentano vittime civili e militari
Il 2010 l'anno più nero: 2.400 morti tra la popolazione afghana e 711 tra le forze di coalizione. La Russa: «Escluso un disimpegno immediato».
di Emanuele Bonini
La situazione in Afghanistan si fa sempre più difficile da gestire, e lo dicono i numeri: alla fine del 2010 solo tra la popolazione si contano 2.400 vittime civili e 3.300 feriti. E se i dati dell'Onu non confortano, preoccupano ancora di più quelli relativi alle vittime delle forze di coalizione: ben 711 le perdite complessive, il numero più elevato dal 2001 a oggi. Ma soprattutto, se si va a vedere nel dettaglio, i morti tra le forze di pace non fa che crescere: 58 soldati uccisi nel 2003, 60 nel 2004, 131 nel 2005, 191 nel 2006, 232 nel 2007, 295 nel 2008, 521 nel 2009 e 711 nel 2010. E sono già 27 le perdite in questo mese di gennaio non ancora finito: insieme alle 82 vittime del primo biennio, dal 2001 a oggi in Afghanistan sono morti 2.308 soldati. Forse un pò troppi, per una missione di pace. Ciò nonostante «un disimpegno immediato e unilaterale non viene neppure preso in considerazione dal nostro governo e dal nostro parlamento», scandisce in Aula a Montecitorio il ministro della Difesa, Ignazio La Russa. «Sicuramente non resteremo in eterno, ma se decidiamo una data agevoliamo i terroristi», sostiene il ministro. Il numero delle vittime? Per La Russa è normalità, nient'altro che normalità. Come spiega, «noi fissiamo l'obiettivo», che è «riconsegnare al governo afghano il controllo del Paese». Poi «il pericolo e le vittime sono una conseguenza della nostra massiccia presenza per accelerare questi obiettivi». Ma non siate preoccupati, perchè in Afghanistan non ci sono nè civili massacrati nè soldati assassinati: ci sono solo eroi.
di Emanuele Bonini
La situazione in Afghanistan si fa sempre più difficile da gestire, e lo dicono i numeri: alla fine del 2010 solo tra la popolazione si contano 2.400 vittime civili e 3.300 feriti. E se i dati dell'Onu non confortano, preoccupano ancora di più quelli relativi alle vittime delle forze di coalizione: ben 711 le perdite complessive, il numero più elevato dal 2001 a oggi. Ma soprattutto, se si va a vedere nel dettaglio, i morti tra le forze di pace non fa che crescere: 58 soldati uccisi nel 2003, 60 nel 2004, 131 nel 2005, 191 nel 2006, 232 nel 2007, 295 nel 2008, 521 nel 2009 e 711 nel 2010. E sono già 27 le perdite in questo mese di gennaio non ancora finito: insieme alle 82 vittime del primo biennio, dal 2001 a oggi in Afghanistan sono morti 2.308 soldati. Forse un pò troppi, per una missione di pace. Ciò nonostante «un disimpegno immediato e unilaterale non viene neppure preso in considerazione dal nostro governo e dal nostro parlamento», scandisce in Aula a Montecitorio il ministro della Difesa, Ignazio La Russa. «Sicuramente non resteremo in eterno, ma se decidiamo una data agevoliamo i terroristi», sostiene il ministro. Il numero delle vittime? Per La Russa è normalità, nient'altro che normalità. Come spiega, «noi fissiamo l'obiettivo», che è «riconsegnare al governo afghano il controllo del Paese». Poi «il pericolo e le vittime sono una conseguenza della nostra massiccia presenza per accelerare questi obiettivi». Ma non siate preoccupati, perchè in Afghanistan non ci sono nè civili massacrati nè soldati assassinati: ci sono solo eroi.
Tuesday, 25 January 2011
Canzone per il canzoniere
Un jingle ad hoc per la giungla politica del momento. L'ultima hit di Elio e le storie tese dedicata all'attualità politica.
(da Parla con me del 20 gennaio 2011)
(da Parla con me del 20 gennaio 2011)
Friday, 21 January 2011
Niente imposte per gli immobili del Vaticano
Rivisto il decreto sul federalismo fiscale, non pagheranno l'Imu ospedali e cliniche legate alla Chiesa.
di Emiliano Biaggio
Con il federalismo fiscale viene ridato ai comuni il potere di imposizione fiscale su immobili e territorio, per cui arriva l'Imu, l'imposta municipale unica. Arriva, ma fino a un certo punto. Perchè nell'ultima versione del decreto del federalismo fiscale non è previsto l'Imu non solo sugli immobili sede di culto e di proprietà della Santa Sede, ma anche per ospedali e cliniche legate alla Chiesa, scuole private, alberghi del mondo cattolico e oratori. Edifici vaticani ed istituti cattolici fuori dai confini dello Stato della Chiesa, dunque ancora beneficiarie delle stesse esenzioni già previste dall'Ici (l'imposta comunale sugli immobili). Da sottolineare che nella precedente bozza di decreto l'esenzione per gli immobili "non di culto" non era prevista. Ancora una volta vincono vescovi e cardinali, con il beneplacito delle alte sfere vaticane. A San Pietro ovviamente ringraziano, ma non graziano Berlusconi per le sue etiche e morali malefatte: se la manovra doveva essere politica, gli effetti sperati non ci sono stati; anche se la Lega non gradirà, dato che i Comuni perdono prim'ancora di ottenere poteri impositivi in materia fiscale. L'esatto opposto di quello che vuole il Carroccio. Davanti all'ennesimo regalo al Vaticano dimostra ancora una volta la vera natura dell'Italia: non è affatto stato laico, non è affatto libero stato in libera Chiesa. E', al contrario, un paese asservito al potere spirituale che modella la propria politica sui voleri dello stato Pontificio. In questo, l'Italia fa pagare agli italiani i doni confezionati per chi da sempre muove i fili della politica italiana.
di Emiliano Biaggio
Con il federalismo fiscale viene ridato ai comuni il potere di imposizione fiscale su immobili e territorio, per cui arriva l'Imu, l'imposta municipale unica. Arriva, ma fino a un certo punto. Perchè nell'ultima versione del decreto del federalismo fiscale non è previsto l'Imu non solo sugli immobili sede di culto e di proprietà della Santa Sede, ma anche per ospedali e cliniche legate alla Chiesa, scuole private, alberghi del mondo cattolico e oratori. Edifici vaticani ed istituti cattolici fuori dai confini dello Stato della Chiesa, dunque ancora beneficiarie delle stesse esenzioni già previste dall'Ici (l'imposta comunale sugli immobili). Da sottolineare che nella precedente bozza di decreto l'esenzione per gli immobili "non di culto" non era prevista. Ancora una volta vincono vescovi e cardinali, con il beneplacito delle alte sfere vaticane. A San Pietro ovviamente ringraziano, ma non graziano Berlusconi per le sue etiche e morali malefatte: se la manovra doveva essere politica, gli effetti sperati non ci sono stati; anche se la Lega non gradirà, dato che i Comuni perdono prim'ancora di ottenere poteri impositivi in materia fiscale. L'esatto opposto di quello che vuole il Carroccio. Davanti all'ennesimo regalo al Vaticano dimostra ancora una volta la vera natura dell'Italia: non è affatto stato laico, non è affatto libero stato in libera Chiesa. E', al contrario, un paese asservito al potere spirituale che modella la propria politica sui voleri dello stato Pontificio. In questo, l'Italia fa pagare agli italiani i doni confezionati per chi da sempre muove i fili della politica italiana.
Hu Jintao: «Gli Stati Uniti non alimentino tensioni su Tibet e Taiwan»
Il presidente cinese in visita a Washington detta le regole per i buoni rapporti tra i due paesi. Cavalcando la favorevole congiuntura politico-economica e condannando le due regioni autonome.
di Emiliano Biaggio
«Gli Stati Uniti non alimentino tensioni su Tibet e Taiwan». Avverte e minaccia Hu Jintao, presidente cinese in visita a Waghinton, dove arriva per la prima volta nella storia cinese da leader di un paese forte e sempre più determinante negli equilibri mondiali. Hu Jintao sa di godere di una posizione predominante sull'America in affanno e in recessione, e può permettersi di dettare le regole e di farlo a casa dell'avversario. La Cina sa quanto gli Stati Uniti abbiano bisogno di rapporti amichevoli, e Pechino ne approfitta: non create problemi. Hu Jintao lo dice in modo diplomatico, salvo poi alzare il tiro e cambiare tono: le relazioni Usa-Cina «hanno raggiunto un'ampiezza e una profondità senza precedenti», ma in futuro questo rapporto richiederà che «ciascuno tratti l'altro con rispetto, su un piede di eguaglianza». Quindi, «gli Stati Uniti non alimentino tensioni su Tibet e Taiwan», territori cinesi al centro di continue denunce di violazioni di diritti umani. La Cina non vuole ingerenze negli affari interni, da sempre. E oggi più che mai, visto che oggi più che mai può permetterselo, viste le pressanti richieste della Casa Bianca per una fluttuazione dello Yuan, la moneta cinese che crea difficoltà agli scambi internazionali sul mercato. «Non è quello il problema», taglia corto Hu Jintao. «Alla radice degli squilibri commerciali sta il fatto che noi siamo più produttivi di voi». La Cina è consapevole del momento e delle situazioni: l'ordine mondiale di ieri non è più quello di oggi. Resta da capire quale sarà l'ordine di domani. Ma in Tibet come in Taiwan sembra già segnato.
di Emiliano Biaggio
«Gli Stati Uniti non alimentino tensioni su Tibet e Taiwan». Avverte e minaccia Hu Jintao, presidente cinese in visita a Waghinton, dove arriva per la prima volta nella storia cinese da leader di un paese forte e sempre più determinante negli equilibri mondiali. Hu Jintao sa di godere di una posizione predominante sull'America in affanno e in recessione, e può permettersi di dettare le regole e di farlo a casa dell'avversario. La Cina sa quanto gli Stati Uniti abbiano bisogno di rapporti amichevoli, e Pechino ne approfitta: non create problemi. Hu Jintao lo dice in modo diplomatico, salvo poi alzare il tiro e cambiare tono: le relazioni Usa-Cina «hanno raggiunto un'ampiezza e una profondità senza precedenti», ma in futuro questo rapporto richiederà che «ciascuno tratti l'altro con rispetto, su un piede di eguaglianza». Quindi, «gli Stati Uniti non alimentino tensioni su Tibet e Taiwan», territori cinesi al centro di continue denunce di violazioni di diritti umani. La Cina non vuole ingerenze negli affari interni, da sempre. E oggi più che mai, visto che oggi più che mai può permetterselo, viste le pressanti richieste della Casa Bianca per una fluttuazione dello Yuan, la moneta cinese che crea difficoltà agli scambi internazionali sul mercato. «Non è quello il problema», taglia corto Hu Jintao. «Alla radice degli squilibri commerciali sta il fatto che noi siamo più produttivi di voi». La Cina è consapevole del momento e delle situazioni: l'ordine mondiale di ieri non è più quello di oggi. Resta da capire quale sarà l'ordine di domani. Ma in Tibet come in Taiwan sembra già segnato.
Thursday, 20 January 2011
Il desolante spettacolo di giovani e vecchi
Un settantenne che se la fa con minorenni che devono essere "disposte a tutto", e giovani donne che si piegano a logiche che le vuole sottomesse: gli esempi offerti da vecchie e giovani generazioni al nostro paese. Decandente e decaduto.
l'e-dittoreale
Le ultime vicende del caso Ruby e gli ultimi sviluppi dell'inchiesta in corso ci mostrano un uomo che passa di festino in festino con donne di facili costumi, circondato dai selezionatori di intrattrenitrici e giovani istruttrici per le dame di compagnie del premier. Nell'orgia del potere non certo inedita lascia perplessi vedere un capo di governo ricattabile e ricattato da una prostituta minorenne, e ricattabile quindi anche da altre invitate. Da un punto di vista politico bene fa chi chiede le dimissioni di un premier alla mercè della prima gattina in calore che "passa" per stanze di Arcore: il nostro paese ha perso di credibilità e soprattutto di affidabilità. E poi chissà quali segreti o informazioni sensibili un primo ministro in estasi abbia potuto rilevare in slanci orgasmici. Ciò che avviene nel privato resta nel privato, ma chi è personaggio pubblico dovrebbe tenere ben altre condotte: lo dicono i vescovi, ma lo suggerisce anche il buon senso se proprio non ci riesce il bon ton. Qualcuno dovrebbe invece ricordare a Berlusconi che andare con le minorenni è un reato, così come è un reato dichiarare il falso, ed è falso che Ruby sia la nipote di Mubarak. Ma chiediamoci cosa ci lasci interdetti di più in questa vicenda: un vecchio settantenne sessuomane che sbava per ragazzine? Veronica Lario, nel lasciare il suo marito che fu, parlò di un Berlusconi malato. Ebbene, se è malato, rispetto e umana comprensione per chi non gode di buona salute. Diciamolo, Berlusconi offre forse uno spettacolo desolante, ma sono le giovani che si prostituiscono a destare profondo sconcerto. Leggiamo di giovani donne che svendono corpo e dignità per un posto a La Fattoria o al grande Fratello, e altre che - improvvisatesi imprenditrici - che si concedono per farsi cambiare la vita a suon di euro. Sconcerta che un capo del governo che dovrebbe promuovere e creare occupazione non dia a costoro un lavoro che ne nobiliti la persona, e rattrista vedere la donna accettare di sottostare e sottomettersi a una simile situazione, accettando di essere merce. Se fossi donna mi sentirei profondamente indignato e schifato, ma sono un uomo. E mi sento lo stesso indignato e schifato.
(poi editoriale del 21 gennaio 2010 di E' la stampa bellezza, su RadioLiberaTutti)
l'e-dittoreale
Le ultime vicende del caso Ruby e gli ultimi sviluppi dell'inchiesta in corso ci mostrano un uomo che passa di festino in festino con donne di facili costumi, circondato dai selezionatori di intrattrenitrici e giovani istruttrici per le dame di compagnie del premier. Nell'orgia del potere non certo inedita lascia perplessi vedere un capo di governo ricattabile e ricattato da una prostituta minorenne, e ricattabile quindi anche da altre invitate. Da un punto di vista politico bene fa chi chiede le dimissioni di un premier alla mercè della prima gattina in calore che "passa" per stanze di Arcore: il nostro paese ha perso di credibilità e soprattutto di affidabilità. E poi chissà quali segreti o informazioni sensibili un primo ministro in estasi abbia potuto rilevare in slanci orgasmici. Ciò che avviene nel privato resta nel privato, ma chi è personaggio pubblico dovrebbe tenere ben altre condotte: lo dicono i vescovi, ma lo suggerisce anche il buon senso se proprio non ci riesce il bon ton. Qualcuno dovrebbe invece ricordare a Berlusconi che andare con le minorenni è un reato, così come è un reato dichiarare il falso, ed è falso che Ruby sia la nipote di Mubarak. Ma chiediamoci cosa ci lasci interdetti di più in questa vicenda: un vecchio settantenne sessuomane che sbava per ragazzine? Veronica Lario, nel lasciare il suo marito che fu, parlò di un Berlusconi malato. Ebbene, se è malato, rispetto e umana comprensione per chi non gode di buona salute. Diciamolo, Berlusconi offre forse uno spettacolo desolante, ma sono le giovani che si prostituiscono a destare profondo sconcerto. Leggiamo di giovani donne che svendono corpo e dignità per un posto a La Fattoria o al grande Fratello, e altre che - improvvisatesi imprenditrici - che si concedono per farsi cambiare la vita a suon di euro. Sconcerta che un capo del governo che dovrebbe promuovere e creare occupazione non dia a costoro un lavoro che ne nobiliti la persona, e rattrista vedere la donna accettare di sottostare e sottomettersi a una simile situazione, accettando di essere merce. Se fossi donna mi sentirei profondamente indignato e schifato, ma sono un uomo. E mi sento lo stesso indignato e schifato.
(poi editoriale del 21 gennaio 2010 di E' la stampa bellezza, su RadioLiberaTutti)
Tuesday, 18 January 2011
«Riapriremo il fascicolo di Ilaria Alpi»
POST N° 500
Lo annuncia Gaetano Pecorella, presidente della commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti. «E' stata acquisita notizia di estremo interesse sulla morte della giornalista».
di Emiliano Biaggio
La Commissione parlamentare d'inchiesta sugli illeciti connessi al ciclo dei rifiuti riaprirà le indagini sulla morte di Ilaria Alpi. Lo annuncia il presidente della stessa Commissione, Gaetano Pecorella. Le indagini sulle cause dell'uccisione della giornalista, morta insieme al suo cameramen Miran Hrovatin, avverrà «all'interno della più ampia inchiesta sulle cosiddette navi dei veleni e sul traffico transfrontaliero dei rifiuti tossici o radioattivi», precisa il parlamentare del Pdl. Alla base della decisione della Commissione d'inchiesta l'audizione del maresciallo dei carabinieri Domenico Scimone, collaboratore stretto del capitano di corvetta Natale De Grazia, morto in circostanze misteriose mentre stava indagnado sul fenomeno delle navi dei veleni. De Grazia stava approfondendo quella rete di contatti istituzionali e imprenditoriali con al centro la società Odm di Giorgio Comerio - la società incaricata di smaltire rifiuti tossici per conto di grandi aziende - e i legami tra lo stesso Comerio e lo spiaggiamento della nave Jolly Rosso. Sul traffico di rifiuti stavano lavorando anche Ilaria Alpi e Milan Hrovatin, con la giornalista che seguiva la pista della vendita di armi in Somalia legata allo smaltimento illecito di scarti tossici, con ruoli poco chiari tutti da accertare dei servizi segreti e delle istituzioni italiane. Oggi, fa sapere Pecorella, il maresciallo Scimone «ha consentito alla commissione di acquisire una notizia di estremo interesse»: sembra infatti che «nel corso di una perquisizione nei confronti di Giorgio Comerio è stata ritrovata, in un fascicolo rubricato "Somalia" relativo allo smaltimento dei rifiuti, la copia di un dispaccio dell'agenzia Ansa sulla morte di Ilaria Alpi». Come spiega Pecorella, poichè in quel momento «nulla consentiva di collegare la morte della giornalista e del suo operatore al traffico dei rifiuti con la Somalia», il rinvenimento di questo documento e la sua collocazione richiedono «un ulteriore e penetrante approfondimento».
Lo annuncia Gaetano Pecorella, presidente della commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti. «E' stata acquisita notizia di estremo interesse sulla morte della giornalista».
di Emiliano Biaggio
La Commissione parlamentare d'inchiesta sugli illeciti connessi al ciclo dei rifiuti riaprirà le indagini sulla morte di Ilaria Alpi. Lo annuncia il presidente della stessa Commissione, Gaetano Pecorella. Le indagini sulle cause dell'uccisione della giornalista, morta insieme al suo cameramen Miran Hrovatin, avverrà «all'interno della più ampia inchiesta sulle cosiddette navi dei veleni e sul traffico transfrontaliero dei rifiuti tossici o radioattivi», precisa il parlamentare del Pdl. Alla base della decisione della Commissione d'inchiesta l'audizione del maresciallo dei carabinieri Domenico Scimone, collaboratore stretto del capitano di corvetta Natale De Grazia, morto in circostanze misteriose mentre stava indagnado sul fenomeno delle navi dei veleni. De Grazia stava approfondendo quella rete di contatti istituzionali e imprenditoriali con al centro la società Odm di Giorgio Comerio - la società incaricata di smaltire rifiuti tossici per conto di grandi aziende - e i legami tra lo stesso Comerio e lo spiaggiamento della nave Jolly Rosso. Sul traffico di rifiuti stavano lavorando anche Ilaria Alpi e Milan Hrovatin, con la giornalista che seguiva la pista della vendita di armi in Somalia legata allo smaltimento illecito di scarti tossici, con ruoli poco chiari tutti da accertare dei servizi segreti e delle istituzioni italiane. Oggi, fa sapere Pecorella, il maresciallo Scimone «ha consentito alla commissione di acquisire una notizia di estremo interesse»: sembra infatti che «nel corso di una perquisizione nei confronti di Giorgio Comerio è stata ritrovata, in un fascicolo rubricato "Somalia" relativo allo smaltimento dei rifiuti, la copia di un dispaccio dell'agenzia Ansa sulla morte di Ilaria Alpi». Come spiega Pecorella, poichè in quel momento «nulla consentiva di collegare la morte della giornalista e del suo operatore al traffico dei rifiuti con la Somalia», il rinvenimento di questo documento e la sua collocazione richiedono «un ulteriore e penetrante approfondimento».
Monday, 17 January 2011
Legittimo impedimento, "no" della Consulta
Bocciato in parte il testo: riconosciuto il principio, ma saranno i giudici a decidere quando il premier potrà non presentarsi.
di Emiliano Biaggio
La Corte Costituzionale boccia parzialmente il testo del legittimo impedimento, provvedimento che intendeva offrire a Silvio Berlusconi una copertura giudiziaria – mediante sospensione dei processi a suo carico – in nome delle attività di governo e degli impegni istituzionali. La Consulta, con 12 voti contrari e solo 3 favorevoli, sostiene che non può essere palazzo Chigi a stabilire e ad autocertificare quando il presidente del Consiglio abbia impedimenti per presenziare in tribunale, e viceversa la suprema corte indica nel giudice la figura che, caso per caso e volta per volta, debba valutare quando sussista legittimo impedimento. Malumori nel Pdl, con Sandro Bondi che parla di «rovesciamento dell'ordine democratico» e con Gaetano Quagliariello che definisce la democrazia italiana «una democrazia a legittimità limitata». Linea soft dai legali del premier: Niccolò Ghedini sottolinea come «la legge sul legittimo impedimento nel suo impianto generale sia stata riconosciuta valida ed efficace e ciò è motivo evidente di soddisfazione». Per nulla contento il capo del governo: Berlusconi denuncia «processi inventati» contro la sua persona, frutto – attacca – di una «persecuzione politica da parte dei magistrati della sinistra da quando sono sceso in campo». E intanto la procura di Milano ha iscritto nel registro degli indagati lo stesso Berlusconi per il caso Ruby: il capo del governo è accusato di concussione e prostituzione minorile. Un’altra tegola per il cavaliere, che arriva all’indomani della sentenza della Consulta. Ma le preoccupazioni di Berlusconi non si esauriscono qui: la Lega, attraverso i capigruppo di Camera e Senato (Marco Reguzzoni e Federico Bricolo) fa sapere che «la sentenza della Corte Costituzionale sul legittimo impedimento non bloccherà l'azione del governo». Ciò vuol dire che «il cammino delle riforme prosegue con i tempi e i modi già stabiliti» e che «per la Lega non cambia nulla». Avanti col federalismo, insomma. Un messaggio chiaro a un Silvio Berlusconi sempre più ostaggio di una Lega che detta i tempi delle riforme tanto care al Carroccio. Il premier rassicura elettori e alleati: «il governo andrà avanti», ma bisognerà attendere la fine del mese per capire se e quanto ciò sarà possibile. All’orizzonte c’è la mozione di sfiducia contro il ministro dei Beni Culturali: nel terzo polo due anime su tre – Fli e Api – sono pronte a votare contro Bondi, e l’esecutivo rischia di perdere un componente. Giorni carichi di tensioni e incognite intendono insomma Berlusconi e il suo governo, impegnati – almeno questa è l’impressione – in rese dei conti con gli altri schieramenti e affari personali del Cavaliere. Sullo sfondo un paese a cui il governo sembra non pensare: riconoscere le ragioni della Fiat mal si sposa con il dovere dell’esecutivo di promuovere politiche di occupazione.
(editoriale del 14 gennaio 2010 per E' la stampa bellezza, su RadioLiberaTutti)
di Emiliano Biaggio
La Corte Costituzionale boccia parzialmente il testo del legittimo impedimento, provvedimento che intendeva offrire a Silvio Berlusconi una copertura giudiziaria – mediante sospensione dei processi a suo carico – in nome delle attività di governo e degli impegni istituzionali. La Consulta, con 12 voti contrari e solo 3 favorevoli, sostiene che non può essere palazzo Chigi a stabilire e ad autocertificare quando il presidente del Consiglio abbia impedimenti per presenziare in tribunale, e viceversa la suprema corte indica nel giudice la figura che, caso per caso e volta per volta, debba valutare quando sussista legittimo impedimento. Malumori nel Pdl, con Sandro Bondi che parla di «rovesciamento dell'ordine democratico» e con Gaetano Quagliariello che definisce la democrazia italiana «una democrazia a legittimità limitata». Linea soft dai legali del premier: Niccolò Ghedini sottolinea come «la legge sul legittimo impedimento nel suo impianto generale sia stata riconosciuta valida ed efficace e ciò è motivo evidente di soddisfazione». Per nulla contento il capo del governo: Berlusconi denuncia «processi inventati» contro la sua persona, frutto – attacca – di una «persecuzione politica da parte dei magistrati della sinistra da quando sono sceso in campo». E intanto la procura di Milano ha iscritto nel registro degli indagati lo stesso Berlusconi per il caso Ruby: il capo del governo è accusato di concussione e prostituzione minorile. Un’altra tegola per il cavaliere, che arriva all’indomani della sentenza della Consulta. Ma le preoccupazioni di Berlusconi non si esauriscono qui: la Lega, attraverso i capigruppo di Camera e Senato (Marco Reguzzoni e Federico Bricolo) fa sapere che «la sentenza della Corte Costituzionale sul legittimo impedimento non bloccherà l'azione del governo». Ciò vuol dire che «il cammino delle riforme prosegue con i tempi e i modi già stabiliti» e che «per la Lega non cambia nulla». Avanti col federalismo, insomma. Un messaggio chiaro a un Silvio Berlusconi sempre più ostaggio di una Lega che detta i tempi delle riforme tanto care al Carroccio. Il premier rassicura elettori e alleati: «il governo andrà avanti», ma bisognerà attendere la fine del mese per capire se e quanto ciò sarà possibile. All’orizzonte c’è la mozione di sfiducia contro il ministro dei Beni Culturali: nel terzo polo due anime su tre – Fli e Api – sono pronte a votare contro Bondi, e l’esecutivo rischia di perdere un componente. Giorni carichi di tensioni e incognite intendono insomma Berlusconi e il suo governo, impegnati – almeno questa è l’impressione – in rese dei conti con gli altri schieramenti e affari personali del Cavaliere. Sullo sfondo un paese a cui il governo sembra non pensare: riconoscere le ragioni della Fiat mal si sposa con il dovere dell’esecutivo di promuovere politiche di occupazione.
(editoriale del 14 gennaio 2010 per E' la stampa bellezza, su RadioLiberaTutti)
Saturday, 15 January 2011
E' on-line "I miei omaggi - scritti e racconti con dedica"
Disponibile on-line I miei omaggi - scritti e racconti con dedica, ultima fatica di (auto)produzioni e (auto) pubblicazioni. E' stato infatto il terzo prodotto che ha visto la luce nel 2010: finito di scrivere a dicembre, I miei omaggi - scritti e racconti con dedica è - come suggerisce il titolo - una raccolta di scritti e racconti tutti diversi e slegati l'uno dagli altri, ma accomunati dalla dedica posta all'inizio (e in alcuni casi alla fine), immediatamente sotto il titolo. Storie finte e meno finte offerte da storie vere della vita reale, per una finzione narrativa (neanche troppa) al servizio di individui diversi, per ringraziamenti diversi e separati. Un omaggio - pardon, i miei omaggi - a persone vere, vere nel senso del termine, e a categorie di individui. Pagine di personale e originale ringraziamento e pensiero per quanto hanno saputo dare e trasmettere, oltre all'ispirazione per quanto qui contenuto. Per tutti gli interessati basta cliccare qui oppure nella sezione Scritti biaggeschi sulla destra. Sulla sinistra vedete invece la copertina del libro, questa invece disponibile solo previa espressa richiesta all'autore, attraverso commento a uno dei vari post.
Saturday, 8 January 2011
"Oggi non si chiede - nel celebrare il centocinquantenario - una visione acritica del Risorgimento, una rappresentazione idilliaca del moto unitario e tantomeno della costruzione dello Stato nazionale. Quel che è giusto sollecitare è un approccio che ponga in piena luce il decisivo avanzamento storico che - al di là di contraddizioni e perfino di storture da non tacere - la nascita dello Stato nazionale unitario ha consentito all'Italia. La nascita del nostro Stato unitario e la sua rinascita su basi democratiche, nel segno della Costituzione repubblicana".
"L'esperienza del fascismo e della lotta antifascista, della Resistenza in tutte le sue manifestazioni, della grande riflessione e della straordinaria ricerca dell'intesa in sede di Assemblea Costituente, portò al superamento di antiche antinomie e di guasti profondi, condusse al recupero di ideali, valori, simboli comuni che erano stati piegati a logiche aberranti dal nazionalismo e dal fascismo. L'idea di Nazione, l'amor di patria, acquistarono o riacquistarono il loro fondamento di verità e il loro senso condiviso, così come i principi di sovranità dello Stato laico e di libertà religiosa".
(Giorgio Napolitano, nell'intervento alla Giornata della Bandiera in occasione del 150° anniversario dell'Unità d'Italia, Reggio Emilia, 7 gennaio 2011)
"L'esperienza del fascismo e della lotta antifascista, della Resistenza in tutte le sue manifestazioni, della grande riflessione e della straordinaria ricerca dell'intesa in sede di Assemblea Costituente, portò al superamento di antiche antinomie e di guasti profondi, condusse al recupero di ideali, valori, simboli comuni che erano stati piegati a logiche aberranti dal nazionalismo e dal fascismo. L'idea di Nazione, l'amor di patria, acquistarono o riacquistarono il loro fondamento di verità e il loro senso condiviso, così come i principi di sovranità dello Stato laico e di libertà religiosa".
(Giorgio Napolitano, nell'intervento alla Giornata della Bandiera in occasione del 150° anniversario dell'Unità d'Italia, Reggio Emilia, 7 gennaio 2011)
Friday, 7 January 2011
Battisti, l'estradizione una questione di legalità
L'Italia annuncia ricorsi alla Corte dell'Aja in nome delle giustizia, ma l'ex terrorista rosso non sia un caso politico.
l'e-dittoreale
Il Brasile dice "no" all'estradizione di Cesare Battisti, ex terrorista rosso condannato in Italia a quattro ergastoli. L'ultima decisione in qualità di presidente del Brasile Luiz Ignacio Lula da Silva l'ha riservata proprio a Battisti, e l'esito - seppur scontato - è stato quello che tutti temevano e che nessuno voleva: Battisti resta in Brasile. In Italia le reazioni non si sono fatte attendere: richiamato l'ambasciatore brasiliano in Italia, contestazioni e critiche dalle autorità italiane, che non gradiscono la decisione dell'ormai ex presidente brasiliano e annunciano ricorso alla Corte internazionale di giustizia. E giustamente, va detto. Perchè su Battisti si pone principalmente una questione di legalità, e quindi di rispetto delle regole e delle leggi. A carico del soggetto in questione ci sono delle condanne, Battisti è stato riconsciuto colpevole dalal giustizia, e i debiti con la giustizia vanno regolati. E questo vale per tutti, a maggior ragione per chi c'è. Perchè a differenza di altre stragi e altri omicidi rimasti impuniti e senza colpevoli, questa volta il responsabile c'è e si sa dove sta. Chiediamoci quindi cosa sia più grottesco tra l'avere stragi - come quella di piazza della Loggia - che a distanza di decenni continuano a non avere giustizia perchè senza imputati e l'avere reati certificati e comprovati ma non perseguiti nonostante ci sia un responsabile individuato. Indipendentemente da come andrà a finire l'intera vicenda, attenzione però a non cedere a facili odi ideologici: un ergastolano, rosso o nero che sia, resta pur sempre un ergastolano; un omicida, di destra o di sinistra che sia, è e resta un omicida. Attenzione quindi a non fare della vicenda Battisti un caso politico: Battisti non va punito in quanto brigatista, non va perseguito perchè appartenente alle frange estreme del comunismo armato. Battisti va semplicemente punito perchè colpevole, perchè autore di reati. Di questo, quindi, si tratta: di punire dei reati così come previsto dalla legge dello Stato. E la stessa legge dello Stato riconosce, e quindi per questo deve perseguire, il reato di apologia del fascimo. E' bene ricordarlo a quanti, sotto la sede dell'ambasciata brasiliana a Roma, hanno fatto il saluto romano e fatto sventolare croci celtiche. Ed è bene ricordarlo a quanti, sempre in nome della legalità, perseguono la giusta battaglia per l'estradizione di Battisti.
(editoriale della puntata del 7 gennaio 2010 di E' la stampa bellezza, su RadioLiberaTutti)
l'e-dittoreale
Il Brasile dice "no" all'estradizione di Cesare Battisti, ex terrorista rosso condannato in Italia a quattro ergastoli. L'ultima decisione in qualità di presidente del Brasile Luiz Ignacio Lula da Silva l'ha riservata proprio a Battisti, e l'esito - seppur scontato - è stato quello che tutti temevano e che nessuno voleva: Battisti resta in Brasile. In Italia le reazioni non si sono fatte attendere: richiamato l'ambasciatore brasiliano in Italia, contestazioni e critiche dalle autorità italiane, che non gradiscono la decisione dell'ormai ex presidente brasiliano e annunciano ricorso alla Corte internazionale di giustizia. E giustamente, va detto. Perchè su Battisti si pone principalmente una questione di legalità, e quindi di rispetto delle regole e delle leggi. A carico del soggetto in questione ci sono delle condanne, Battisti è stato riconsciuto colpevole dalal giustizia, e i debiti con la giustizia vanno regolati. E questo vale per tutti, a maggior ragione per chi c'è. Perchè a differenza di altre stragi e altri omicidi rimasti impuniti e senza colpevoli, questa volta il responsabile c'è e si sa dove sta. Chiediamoci quindi cosa sia più grottesco tra l'avere stragi - come quella di piazza della Loggia - che a distanza di decenni continuano a non avere giustizia perchè senza imputati e l'avere reati certificati e comprovati ma non perseguiti nonostante ci sia un responsabile individuato. Indipendentemente da come andrà a finire l'intera vicenda, attenzione però a non cedere a facili odi ideologici: un ergastolano, rosso o nero che sia, resta pur sempre un ergastolano; un omicida, di destra o di sinistra che sia, è e resta un omicida. Attenzione quindi a non fare della vicenda Battisti un caso politico: Battisti non va punito in quanto brigatista, non va perseguito perchè appartenente alle frange estreme del comunismo armato. Battisti va semplicemente punito perchè colpevole, perchè autore di reati. Di questo, quindi, si tratta: di punire dei reati così come previsto dalla legge dello Stato. E la stessa legge dello Stato riconosce, e quindi per questo deve perseguire, il reato di apologia del fascimo. E' bene ricordarlo a quanti, sotto la sede dell'ambasciata brasiliana a Roma, hanno fatto il saluto romano e fatto sventolare croci celtiche. Ed è bene ricordarlo a quanti, sempre in nome della legalità, perseguono la giusta battaglia per l'estradizione di Battisti.
(editoriale della puntata del 7 gennaio 2010 di E' la stampa bellezza, su RadioLiberaTutti)
Lula dice "no": Battisti resta in Brasile
Negata l'estradizione all'ex-terrorista, sit-in di protesta (con celtiche e saluti romani) in Italia.
di Emiliano Biaggio
Cesare Battisti non sarà estradato in Italia: lo ha deciso il presidente uscente del Brasile, Luiz Ignacio Lula da Silva, prima di lasciare il Planalto a Dilma Rousseff. Le autorità italiane, da destra a sinistra, hanno accolto la decisione con disappunto: «Addolora e sorprende che una figura politica che ha ben meritato per il suo Paese come il presidente Lula chiuda la sua carriera con una macchia tanto grande e incancellabile», commenta Daniele Capezzone, portavoce del Pdl. «La mancata estradizione in Italia di Cesare Battisti è da parte del Brasile un gesto molto grave e profondamente sbagliato», sostiene Walter Veltroni, del Pd. «Profonda amarezza e rammarico» esprime il capo del Governo, Silvio Berlusconi, «profonda delusione, amarezza e contrarietà» invece dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.
Il mondo politico organizza sit-in di protesta per la decisione presa in Brasile e chiedere la revisione di tale decisione. Fin qui niente di male. Peccato però che spuntano anche le celtiche e le braccia tese al sit-in organizzato dal centrodestra di fronte all'ambasciata del Brasile. Un uomo ha esposto un manifesto che recita "Acca Larenzia presente" (in via Acca Larenzia, a Roma, il 7 gennaio 1978 si consumò il pluriomicidio a sfondo politico ai danni di tre giovani attivisti del Fronte della Gioventù. Due di loro erano appena usciti dalla sede del Movimento sociale italiano sito proprio in via Acca Larenzia). Sotto l'ambasciata del Brasile una dozzina di militanti di destra hanno fanno il saluto romano, e si è vista anche una croce celtica. E' l'Italia legal-democratica che protesta o è l'Italia neo-fascista che, ancora una volta, si manifesta?
di Emiliano Biaggio
Cesare Battisti non sarà estradato in Italia: lo ha deciso il presidente uscente del Brasile, Luiz Ignacio Lula da Silva, prima di lasciare il Planalto a Dilma Rousseff. Le autorità italiane, da destra a sinistra, hanno accolto la decisione con disappunto: «Addolora e sorprende che una figura politica che ha ben meritato per il suo Paese come il presidente Lula chiuda la sua carriera con una macchia tanto grande e incancellabile», commenta Daniele Capezzone, portavoce del Pdl. «La mancata estradizione in Italia di Cesare Battisti è da parte del Brasile un gesto molto grave e profondamente sbagliato», sostiene Walter Veltroni, del Pd. «Profonda amarezza e rammarico» esprime il capo del Governo, Silvio Berlusconi, «profonda delusione, amarezza e contrarietà» invece dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.
Il mondo politico organizza sit-in di protesta per la decisione presa in Brasile e chiedere la revisione di tale decisione. Fin qui niente di male. Peccato però che spuntano anche le celtiche e le braccia tese al sit-in organizzato dal centrodestra di fronte all'ambasciata del Brasile. Un uomo ha esposto un manifesto che recita "Acca Larenzia presente" (in via Acca Larenzia, a Roma, il 7 gennaio 1978 si consumò il pluriomicidio a sfondo politico ai danni di tre giovani attivisti del Fronte della Gioventù. Due di loro erano appena usciti dalla sede del Movimento sociale italiano sito proprio in via Acca Larenzia). Sotto l'ambasciata del Brasile una dozzina di militanti di destra hanno fanno il saluto romano, e si è vista anche una croce celtica. E' l'Italia legal-democratica che protesta o è l'Italia neo-fascista che, ancora una volta, si manifesta?
Wednesday, 5 January 2011
Tuesday, 4 January 2011
Proprietà di giornali e tv, mini-proroga del divieto
Va in Gazzetta Ufficiale il decreto Milleproroghe: il blocco esteso solo al marzo 2011.
(di Aldo Fontanarosa, laRepubblica del 4 gennaio 2010)
Un grande editore televisivo potrà comprare anche un quotidiano, in Italia. Potrà farlo dal primo aprile di quest´anno, senza incontrare più alcun ostacolo legislativo. Il via libera - che causa già grandi mal di pancia nelle opposizioni, soprattutto nel Pd - arriva grazie al decreto Milleproroghe (pubblicato ieri sulla Gazzetta Ufficiale).
Riassunto delle puntate precedenti. Nel 2004, su pressione del centrosinistra e dell´Udc, la Legge Gasparri vietò il possesso di un quotidiano su carta agli editori tv proprietari di almeno due reti nazionali. La barriera voleva evitare che Berlusconi estendesse alla carta stampata il suo strapotere pubblicitario. Il divieto della Legge Gasparri è scaduto il 31 dicembre 2010. Ma con largo anticipo rispetto a questa scadenza, già ad aprile del 2010, un proposta di legge aveva chiesto la proroga dello stop. A firmare la proposta di legge, Pd, Idv e Udc. A novembre del 2010, anche il Garante per le Comunicazioni ha invocato l´allungamento del divieto.
A fine dicembre, il governo è possibilista. Il prolungamento del divieto, fa sapere Palazzo Chigi, verrà scritto nel famoso decreto Milleproroghe. Il Consiglio dei ministri valuta una prima ipotesi: allungare lo stop per due anni. Poi il Consiglio dei ministri valuta una seconda ipotesi: allungare sì lo stop di due anni, ma estenderlo nei confini. Nella versione originale (Legge Gasparri del 2004), il divieto valeva solo per Mediaset; ora il governo vuole bloccare anche l´odiata Sky e Telecom nella corsa all´acquisto di un quotidiano.
Ieri, leggendo la Gazzetta Ufficiale, arriva la sorpresa. Il divieto della Legge Gasparri, scaduto al 31 dicembre 2010, è prolungato di soli tre mesi (fino al marzo 2011). Un successivo decreto del Presidente del Consiglio potrà allungarlo ancora, eventualmente, fino a tutto il 2011. Dice arrabbiato Vincenzo Vita (Pd): «Questa scelta significa che dal primo aprile Mediaset, tanto per non fare nomi, potrà comprare il Corriere della Sera. Non è fantascienza, anzi: è una chiacchiera più volte circolata». Di soluzione «incomprensibile» parla invece Paolo Gentiloni, lui pure del Pd: «Il governo decide da solo su questa delicata materia ignorando il Parlamento, ignorando il Garante».
(di Aldo Fontanarosa, laRepubblica del 4 gennaio 2010)
Un grande editore televisivo potrà comprare anche un quotidiano, in Italia. Potrà farlo dal primo aprile di quest´anno, senza incontrare più alcun ostacolo legislativo. Il via libera - che causa già grandi mal di pancia nelle opposizioni, soprattutto nel Pd - arriva grazie al decreto Milleproroghe (pubblicato ieri sulla Gazzetta Ufficiale).
Riassunto delle puntate precedenti. Nel 2004, su pressione del centrosinistra e dell´Udc, la Legge Gasparri vietò il possesso di un quotidiano su carta agli editori tv proprietari di almeno due reti nazionali. La barriera voleva evitare che Berlusconi estendesse alla carta stampata il suo strapotere pubblicitario. Il divieto della Legge Gasparri è scaduto il 31 dicembre 2010. Ma con largo anticipo rispetto a questa scadenza, già ad aprile del 2010, un proposta di legge aveva chiesto la proroga dello stop. A firmare la proposta di legge, Pd, Idv e Udc. A novembre del 2010, anche il Garante per le Comunicazioni ha invocato l´allungamento del divieto.
A fine dicembre, il governo è possibilista. Il prolungamento del divieto, fa sapere Palazzo Chigi, verrà scritto nel famoso decreto Milleproroghe. Il Consiglio dei ministri valuta una prima ipotesi: allungare lo stop per due anni. Poi il Consiglio dei ministri valuta una seconda ipotesi: allungare sì lo stop di due anni, ma estenderlo nei confini. Nella versione originale (Legge Gasparri del 2004), il divieto valeva solo per Mediaset; ora il governo vuole bloccare anche l´odiata Sky e Telecom nella corsa all´acquisto di un quotidiano.
Ieri, leggendo la Gazzetta Ufficiale, arriva la sorpresa. Il divieto della Legge Gasparri, scaduto al 31 dicembre 2010, è prolungato di soli tre mesi (fino al marzo 2011). Un successivo decreto del Presidente del Consiglio potrà allungarlo ancora, eventualmente, fino a tutto il 2011. Dice arrabbiato Vincenzo Vita (Pd): «Questa scelta significa che dal primo aprile Mediaset, tanto per non fare nomi, potrà comprare il Corriere della Sera. Non è fantascienza, anzi: è una chiacchiera più volte circolata». Di soluzione «incomprensibile» parla invece Paolo Gentiloni, lui pure del Pd: «Il governo decide da solo su questa delicata materia ignorando il Parlamento, ignorando il Garante».
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