No alle contestazioni, espulsione di chi la pensa diversamente dal capo: dal governo alla Fiat il modo di fare è lo stesso.
l'e-dittoreale
C'è qualcosa in Italia, che sta prendendo sempre più forma e corpo man mano che il tempo passa. Un modo di pensare, un modo di fare. Non un regime, più un modello. Di regime o da regime. Che si attua in politica e si riflette poi, nei vari livelli, in società: il modo in cui Sergio Marchionne detta - o meglio, impone - la sua linea, ne è forse l'esempio più chiaro. No al dissenso e alle critiche, eseguire gli ordini e basta: il modello è questo. In barba alle regole del vivere democratico e delle regole del corretto vivere civile. Silvio Berlusconi con il "caso Fini", ha mostrato chiaramente qual è il principio di questo nuovo modello, ed è come detto: uno solo che decide per tutti, con tutti che devono piegarsi al volere del singolo. E chi non si allinea, viene fatto fuori. Gianfranco Fini ha fotografato perfettamente lo stato delle cose: il presidente del consiglio «dimostra una logica aziendale, modello amministratore delegato-consiglio d'amministrazione, che di certo non ha nulla a che vedere con le nostre istituzioni». Non è un mistero: Berlusconi prim'ancora che politico - e quindi capo di un governo - è un imprenditore. Logico e comprensibile che abbia modi e metodi propri di un consiglio di amministrazione più che di un consiglio dei ministri. Più difficile da accettare che un capo di governo di un paese democratico abbia una «concezione non proprio liberale della democrazia», per dirla con le parole dello stesso Fini. Perchè politicamente parlando, un atteggiamento come quello del premier è pià da monarchia assoluta che da repubblica democratica. Imprenditorialmente parlando, un atteggiamento simile è da padrone. Ha ragione il presidente della Camera: è stata scritta una brutta pagina. Non solo, come ha detto, «per il centrodestra e più in generale per la politica italiana», ma per l'Italia tutta. Perchè se chi è chiamato a governare, a dare l'esempio, a dare l'impostazione generale di un paese, fa passare certi messaggi, non ci si può sorprendere se poi Sergio Marchionne detta unilateralmente le proprie condizioni, riducendo al silenzio le voci critiche e le frange dell'opposizione. No, non è un caso. Anche perchè - forse qualcuno non ci avrà fatto caso - Berlusconi ha difeso le scelte dell'amministratore delegato della Fiat, giustificandolo e - di fatto - giustificandolo. «In una libera economia e in un libero Stato- ha detto il premier- ogni gruppo industriale è libero di collocare la propria produzione dove ritiene più conveniente». Parole, queste, evidente espressione di un conflitto di interessi: il Berlusconi imprenditore ragiona da industriale, e difendendo gli interessi dell'azienda va contro quelli dei lavoratori. Che invece dovrebbe tutelare in quanto capo di governo. E tra i compiti di governo, c'è quello di favorire le politiche dell'occupazione. La differenza tra Berlusconi e Marchionne è una sola: il primo ordina a Fini di andarsene, il secondo invece non caccia nessuno (a parte i contrari al suo piano, Fiom e Cgil): se ne va lui, in Serbia. E dove resta, detta le sue condizioni che tutti devono accettare. Il modello è questo: un modello che calpesta i diritti civili e del lavoro, che rifugge la concertazione e condanna la contestazione. Per nulla dissimile dall'idea berlusconiana "del fare". C'è, in Italia, un modello che va alla deriva della democrazia, là dove si annidano i germi della repressione e della coercizione. Se a questo modello si aggiungono un ddl intercettazioni, gli attacchi alla magistratura, le critiche alla Costituzione alla based dell'Italia democratica, viene fuori un disegno. Preoccupante.
l'e-dittoreale
C'è qualcosa in Italia, che sta prendendo sempre più forma e corpo man mano che il tempo passa. Un modo di pensare, un modo di fare. Non un regime, più un modello. Di regime o da regime. Che si attua in politica e si riflette poi, nei vari livelli, in società: il modo in cui Sergio Marchionne detta - o meglio, impone - la sua linea, ne è forse l'esempio più chiaro. No al dissenso e alle critiche, eseguire gli ordini e basta: il modello è questo. In barba alle regole del vivere democratico e delle regole del corretto vivere civile. Silvio Berlusconi con il "caso Fini", ha mostrato chiaramente qual è il principio di questo nuovo modello, ed è come detto: uno solo che decide per tutti, con tutti che devono piegarsi al volere del singolo. E chi non si allinea, viene fatto fuori. Gianfranco Fini ha fotografato perfettamente lo stato delle cose: il presidente del consiglio «dimostra una logica aziendale, modello amministratore delegato-consiglio d'amministrazione, che di certo non ha nulla a che vedere con le nostre istituzioni». Non è un mistero: Berlusconi prim'ancora che politico - e quindi capo di un governo - è un imprenditore. Logico e comprensibile che abbia modi e metodi propri di un consiglio di amministrazione più che di un consiglio dei ministri. Più difficile da accettare che un capo di governo di un paese democratico abbia una «concezione non proprio liberale della democrazia», per dirla con le parole dello stesso Fini. Perchè politicamente parlando, un atteggiamento come quello del premier è pià da monarchia assoluta che da repubblica democratica. Imprenditorialmente parlando, un atteggiamento simile è da padrone. Ha ragione il presidente della Camera: è stata scritta una brutta pagina. Non solo, come ha detto, «per il centrodestra e più in generale per la politica italiana», ma per l'Italia tutta. Perchè se chi è chiamato a governare, a dare l'esempio, a dare l'impostazione generale di un paese, fa passare certi messaggi, non ci si può sorprendere se poi Sergio Marchionne detta unilateralmente le proprie condizioni, riducendo al silenzio le voci critiche e le frange dell'opposizione. No, non è un caso. Anche perchè - forse qualcuno non ci avrà fatto caso - Berlusconi ha difeso le scelte dell'amministratore delegato della Fiat, giustificandolo e - di fatto - giustificandolo. «In una libera economia e in un libero Stato- ha detto il premier- ogni gruppo industriale è libero di collocare la propria produzione dove ritiene più conveniente». Parole, queste, evidente espressione di un conflitto di interessi: il Berlusconi imprenditore ragiona da industriale, e difendendo gli interessi dell'azienda va contro quelli dei lavoratori. Che invece dovrebbe tutelare in quanto capo di governo. E tra i compiti di governo, c'è quello di favorire le politiche dell'occupazione. La differenza tra Berlusconi e Marchionne è una sola: il primo ordina a Fini di andarsene, il secondo invece non caccia nessuno (a parte i contrari al suo piano, Fiom e Cgil): se ne va lui, in Serbia. E dove resta, detta le sue condizioni che tutti devono accettare. Il modello è questo: un modello che calpesta i diritti civili e del lavoro, che rifugge la concertazione e condanna la contestazione. Per nulla dissimile dall'idea berlusconiana "del fare". C'è, in Italia, un modello che va alla deriva della democrazia, là dove si annidano i germi della repressione e della coercizione. Se a questo modello si aggiungono un ddl intercettazioni, gli attacchi alla magistratura, le critiche alla Costituzione alla based dell'Italia democratica, viene fuori un disegno. Preoccupante.