Friday, 29 April 2011

Meno neri e arabi nella nazionale francese

Rivelazione choc del sito Mediapart: un tetto ai non bianchi per favorire il calcio champagne. Ma la Federazione smentisce.

Bufera in arrivo sul calcio francese: lo Federcalcio transalpina, secondo il sito on line Mediapart, starebbe studiando un sistema di quote per l’accesso ai vivai nazionali, che limiterebbe il numero di neri e arabi. Secondo la fonte, i motivi sarebbero di due ordini: evitare che troppi giocatori con doppia nazionalità crescano in Francia per poi andare a fare le fortune di altre nazionali e mettere un argine al fenomeno dei «troppi neri, alti e atletici, a scapito dei bianchi», che nel gioco «champagne» della Francia rappresenterebbero «l’intelligenza della manovra». La Federcalcio smentisce che siano, al momento, state prese «decisioni» ma non nega che si sia parlato di questa eventualità nel corso di diverse riunioni. Alle quali avrebbe presenziato anche Laurent Blanc, commissario tecnico della nazionale, che si sarebbe detto d’accordo. Il sito dice che «le discussioni all’interno della Dtn (Direzionee tecnica nazionale) non hanno mai discusso di escludere una particolare nazionalità, ma si sono concentrate esclusivamente su neri e arabi», talvolta descritti come "stranieri".
L’obiettivo della Federcalcio (Fff) è quello di imporre le quote a partire dalla gestione dei vivai dei 12-13enni: la segregazione applicata al calcio, commentano i siti di sport francesi. Secondo fonti interne del Fff, indignate per le decisioni della federazioni, le prime consegne in questa direzione sono state fornite nelle ultime settimane in vari centri di formazione, tra cui l’Istituto nazionale francese (Inf) a Clairefontaine, dove è stata costituita dal 1988 parte dell’élite del calcio francese, comeThierry Henry, Nicolas Anelka, William Gallas. Una decisione che, se verrà davvero presa, è destinata a fare discutere.
Blanc, attraverso il capo ufficio stampa della nazionale francese, Philippe Tournon, ha smentito ogni coinvolgimento, dicendosi «oltraggiato» da queste accuse essendo da sempre contrario «a qualsiasi forma di discriminazione». Il ct fa sapere di aver posto semmai il problema della doppia nazionalita’ visto che ci sono giocatori che trascorrono tre anni in un centro d’allenamento della Federazione francese e poi vanno all’estero, andando a difendere le maglie di altre nazionali. Sorpreso dalle accuse anche il presidente federale, Fernand Duchaussoy: «mai sentito niente di tutto questo».

Wednesday, 27 April 2011

Autoritarismi d'Europa

L'Ungheria, che guida l'Ue, vara una costituzione liberticida e all'insegna del regime. Ma altrove gli orientamenti non sono molto diversi. Anzi.

di Emiliano Biaggio

Dio patria e famiglia: che vi ricorda? Se avete detto Mussolini avete sbagliato, se avete detto fascismo non siete andati lontani. Ma Dio e patria sono l’essenza dell’Ungheria secondo la nuova Costituzione, appena promulgata dal presidente della Repubblica Pal Schmitt. La nuova carta ridisegna assetti e attribuzioni: meno poteri alla Consulta, più poteri dell'esecutivo su magistratura e media. Sembra l’Italia che vuole Berlusconi, sembrano gli anni Venti e Trenta dell'Europa autoritaria, Europa autoritaria che ritorna. In Ungheria il partito Jobbik del premier Viktor Orban non è un fenomeno isolato in Europa. La destra ultranazionalista, xenofoba anti-immigrati si fa forte praticamente ovunque: in Francia il Fronte Nazionale di Le Pen è al 12%; in Austria il Partito della Libertà (Fpo) – promotore di nazionalismo, pangermanesimo e antisemitismo - è al 17,5% e in crescita; nei Paesi Bassi il Partito per la libertà (Pvv) di Geert Wilders, anti-islamista e anti-immigrati, è il secondo partito della nazione; in Belgio valloni e fiamminghi impediscono la formazione di un governo e rischiano di portare a un secessione, e intanto è in ascesa il Vlaams Belang (Interesse fiammingo); in Finlandia il partito di estrema destra Veri Finlandesi – nazionalista, euroscettico e contro ogni forma di immigrazione – è secondo partito nazionale per questione di un paio di decimi di punto percentuale e sembra destinato a finire al governo; la socialdemocratica Svezia cede il passo all’ultradestra, la Confederazione elvetica è anti-islam, anti-Europa, anti-immigrati. Ma la linea è la stessa in Slovacchia, Irlanda e nelle fila della destra spagnola, in crescita. Lo scenario, diciamolo pure, non è dei migliori: l’esasperazione dei nazionalismi e gli autoritarismi sono stati alla base della distruzione europea e degli sconvolgimenti mondiali della seconda guerra mondiale. Ma la storia sembra ripetersi con inquietante similitudini.
Controllo dell’informazione, maggiore potere dell’esecutivo sugli altri organi, razzismo, ricostituzione delle disciolte milizie: la svolta ungherese – peraltro presidente di turno dell’Ue – preoccupa. Così come preoccupa che in Austria Barbara Rosenkranz, del Partito della Libertà, non abbia fatto mistero di voler rivedere quella parte della Costituzione che vieta la rinascita del partito nazista e punisce reati come la negazione dell'olocausto. Anche perché anche da noi il Popolo della libertà ha chiesto di cancellare quella disposizione che vieta la ricostituzione del partito fascita. Dio, patria famiglia quindi: nella rinascita di miti creduti perduti e invece mai abbandonati manca la figura del Re. Ma oggi il nuovo monarca, almeno in Europa, paradossalmente è la figura più democratica che si aggiri sui palcoscenici politici. Mentre i nuovi re non hanno bisogno di corone per dettare legge: nell’era del capitalismo senza regole, è la plutocrazia il nuovo assetto, e i plutocrati i nuovi sovrani. Che si ritagliano stati su misura promuovendo ignoranze e paura: così comandano i popoli. Oggi si promuovono libertà e patria, senza che nessuno capisca che la prima è ormai sempre più ridotta all’osso, e la seconda non di proprietà dei cittadini. Cosa succederà? Difficile dirlo, ma una cosa è certa: ovunque in Europa sembra di rivivere la lenta e inesorabile fine della repubblica di Weimar. Ma da nessuna parte in Europa nessuno sembra ricordarsi cosa avvenne dopo.

Thursday, 21 April 2011

Italia autoritaria, sostiene la guerra e sponsorizza l'anti-democrazia

All'estero non opta per la diplomazia in Libia e invia "istruttori", in casa pensa alla revisione dell'articolo 1 della Costituzione.

l'e-dittoreale

L'Italia decide di appoggiare i ribelli libici: il nostro paese, spiega il titolare della Difesa, Ignazio La Russa, avrà il compito di «addestrare» gli insorti, fornendo «nozioni di come un soldato deve muoversi e deve usare gli strumenti a sua disposizione». In Cirenaica, sottolinea La Russa, «istruttori, non consiglieri militari». Precisazione non casuale, quella del ministro: l'amministrazione statunitense cercò di negare il coinvolgimento in Vietnam spiegando alla nazione di aver inviato consulenti. Ma la realtà è che l'Italia sostiene la guerra. Non cerca soluzioni diplomatiche, e ancora una volta si dimentica dell'articolo 11 della nostra carta, incastonato tra i principi fondamentali alla base della nostra Repubblica. «L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali», recita l'articolo. Qui invece si sponsorizza. Va detto che la comunità internazionale da tempo pensa di rifornire di armi i ribelli, ma questo non è incoraggiare la guerra: è fare affari. Vendere armi per esportare democrazia, incassando denaro e nuovi soggetti politici: questa è la formula dell'occidente e la ricetta dell'economia. Principi sulla carta, denaro e realpolitik nei fatti: il mondo si fa così, e l'Italia fa parte del mondo. Per cui la Gran Bretagna annunciato che invierà in Libia 10 esperti militari per addestrare gli insorti, il governo di Parigi decide di fare altrettanto e l'Italia si adegua decidendo di inviare - sembrerebbe - dieci addestratori. Una linea soft per mascherare una linea in realtà tutt'altro che anti-guerra. Ciò non soprende: per quanto già detto e per l'idea di forza che in Italia si fa strada ogni giorno. L'idea di modificare l'articolo 1 della costituzione ne è un esempio pratico. «L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione». L'articolo dice così. Stabilito che in questo momento storico l'Italia si basa su crisi e precariato, non resta che cancellare la democrazia, e con essa la sovranità del popolo. Perchè in uno stato forte c'è bisogno di un uomo forte. Ceroni spiega la sua idea nella necessità di ridare «la centralità delle Camere troppo spesso mortificata o dal presidente della Repubblica che non firmale leggi o dalla Corte costituzionale che le abroga». Troppi poteri, quindi. Meglio limitarli o - meglio ancora - elminarli. Che è quello che da tempo Berlusconi va ripetendo al paese. E il paese ha scelto la linea dell'aggressività e dell'autorità: promuovendo guerre e idee anti-democratiche.

Wednesday, 20 April 2011

Cuba volta pagina, Fidel Castro dice addio

Dopo il governo il leader maximo lascia ogni carica anche dal partito comunista. L'esecutivo di Raul annuncia riforme epocali, che aprono la fase post-comunista.

di Emiliano Biaggio

Fidel Castro rinuncia alla guida del Partito comunista cubano, chiedendo di uscire dal comitato centrale: l'ottantacinquenne leader cubano esce quindi definitavamente di scena, anche se Castro era lontano dalle scene politiche dal 2006, quando per motivi di saluti ha ceduto la guida del governo al fratello Raul. Adesso il "leader maximo" annuncia le proprie dimissioni da primo segretario del Partito comunista cubano (Pcc). «Credo di aver ricevuto ormai abbastanza onori», afferma castro. «Non avevo mai pensato di vivere cosi a lungo». L'uscita di scena di uno dei padri della rivoluzione cubana è un dato di fatto, certificato dall'elezione di Josè Ramon Machado Ventura a nuovo segretario del partito. «Sono convinto che il destino del mondo- afferma ancora castro- potrebbe essere molto diverso senza gli errori commessi dai capi rivoluzionari che hanno brillato per talenti e meriti». Adesso si apre dunque uan nuova era, che va oltre il comunismo. Infatti, Cuba si avvia sulla strade delle riforme economiche. Senza alterare l'impianto dello stato socialista, sembra che verranno riconosciuti investimenti stranieri e cooperative ed i privati avranno un largo margine d'azione, tanto che entro il 2015 si prevede l'inserimento nel settore privato di circa 1,8 milioni di cubani. Il pacchetto di riforme l'ha approvato il congresso del Pcc, con il benestare dello storico leader. Perchè come sottolinea il fratello Raul, «Fidel è sempre Fidel e non ha bisogno di nessuna carica per avere sempre un posto importante nella storia, nel presente e nel futuro del Paese».
Intanto il governo di Raul Castro lavora a una nuova rivolzuone cubana, perchè le misure economiche allo studio sono davvero di rottura: apertura agli investimenti stranieri, pur sotto il controllo dello Stato; decentralizzazione del potere; maggiore autonomia alle regioni e alle province; tagli della spesa pubblica; riduzione del numero degli impiegati statali; revisione dei sussidi elargiti dalla Stato. Prevista anche la compravendita delle abitazioni tra i privati, una decisione che potrebbe smantellare la linea di trasmissione della proprietà dai genitori ai figli e procedere verso la realizzazione di un vero e proprio mercato immobiliare. Anche se, è stato specificato da Raul, non saranno consentite concentrazioni proprietarie. Misure quasi dettate da un mondo che vede l'isola caraibica sempre più fuori da ogni logica e sistema, e con un contesto internazionale talmente mutato da non permettere di avere amicizie e alleanze strategiche. Si teme che il post-fidelismo possa segnare la fine del regime e la fine della rivoluzione, e per questo la "nuova" classe dirigente spinge per riforme e per un cambiamento del sistema del paese. Un passo quasi obbligato, visto che Cuba volta pagina e apre un nuovo capitolo della propria storia. Con tutte le incognite del caso.

Tuesday, 19 April 2011

Finlandia, trionfa l'estrema destra

Le elezioni consacrano Veri Finlandesi, nazionalisti ed euro-scettici.
di Emiliano Biaggio (fonte foto: la Stampa)

La Finlandia si risveglia nazionaliste ed euroscettica, e con il partito di estrema destra Veri Finlandesi secondo partito del paese. Le elezioni segnano infatti l'ascesa dell'ultradestra conservatrice e xenofoba di Timo Soini, che passa dal 4,1% del 2007 al 19,6% di queste consuotazioni. In quattro anni consensensi quasi quintuplicati, per un partito che adesso segnerà le sorti politiche del paese e le decisioni di governo dei prossimi anni. Veri Finlandesi andrà infatti verosimilmente al governo con il partito della Coalizione Nazionale (Cn), la formazione conservatrice che ha vinto le elezioni con il 19,8% dei voti, un pugno di schede (0,2%) in più rispetto alla formazione di Soini. Intanto si dà praticamente per certo Jyrki Katainen, ministro delle Finanze uscente e leader del Cn, nuovo primo ministro del paese. Esce infatti sconfitta Mari Kiviniemi, la premier uscente: il suo Partito di Centro scende dal 23,1% al 16,2% e viene scavalcato non solo dal Partito della Coalizione Nazionale di Katainen ma anche dai socialdemocratici, che ottengono il 18,9%, (in calo del 2,5%). Da partito di governo a quarto partito di Finlandia (dietro a Cn, Veri Finlandesi e socialdemocratici): i moderati perdono, e il trionfo della destra oltranzista ne è una diretta conseguenza. Verdi fermi al 7,1%, con la sinistra ferma dunque al 26%. Quasi certamente si avrà un'intesa Cn-Veri Finlandesi, ma nonostante i numeri la maggioranza non sembra solida: i due partiti insieme mettono insieme il 39,4% dei consensi, per un paese dalle tante incognite. Se il parito di centro deciderà di appoggiare la destra allora si avrebbe maggioranza certa, ma si dovrà attendere. Certo è che l'Europa non può che accogliere con preoccupazione l'esito delle elezioni: la Finlandia si ritrova improssivamente euro-scettica.

Friday, 15 April 2011

Il revisionismo Pdl: «istituire una commissione d'inchiesta sui libri di testo»

Gabriella Carlucci presenta un disegno di legge alla Camera: troppi libri «partigiani». Il ministro Gelmini: «il problema c'è».

di Emiliano Biaggio

«Istituire subito una commissione parlamentare d’inchiesta sull’imparzialità dei libri di testo scolastici». L’idea è di Gabriella Carlucci, deputato Pdl che per chiedere un organismo di controllo sui libri di scuola ha addirittura presentato un progetto di legge lo scorso febbraio. Alla chetichella, come sempre si conviene per casi come questi, perché i colpi di mano – e non diciamo di Stato – si fanno così. Il silenzio adesso però è rotto, e lo fa la stessa Carlucci, denunciando che nel nostro paese ci sono «troppi testi scolastici di storia che gettano fango su Berlusconi», ed «è una situazione vergognosa». Nel fascismo, così come in ogni regime, c’era e c'è il culto della personalità e del capo, e questo non va messo in discussione. Per Berlusconi sembra valere lo stesso, almeno a sentire Carlucci. E a rendere ancor più spaventosamente rassomiglianti i due casi, sono le successive parole del deputato. «A chi è fazioso daremo il tempo il adeguarsi prima di ritirare il prodotto dal mercato». Classico avvertimento di stampo squadrista. O mafioso. Ma in Italia è piuttosto tempo di denunciare, come fa Carlucci, «tentativi subdoli di indottrinamento per plagiare le giovani generazioni a fini elettorali». Insomma, la solita storia dei libri di sinistra scritti dai comunisti, testi «partigiani», come li definisce il deputato Pdl. Ma se per l’opposizione quella di Carlucci è una «proposta desolante e vergognosa», il ministro dell’Istruzione, Maria Stella Gelimini, sul cui conto più volte è stato detto di essere dov’è più per motivi umani che politici, «il problema dell’oggettività dei libri di testo esiste», e quindi «valuteremo la proposta della Carlucci». Ciò non sorprende: stiamo parlando di un deputato da una carriera tutt’altro accademica e non certo all’insegna di libri e manuali, un ministro circondato da voci non proprio lusinghiere e certamente a sfondo molto poco politico, e di rappresentanti di una maggioranza e di un governo retti dal professionista dei bunga bunga: insomma, non certo il comitato per il Nobel. E se c’è chi solo la settimana scorsa chiedeva di ricostituire il partito fascista e abolire il reato di apologia del fascismo, allora non solo non sorprende la proposta di Carlucci, che anzi risulta persino coerente. Beppe Fioroni, parla quindi non a caso di «proposta da Minculpop». Carlucci è quasi stupita da simili reazioni. «Non vedo lo scandalo», dice. Evidentemente non si è mai guardata allo specchio.
(editoriale della puntata del 15 aprile 2011 di E' la stampa Bellezza, su RadioLiberaTutti)

Wednesday, 13 April 2011

La nuova Cernobyl

E' ufficiale: a Fukushima, in Giappone, la situazione è come in Ucraina nel 1986. E se le autorità rassicurano, gli ambientalisti avvertono: l'impatto ci sarà.

di Emiliano Biaggio

Alla fine quello che tanti paventavano e ripetevano diventa ufficiale: a Fukushima la crisi ha raggiunto i livelli di quella di Cernobyl. La Nisa, l'Agenzia per la sicurezza nucleare e industriale del Giappone ha alzato da 5 a 7 il livello di gravità della crisi nell'impianto nucleare giapponese. La crisi di fatto è conclamata, ma gli scenari rischiano di assumere tratti anche peggiori: un funzionario della Tepco, la società che gestisce l'impianto, ha infatti ammesso che «la perdita radioattiva non si è ancora arrestata completamente, e la nostra preoccupazione è che possa anche superare Cernobyl». Dalla Nisa precisano che «abbiamo alzato il livello di gravità a 7 perché la fuoriuscita di radiazioni ha avuto impatto nell'atmosfera, nelle verdure, nell'acqua di rubinetto e nell'oceano», a testimonianza della portata dell'impatto della crisi di Fukushima. Il premier giapponese, Naoto Kan, cerca di minimizzare: la situazione, ha affermato, «si sta stabilizzando passo dopo passo», e «le radiazioni stanno diminuendo». Ma Kenichi Matsumoto, uno dei suoi collaboratori, non ha nascosto ai media giapponesi che la regione circostante la centrale nucleare di Fukushima potrebbe rimanere inabitabile per i prossimi dieci o venti anni.
A livello internazionale si cerca di rassicurare gli animi: «I rischi per la salute non sono oggi peggiori di ieri», fanno sapere dall'Organizzazione mondiale della sanità. «La situazione rimane molto seria ma ci sono segni di miglioramento», afferma Denis Flory, un esperto dell’Agenzia atomica internazionale, l'Aiea. Le autorità della prefettura di Fukushima fanno però sapere che per la gente del posto «è una situazione sempre più drammatica», anche perchè l'economia del luogo è di fatto in ginocchio. Ma se Fukushima è la nuova Cernobyl, la situazione è drammatica non solo per il Giappone. Il Wwf, infatti, avverte: «L'aggravarsi dell'incidente di Fukushima ci costringe a fare i conti con un disastro ambientale che si ripercuoterà sulla nostra salute per i prossimi decenni».

Tuesday, 12 April 2011

FACT SHEET/ La questione belga - 2-


FACT SHEET/ La questione belga


Belgio, come vivere bene senza stato e governo

Senza esecutivo e con lo spettro della secessione. Ma il paese resiste alla crisi e addirittura cresce. Ed è presente a sullo scenario internazionale.

di Emiliano Biaggio

Oltre 300 giorni senza un governo: neanche l'Iraq ha conosciuto un vuoto politico così profondo e duraturo. Eppure, a differenza del paese mediorientale, in questo stato non ci sono state nè guerre, nè cambi di regime, nè interventi di forze straniere. Solo un tira e molla tra un nord ricco e un sud arretrato, tra due comunità linguistiche differenti che hanno dimenticato come convivere, tanto che tutti ormai sono quasi abituati all'idea di una secessione e alla morte del regno. Il Belgio vive la sua crisi politica più profonda degli ultimi secoli, e la corona non riesce a ridare senso di unità e coesione a una popolazione mai così divisa e mai così distante. I fiamminghi del nord di trainare il resto del paese proprio non ne vogliono sapere, e i valloni non accettano i diktat imposti dalla comunità fiamminga. I vari tentativi di far ripartire il paese sono tutti naufragati in nulla di fatto, e i vari partiti ancora non trovano un accordo. E non è un caso: le ultime elezioni hanno sancito e certificato la spaccatura del paese. I cristiano-democratici e fiamminghi (CD&V), sono primo partito delle Fiandre, dove si è imposta la Nuova alleanza fiamminga (N-VA), partito di centrodestra indipendentista. Tra i partiti valloni si sono imposti il Partito socialista (Ps) e il Movimento riformatore (Mr), ma al di là di questi dati il risultato è uno solo: lo stallo politico. Nessuno ha la maggioranza per governare, e il dialogo tra le parti non è possibile. Allo stato attuale Yves Leterme è primo ministro ad interim, con il compito di procedere con le riforme economiche che mettano in salvo il Paese nel concomitante periodo di crisi mondiale. E il paese - forse è questa la vera sopresa di un paese che di sorprese ne sta riservando - se è in crisi politica non lo è affatto in economia. Anzi. Negli ultimi mesi - grazie anche ai buoni risultati dell’economia tedesca, con cui i belgi hanno rapporti assai stretti - sta crescendo. Insomma, il Belgio è ormai "un caso": è senza un esecutivo da 10 mesi, eppure vive una stagione migliore di tanti altri paesi. Il regno di Alberto II sta affrontando senza scossoni questioni di rilievo, a partire dalla presidenza di turno della Ue lo scorso semestre, e riesce ad essere presente sullo scenario internazionale come soggetto attivo e protagonista: di recente è stata decisa la partecipazione in Libia con sei caccia F-16. Alla faccia del governo ombra che il Belgio ha e dello stato fantasma che il Belgio è.

Monday, 11 April 2011

Vogliono ricostituire il partito fascista

Cinque baldi parlamentari (4 Pdl e 1 Fli) chiedono modifiche alla Costituzione in senso anti-democratico, con tanto di ddl.

di Emiliano Biaggio

A forza di parlare di regime, di leggi anticostituzionali, di leggi bavaglio, di disegni eversivi, di manovre antidemocratiche, di attacchi ai poteri e alle cariche dello Stato, alla fine qualcuno a questo regime doveva finire col crederci. Un regime noto, qui nel nostro paese, con un passato e una storia: il regime fascista. E così la squadraccia parlamentare formata da Cristiano De Eccher (Pdl), Fabrizio di Stefano (Pdl), Francesco Bevilacqua (Pdl), Achille Totaro (Pdl), ed Egidio Digilio (Fli) chiedono la riabilitazione dell’idea mussoliniana di Italia. Di più: chiedono di fatto che il Pnf possa essere rifondato. In senato i cinque fanno approvare un disegno di legge dal titolo chiaro: “Abrogazione della XII disposizione transitoria e finale della Costituzione”, quella che recita «è vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista». Una disposizione sulla base della quale poi, nel 1952, fu approvata la legge Scelba che sancì il reato di apologia del fascismo. Ora si vuole la cancellazione di tutto ciò. L’esame del testo ancora non è stato fissato, ma il presidente del Senato, seconda carica dello Stato, ha invitato a ritirarlo. Tutto ciò è «grave» accusa la senatrice del Pd Anna Finocchiaro. «La nostra Repubblica nasce dalla lotta contro il fascismo», ricorda Emanuele Fiano, responsabile Sicurezza del Pd. Per il capogruppo Idv al Senato, Pancho Pardi, «è il chiaro tentativo di fare a pezzetti la nostra Costituzione». Il ministro per l’attuazione del programma, Gianfranco Rotondi, rassicura: «Non c'è nessuna volontà nè del governo nè del Pdl di promuovere l'abolizione del reato di apologia del fascismo». L’antifascismo, assicura, «è valore fondante della nostra democrazia». Peccato che non tutti la pensino così, e peccato che se così è è segno che questa democrazia non è per nulla matura. E in pericolo. Per questo inquietano l’idea di abolizione della XII disposizione transitoria e l’assordante silenzio degli altri membri di governo e di Parlamento. Non una condanna di Berlusconi, non una stigmatizzazione dei ministri ex-An ex-Msi, non una parola dei padani ministri della Repubblica. A proposito: la Lega, quasi in contemporanea, propone la creazione di eserciti regionali. Un’idea che ebbe, nel 1924, anche Benito Mussolini.
(editoriale dell'8 aprile 2011 per E' la stampa bellezza, su RadioLiberaTutti)

Wednesday, 6 April 2011

Israele, l'Ue condanna nuove costruzioni a Gerusalemme est

Il governo israeliano dà il via libera all'estensione delle colonie. Per l'Alto rappresentante della politica estera gli insediamenti sono illegali e ostacolano la pace.

fonte: PeaceReporter

L'Alto Rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune europea, Catherine Ashton, si dice «profondamente delusa» per l'approvazione, da parte del governo israeliano, di un progetto riguardante l'allargamento del sobborgo ebraico di Gilo, insediamento nella parte est di Gerusalemme, il quale prevede la costruzione di 942 nuove unità abitative. Tale progetto, monitorato con attenzione dall'Ue, unitamente agli altri piani edilizi previsti per il Monte Scopus, Har Homa C e Pisgat Zeev, costituirebbe, secondo il numero uno della diplomazia dell'Unione, un grave ostacolo al processo di pace in corso nell'area, e potrebbe inoltre «danneggiare ulteriormente il già fragile clima politico».
Secondo quanto affermato dalla rappresentante europea per gli Affari esteri, gli insediamenti israeliani in Cisgiorndania sono «illegali sulla base del diritto internazionale" e "indeboliscono la fiducia tra le parti». In particolare, il nuovo progetto di espansione a Gilo, prevedendo la costruzione di case ben oltre la linea verde stabilita nel 1967, quindi su un territorio palestinese occupato, «disattende i ripetuti e urgenti appelli della comunità internazionale a raggiungere una soluzione pacifica che preservi la sicurezza israeliana e realizzi il diritto palestinese ad un Stato»

Tuesday, 5 April 2011

Intercettazioni, Pdl: «non si usano nei processi»

Alla Camera Maurizio Bianconi presenta l'ennessima legge "ad personam". Un nuovo ddl salva-premier e un nuovo bavaglio. Perchè si propone di rendere le intercettazioni «non divulgabili»

fonte: Agenzia Dire

Le intercettazioni non saranno più mezzi di ricerca della prova, ma semplici strumenti di investigazione. E, come tali, non finiranno nei fascicoli processuali e non saranno pubblicabili. E' l'ultima proposta targata Pdl, in tema di riforme della giustizia, depositata alla Camera, il 3 marzo scorso, dal deputato Maurizio Bianconi e assegnata pochi giorni fa alla commissione Giustizia. Mercoledì scorso, infatti, la proposta del parlamentare Pdl, presentata «a titolo personale», è stata messa tra i proveddimenti da inserire nel calendario dei lavori. La soluzione è la seguente, e la spiega lo stesso Bianconi nella premessa della legge: «Collocare il tema nel Codice di procedura penale all'interno delle fonti di investigazione semplice, "cassandolo" dalla collocazione nel testo vigente dei mezzi di ricerca della prova». Così, continua, «si taglierebbero alla radice altri problemi, oltre a quello dell'utilizzo distorto delle intercettazioni in fase processuale». In nome della «tutela della privacy», infatti, gli ascolti di conversazioni o comunicazioni telefoniche, essendo a solo uso degli investigatori, non potrebbero far parte di fascicoli contenenti atti pubblicabili. Con la proposta Bianconi, mai più, quindi, casi Ruby (se fosse approvata) con centinaia e centinaia di stralci di intercettazioni delle ragazze dell'Olgettina a rivelare all'opinione pubblica i particolari delle feste nelle ville del premier Berlusconi.
La proposta consta di due articoli. Il primo abroga il capo IV del titolo III del libro terzo del codice di procedura penale, quello che prevede l'uso delle intercettazioni come strumento di ricerca della prova al pari di ispezioni, perquisizioni e sequestri. Con la nuova norma (che prende il nome di "Intercettazioni e controlli preventivi sulle comunicazioni"), non sarà più il pubblico ministero a chiedere l'autorizzazione al gip per ottenere il via libera agli ascolti, ma i responsabili delle forze di polizia giudiziaria (e persino il ministro dell'Interno) si rivolgeranno al Procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto in cui si trova il soggetto da sottoporre a controllo. Viene introdotto anche un "tetto" alla durata di 40 giorni, prorogabili di 20 dopo decreto motivato del pm. Infine la "stretta" sulla pubblicazione. Mentre nel ddl di iniziativa governativa, arenatosi alla Camera, in terza lettura lo scorso luglio, il centrodestra si era "lambiccato" con mille escamotage nella previsione di divieti, Bianconi risolve il problema alla radice: non facendo più parte di fasicoli processuali, le intercettazioni non saranno più atti pubblici ma resteranno nei cassetti degli investigatori. E quindi, niente pubblicazione sui giornali. Al comma 7 dell'articolo 2, il deputato di maggioranza specifica: «In ogni caso, gli elementi acquisiti attraverso le attività preventive non possono essere utilizzati nel procedimento penale, fatti salvi i fini investigativi. In ogni caso le attività di intercettazione preventiva di cui al presente articolo, e le notizie acquisite a seguito delle attività medesime, non possono essere menzionate in atti di indagine nè costituire oggetto di deposizione nè essere altrimenti divulgate».

Zapatero addio, la Spagna saluta il suo leader

Il socialista alla guida del governo dal 2004 annuncia la sua uscita di scena. Per non trascinare il partito nel baratro e permettere al Psoe di rilanciarsi.

di Emiliano Biaggio

Zapatero lascia. L'attuale primo ministro spagnolo e leader del Psoe, rinuncia a ruoli di governo e a incarichi di partito. Una decisione sofferta ma per nulla scontata, anche se nell'aria da tempo. Ma l'uomo nuovo di Spagna e personaggio di spicco della sinistra europea, paga la forte crisi e l'alto tasso di disiccupazione e - con le elezioni sempre più imminenti - si fa da parte per permettere al partito di organizzarsi e riconquistare consensi. A destra il Partito popolare (Ppe) di Mariano Rajoy - complice la crisi - vanta il 44% dei consensi, contro il 31% dello schieramento di Zapatero. Insomma, se si votasse oggi il Psoe subirebbe una sonora batosta, e allora davanti al Consiglio federale del suo partito, il capo del governo annuncia la sua uscita di scena. «È una decisione definitiva, non sarò candidato alle prossime elezioni generali», scandisce. E apre la strada alla successione per il candidato premier per le politiche del 2012. A sinistra si sfideranno nelle primarie del Psoe Alfredo Pérez Rubalcaba e Carme Chacón: il primo è il delfino di Zapatero, nonché ministro dell'Interno, la seconda è titolare della Difesa, ma soprattutto è giovane - 39 anni - e amatissima dalla base. Proprio come lo era Zapatero prima di diventare il leader più progressista del paese e del continente. Divorzio breve, matrimoni gay, legge sull'aborto (con la possibilità di interruzione della gravidenza senza limiti nelle prime 14 settimane, anche per le sedicenni): tutte riforme in senso laico e sociale, tutte riforme a costo zero. E poi il ritiro dall'Iraq, che tanto fece discutere e anche applaudire, e anni di crescita a ritmi del 7%. Poi, sul traino del mercato immobiliare, il Pil che cade del 3,7% nel 2009 e dello 0,2% nel 2010, ma soprattutto la disoccupazione è balzata in 48 mesi al 20,7%, con un’erosione di posti di lavoro che viaggia a ritmo del 4,5% all’anno. Questi gli indici della fase discendente della parabola di Zapatero, che si fa da parte per non affossare il suo partito. Perchè il 22 maggio si vota per le amministrative, banco di prova per testare quanto il Psoe potrà tenere, dato che la sconfitta appare scontata. Zapatero vuole ridare fiducia agli elettori facendosi da parte, mostrando che il principale responsabile della crisi - in quanto capo dell'esecutivo - si assume le proprie responsabilità, "auto-bocciandosi". E' il tramonto di Zapatero, e in Spagna - soprattutto nel Psoe - si auspicano non sia anche il tramonto della sinistra.

Monday, 4 April 2011

«Metallica e Muse come certa sinistra»

Il sottosegretario alla presidenza del consiglio, Carlo Giovanardi: «danno voce a quanti denigrano Berlusconi»

di Emiliano Biaggio

Le parole dei Metallica e dei Muse «mi ricordano un po' quei giornalisti scrittori e attori radical-chic di sinistra che parlano così male di Berlusconi e dell'Italia, salvo poi arricchirsi grazie a questo antiberlusconismo salottiero». Musica rock vs Governo atto secondo: Carlo Giovanardi, sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega alle politiche per la famiglia, al contrasto delle tossicodipendenze e al servizio civile, entra nel vivo della polemica sorta attorno alle dichiarazioni delle formazioni heavy metal e rock alternativo sul presidente del Consiglio. Con Metallica e Muse che criticano il capo del Governo e Alessandra Mussolini che dà dei «drogati» alle due band, anche Giovanardi interviene, e non certo per gettare benzina sul fuoco. Anzi.
«Queste rockstar- afferma Giovanardi- insultano il premier Berlusconi semplicemente perchè riecheggiano e danno voce a quanti nel nostro paese passano il loro tempo a denigrare il proprio premier e di conseguenza il loro paese». Metallica e Muse «criticano tanto Berlusconi, poi quando vengono in Italia scoprono che la nostra è una delle democrazie più evolute, con una situazione economica molto meno difficile rispetto ad altre economie». Un paese, il nostro, conclude Giovanardi, «con cittadini assolutamente dotati di autorità democratica e per nulla plagiati da un presunto dittatore».

Metallica e Muse, critiche rock a Berlusconi

Le due band contro il presidente del Consiglio. Alessandra Mussolini: «Drogati!»

di Emiliano Biaggio

Silvio Berlusconi è «imbarazzante», ed è talmente «bizzarro» che «nessuno può credere che sia davvero lui il premier» dell'Italia. Per il presidente del consiglio arrivano critiche, ma stavolta non dall'opposizione nè da governi stranieri: è infatti il mondo del rock a scagliarsi contro il cavaliere. Sarà forse per rivalità artistiche (Berlusconi ha un passato musicale di cantante e suonatore sulle navi da crociera)? Chissà. Sta di fatto che nell'ultimo libro di Klaus Davi, "Porca Italia – Cosa dicono (e pensano) di noi nel mondo" (edizioni Garzanti) i Metallica - gruppo storico dell'heavy metal - e i Muse - alfieri del rock alternativo - rivolgono al primo ministro italiano parole dure. Inizia la band heavy metal statunitense: il chitarrista dei Metallica, Kirk Hammett, considera Berlusconi «pericoloso», perchè «ha troppo potere». Come spiega, «mi spaventa che Berlusconi possa allo stesso tempo possedere i media e guidare il Paese». I Metallica sostengono senza esitazioni che «il vostro premier è un uomo imbarazzante. Da noi non potrebbe mai succedere quanto accade politicamente da voi». I britannici Muse definiscono Berlusconi invece «bizzarro». Ciò perchè, spiega il leader della band Matt Bellamy, «trovo molto strano che uno come lui possa essere un leader politico. All’estero dicono tutti la stessa cosa: nessuno può credere che sia davvero lui il premier». Parole forti, che non piacciono ad Alessandra Mussolini. Tanto che la deputata del Pdl arriva a scrivere su Facebook che «questi signori parlano evidentemente sotto l’effetto dei fumi». Per Mussolini, che difende a spada tratta il presidente del Consiglio, questi musicisti infatti non sono altro che «drogati». Alessandra Mussolini passa dunque al contrattacco. «Questi signori hanno per loro ammissione fatto uso di droghe di tutti i generi». Ebbene, scrive ancora sulle pagine di Facebook, «scopro da internet che questi Metallica vengono in tour in Italia proprio quest’anno. Attaccano il nostro Paese per fare pubblicità alla loro tournée». Ma «il 6 luglio sarò a Milano a fare loro l’antidoping». Non è la prima volta che Berlusconi viene attaccato da esponenti del mondo della musica. Come ricorda anche lo stesso Klaus Davi nel suo ultimo libro, lo scorso anno il cantante dei Placebo, Brian Molko, durante un concerto a Lucca si era scagliato contro Berlusconi mandando letteralmente «a fare in culo lui, le sue ragazze e le sue bugie» («So fuck Berlusconi, fuck his motherfucking playmates and his lies», disse). Anche Manu Chao, il chitarrista folk franco-spagnolo, ha in passato criticato il presidente del Consiglio.

Saturday, 2 April 2011

Giappone, a Fukushima un disastro annunciato

La Tepco, società che gestisce la centrale, non ha volutamente immesso acqua di mare. Per non rovinare la centrale ed evitare i costi di riparazione.

di Emiliano Biaggio

Fughe di cesio radioattivo, fuoriuscite di Plutonio, perdita di acqua contaminata, nubi tossiche, popolazione evacuata, danni all'ambiente e il rischio di esplosioni dalla portata devastante: Fukushima è tutto questo, e potrebbe essere anche di più. Perchè gonmi giorno che passa i bollettini peggiorano e le verità nascoste si celano mostrando tutta delicatezza del caso. Il Giappone vive il dramma di uno dei terremoti peggiori della propria storia, e fa i conti con le conseguenze degli sconvolgimenti naturali e dell'indola umana. Con l'imperatore Akihito che dice di «pregare» per la sua gente, si capisce quale sia l'effettiva portata della situazione, tra il collasso e la catastrofe. Anche per colpa dell'uomo. Operazioni partite in ritardo, informazioni parziali e frammentarie, silenzi: questi forse gli aspetti più inquietanti attorno a Fukushima, dova la Tepco - la società di gestione dell'impianto - sembra abbia mentito in passato sull'affidabilità della centrale e ha perso tempo nelle operazioni di intervento di raffreddamento. I vertici dell'azienda hanno infatto impedito che venisse versata acqua di mare sui reattori nell'immediato post-terremoto. Il motivo? Il fatto che l'acqua salata avrebbe rovinato impianti, macchinari e apperecchiature. In nome del denaro, per cercare di salvare una centrale colpita dal sisma e con avaria nei sistemi di raffreddamento oltre a danni strutturali, si è arrivati a compromettere in modo ormai irreversibile territorio, sicurezza e salute. E situazione. Perchè senza quei voluti tentennamenti si sarebbe potuto intervenire, cosa ora di difficile fattibilità data l'elevata radioattività di Fukushima e di tutta l'area circostante. Le autorità giapponese hanno fatto evacuare la popolazione nel raggio di 20 chilometri, ma gli ambientalisti sostengono sia altamente contaminata la zona entro i 40 chilometri di raggio. E c'è l'allarme per la contaminazione delle falde acquifere e della carne bovina, dove è stata riscontrata la presenza di sostanze radioattive. La Tepco non ha voluto gestire la cosa come gli eventi avrebbero richiesto, il Governo non ha saputo far fronte al problema, anche per via delle false informazioni fornite. Il risultato è paura per quello che può succedere. Adesso si teme il peggio, anche perchè con suolo e aria contaminate la vita vede chiudersi gli spazi per un ritorno.