Thursday, 29 November 2012

L'Onu riconosce la Palestina come stato

Approvata a larga maggioranza la richiesta di Abu Mazen per lo status di paese non membro osservatore delle Nazioni Unite.

di Emiliano Biaggio
 
La Palestina è “stato osservatore” presso le Nazioni Unite. L'assemblea generale dell'Onu ha approvato la richiesta presentata dal presidente dell'Autorità nazionale, Abu Mazen, per il riconoscimento della Palestina come stato non membro osservatore. La richiesta è stata accolta con un'ampia maggioranza: 138 i voti favorevoli, appena 9 quelli contrari e 41 astensioni. Un voto storico, perchè sancisce il riconoscimento “de facto” della Palestina. Non a caso il presidente dell'Anp prima del voto ha chiesto che l'Onu concedesse «il certificato di nascita» allo stato palestinese. Dopo lo storico voto al palazzo di vetro Abu Mazen ha quindi invitato a fare in modo che giunga «il momento di dire basta all'occupazione e ai coloni, perché a Gerusalemme Est l'occupazione ricorda il sistema dell'apartheid ed è contro la legge internazionale». Sulla città, contesa e rivendicata dalla due fazioni, la Palestina non vuole sconti. I palestinesi, ha detto Abu Mazen, «non accetteranno niente di meno dell'indipendenza sui territori occupati nel 1967 con Gerusalemme Est». Israele, che incassa un duro colpo, non ci sta. Quelle di Abu Mazen, ha detto il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, sono «parole ostili, non da uomo che vuole la pace». Una pace che però non si intravede nemmeno tra le prospettive delle stato ebraico. Il voto di oggi, ha sottolineato Netanyahu, «non cambierà alcunché sul terreno, non avvicinerà la costituzione di uno Stato palestinese, ma anzi la allontanerà».
Ben altro l'auspicio dell'Unione europea. «Solo una soluzione politica del conflitto può portare a sicurezza, pace e prosperità durature ai palestinesi e agli israeliani», ha detto l'Alto rappresentante dell'Ue per la politica estera, Catherine Ashton. «L'Unione europea ha più volte espresso il suo sostegno al riconoscimento della Palestina all'interno dell'Onu come parte della soluzione al conflitto». Ma l'Europa sul voto ha votato non come Unione europea ma a livello di stati membri. Germania, Gran Bretagna, Paesi Bassi e Repubblica Ceca si sono astenuti, mentre hanno sostenuto Abu Mazen Austria, Cipro, Danimarca, Francia, Grecia, Irlanda, Italia, Malta, Portogallo e Spagna. Tra i paesi europei non Ue a votare per il riconoscimento della Palestina Islanda, Norvegia e Svizzera. Favorevoli anche tutti i paesi “Brics” (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica). L'Italia ha sciolto la riserva solo all'ultimo, a poche ore dal voto, per il disappunto di Israele. Ma cambia poco, almeno nell'economia del voto. La Palestina è riconosciuta dall'Onu.

Wednesday, 28 November 2012

Palestina, voto storico all'Onu

L'Assemblea generale si esprime sulla richiesta di riconoscimento dello status di paese non membro osservatore. Un "sì" e i territori saranno considerato uno stato.

di Emiliano Biaggio

La Palestina potrebbe scrivere una pagina storica per il processo di pace in Medio Oriente e, soprattutto, per la sua nascita a Stato a tutti gli effetti. Domani si vota alla Nazioni Unite la proposta di risoluzione per il riconoscimento della Palestina quale non membro osservatore dell'Onu, che se approvata sancirebbe di fatto il riconoscimento dell'entità come vero e proprio stato. Un voto tanto discusso quanto atteso, tanto delicato come decisivo. L'Autorità nazionale palestinese ostenta sicurezza: i voti perchè la risoluzione passi ci sarebbero. «La leadership palestinese crede che questa volta si raggiungerà una maggioranza schiacciante», ha fatto sapere Ibrahim Khreisha, rappresentante permanente palestinese presso il comitato per i diritti umani dell'Onu. A suo dire «è pienamente certo che che la maggioranza ci sarà: ci aspettiamo 140 voti a favore su 193, tra cui quelli di 12 stati europei». Un calcolo che se dovesse risultare errato lo sarebbe di poco, se è vero che il governo di Israele si sarebbe detto «rassegnato» all'idea di un riconscimento della Palestina. L'Europa arriverà al voto divisa: non ci sarà una posizione comune come Unione europea ma tante posizioni nazionali. Hanno già annunciato il proprio voto favorevole Austria, Cipro, Danimarca, Francia, Malta, Norvegia, Portogallo, Spagna e Svizzera, a cui si aggiungeranno i "sì" di Russia e Turchia. A favore anche Cina, India, Brasile e Sudafrica, contrari Canada, Stati Uniti, Israele e Germania. Probabili le astensioni di Italia e Belgio, paesi che ancora non hanno elaborato una linea. In bilico i Paesi Bassi, tentati per l'astensione ma per il "sì" in caso di voto. "Sì" condizionato della Gran Bretagna, che chiede - per sostenere la Palestina - tre cose: l'astensione dalla richiesta di entrare nella Corte penale di giustizia e nella Corte internazionale di Giustizia, una ripresa immediata e senza condizioni dei negoziati e che la risoluzione dell'Assemblea generale non chieda al Consiglio di sicurezza di seguirne le mosse. Si attende, dunque, col fiato sospeso: un voto favorevole potrebbe segnare le sorti della questione arabo-israeliane.

Tuesday, 27 November 2012

Philips licenzia 6.700 persone. E investe nel Psv

Solo in Belgio a rischio 354 posti di lavoro. L’azienda: “Difendiamo la nostra competitività”. E intanto allestisce l’Eindhoven per vincere in Eredivisie.

Mark Van Bommel con la maglia del Psv
di Renato Giannetti (per eunews)

Philips, il colosso dei prodotti tecnologici dei Paesi Bassi, saluta l’Europa. Destinazione sud-est asiatico, almeno per quanto riguarda la produzione di lampade al Led. Costi minori, maggiore produttività: un’identità ben nota e sempre più applicata dalle aziende dell’una volta ricco occidente oggi sempre più in bolletta. Per uno stabilimento che apre i battenti da una parte di solito ce n’è un altro che i battenti li chiude, o se non li chiude poco ci manca. Philips ha annunciato un piano di ristrutturazione aziendale lacrime e sangue da 2.200 licenziamenti in tutto il mondo, Belgio compreso. Si tratta solo dell’ultimo annuncio, che porta a 6.700 il numero di posti di lavoro tagliati complessivamente. Non più tardi di un anno fa la società aveva annunciato il licenziamento di 4.500 persone, a cui si aggiungono le 2.200 di questi mesi. Di queste 354 verranno tagliate nello stabilimento belga di Turhout, nella provincia di Anversa, al nord del paese. Numeri alla mano, Philips lavora alla cancellazione di più di un quinto della sua forza lavoro di Turnhout (dove lavorano, per ora, 1.600 addetti) e più del 10% della forza lavoro del Belgio (Philips dà lavoro a 2.500 persone in tutto il regno). La motivazione è sempre la stessa: si taglia per ridurre i costi e ritrovare competitività. “Certi cambiamenti organizzativi si impongono per conservare la nostra competitività e provvedere allo sviluppo economico futuro”, ha commentato Alasdair Waugh, direttore di Philips Turnhout. La notizia non è nuova: a giugno era stata annunciata l’intenzione di ridurre l’organico di 136 unità, e nelle scorse settimane è stata annunciata l’intenzione di rimettere ulteriormente mano al personale riducendolo di ulteriori 218 unità. I sindacati sono sul piede di guerra. Ortwin Magnus, del sindacato socialista Fgtb, ha ricordato che “il costo salariale non rappresenta che il 4% del prezzo del prodotto”. Quello che nessuno finora ha fatto notare è che Philips sacrifica sull’altare della crisi le famiglie quando potrebbe operare altri tipi di scelte, come disinvestire nella propria squadra di calcio.
Pochi sanno che Philips detiene e controlla il Psv di Eindhoven, la squadra più titolata dei Paesi Bassi dopo l’Ajax. Psv – acronimo olandese per Philips Sport Vereniging – significa “unione sportiva Philips”: fondata nel 1913 come squadra dei dipendenti aziendali, ben presto è diventata una delle squadre più in vista d’Europa (una coppa Campioni vinta nel 1988 e il merito di aver lanciato calciatori quali, tra gli altri, Gullit, Romario, Ronaldo, Van Nistelrooy e Robben). Disputa le proprie partite nel Philips stadion, un impianto il cui nome indica tutto, e lo sponsor stampato sulla maglia è da sempre – neanche a dirlo – Philips. Ebbene, dopo un periodo senza vittorie in Eredivisie (l’ultimo campionato vinto risale al 2008), si è pensato a un rilancio in grande stile della squadra, costruita per tornare alla vittoria in patria e ritornare competitiva nelle competizioni europee. Il Psv ha ingaggiato Dick Advocaat, il tecnico noto per aver vinto la coppa Uefa e la supercoppa Uefa con lo Zenit San Pietroburgo (la squadra per cui tifa il presidente russo, Vladimir Putin, ndr), aver vinto aver allenato le nazionali di Paesi Bassi, Belgio, Corea del sud e Russia. Un tecnico di caratura internazionale dallo stipendio non certo economico. Altro ingaggio di peso quello di Mark Van Bommel (valore di mercato 800.000 euro), affermato campione e giocatore pluri-vincitore (quattro campionati d’Olanda, uno scudetto col Milan, un campionato spagnolo e una coppa Campioni con il Barcellona). Oggi, dopo quattordici giornate, la squadra è prima in classifica (due punti di vantaggio su Twente e Vitesse, e sei punti sull’Ajax, quarta): la politica di investimento sta dando dunque i suoi frutti, ma i dipendenti della Philips difficilmente saranno contenti. Philips delocalizza a taglia il personale con la scusa della competitività. E’ chiaro. Che figura farebbe se dovesse dire che le risorse che ha le usa per far vincere la sua squadra di calcio? I dettagli economici del costo di gestione del club non si conoscono, ma certo è indubbio che è più sostenibile pagare il normale salario del dipendente che i faraonici stipendi del mondo del calcio.

Monday, 26 November 2012

Breviario

«Oggi noi non ci sentiamo messi in un angolo e trattati con minore dignità di altri paesi».
Mario Monti, presidente del Consiglio, al temine del vertice straordinario del Consiglio europeo (Bruxelles, 23 novembre 2012)

Saturday, 24 November 2012

Israele, vietato scriverne male o è censura

Piergiorgio Odifreddi
Ha scritto un articolo piuttosto critico nei confronti di Israele, per alcuni anche troppo critico. Talmente critico che Piergiorgio Odifreddi è stato censurato da repubblica.it per aver osato parallelismi con il nazismo. Troppo? Il nazismo non ci ha forse insegnato che certe pratiche vanno condannate? Il nazismo non ci ha forse insegnato che i crimini contro l'umanità vanno condannati? Se ce l'ha insegnato allora è nostro dovere condannare sempre qualunque violenza contro gli uomini e qualunque violazione dei diritti fondamentali, senza se e senza ma. Altrimenti vorrà dire che il nazismo non ci ha insegnato nulla. Pubblichiamo, come fatto già da altri, l'intervento di Odifreddi censurato. Qui di seguito il testo rimosso a seguito delle pressioni della comunità ebraica, come denunciato dallo stesso autore.

di Piergiorgio Odifreddi

Uno dei crimini più efferati dell'occupazione nazista in Italia fu la strage delle Fosse Ardeatine. Il 24 maggio 1944 i tedeschi "giustiziarono", secondo il loro rudimentale concetto di giustizia, 335 italiani in rappresaglia per l'attentato di via Rasella compiuto dalla resistenza partigiana il 23 maggio, nel quale avevano perso la vita 32 militari delle truppe di occupazione. A istituire la versione moderna della "legge del taglione", che sostituiva la proporzione uno a uno del motto "occhio per occhio, dente per dente" con una proporzione di dieci a uno, fu Hitler in persona.
Il feldmaresciallo Albert Kesselring trasmise l'ordine a Herbert Kappler, l'ufficiale delle SS che si era già messo in luce l'anno prima, nell'ottobre del 1943, con il rastrellamento del ghetto di Roma. E quest'ultimo lo eseguì con un eccesso di zelo, aggiungendo di sua sponte 15 vittime al numero di 320 stabilito dal Fuehrer. Dopo la guerra Kesselring fu condannato a morte per l'eccidio, ma la pena fu commutata in ergastolo e scontata fino al 1952, quando il detenuto fu scarcerato per "motivi di salute" (tra virgolette, perché sopravvisse altri otto anni). Anche Kappler e il suo aiutante Erich Priebke furono condannati all'ergastolo. Il primo riuscì a evadere nel 1977, e morì pochi mesi dopo in Germania. Il secondo, catturato ed estradato solo nel 1995 in Argentina, è tuttora detenuto in semilibertà a Roma, nonostante sia ormai quasi centenario.
In questi giorni si sta compiendo in Israele l'ennesima replica della logica nazista delle Fosse Ardeatine. Con la scusa di contrastare gli "atti terroristici" della resistenza palestinese contro gli occupanti israeliani, il governo Netanyahu sta bombardando la striscia di Gaza e si appresta a invaderla con decine di migliaia di truppe. Il che d'altronde aveva già minacciato e deciso di fare a freddo, per punire l'Autorità Nazionale Palestinese di un crimine terribile: aver chiesto alle Nazioni Unite di esservi ammessa come membro osservatore! Cosa succederà durante l'invasione, è facilmente prevedibile. Durante l'operazione Piombo Fuso di fine 2008 e inizio 2009, infatti, compiuta con le stesse scuse e gli stessi fini, sono stati uccisi almeno 1400 palestinesi, secondo il rapporto delle Nazioni Unite, a fronte dei 15 morti israeliani provocati in otto anni (!) dai razzi di Hamas. Un rapporto di circa 241 cento a uno, dunque: dieci volte superiore a quello della strage delle Fosse Ardeatine. Naturalmente, l'eccidio di quattro anni fa non è che uno dei tanti perpetrati dal governo e dall'esercito di occupazione israeliani nei territori palestinesi.
Ma a far condannare all'ergastolo Kesserling, Kappler e Priebke ne è bastato uno solo, e molto meno efferato: a quando dunque un tribunale internazionale per processare e condannare anche Netanyahu e i suoi generali?

Friday, 23 November 2012

Bce, gli stati votano Mersch

Il Consiglio Ue dà il via libera per il completamento del board, rompendo con il Parlamento europeo

Yves Mersch
di Emiliano Biaggio

Yves Mersch è il nuovo componente del consiglio esecutivo della Banca centrale europea. I capi di stato e di governo dei paesi Ue hanno votato la proposta di nomina del lussemburghese per ricoprire il posto lasciato vacante il 31 maggio scorso da Josè Manuel Gonzalez-Paramo. Mersch, sessantatre anni, avrà un mandato di otto anni ed entrerà in carica il 15 dicembre. A votare la proposta di nomina tutti tranne la Spagna, unico paese a votare contro.
Il voto dei capi di Stato e di governo dei paesi dell'Ue segna uno strappo istituzionale con il Parlamento europeo, che si era detto contrario alla nomina di Mersch esprimendosi per la presenza di un membro femminile nel board della Bce.

Wednesday, 21 November 2012

Tonio Borg, commissario Ue anti-aborto e immigrati

Il Parlamento europeo lo nomina nuovo responsabile per la Salute della squadra Barroso. Decisivo il voto di alcuni socialisti.

Tonio Borg
di Emiliano Biaggio

Cinquantacinque anni, maltese, antiabortista, contrario al divorzio, nemico delle coppie di fatto e dell'omosessualità, per nulla sensibile ai temi di immigrazione. E' il curriculum di Tonio Borg, nuovo commissario europeo per la Salute. Il Parlamento Ue ha accolto la proposta di candidato designato per sostituire John Dalli, dimessosi (o fatto dimettere, ancora non è chiaro) dopo essere finito sotto inchiesta dell’Ufficio anti-frode europea (Olaf) per una presunta corruzione da parte della lobby del tabacco. Con 386 voti a favore, 281 contrari e 28 astensioni, i deputati europei riuniti a Strasburgo in sessione plenaria hanno votato per Borg, che diventa così il nuovo componente della squadra di Josè Manuel Barroso. L’approvazione del Parlamento a un candidato commissario non è formalmente necessaria affinché questi possa essere designato, ma un parere negativo non avrebbe potuto essere facilmente ignorato visto che le regole obbligano il presidente della Commissione europea a prendere «seriamente in considerazione l’esito della consultazione del Parlamento». Per Barroso pericolo scampato, però, nonostante la divisione del Parlamento sull'uomo indicato dall'esecutivo comunitario: a rendere perplessi a Strasburgo le posizioni anti-abortiste di Borg, come le sue visioni sull’omosessualità. Famoso in patria per aver cercato di limitare la libera circolazione in Europa delle cittadine maltesi sospettate di voler praticare un’interruzione volontaria di gravidanza fuori dai confini dell’isola (a Malta l'aborto è vietato per legge, ndr), Borg - membro di spicco del partito nazionalista - ha sempre tentato di non riconoscere il divorzio (legalizzato nel suo paese dal 2011 a seguito di un referendum) e si ostina a non voler riconoscere i diritti delle coppie di fatto, sia omosessuali che eterosessuali. Come ministro dell’Interno, carica che ha ricoperto dal 1998 al 2008, è stato l’architetto del sistema di detenzione degli immigrati irregolari e nel 2002 è stato da Amnesty international per un espatrio di 230 richiedenti asilo eritrei che sarebbero stati sottoposti a maltrattamenti nel loro paese. Nell'Unione europea fresca di premio Nobel per la pace e da sempre - sulla carta - paladina delle istanze democratiche e del rispetto della dignità della persona, arriva dunque un esponente non proprio progressisticamente ispirato. Complice il pronunciamento di alcuni eurodeputati socialisti che, nella segretezza del voto, sono andati contro le indicazioni del gruppo: i “no” alla nomina di Borg quale nuovo commissario europeo per la Salute sono stati 281, quando la somma dei deputati liberali, verdi, di sinistra e socialisti insieme sarebbe 358, più della metà dei 754 deputati europei.

Agli italiani piace la polizia e il Vaticano

Sondaggio Ispo: i punti di riferimento nazionali restano gli stessi di sempre. Con rinnovato spirito campanilista.

di Emiliano Biaggio 

Dio, re, patria, famiglia: per gli italiani passa il tempo, ma non le tradizioni. Monarchici, fascisti, democristiani, berlusconiani ma comunque mai progressisti. Nel tempo che scorre gli italiani non vanno mai in controtendenza, e - anche con la dissaffezione crescente in tutto e la sfiducia generale di tutti - i punti di riferimento restano sempre quelli: dio, re e patria. Il sondaggio sondaggio Ispo “Gli italiani e l’Unione europea. Un rapporto che cambia?” presentato a Roma nella sede della rappresentanza della Commissione europea in Italia, non lascia margine di dubbio: gli italiani si fidano delle forze dell'ordine (ha molta fiducia in carabinieri e polizia il 72% degli intervistati), del presidente della Repubblica (57%) e della Chiesa cattolica (52%). In un paese dove il 96% degli italiani dice di non avere alcuna aspettativa nei partiti politici ciò dovrebbe allarmare: se non piaccioni i partiti politici non piace nemmeno il sistema che li ospita, e le pulsioni autoritarie rischiano di crescere. L'Italia e gli italiani, tuttavia, non rafforzano il proprio credo nei loro modelli tradizionali: lo studio Ispo mette in luce come sia diminuito l'attaccamento alle forze dell'ordine (piacevano all'85% degli italiani nel 2010, all'80% lo scorso anno e al 72% oggi), al capo dello Stato (84% di consensi nel 2010, 82% nel 2011, 57% nel 2012), nel cattolicesimo e nel suo clero (66% di consensi nel 2010, 60% nel 2011, 52% nel 2012). L'italiano è dunque sfiduciato, ma resta comunque attaccato alle proprie convizioni. E alle sue radici. In un momento di difficoltà ci si rifugia nel proprio campanile: dal 2011 al 2012 è cresciuto solo il senso di appartenenza al proprio comune (+2%), mentre è calato il sentimento europeistico (-4%), nazionalistico (-3%), regionalistico e provincialistico (-1% per entrambe le categorie). Una conferma della mentalità italiana, una sconfitto per il mondo globale.


Il sondaggio

Monday, 19 November 2012

Sulla guerra e le operazioni militari

Vignetta che spiega le ragioni per cui i leader politici sposano la linea dell'intransigenza e della violenza. In Israele, questo paga. E non solo lì.

FACT SHEET/ Israele, ecco quanto costa "colonna di nuvole"

Cifre esorbitanti. Che potrebbero risollevare le economie di molti paesi.


La stazione radio della difesa israeliana ha annunciato che è stato calcolato il costo dell'operazione "Colonna di nuvole", attuata da governo ed esercito di Israele contro i guerriglieri della striscia di Gaza. 
I primi quattro giorni sono costati ad Israele circa 63 milioni di dollari. Se l'operazione dovesse continuare con la stessa intensità il costo settimanale potrebbe raggiungere i 100 – 150 milioni di dollari. Includendo anche le truppe di terra per l'invasione dei territori, il costo potrebbe sfiorare addirittura il miliardo di dollari. Sempre a settimana. Di fronte a questi dati viene spontanea un'amara considerazione: la guerra è il solo settore che non conosce mai crisi.

Sunday, 18 November 2012

Israele e il dilemma della legittima difesa

Ogni volta che è attaccata, si difende e offende. Ogni volta si chiede risposta proporzionata, ma i numeri smentiscono sempre.

Un bambino gravemente ferito
l'e-dittoreale

Razzi palestinesi in territorio israeliano e Israele risponde. Una storia giù vista, che torna a riproporsi e a riproporre con sè i soliti interrogativi che sempre accompagnano le violenze infinite nel martoriato territorio palestinese. Il diritto di Israele a difendersi quanto giustifica azioni fuori misura? Fino a che punto è colpa dei palestinesi, frustrati per l'incapacità di Israele di trovare un accordo di pace? Le responsabilità e le colpe si confondono, le verità e le menzogne si perdono nelle nuvole di polvere che alzano bombe e razzi. Le vittime si contano solo che si diradano la "Colonna di nuvole", la nuova operazione militare lanciata dallo Stato ebraico in risposta alla rottura della tregua di Hamas. Le vittime sono almeno 70, 67 palestinesi e 3 israeliane. Solo nell'ultimo raid degli F-16 israeliani si piangono 10 bambini e 5 donne. Nella ripresa delle ostilità l'Europa - ancora una volta schieratasi senza esitazione con Israele - ha chiesto per mezzo dell'Alto rappresentante per gli Affari esteri, Catherine Ashton, solo che la risposta dello Stato ebraico «sia proporzionata». I numeri suggeriscono che questa reazione non lo sia, come sempre del resto: Israele ha una delle macchine militare meglio collaudate e funzionanti al mondo, la Palestina non è nemmeno uno stato. Per un razzo lanciato in Israele corrispondono caccia e carriarmati mossi verso i territori. I numeri portano a riflessioni tanto legittime quanto sbagliate quando si parla di Israele e delle questione ebraica: 70 morti, 67 palestinesi e 3 israliani. Venti palestinesi per ogni israeliani. Dieci fucilazioni per ogni tedesco ucciso. Altri tempi, altri regimi. La democrazia non più essere paragonata al totalitarismo. Ma le analogie sono da brividi. «Gli attacchi di razzi da parte di Hamas e di altre fazioni a Gaza che hanno dato inizio alla crisi attuale, sono del tutto inaccettabili per qualsiasi governo e devono fermarsi», sostiene Ashton. Non a torto. «Israele ha il diritto di proteggere la propria popolazione da questo tipo di attacchi», sostiene ancora Ashton, sempre non a torto. Ma la linea sottile tra ciò che è giusto e legittimo e ciò che non lo è più, dove si trova? Israele ha lanciato l'operazione "Colonna di nuovle", già definita «una eclatante aggressione contro l'umanità» (Mohamed Morsi, presidente egiziano). Raid aerei ininterrotti, stop agli aiuti umanitari, e anche bombardamento del palazzo che ospita i giornalisti a Gaza. D'accordo: Hamas ha fatto cadere missili su Gerusalemme dopo quarant'anni e a Tel Aviv sono stati riaperti i rifugi, ma questa è una reazione proporzionata? La risposta viene da sè, mentre le potenze occidentali si limitano a manifestare «preoccupazione» (Angela Merkel, cancelliere tedesco) e rispolverare i soliti inutili quanto ipocriti inviti al cessate il fuovo (Navi Pillay, portavoce dell'Alto commissario per i diritti umani dell'Onu). La verità, neanche troppo nascosta, è che Israele ha ragione a prescindere, quando è dalla parte del torto come in quella della ragione. La storia si conosce anche fin troppo bene, perchè si ripete ogni volta: operazione "Piombo fuso", operazione "Colonne di nuvole", Sabra e Shatila: le responsabilità e le colpe si confondono. Ma come sempre avviene si suddivodono. Ciò rende tutte le parti, nessuna escluda, colpevoli. Ma questo aspetto si continua colpevolmente e complicemente a tacerlo.

Friday, 16 November 2012

Nuova legge bavaglio, Tajani solleva il caso in Ue

Lettera al commissario europeo per la Giustizia. «Per eliminare il carcere sanzioni sproporzionate che limitano la libertà di stampa».

Antonio Tajani
di Emiliano Biaggio

Il caso Sallusti e il disegno di legge sulla diffamazione finiscono all'attenzione dell'Unione europea. A sollevare il tema il vicepresidente della Commissione europea responsabile per l'Industria, Antonio Tajani, che si è rivolto al collega Viviane Reding, commissario Ue per la Giustizia. Tajani ritiene che quanto sta accadendo nel suo paese di provenienza «possa essere in contraddizione con i nostri valori e principi in materia di libertà di stampa». Dubbi messi nero su bianco in una lettera inviata a Reding, per informarla della vicenda del direttore de Il Giornale, quotidiano per cui ha scritto Tajani prima di lanciarsi in politica. I giudici italiani, ricorda Tajani, hanno condannato Sallusti al carcere per omesso controllo di un articolo pubblicato sul giornale da lui diretto con contenuti a carattere diffamatorio contro la magistratura. Nel corso del dibattito che si è aperto in Italia, ricorda Tajani, «è stato sottolineato l’eccesso di questa misura che prevede la reclusione di un direttore di giornale sulla base di una responsabilità non correlata al contenuto di un articolo, ma alla mancanza di controllo». Inoltre, continua la lettera inviata a Reding, «il pretesto di evitare il carcere al direttore de Il Giornale, è stata proposta una nuova legge che eliminerebbe carcere per questo tipo di reati, ma introdurrebbe sanzioni elevate». Un similie aumento «sproporzionato» delle sanzioni, denuncia il vicepresidente della Commissione Ue, «è stato considerato quasi all’unanimità dai media come una grave limitazione della libertà di stampa». Ciò per Tajani rischia di essere «in contraddizione con i nostri valori e principi in materia di libertà di stampa». Da qui l'appello alla responsabile per la Giustizia di «chiedere ai servizi di verificare la compatibilità della legge italiana con i principi europei».

Thursday, 15 November 2012

Sì del Senato al carcere per i giornalisti

Passa con voto segreto l'emendamento che prevede anche sanzioni pecuniarie più severe. Severino delusa: «Il carcere venga escluso, si rafforzi il dovere di rettifica»

L'Aula del Senato
di Emiliano Biaggio (fonte: ilSole24ore)

Sì al carcere e a multe salatissime per i giornalisti. L'Aula del Senato ha approvato con voto a scrutinio segreto (131 sì, 94 no e 20 astenuti) l'emendamento presentato dalla Lega al disegno di legge Sallusti, varato in seguito alla condanna al direttore del Giornale Alessandro Sallusti. Il provvedimento, che ha trovato il sostegno dell'Api di Rutelli, prevede la possibilità «della reclusione fino ad un anno» o della multa da 5.000 la a 50.000 euro, tenuto conto della gravità dell'offesa e della diffusione dello stampato. Il governo ha cercato di evitare anche il voto: il sottosegretario alla Giustizia Antonino Gullo ha prima invitato la Lega a ritirare l'emendamento - ma senza riuscire a dissuadere il Carroccio - e quindi ha votato contro. Governo battuto, dunque. Delusa Paola Severino, ministro della Giustizia. «Il mio auspicio - commenta dopo il voto - è che possa riprendere il dibattito parlamentare che porti a un consolidamento della linea dell'esclusione del carcere». Severino auspica inoltre «un miglioramento delle misure a garanzia da una parte del diritto-dovere di informare, e dall'altra del diritto di riparazione, come la rettifica». Condanna del Consiglio d'Europa, l'organizzazione internazionale il cui scopo è promuovere la democrazia e i diritti dell'uomo. Nils Muiznieks, commisario per i diritti umani del Consiglio d'Europa, considera il voto del Senato un «grave passo indietro» per il nostro paese, a cui si guarda ora con «grande preoccupazione». Per il segretario della Lega, Roberto Maroni, non c'è motivo per cui preoccuparsi. Quello presentato, spiega, «è stato un emendamento-provocazione per risolvere il problema in modo serio e complessivo, non sull'onda delle emozioni», Insomma, «nessun rischio galera», assicura Maroni. L'emendamento presentato - e votato - «è stata un'iniziativa della Lega per far riflettere su un tema liquidato con troppa superficialità e fretta».

Wednesday, 14 November 2012

Breviario

«Women mean business». ("Donne vuol dire affari")
Viviane Reding, european commissioner for Justice, presenting the Eu Commission proposal for female quotas into the board of the publicy listed companies (Bruxelles, 14th of november 2012)

«Nessuna divergenza tra Francia e Germania»

Moscovici assicura: «Nessuna ingerenza, abbiamo una visione comune».

Pierre Moscovici
di Emiliano Biaggio

«Tra Francia e Germania non ci sono divergenze». Vuole metterlo in chiaro una volta per tutte Pierre Moscovici, il ministro delle Finance del governo Hollande. La Francia viene vista come in rotta di collisione con la Germania da quando all'Eliseo non c'è più Nicolas Sarkozy. Quella che per molti era l'asse "Merkozy" attorno a cui ruotavano tutte le decisioni europee, non esiste più. E allora la Francia, per non alimentare tensioni, soprattutto sui mercati, decide di ostentare distensione e serenità. Tipico di chi in genere non solo non è nè disteso nè sereno, ma al contrario è l'esatto opposto di ciò che dice. Moscovici e il suo collega tedesco Wolfgang Shaeuble decidono di organizzare una conferenza stampa congiunta, al termine dell'Eurogruppo che ha rimandato la decisione sulla Grecia. Una conferenza stampa congiunta per dire che «non ci sono divergenze». Una rappresentazione del contrario, perchè chi sa che va tutto bene non ha bisogno di farlo credere. Ma l'appuntamento, a sentire Moscovici, è stato messo in agenda «per dimostrare che c'è grande una cooperazione totale, trasparente, e il pieno impegno a lavorare insieme». Ad avvalorare questa tesi il fatto che «la Germania è stato il primo paese dove sono stato in visita» non appena nominato ministro, ricorda Moscovici. Con Schaeuble, tiene a precisare, «lavoriamo insieme fin dal primo giorno» del governo Hollande. I due paesi, mette in chiaro il ministro delle Finanze francese, «hanno una visione comune» dell'Europa e della gestione della crisi. Nessuna divisioni, quindi. Nessuna frattura. Nessuna competizione. «Non cè nessun malinteso nè ingerenza di un paese verso l'altro». Francia e Germania, «hanno delle responsabilità comuni e noi queste responsabilità ce le stiamo assumendo». I due paesi, a sentire Moscovici, stanno dcunque dimostrando maturità. E questo non per il sapiente ruolo politico che sanno interpretare, ma perchè tale ruolo spetta loro di diritto in quanto «perchè Francia e Germania sono la prime due economie d'Europa». Laconico Schaeuble: «Sono d'accordo», si limita a dire commentando le parole del suo interlocutore. Poche parole per la giusta chiarezza che serve. Nel gioco delle parti Francia e Germania sono davvero brave, l'auspicio è che siano altrettanto bravi anche in altri giochi.

Sunday, 11 November 2012

AS Grifondoro, maggica giallo-rossa

"You don't stand a chance against Gryffindor"

Il Grifondoro ha tifo organizzato, sostenitori appassionati, grande tradizione sportiva, storia di campioni e campionissimi, e da ultimo capitan Potter. Una squadra come questa non poteva non avere un inno ufficiale, il "Gryffindor rock", composto dagli Harry and the Potters, gruppo il cui nome dice tutto. Front-man del gruppo Marcus, di ritorno dal mondo dei babbani dopo aver riscosso grande successo con i Beehive, fortunata band in in circolazione fuori da ogni circuito magico nei gloriosi anni Ottanta. Quelli furono anni che infatti non richiedettero mai magie nè incantesimi, soprattutto nel panorama musicale babbano. Dopo aver fatto fortuna, Marcus ha quindi fatto ritorno nel regno della magia per fondare il suo nuovo gruppo e regalare all'amata corazzata giallo-rossa del quidditch l'inno che una squadra di questo calibro si merita. Notare il look dell'ex leader dei Beehive ora leader degli Harry and the Potters: una capigliatura che mostra l'attaccamento alla maglia e alla squadra. Squadra che promette battaglia - e magie - già dal suo inno: "You don't stand a chance against Gryffindor"...

Saturday, 10 November 2012

Biaggio risponde

Io non capisco una cosa...
Per quale motivo i giornalisti non devono andare in carcere?
stanno approvando in parlamento una legge ad personam, anzi ad castam...se qualcuno ha sbagliato, ha diffamato senza avere delle fonti certe,obiettive e chi aveva l'obbligo di controllare che un articolo diffamatario non venisse pubblicato e reso a tutti quanti deve pagare, anche con la reclusione...
In alcuni casi inoltre a seguit di diffamazione a mezzo stampa è necessaria la rettifica e quest'ultima viene messo in fondo alla pagina del giornale senza dare il risalto enfatico che aveva avuto la notizia diffamante... (Giancarlo, Albano laziale)


Caro Giancarlo, intanto ricordo che il nostro sistema giuridico prevede e disciplina le fattispecie di reato e di casistiche da te menzionate. Il codice penale ha infatti articoli dedicati a "Diffamazione a mezzo stampa" (artt. 595, 596, 596 bis, 597, 599 c.p.) e articoli relativi alla "Responsabilità del direttore e dell’editore" (artt. 57, 57 bis, 58, 58 bis c.p.). Il carcere per i giornalisti che ledono la dignità della persona è previsto, quindi stai tranquillo che la tua sete di giustizia è già calmata. Inzio a rispondere alla tua domanda con una domanda: è proporzionato il carcere per un diffamatore? Ebbeno, io dico di no. E' come dire che chi uccide merita la pena di morte. La base del nostro diritto afferma che la pena non deve mai avere carattere punitivo ma educativo (art. 27 comma 3 della Costituzione), per cui qui si pone la questione della giusta pena. La discussione si sposta, credo, dal piano giuridico al piano etico. La legge, quando c'è, si applica. So che in Italia ciò potrà suonare strano, ma in genere il principio è questo. Se la legge prevede il carcere per i giornalisti - e l'attuale legislazione lo prevede - sarà all'organo giudicante a stabilire i casi in cui questa eventualità si applichi. La questione, quindi, non è giuridica ma etico e morale. Mi chiedi perchè i giornalisti non devono andare in carcere: ebbeno io ritengo che non sia la pena giusta. A mio avviso il carcere per i giornalisti è troppo, anche perchè le sanzioni pecuniarie in caso di diffamazione non sono roba da poco. Ci sono poi altri modi per colpire i giornalsti, e sono previsti dall'ordine che regola la professione (quella della storia degli albi professionale meriterebbe altri ragionamenti...): censura, sospensione dalla professione, radiazione dall'albo. Anche qui le regole ci sono, ma si bypassano con la complicità dei direttori che permettono ai loro redattori di continuare a scrivere anche se non potrebbero. Il codice deontologico e le varie "carte" che regolano la professione hanno anche regole ben precise per quanto riguarda la rettifica, con la spiegazione di quando, come, e dove deve essere pubblicata nei casi in cui questa è necessaria. Qui si pone un altro problema del nostro paese: il mancato controllo del rispetto delle leggi. Come sempre avviene, quando si verificano casi che fanno discutere si chiede la linea dura. In tutta onesta sincerità non capisco perchè. Non credo che servano sempre nuove leggi ogni volta più severe, credo che basterebbe far osservare quelli già esistenti.  Nel caso specifico questo mancato controllo del rispetto delle leggi dipende dai limiti che l'autonomia della stampa (che poi autonoma non è, e se vuoi un giorno ti spiego perchè) ha come tutti gli ordini autoregolati e autogestiti. Queste disfunzioni di una professione autoregolata sono tali da giustificare il carcere? Io dico di no. Come certo saprai, il nostro sistema di diritto è un sistema garantista: per cui nessuno è colpevole fino a prova contraria (art. 27 comma 2 della Costituzione) e chiunque ritenga di aver subito un torto - di qualcunque fattispecie esso sia - ha tutti gli strumenti legali per far valere i propri diritti. Se quello che tu pensi è vero, allora anche per Vittorio Feltri si doveva richiedere il carcere per la sua campagna - poi risultata falsa e denigratoria - contro Dino Boffo. E provvedimenti penali si dovevano chiedere anche per la proprietà editoriale del quotidiano - nota a tutti - per cui Feltri agiva in qualità di direttore.
Il ddl sulla diffamazione è un legge ad personam nella misura in cui nasce - concettualmente - per rispondere al caso di una singola persona. Anche qui inizio a rispondere partendo da una domanda: quando parli di casta a chi ti riferisci? Dalla tua domanda credo ai giornalisti, ma anche quella che fa le leggi lo è, ed è ben più potente. Perchè se pensi che quella dei giornalisti sia una casta non hai torto: per certi versi lo è. Ma lo è fino a un certo punto. C'è chi sa bene che questa intoccabilità nei fatti presunta dei giornalisti non conferisce alcun potere. Che potere ha chi è sul libro paga del governo (con i fondi statali all'editoria) e dei grandi gruppi industriali (Agi con Eni, ilSole24ore con Confindustria...)? Io sono dell'idea che la vera casta sia un'altra: quella che dovrebbe legiferare per gli italiani e invece legifera solo per uno solo di essi. Questo è un problema di democrazia. E la democrazia, quella funzionante, ha tutti gli strumenti che servono per rivalersi su chi pensa di non poter scontare mai le proprie colpe. Anche ricorrendo al carcere, certo. Dipende dalla tipologia di reato, come tu certamente sai non per tutti i reati è prevista una simile opzione. E credo che nel rispetto di questa logica, per quanto detto, il carcere per chi scrive sia eccessivo. Si rischia di intimidire chi ha il diritto e il dovere di raccontare la verità e dissuaderlo a non farlo, proprio come avviene in quei paesi dove la democrazia o è un miraggio o un retaggio di un passato lontano.
                                                                                              Emiliano Biaggio

Thursday, 8 November 2012

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Pequeñas consideraciònes sobre las lenguas y no solo

¡Curioso! No creìa de regresar a utilisare esta lengua. Es curioso y extraño a lo mismo tiempo. Pero esta bien con todo lo que esta pasando desde un año y mas. No se si mi español es asi bueno como tenieria que ser, pero seguro es mejor de como me mismo piensa. Entoces, tiene que ser bastante bueno para comunicar. Voy a Bruselas y me aprendo una lengua: que cuando lo dijo todos creyeron que yo iba a hablar el frances, que es la lengua hablada par una parte della poblaciòn de Belgica. Es verdad que no es la mas hablada a Bruselas, pero queda la lengua nacional y – en teoria – la lengua oficial por los trabajos de la Union europea. ¡Curioso! Aunque sea asì, estoy desarollando un otro canal de comunicacion. ¿Estas a Bruselas y tu no sabes el frances? Cuando me lo piden – y esto sucede muy frecuentemente, para no decir casi siempre – entiendo que por la jente yo soy una persona extraña. Y sinceramente puedo comprenderlo. Porque siempre do razon a ellos. ¿Y yo, que soy? Si hablo y escribo en español a Bruselas, cuando no soy ni español ni de sudàmerica, no puedo que ser cuanto menos una persona particular. Acaso. Pero va dicho que por la primera vez en mi vida he encotrado el coraje de utilizar este idioma nunca hablado. ¡No come aquella vez en Galicia! No se que pasò ni porque, pero ahora es asì. Puede ser que mañana voy a perder esta rencontrada ganas de probar a enfrentarme con l'español. Por pireza, ¡claro!, que la pireza hace siempre 180. Sino sobre todo porque estoy ponendome a la prueba. Español es solo una representaciòn – pero en pequeño, ¡claro! – de mis dudas y mi miedos. Sino lo stoy hablando. No siempre, y solo un poco. Pero empecè, y empezar es siempre la cosa mas importante que todas, porque es la mas dificil. Y ahora escribo tambièn, que acaso es la sola cosa que se hacer. Y esto por alguien podria aparacer extraño o curioso, no se, pero a mi aparece que sea bueno. Quisas, puede ser que voy a hacer lo mismo con el frances. ¡Ojala! Pero, ¿porque no? Tengo todo el tiempo que quiero...

Wednesday, 7 November 2012

Breviario

«La rielezione di Obama, il presidente-simbolo dell’America multietnica, non è certo di buon auspicio per il futuro del mondo. Venti di guerra spirano sul mondo grazie a questa vittoria realizzata da un’America multirazziale guidata da un leader debole e incerto».
Mario Borghezio, deputato europeo della Lega Nord, commentando i risultati delle elezioni statunitensi. (Bruxelles, 7 novembre 2012)

Lo storico presidente negli Usa del sogno infranto

Obama rivince le elezioni: dopo essere stato il primo afro-americano ad arrivare alla Casa Bianca è anche il primo afro-americano che riesce a restarci. Alimentando l'american dream oggi spento.

l'e-dittoreale

Gli Stati Uniti hanno ancora il loro presidente, è vero, ma non hanno più troppa convinzione nel loro traghettatore. Barack Obama ha vinto ancora, ha riaffermato il mito del sogno americano, e mai come ora il grande paese a stelle strisce ha bisogno del suo sogno, di sapere che tutto si può fare, anche uscire da questa crisi della quale non si intravede mai la fine. Il risultato elettorale mostra un paese diviso e disamorato: il margine di vantaggio con cui Obama ha ottenuto la conferma alla Casa Bianca mostra la disaffezione dell'elettorato statunitese, comunque mai particolarmente partecipante. Il presidente rieletto ha perso nove milioni di voti rispetto alla precedente tornata elettorale, e ha staccato il rivale - lo sfidante repubblicano Mitt Romney - di appena tre punti percentuali. Ciò significa che gli Stati Uniti di oggi sono un paese diviso un due, almeno quello che è andato a votare. Un paese in bilico tra voglia di certezze e tentazioni di cambiamento, e provato dalla normale sfiducia che colpisce quandi si vive una crisi di cui non si vede la fine: così si spiega il testa a testa Obama-Romney, che dietro di sè un contesto politico delicato per un paese che cerca governabilità per ripartire. La spaccatura del paese è leggibile nella composizione del Congresso federale, per metà repubblicano (la Camera dei rappresentanti) e per metà democratico (Senato). Un dato che renderà la vita non certo facile a Obama, che sulle ali dell'entusiasmo si lascia scappare promesse forse troppo facili. «Finirò quello che ho iniziato». Davvero? Il primo mandato di Obama ha mostrato bene le difficoltà e i limiti che ha incontrato lo storico presidente afro-americano, che alla fine ha raccolto molto meno di quanti tutti si aspettassero (o forse anche qualcosa in più, se pensiamo al Nobel per la pace). «Prego Dio che sappia governare bene l'America», il commento dello sconfitto Romney. Con i numeri e le forze di cui dispone Obama governare sarà tutt'altro che semplice, e l'entusiasmo - che pure conta per un paese depresso - da solo non basta. Obama lo sa bene. Le sue parole non sono casuali. «Lavorerò con Romney», ha detto. «Lavorerò con i leader di entrambe gli schieramenti per affrontare quelle sfide che possiamo risolvere solo insieme». E' la democrazia che permette il dialogo. E' la democrazia imperfetta che il dialogo lo impone. Obama, dovendo cedere in passato, ha perso il suo fascino. Saprà ripagare la (diminuita) fiducia dell'elettorato? Ha a disposizione quattro anni per dimostrare di essere un sapiente traghettatore per un paese che si sente sempre più alla deriva.

Saturday, 3 November 2012

Belgio alla fame, ora si ruba nei supermercati

Carrefour e Brico invitano la clientela a depositare zaini e borse all'ingresso. Avvisi che prima non c'erano mostrano l'entità della crisi.

di Emiliano Biaggio

Gente che ruba nei supermercati, e non solo. Gente che ruba. Segno che la crisi sta iniziando a mordere sempre di più. A Bruxelles la criminalità sta aumentando, ma anche i piccoli furti alimentari e di beni di prima necessità. Lo si capisce camminando per strada e, ancora meglio, entrando nei negozi. Colpisce l'avviso affisso all'ingresso di tutti i punti vendita di Carrefour, la catena francese di supermercati molto diffusa in Belgio: a Bruxelles a chiunque si chiede di depositare zaini e borse all'ingresso, altrimenti il personale si riserva di chiederlo di aprirli in qualunque momento. «La direzione – recita l’avviso, scritto ben visibile in nero grassetto su sfondo giallo – si riserva il diritto di chiedervi di aprire i vostri zaini. Per cortesia, vogliate depositarli alle casse». Un messaggio che se non rende ancora la dimensione del dramma sociale che questa crisi sta producendo, viene accompagnato da una seconda parte: «In caso di furto verrà chiesta una somma di 20 euro per frode amministrativa, e sarà immediatamente avvertita la polizia». I furti dagli scaffali degli alimentari, quindi ci sono. Non si conosce ancora quanto si rubi per mangiare, ma certo è che se si è arrivati ad affiggere questi cartelli la situazione davvero è preoccupante. E l’annuncio-shock non si esaurisce qui. C’è infatti un ultimo avviso: nei supermercati Carrefour non si accettano banconote di grosso taglio, 200 e 500 euro. Probabilmente si teme che le banconote di grosso taglio siano oggetto di falsificazione. Forse, nella disperazione e nella misera crescenti, l’acquisto di beni con carta moneta falsa sta diventando un’alternativa al fenomeno allarmante del furto materiale nei supermercati. Ma i furti non si limitano a questo: un cartello analogo è stato affisso all'interno di Brico, la grande catena di bricolage e accessori per la casa. All'ingresso sono stati sistemati degli armadietti dove viene chiesto di depositare borse e zaini prima di addentrarsi tra i reparti. Si vede che piccole sparizioni si stanno manifestando anche lì.

Friday, 2 November 2012

In alto i calici: prendete e bevetene tutti.

(Bevi responsabile: non metterti alla guida dopo aver bevuto, e non bere se poi devi guidare. Bevi con moderazione: non eccedere con l'alcool. L'abuso di alcolici fa male alla salute. Se hai meno di 16 anni fermati a una mezzapinta).  

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 Torno a fine ottobre, a togliere questo dente che di uscirne proprio non ne vuole sapere. Il calendario dei lavori comunitari lo consente: in quei dieci giorni, se non ci si mettono vertici straordinari, non dovrebbe succedere niente. Ma niente, dalla terra natia non arriva l'ok: non ci sono gli esami necessari, e il tempo per farli qui non è sufficiente per rientrare in tempo. Tutto rimandato. Sei e tre nove, torna alla casella dodici. Un po' come il gioco dell'oca. Fa niente. Inspira, respira, stai calmo: non è successo niente. Vado ad Amsterdam nel fine settimana. Con un po' di fortuna avrò a disposizione anche venerdì, dato che qui è festa e le agende che devo redigere per l'agenzia le fanno uscire mercoledì. Niente da fare: la prima influenza della stagione non dà scampo. Il fine settimana lo passerò a casa, a riposarmi e curarmi. Inspira, respira, stai calmo: non è niente. Devo fare la spesa: l'olio è finito e non me n'ero accorto, o forse mi sono solo dimenticato di comprarlo la volta scorsa. Non c'è problema. Con l'occasione prendo anche l'acqua, che sta finendo. E anche lo shampoo, che volge al termine anch'esso. Tanto oggi non piove. Come non detto: inizia a piovere che Dio la manda proprio ora che mi sto infilando le scarpe. Inspira, respira, stai calmo: non fa niente, uscirai solo più tardi. E' solo tutto rimandato. Ancora. Inspira, respira, stai calmo. C'è del lavoro da fare, un po' di sano arretrato che non guasta mai. Il giornale non va in stampa questa settimana, ci si può portare avanti con il lavoro. Lavoro e spedisco al capo. Macchè: internet non va, ancora una volta la rete domestica fa i capricci. Inspira, respira, stai calmo: non è niente. Il pezzo è pronto, lo puoi spedire lunedì dalla sala stampa. Ma c'è quell'altro articolo da scrivere, quello richiesto dal direttore del quotidiano on-line per il quale non puoi figurare, e lui il pezzo lo vuole oggi. Chiamo per dirgli che ci sono dei problemi di rete, capirà. La linea va e viene, anzi è già andata. Il campo è minato e una mina salta, non si può parlare. Il braccio si muove, il cellulare prende velocità e si schianta contro il muro, cadendo a terra in pezzi. Inspira, respira, stai calmo. Controllati, doma la rabbia. Non è niente. La linea tornerà, il telefono se si rompe lo devi ricomprare e non ci sono i soldi per ricomprarlo.
Chiudi gli occhi, pensa alle cose belle. Inspira, respira. Regolarizza il battito cardiaco, doma la rabbia. Pensa alle cose belle. Invece no. La casa che fu di nonna, dove volevo trasferirmi a vivere. Niente. Scadenza del contratto, fine del lavoro. Niente soldi, niente autonomia, niente casa. Stai fermo un turno e tira i dadi: il tuo programma è rimandato al prossimo turno. Sei e tre nove, torna alla casella dodici. Non ho chiesto nulla, è la Dire che mi ha più volte garantito che mi riassumono. Spiacenti: mentre eri fermo un turno un altro giocatore ha occupato la casella dove dovevi andare tu. Torna alla partenza. Inspira, respira, stai calmo. Una nuova vita si apre. Bruxelles. Inspira, respira. Conta fino a dieci. Uno, due, tre... butta fuori l'aria e continua. Quattro, cinque, sei... Inspira, respira, stai calmo. Continua a pensare alle cose belle. Gli amici che ti vogliono bene... Non ci sono, sono lontani. Inspira, respira. Pensa alle cose belle. La signorina S.... Fa male, ma fa parte del gioco, e nei giochi si può anche perdere. Non fa niente, andrà meglio la prossima volta. Inspira, respira, stai calmo. Mi iscrivo a francese, studio una lingua. Niente da fare. Eurogruppo lunedì: stai fermo un turno. Ecofin mercoledì: salti un'altra lezione. D'accordo, la settimana prossima andrà bene, non ci sono impegni. Contrordine: c'è l'influenza, perdi le lezioni di lunedì e mercoledì. Stai fermo due turni. Inspira, respira, stai calmo. E' inutile ripensare a queste cose. Questo è il passato. Pensa alle cose belle. La signorina F.... Casella 58, “lo scheletro”: paga dazio e torna al punto di partenza. Inspira, respira, stai calmo. Fa parte del gioco, ma anche questo è il passato. Pensa alle cose belle. Sì, vado a trovare Lucilla e Petr a Praga: è tanto che non ci vediamo. Spiacenti: non ci sono voli low-cost da Bruxelles. Sei e tre nove, torna alla casella dodici: anche questo progetto salta. Controllati, ridi. No, piango. Ma non posso: ho finito anche i fazzoletti e non ho di che asciugarmi le lacrime. Li ho consumati con questo raffreddore. Non si può nemmeno piangere... Inspira, respira, stai calmo. Conta fino a dieci, controllati. Uno, due, tre, quattro...
Internet ha ripreso a funzionare. Troppo tardi. Il pezzo oggi non me lo pubblicano. Forse domani. Stai fermo un altro turno. Inspira, respira e pensa alle cose belle. Visto che è tornata la connessione spedisco una mail ai miei amici lontani. Niente da fare: la connessione è troppo lenta e il server non ce la fa. Rimandare a lunedì. Rimandare. Rimandare. Stai fermo un turno, torna alla casella dodici, paga dazio e ricomincia da capo. Tira di nuovo i dadi. Inspira, respira, stai calmo. La vita è bella, la vita è meravigliosa. Ripetilo: la vita è bella, la vita è meravigliosa. Ma allora... perchè non c'è una cosa che vada per il verso giusto? Inspira, respira, stai calmo. Trattiene le lacrime, ridi. Perchè? Adesso i fazzoletti ce li ho.

Thursday, 1 November 2012

Il "compagno" Van Rompuy

In Vietnam per visite ufficiali e missioni commerciali il presidente del Consiglio Ue cita Ho Chi Min per rilanciare l'Europa.

Herman Van Rompuy
di Emiliano Biaggio

«Come disse il presidente Ho Chi Min, “la tempesta è un buona occasione per il pino e il cipresso di dimostrare la loro forza e la loro stabilità”». Herman Van Rompuy versione viet-cong nella patria del leader rosso che vinse la sporca guerra combattuta dagli Stati Uniti in Asia. Ad Hanoi per rilanciare il dialogo tra Ue e Vietnam, il presidente del Consiglio europeo cerca – e trova – i consensi della classe dirigente e dell'opinione pubblica di casa, e si affida al padre del Vietnam moderno - Ho Chi Min, appunto - per rinnovare la fiducia e la credibilità dell'Europa. In ballo ci sono interessi economici altissimi: col sudest asiatico l'Ue ha scambi commerciali per centinaia di miliardi di euro, e dare fiducia al proprio interlocutore è quantomai doveroso, soprattutto con un Vietnam in continua espansione e un'Ue in continuo affanno. «Il livello di interdipendenza tra le economie di Europa e Asia, incluso il Vietnam, è tale che anche per voi è di cruciale importanza che stiamo iniziando a superare la situazione di crisi», ha scandito Van Rompuy, in terra d'Oriente in cerca di affari. «Cerchiamo un mutuo beneficio nell'accordo di libero scambio tra Ue e Vietnam, che significherà più crescita e più occupazione per entrambe le parti». Perchè «prosperità e commercio procedono di pari passo». Per dare vigore al proprio messaggio e alla propria missione, Van Rompuy ha quindi ricordato l'importanza di relazioni amicali ritornando a quel passato che ancora brucia nella storia recente del paese asiatico: la guerra del Vietnam combattuta contro l'occidente del benessere, a cui il presidente del Consiglio europeo ha fatto un implicito riferimento. «In queste parti d'Asia molte guerre tra stati sono state combattute, prima che lo spirito di cooperazione avesse la meglio». Un invito ad andare avanti con le relazioni già esistenti, e magari – questo l'auspico del “compagno” Van Rompuy – ad accrescerle. L'università nazionale di Hanoi intanto ha conferito a Van Rompuy una laurea honoris causa in scienze: a Bruxelles si guarda a questo riconoscimento come un buon auspicio per l'avvenire.