Sulla regione incombono le trivelle, che mettono a rischio le colline del Montepulciano e il parco nazionale della Majella
di Maria Rita D'Orsogna* (dal Corriere.it)
L'Eni si appresta a trasformare l'Abruzzo in un mega campo petrolifero, trasformando il 50% del territorio in zona per l'estrazione del petrolio, comprese le colline del Montepulciano Doc, il parco nazionale della Majella, e quello di Lazio ed Abruzzo. Sono due anni che cerco di sensibilizzare abruzzesi - politici, popolo, giovani e chiesa cattolica su questo grave problema, con la stampa nazionale che sembra essere mummificata. La Basilicata, dove si trivella da 15 anni, muore, e io vorrei che per una volta in Italia fossimo preventivi e fermassimo il degrado ambientale prima di iniziare a contare i morti. In Basilicata si può.
Il petrolio abruzzese è di qualità scadente. E' un fango fortemente corrosivo e denso. L'indice API è 12. Il petrolio migliore del mondo è quello texano ad indice 40. Quello peggiore sono le sabbie del Canada con indice 8. Dunque, il petrolio abruzzese giusto un po meglio delle sabbie bituminiche dell'Alberta. L'idea dell'Eni è quella trasformare 15 ettari di terra a Montepulciano doc ad Ortona in una raffineria di petrolio creata apposta per desolforizzare le schifezze del sottosuolo abruzzese. Questo centro deve sorgere a 500 metri dal mare. Si parla di costruirne altri due nella piana di Navelli e nel Teramano. Le trivelle nel mare a Pineto ospiteranno la desolforazione sulle piattaforme stesse. L'Abruzzo quest' anno è arrivato quarto al Vinitaly di Verona per numero di medaglie sulla qualità dei vini. Questa regione fino a 50 anni fa era povera. Ora, la possiamo rigirare come vogliamo, ma vino, agricoltura, turismo e petrolio non possono coesistere. Alcuni studi dell'università californiana Davis, con uno dei dipartimenti di agricoltura più famosi d'America, ha concluso (30 anni fa!) che le emissioni di idrogeno solforato alle stesse dosi di quelle consentite dalla legge italiana, causa la morte dei vigneti. Bucare in lungo e largo l'Abruzzo significherà quasi sicuramente compromettere tutta la nostra agricoltura.
Il rapporto guadagno petrolifero/perdita agricoltura è infinitamente basso. Ad Ortona, il petrolio porterà a 30 posti di lavoro (l'ha detto l'Eni stessa) a fronte di 5000 famiglie nei vari comuni attorno alla proposta raffineria impiegate nell'agricoltura che perderanno il loro sostentamento, per non parlare del turismo e della pesca del luogo. Il petrolio abruzzese non è una risorsa per l'Abruzzo, ma per l'Eni. Non esiste un comune "petrolizzato" in Italia dove si vive bene con il petrolio: esplosioni a Trecate, petrolfiere inabissate a Genova, bimbi deformi a Gela, tumori fuori ogni limite a Falconara, inquinamento alle stelle a Melilli, Priolo, Augusta, Cremona, Falconara, Mantova, Sannazzaro, Sarroch, Marghera, Manfredonia.
Anche per quanto riguarda le famose royalties, facciamo pena. In Norvegia fra tasse locali e governative, devi lasciare l'80% del ricavato ai Norvegesi. In Italia, le tasse governative sono del 30% e poi agli Abruzzesi resterà l'1% della ricchezza estratta. Però se estrai al di sotto di un certo limite, paghi zero spaccato. Chi controlla il greggio estratto è l'estrattore stesso! Ai petrolieri si vuole regalare il 50% del territorio, compreso parte dei parchi nazionali e la costa. Su quei territori vive l'80% della gente d'Abruzzo. Un sondaggio fatto dal governo centrale mostra che il 75% degli abruzzesi è contrario alle trivelle. La terra non è dell'Eni ma degli Abruzzesi. Grazie ad altre opere già portate avanti (fra cui la centrale turbogas di Gissi), l'Abruzzo già produce più energia di quanto gli serva. Il petrolio non può coesistere con l'Abruzzo che conosciamo oggi.
(*Assistant Professor Department of Mathematics, California State University at Northridge, Los Angeles )
Monday, 28 September 2009
Saturday, 26 September 2009
Nessun ostacolo all'ingresso della Croazia nell'Ue
La Slovenia apre alle ambizioni europeiste del governo di Zagabria. Adesso si tratta sul golfo di Pirano.
di Emiliano Biaggio
Potrebbe essere più vicina la soluzione della controversia che dividie Slovenia e Croazia: il governo di Lubiana ha infatti deciso di porre fine alle resistenze per l'ingresso della Croazia all'interno dell'Unione europea. In cambio lo stato guidato da Borut Pahor ottiene la riapertura dei negoziati - con l'intermediazione internazionale - per una definizione dei confini marittimi. Slovenia e Croazia sono infatti al centro di un contenzioso relativo alle acque territoriali e, in più in particolare, della sovranità sul golfo di Pirano. Nella voglia e nella fretta di porre fine alla guerra che portà alla dissoluzione della ex-Jugoslavia, i due Paese si accordarono sui confini territoriali della terra ferma, ma non su quelli marini. Quella del golfo di Pirano è diventata col tempo una questione sempre più spinosa, con la Slovenia- membro Ue e dell'eurolandia- che ha sempre minacciato veti all'ingresso della Croazia nell'Unione europea per via delle rivendicazioni avanzate dal governo di Zagabria. Adesso la svolta: il premier sloveno Borut Pahor ha annunciato che la questione del confine marittimo non sarà più un ostacolo per l'adesione della Croazia all'Europa dei 27. La decisione è stata presa dopo un'intesa raggiunta tra lo stesso Pahor e il premier Croato, Jadranka Kosor. «La Slovenia proporrà il ritiro del blocco all'accesso alle negoziazioni per l'ingresso della Croazia all'interno dell'Unione europea», hanno fatto sapere i due leader. Da parte sua Kosor ha detto al primo ministro svedese Fredrik Reinfeldt - il cui paese è presidente di turno del consiglio dell'Ue - di essere pronto a riprendere i negoziati con Bruxelles e con Lubiana. Kosor ha promesso di «continuare nei colloqui sulle questioni di confine» con la Slovenia. Messaggio accolto con soddisfazione a Stoiccolma: «questa intesa- commenta Reinfeldt- è una dimostrazione della forza del processo di integrazione europea e delle virtù del dialogo». L'accordo raggiunto tra Slovenia e Croazia, sottolinea il premier svedese, «promuove la stabilità regionale e serve da modello per i Balcani».
Nella regione sono molti i fattori di tensione: la Croazia deve fare anche i conti con una maggioranza croata - cattolica - e una minoranza serba - ortodossa. A questa due si aggiunge poi un piccolissimo nucleo di bosniaci - musulmani. In piccolo, in Croazia si propone e si ripropone il motivo di tensione che divide Serbia e Bosnia-Erzegovina: il massacro di Srebrenica - con la campagna di pulizia etnica attuata dalle milizie serbe nei confronti dei bosniaci musulmani - rappresenta ancora una ferita aperta e fonte di odio tra le due popolazioni, che costituiscono i principali gruppi etnici della Bosnia-Erzegovina. Qui, infatti, alla maggioranza bosniaca - musulmana - si aggiunge una forte minoranza (31%) di serbi - cristiano ortodossi. Un quadro multi-etnico e pluri-confessionale che si completa con il 17% di croati - cristiano cattolici - che si impogono come terza forza della repubblica. Già, 'forza'. In Bosnia-Erzegovina i trattati di Dayton che nel 1995 hanno posto fine alla guerra civile jugoslava hanno voluto garantire uguale peso politico alle tre anime del paese, serbi, croati e bosgnacchi (i bosniaci musulmani). Ma l'eguale distribuzione amministrativa e la rivalità tra le parti hanno finito per paralizzare la repubblica, dove nessuno è in grado di governare. Sarà anche per questo che il Paese è l'unico della regione a non aver ancora riconosciuto l'indipendenza del Kosovo, staccatosi dalla Serbia tra le proteste del governo di Belgrado. Il Kosovo rappresenta dunque un motivo ulteriore per guardare con preoccupazione alla stabilità della regione, dove si pone il problema della repubblica di Macedonia. Si tratta di una disputa nominale tra i governi greco e macedone: Atene vuole che il nuovo stato cambi nome, dato la Macedonia è una regione del nord dello stato ellenico. Per distinguere stato da regione oggi molti Paesi usano la dicitura Ex repubblica jugoslava di Macedonia, ma per la Grecia non basta e minaccia di impedire al governo di Skopje l'accesso a Unione europea e Nato.
di Emiliano Biaggio
Potrebbe essere più vicina la soluzione della controversia che dividie Slovenia e Croazia: il governo di Lubiana ha infatti deciso di porre fine alle resistenze per l'ingresso della Croazia all'interno dell'Unione europea. In cambio lo stato guidato da Borut Pahor ottiene la riapertura dei negoziati - con l'intermediazione internazionale - per una definizione dei confini marittimi. Slovenia e Croazia sono infatti al centro di un contenzioso relativo alle acque territoriali e, in più in particolare, della sovranità sul golfo di Pirano. Nella voglia e nella fretta di porre fine alla guerra che portà alla dissoluzione della ex-Jugoslavia, i due Paese si accordarono sui confini territoriali della terra ferma, ma non su quelli marini. Quella del golfo di Pirano è diventata col tempo una questione sempre più spinosa, con la Slovenia- membro Ue e dell'eurolandia- che ha sempre minacciato veti all'ingresso della Croazia nell'Unione europea per via delle rivendicazioni avanzate dal governo di Zagabria. Adesso la svolta: il premier sloveno Borut Pahor ha annunciato che la questione del confine marittimo non sarà più un ostacolo per l'adesione della Croazia all'Europa dei 27. La decisione è stata presa dopo un'intesa raggiunta tra lo stesso Pahor e il premier Croato, Jadranka Kosor. «La Slovenia proporrà il ritiro del blocco all'accesso alle negoziazioni per l'ingresso della Croazia all'interno dell'Unione europea», hanno fatto sapere i due leader. Da parte sua Kosor ha detto al primo ministro svedese Fredrik Reinfeldt - il cui paese è presidente di turno del consiglio dell'Ue - di essere pronto a riprendere i negoziati con Bruxelles e con Lubiana. Kosor ha promesso di «continuare nei colloqui sulle questioni di confine» con la Slovenia. Messaggio accolto con soddisfazione a Stoiccolma: «questa intesa- commenta Reinfeldt- è una dimostrazione della forza del processo di integrazione europea e delle virtù del dialogo». L'accordo raggiunto tra Slovenia e Croazia, sottolinea il premier svedese, «promuove la stabilità regionale e serve da modello per i Balcani».
Nella regione sono molti i fattori di tensione: la Croazia deve fare anche i conti con una maggioranza croata - cattolica - e una minoranza serba - ortodossa. A questa due si aggiunge poi un piccolissimo nucleo di bosniaci - musulmani. In piccolo, in Croazia si propone e si ripropone il motivo di tensione che divide Serbia e Bosnia-Erzegovina: il massacro di Srebrenica - con la campagna di pulizia etnica attuata dalle milizie serbe nei confronti dei bosniaci musulmani - rappresenta ancora una ferita aperta e fonte di odio tra le due popolazioni, che costituiscono i principali gruppi etnici della Bosnia-Erzegovina. Qui, infatti, alla maggioranza bosniaca - musulmana - si aggiunge una forte minoranza (31%) di serbi - cristiano ortodossi. Un quadro multi-etnico e pluri-confessionale che si completa con il 17% di croati - cristiano cattolici - che si impogono come terza forza della repubblica. Già, 'forza'. In Bosnia-Erzegovina i trattati di Dayton che nel 1995 hanno posto fine alla guerra civile jugoslava hanno voluto garantire uguale peso politico alle tre anime del paese, serbi, croati e bosgnacchi (i bosniaci musulmani). Ma l'eguale distribuzione amministrativa e la rivalità tra le parti hanno finito per paralizzare la repubblica, dove nessuno è in grado di governare. Sarà anche per questo che il Paese è l'unico della regione a non aver ancora riconosciuto l'indipendenza del Kosovo, staccatosi dalla Serbia tra le proteste del governo di Belgrado. Il Kosovo rappresenta dunque un motivo ulteriore per guardare con preoccupazione alla stabilità della regione, dove si pone il problema della repubblica di Macedonia. Si tratta di una disputa nominale tra i governi greco e macedone: Atene vuole che il nuovo stato cambi nome, dato la Macedonia è una regione del nord dello stato ellenico. Per distinguere stato da regione oggi molti Paesi usano la dicitura Ex repubblica jugoslava di Macedonia, ma per la Grecia non basta e minaccia di impedire al governo di Skopje l'accesso a Unione europea e Nato.
Thursday, 24 September 2009
«La crisi non diventi un'alibi»
Obama all'Onu: far ripartire le economie, ma senza dimenticarsi di rilanciare il protocollo di Kyoto
di Emiliano Biaggio
La crisi potrebbe «ostacolare» il percorso sul clima. Lo ha detto il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, nel corso del suo intervento alla conferenza sul clima di New York. In quello che è stato il suo primo intervento alle Nazioni Unite, Obama ha ricordato che «ci troviamo a dover cercare cambiamenti nel bel mezzo della recessione globale». E in un simile contesto il presidente degli Stati non ha fatto mistero del fatto che «la priorità di ogni governo è far ripartire l'economia e creare posti di lavoro». Ma, ha aggiunto, «ognuno di noi dovrà affrontare dubbi e difficolta' e raggiungere una soluzione duratura alla sfida climatica». A dicembre la comunità internazionale è chiamata a ridefinire il protocollo di Kyoto nella conferenza Onu sul clima di Copenhagen, dove si dovranno superare resistenze soprattutto di quei Paesi - Cina su tutti - che vorrebbero meno vicoli di natura ecologica allo sviluppo. Ma in questo gli Stati Uniti hanno giocato un ruolo non indifferente, non avendo mai ratificato il protocollo e portato avanti - con George W. Bush - una politica di crescita insostenibile. Gli Usa sono infatti il primo produttore al mondo di anidride carbonica ed emissione di gas a effetto serra, e poco hanno fatto per cambiare rotta fino alla svolta verde di Obama. Lo stesso Obama al Palazzo di vetro ha riconosciuto che il suo Paese «ha sbagliato» nel sottovalutare in passato la portata delle questioni climatiche, e a nome degli Stati Uniti si è impegnato a ridurre le emissioni di gas a effetto serra e a sviluppare forme di energia pulita. «Siamo consapevoli della minaccia rappresentata dai mutamenti climatici, ed è nostra intenzione agire», ha detto Obama. L'inquilino della Casa Bianca ha poi rivolto un messaggio chiaro alla Cina, senza tuttavia citarla direttamente: «I paesi in via di sviluppo devono fare la loro parte», ha detto. (fonte foto: ilSole24ore)
di Emiliano Biaggio
La crisi potrebbe «ostacolare» il percorso sul clima. Lo ha detto il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, nel corso del suo intervento alla conferenza sul clima di New York. In quello che è stato il suo primo intervento alle Nazioni Unite, Obama ha ricordato che «ci troviamo a dover cercare cambiamenti nel bel mezzo della recessione globale». E in un simile contesto il presidente degli Stati non ha fatto mistero del fatto che «la priorità di ogni governo è far ripartire l'economia e creare posti di lavoro». Ma, ha aggiunto, «ognuno di noi dovrà affrontare dubbi e difficolta' e raggiungere una soluzione duratura alla sfida climatica». A dicembre la comunità internazionale è chiamata a ridefinire il protocollo di Kyoto nella conferenza Onu sul clima di Copenhagen, dove si dovranno superare resistenze soprattutto di quei Paesi - Cina su tutti - che vorrebbero meno vicoli di natura ecologica allo sviluppo. Ma in questo gli Stati Uniti hanno giocato un ruolo non indifferente, non avendo mai ratificato il protocollo e portato avanti - con George W. Bush - una politica di crescita insostenibile. Gli Usa sono infatti il primo produttore al mondo di anidride carbonica ed emissione di gas a effetto serra, e poco hanno fatto per cambiare rotta fino alla svolta verde di Obama. Lo stesso Obama al Palazzo di vetro ha riconosciuto che il suo Paese «ha sbagliato» nel sottovalutare in passato la portata delle questioni climatiche, e a nome degli Stati Uniti si è impegnato a ridurre le emissioni di gas a effetto serra e a sviluppare forme di energia pulita. «Siamo consapevoli della minaccia rappresentata dai mutamenti climatici, ed è nostra intenzione agire», ha detto Obama. L'inquilino della Casa Bianca ha poi rivolto un messaggio chiaro alla Cina, senza tuttavia citarla direttamente: «I paesi in via di sviluppo devono fare la loro parte», ha detto. (fonte foto: ilSole24ore)
Wednesday, 23 September 2009
«Non si può fallire»
Ban Ki-Moon ai leader mondiali: serve più impegno nella lotta ai cambiamenti climatici.
di Emiliano Biaggio
Sul clima «i negoziati vanno avanti a lentezza glaciale» e questo non va bene: un 'flop' sul clima sarebbe «moralmente ingiustificabile, economicamente miope e politicamente avventato». Lo ha detto il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban-Ki Moon, aprendo la conferenza internazionale sul clima a New York. Nel suo intervento al Palazzo di vetro, Ban-Ki Moon ha quindi esortato a fare bene e in fretta perchè da qui a Copenhagen, dove è previsto il summit sul clima a dicembre, «i giorni effettivi per i negoziati sono soltanto quindici». Insomma, non c'è molto tempo. «Non possiamo seguire questa strada» e perdere «un’occasione migliore di questa», ha avvertito il segretario generale dell'Onu, che ha indicato in assistenza tecnica e finanziaria per l’adattamento dei Paesi poveri «la risposta» alle sfide che il mondo ha davanti. Il cambiamento climatico, ha continuato Ban Ki-Moon, colpisce soprattutto i Paesi meno sviluppati, e in particolare l’Africa, dove «il cambiamento climatico minaccia di cancellare anni di sviluppo destabilizzando stati e rovesciando governi». L'inquilino del palazzo di vetro ha quindi lanciato un appello ai Paesi industrializzati, invitandoli «a fare il primo passo», perchè «se lo farete altri adotteranno misure audaci». La posta in gioco è alta, e bisogna «evitare gli scenari peggiori».
di Emiliano Biaggio
Sul clima «i negoziati vanno avanti a lentezza glaciale» e questo non va bene: un 'flop' sul clima sarebbe «moralmente ingiustificabile, economicamente miope e politicamente avventato». Lo ha detto il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban-Ki Moon, aprendo la conferenza internazionale sul clima a New York. Nel suo intervento al Palazzo di vetro, Ban-Ki Moon ha quindi esortato a fare bene e in fretta perchè da qui a Copenhagen, dove è previsto il summit sul clima a dicembre, «i giorni effettivi per i negoziati sono soltanto quindici». Insomma, non c'è molto tempo. «Non possiamo seguire questa strada» e perdere «un’occasione migliore di questa», ha avvertito il segretario generale dell'Onu, che ha indicato in assistenza tecnica e finanziaria per l’adattamento dei Paesi poveri «la risposta» alle sfide che il mondo ha davanti. Il cambiamento climatico, ha continuato Ban Ki-Moon, colpisce soprattutto i Paesi meno sviluppati, e in particolare l’Africa, dove «il cambiamento climatico minaccia di cancellare anni di sviluppo destabilizzando stati e rovesciando governi». L'inquilino del palazzo di vetro ha quindi lanciato un appello ai Paesi industrializzati, invitandoli «a fare il primo passo», perchè «se lo farete altri adotteranno misure audaci». La posta in gioco è alta, e bisogna «evitare gli scenari peggiori».
Monday, 21 September 2009
Oil for democracy
In Iraq per la democrazia. O per il petrolio? Per entrambe le cose. Dalla Mesopotamia tante casualità per un disegno sempre più chiaro.
di Emanuele Bonini
Democrazia in cambio di petrolio, perchè niente è gratis e tutto ha un costo. In Iraq, almeno, sembra essere così. Gli eventi sembrano seguire un corso ben preciso: quello dello sfruttamento delle risorse. In questo caso, del greggio. Già avviate le aste per l'estrazione del combustibile fossile all'interno del Paese: a concorrere, tra gli altri, ExxonMobil (Stati Uniti), BP (Gran Bretagna), Shell (Paesi Bassi) ed Eni (Italia). Tutte compagnie di Paesi che schierano soldati sul territorio a difesa della democrazia. Un caso. O forse no. Il primo lotto assegnato è infatto quello di Rumaila, nel sud dell'Iraq, concesso al "consorzio" sino-britannico di Cnpc e BP. Da notare come il contingente britannico in questi anni sia stato di stanza proprio nel sud del Paese. Un caso. O forse no. Perchè all'asta partecipa anche l'italiana Eni, in attesa di una risposta per il campo di Nassiriya, dove erano di stanza i militari inviati da Roma. Verrebbe da chiedersi a questo punto, con un interrogativo scomodo e irritante, per cosa sono morti i nostri soldati a Nassiriya: se per l'esportazione della democrazia o se per l'esportazione del petrolio negli interessi economici sottesi alle operazioni in Iraq. Domanda di cattivo gusto per molti, ma legittima per pochi altri, che si fanno prendere quantomeno dal dubbio. Perchè il caso è uno; due o più casi se non costituiscono un prova formano un indizio. E l'indizio è proprio quello energetico-petrolifero: solo per fare alcuni esempi, nella coalizione internazionale figurano Angola, Corea del Sud, Giappone. E, strano a dirsi, alle aste per i maggiori giacimenti dell'Iraq concorrono l'angolana Sonangol, la sudcoreana Kogas e la giapponese Nippon Oil. Anche questo un caso? Può darsi. Come no. La "coalizione dei volenterosi" di George W. Bush - quella formata dai Paesi che hanno inviato i contingenti più sostanziosi - racchiude Stati Uniti, Spagna, Ucraina, Paesi Bassi, Polonia, Italia, Gran Bretagna e Corea del Sud: a essere in gara per le riserve irachene sono soprattutto Chevron, ConocoPhillips ed ExxonMobil (Stati Uniti), Repsol (Spagna), Shell (Paesi Bassi), Eni ed Edison (Italia), BP, BG Group e BHP Billiton (Gran Bretagna) e Kogas (corea del Sud). Un caso? Mica tanto. Perchè ogni cosa ha un costo, e niente è gratis. E l'impressione è che in Iraq ci sia un compravendita nel nome di un programma "Oil for democracy". (fonte foto: laRepubblica)
di Emanuele Bonini
Democrazia in cambio di petrolio, perchè niente è gratis e tutto ha un costo. In Iraq, almeno, sembra essere così. Gli eventi sembrano seguire un corso ben preciso: quello dello sfruttamento delle risorse. In questo caso, del greggio. Già avviate le aste per l'estrazione del combustibile fossile all'interno del Paese: a concorrere, tra gli altri, ExxonMobil (Stati Uniti), BP (Gran Bretagna), Shell (Paesi Bassi) ed Eni (Italia). Tutte compagnie di Paesi che schierano soldati sul territorio a difesa della democrazia. Un caso. O forse no. Il primo lotto assegnato è infatto quello di Rumaila, nel sud dell'Iraq, concesso al "consorzio" sino-britannico di Cnpc e BP. Da notare come il contingente britannico in questi anni sia stato di stanza proprio nel sud del Paese. Un caso. O forse no. Perchè all'asta partecipa anche l'italiana Eni, in attesa di una risposta per il campo di Nassiriya, dove erano di stanza i militari inviati da Roma. Verrebbe da chiedersi a questo punto, con un interrogativo scomodo e irritante, per cosa sono morti i nostri soldati a Nassiriya: se per l'esportazione della democrazia o se per l'esportazione del petrolio negli interessi economici sottesi alle operazioni in Iraq. Domanda di cattivo gusto per molti, ma legittima per pochi altri, che si fanno prendere quantomeno dal dubbio. Perchè il caso è uno; due o più casi se non costituiscono un prova formano un indizio. E l'indizio è proprio quello energetico-petrolifero: solo per fare alcuni esempi, nella coalizione internazionale figurano Angola, Corea del Sud, Giappone. E, strano a dirsi, alle aste per i maggiori giacimenti dell'Iraq concorrono l'angolana Sonangol, la sudcoreana Kogas e la giapponese Nippon Oil. Anche questo un caso? Può darsi. Come no. La "coalizione dei volenterosi" di George W. Bush - quella formata dai Paesi che hanno inviato i contingenti più sostanziosi - racchiude Stati Uniti, Spagna, Ucraina, Paesi Bassi, Polonia, Italia, Gran Bretagna e Corea del Sud: a essere in gara per le riserve irachene sono soprattutto Chevron, ConocoPhillips ed ExxonMobil (Stati Uniti), Repsol (Spagna), Shell (Paesi Bassi), Eni ed Edison (Italia), BP, BG Group e BHP Billiton (Gran Bretagna) e Kogas (corea del Sud). Un caso? Mica tanto. Perchè ogni cosa ha un costo, e niente è gratis. E l'impressione è che in Iraq ci sia un compravendita nel nome di un programma "Oil for democracy". (fonte foto: laRepubblica)
Wednesday, 16 September 2009
Guida delle compagnie petrolifere (ST-TE)
Petrolio in ogni continente, con compagnie che trivellano da oltre un secolo e che continueranno a farlo per molto tempo. Questo, in sintesi, il quadro dell'industria petrolifera, che sul mercato vanta la presenza di più Paesi e più soggetti operanti. Ecco, dalla A alla Z, la guida le principali compagnie petrolifere internazionali. di Ugo Guarnacci ed Emiliano Biaggio
STATOIL: è la compagnia petrolifera norvegese. Attiva nel settore del greggio e del gas, Statoil è anche gruppo petrolchimico. Oltre 29.000 dipendenti, ha un fatturato di 658 miliardi di corone norvegesi, pari a 110 miliardi di dollari e un reddito operativo aziendale di 33,4 miliardi di dollari. La società è partecipante e co-partecipante in numerose gasdotto e oleodotti di Europa e Asia. E' presente all'interno dell'oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan, ha stazioni di servizioni in tutta la Scandinavia, in Russia, nelle repubbliche baltiche e in Irlanda. Nel 2007 ha acquistato per 2,2 miliardi di dollari la canadese North American Oil Sands Corporation, garantendosi anche la presenza in nord America. Guarda con interesse alle risorse presenti nel sottosuolo del polo nord, con cui è in competizione con Russia, Canada, Stati Uniti e Danimarca. Oltre ad essere la maggiore compagnia scandinava, Statoil è la più grande corporation al mondo per attività off-shore (in mare aperto). Produce in 13 paesi, tra cui Singapore, e vende in 8 stati.
TAMOIL: marchio con cui vende OILINVEST, compagnia energetica dei Paesi Bassi. OILINVEST è una rete di 40 compagnie operanti in tutta Europa, grazie a OILINVEST BV - ramo olandese del network - e OILINVEST NV - ramo americano, con sede a Curacao, nelle Antille olandesi. TAMOIL è il marchio con cui è conosciuta nel mondo la sezione petrolifera dell'azienda olandese, impegnata nell'estrazione, acquisto, raffinazione e commercializzazione del greggio, soprattutto quello di provenienza libica. TAMOIL venne fondata nel 1988 dalla NOC dalle ceneri di quella che fu la Oil Capital Ltd, compagnie petrolifera libanese fondata nel 1965 e rilevata dalla NOC stessa. La compagnia di stato libica cedette poi agli olandesi la TAMOIL nel 1993, ma solo in parte: ancora oggi la NOC detiene degli interessi in TAMOIL, che non a caso ha proprio in Libia i propri siti di estrazione. Con sede nei Paesi Bassi, TAMOIL vanta circa 3.000 stazioni in Europa ed oltre 150 in Africa. Ha raffinerie dislocate tra Italia, Germania, SVizzera e Spagna. Nei Paesi Bassi è conosciuta come TAMOIL NEDERLAND BV e, dal 2003, come OK Nederland B.V.
TESORO: fondata nel 1968 da Robert V. West Jr, Tesoro è una compagnia di raffinazione e di vendita di prodotti petroliferi. Compagnia statunitense con sede a San Antonio, Texas, l'apertura della sua prima raffineria risale al 1969. L'impianto venne aperto in Alaska, nei pressi di Kenai. Nel corso degli anni Novanta Tesoro dà avvio a una serie di acquisizioni per consentono al gruppo di espandersi tanto da arrivare a istituire la Tesoro Corporation. Queste acquisizioni hanno permesso al gruppo di aumentare la propria capacità di lavorzione e raffinazione del greggio, passata da 72.000 barili al giorno a circa 664.000 barili al giorno, quasi dieci volte tanto. La compagnia ha sempre mantenuto la propria attività all'interno della raffinazione e della vendita. Nel 1998 ha rilevato l'ex raffineria Shell di Anacortes (Washington), mentre nel 2001 ha acquistato raffinerie a Mandan (North Dakota) e Salt Lake City (Utah) da Amoco. L'anno seguente ha acquistato poi da Ultramar - contrallata di Valero - la raffineria Golden Eagle di Martinez (California). Attualmente Tesoro annovera oltre 870 marchi di stazioni di vendita al dettaglio, alcune delle quali sotto brand Shell. Nel 2008 Tesoro ha avuto un fatturato di 28,3 miliardi di dollari.
TEXACO: compagnia statunitense fondata nel 1901 a Beaumont, Texas. E' stata la principale compagnia texana e una delle più attive tra quelle a stelle e strisce fino al 2001, quando è stata acquistata e assorbita da Chevron. E' stata per lungo tempo l'unica azienda del settore a vendere carburante in tutti i cinquanta stati degli Stati Uniti. E' diventata famosa nel mondo nel 1936, quando iniziò a rifornire di i nazionalisti spagnoli, a cui continuò a garantire il carburante per l'intera durata della guerra civile. In un primo momento Chevron ha mantenuto il marchio Texaco, poi dal 2010 ha rivisto le proprie strategie di marketing e ha rimosso 1.100 marchi Texaco tra Delaware, Indiana, Kentucky, North Carolina, New Jersey, Maryland, Ohio, Pennsylvania, South Carolina, Virginia, West Virginia, Washington D.C. e Tennessee. Oggi il marchio Texaco è ancora presente in Europa (Belgio e Gran Bretagna).
STATOIL: è la compagnia petrolifera norvegese. Attiva nel settore del greggio e del gas, Statoil è anche gruppo petrolchimico. Oltre 29.000 dipendenti, ha un fatturato di 658 miliardi di corone norvegesi, pari a 110 miliardi di dollari e un reddito operativo aziendale di 33,4 miliardi di dollari. La società è partecipante e co-partecipante in numerose gasdotto e oleodotti di Europa e Asia. E' presente all'interno dell'oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan, ha stazioni di servizioni in tutta la Scandinavia, in Russia, nelle repubbliche baltiche e in Irlanda. Nel 2007 ha acquistato per 2,2 miliardi di dollari la canadese North American Oil Sands Corporation, garantendosi anche la presenza in nord America. Guarda con interesse alle risorse presenti nel sottosuolo del polo nord, con cui è in competizione con Russia, Canada, Stati Uniti e Danimarca. Oltre ad essere la maggiore compagnia scandinava, Statoil è la più grande corporation al mondo per attività off-shore (in mare aperto). Produce in 13 paesi, tra cui Singapore, e vende in 8 stati.
TAMOIL: marchio con cui vende OILINVEST, compagnia energetica dei Paesi Bassi. OILINVEST è una rete di 40 compagnie operanti in tutta Europa, grazie a OILINVEST BV - ramo olandese del network - e OILINVEST NV - ramo americano, con sede a Curacao, nelle Antille olandesi. TAMOIL è il marchio con cui è conosciuta nel mondo la sezione petrolifera dell'azienda olandese, impegnata nell'estrazione, acquisto, raffinazione e commercializzazione del greggio, soprattutto quello di provenienza libica. TAMOIL venne fondata nel 1988 dalla NOC dalle ceneri di quella che fu la Oil Capital Ltd, compagnie petrolifera libanese fondata nel 1965 e rilevata dalla NOC stessa. La compagnia di stato libica cedette poi agli olandesi la TAMOIL nel 1993, ma solo in parte: ancora oggi la NOC detiene degli interessi in TAMOIL, che non a caso ha proprio in Libia i propri siti di estrazione. Con sede nei Paesi Bassi, TAMOIL vanta circa 3.000 stazioni in Europa ed oltre 150 in Africa. Ha raffinerie dislocate tra Italia, Germania, SVizzera e Spagna. Nei Paesi Bassi è conosciuta come TAMOIL NEDERLAND BV e, dal 2003, come OK Nederland B.V.
TESORO: fondata nel 1968 da Robert V. West Jr, Tesoro è una compagnia di raffinazione e di vendita di prodotti petroliferi. Compagnia statunitense con sede a San Antonio, Texas, l'apertura della sua prima raffineria risale al 1969. L'impianto venne aperto in Alaska, nei pressi di Kenai. Nel corso degli anni Novanta Tesoro dà avvio a una serie di acquisizioni per consentono al gruppo di espandersi tanto da arrivare a istituire la Tesoro Corporation. Queste acquisizioni hanno permesso al gruppo di aumentare la propria capacità di lavorzione e raffinazione del greggio, passata da 72.000 barili al giorno a circa 664.000 barili al giorno, quasi dieci volte tanto. La compagnia ha sempre mantenuto la propria attività all'interno della raffinazione e della vendita. Nel 1998 ha rilevato l'ex raffineria Shell di Anacortes (Washington), mentre nel 2001 ha acquistato raffinerie a Mandan (North Dakota) e Salt Lake City (Utah) da Amoco. L'anno seguente ha acquistato poi da Ultramar - contrallata di Valero - la raffineria Golden Eagle di Martinez (California). Attualmente Tesoro annovera oltre 870 marchi di stazioni di vendita al dettaglio, alcune delle quali sotto brand Shell. Nel 2008 Tesoro ha avuto un fatturato di 28,3 miliardi di dollari.
TEXACO: compagnia statunitense fondata nel 1901 a Beaumont, Texas. E' stata la principale compagnia texana e una delle più attive tra quelle a stelle e strisce fino al 2001, quando è stata acquistata e assorbita da Chevron. E' stata per lungo tempo l'unica azienda del settore a vendere carburante in tutti i cinquanta stati degli Stati Uniti. E' diventata famosa nel mondo nel 1936, quando iniziò a rifornire di i nazionalisti spagnoli, a cui continuò a garantire il carburante per l'intera durata della guerra civile. In un primo momento Chevron ha mantenuto il marchio Texaco, poi dal 2010 ha rivisto le proprie strategie di marketing e ha rimosso 1.100 marchi Texaco tra Delaware, Indiana, Kentucky, North Carolina, New Jersey, Maryland, Ohio, Pennsylvania, South Carolina, Virginia, West Virginia, Washington D.C. e Tennessee. Oggi il marchio Texaco è ancora presente in Europa (Belgio e Gran Bretagna).
Guida delle compagnie petrolifere (SH-SO)
Petrolio in ogni continente, con compagnie che trivellano da oltre un secolo e che continueranno a farlo per molto tempo. Questo, in sintesi, il quadro dell'industria petrolifera, che sul mercato vanta la presenza di più Paesi e più soggetti operanti. Ecco, dalla A alla Z, la guida le principali compagnie petrolifere internazionali.
di Ugo Guarnacci ed Emiliano Biaggio
SHELL: nome completo "Royal Dutch Shell plc", è una multinazionale anglo-olandese nata il 20 luglio 2005 dalla fusione tra la Reale Compagnia Petrolifera Olandese - fondatanel 1890 - e la britannica Shell Transport and Trading Company - risalente al 1897. La fusione dei due gruppi ha prodotto la terza più grande corporation esistente al mondo (dopo Wal-Mart ed ExxonMobil), ma in realtà già dal 1907 le due compagnie lavoravano in partnership: la Reale Compagnia Petrolifera Olandese (nome legale in olandese N.V. Koninklijke Nederlandsche Petroleum Maatschappij) e la Shell Transport and Trading Company plc operarono insieme in una vera e propria alleanza per poter competere con il gigante petrolifero dell’epoca, la Standard Oil di John D. Rockefeller. Oggi la società è presente in oltre 140 paesi del mondo e il suo mercato principale sono gli Stati Uniti d’America, in cui opera la sussidiaria Shell Oil Company, con sede a Houston (Texas). Ha un fatturato superiore ai 450 milairdi di dollari, e asset totali per oltre 280 miliardi di dollari. Assieme a BP, ExxonMobil e Total è uno dei quattro principali attori privati mondiali nel comparto del petrolio e del gas naturale. Soprattutto, la Shell si dedica a tutta la filiera dei prodotti petroliferi, dall'esplorazione fino alla vendita al dettaglio. Ma non solo: infatti le attività principali della compagnia sono esplorazione, estrazione, trasporto e commercializzazione degli idrocarburi (petrolio e gas); petrolchimica (Shell Chemicals) e fonti rinnovabili (petrolio, idrogeno ed energia solare). Fa parte delle sei "supermajor" del mondo insieme a BP, Chevron, ConocoPhillips, ExxonMobil e Total. Negli anni Shell è stata criticata da gruppi ambientalisti e per la difesa dei diritti umani per alcune questioni, in particolare in Sud Africa e Nigeria: durante gli anni Ottanta Shell fu accusata di sostenere il regime di segregazione razziale continuando ad operare nel paese. Shell fu anche accusata di aver infranto le sanzioni. In Nigeria è stata accusata di aver provocato danni ambientali connessi alle attività petrolifere nella terra degli Ogoni nella zona del delta del Niger.
SONANGOL: è una società parastatale che detiene il controllo della produzione di petrolio e gas in Angola. Alla vigilia dell’indipendenza dello Stato africano dal Portogallo, nel 1976, la compagnia Angol (Angol Sociedade de Lubrificantes e Combustivels, sussidiaria dell’impresa portoghese Sacor) venne nazionalizzata e scorporata, dando vita, così, alla Sonangol e alla Direzione Nazionale del Petrolio (Direcção Nacional de Petróleos). Per sviluppare il proprio business, la Sonangol si è avvalsa della cooperazione tecnica della Sonatrach e dell’Eni. E' una delle principali compagnie del continente, anche in virtù del fatto che l'Angola è all'interno dell'Opec. Attualmente SONANGOL possiede stabilimenti oltreoceano a Brazzaville, Hong Kong, Houston, Londra e Singapore.
SONATRACH: acronimo di Enterprise Nationale Sonatrach, è la compagnia statale dell’Algeria, che gestisce le risorse energetiche del paese. Le sue origini risalgono alla Société Nationale de Transport et de Commercialisation des Hydrocarbures, creata il 31 gennaio 1963 dal governo algerino e poi diventata, nel 1966, la Société Nationale pour la Recherche, la Producion, le Transport, la Transformation et la Comercialisation des Hydrocarbures. La denominazione Sonatrach fu assunta nel 1981, dopo che l’impresa consolidò la sua posizione grazie anche alla realizzazione di joint-ventures con le principali compagnie multinazionali, costituite soprattutto per condurre le attività estrattive. Attualmente è una delle aziende leader nella fornitura di gas e petrolio a livello globale, con l’obiettivo di espandere ulteriormente le proprie capacità produttive e di esportazione.
di Ugo Guarnacci ed Emiliano Biaggio
SHELL: nome completo "Royal Dutch Shell plc", è una multinazionale anglo-olandese nata il 20 luglio 2005 dalla fusione tra la Reale Compagnia Petrolifera Olandese - fondatanel 1890 - e la britannica Shell Transport and Trading Company - risalente al 1897. La fusione dei due gruppi ha prodotto la terza più grande corporation esistente al mondo (dopo Wal-Mart ed ExxonMobil), ma in realtà già dal 1907 le due compagnie lavoravano in partnership: la Reale Compagnia Petrolifera Olandese (nome legale in olandese N.V. Koninklijke Nederlandsche Petroleum Maatschappij) e la Shell Transport and Trading Company plc operarono insieme in una vera e propria alleanza per poter competere con il gigante petrolifero dell’epoca, la Standard Oil di John D. Rockefeller. Oggi la società è presente in oltre 140 paesi del mondo e il suo mercato principale sono gli Stati Uniti d’America, in cui opera la sussidiaria Shell Oil Company, con sede a Houston (Texas). Ha un fatturato superiore ai 450 milairdi di dollari, e asset totali per oltre 280 miliardi di dollari. Assieme a BP, ExxonMobil e Total è uno dei quattro principali attori privati mondiali nel comparto del petrolio e del gas naturale. Soprattutto, la Shell si dedica a tutta la filiera dei prodotti petroliferi, dall'esplorazione fino alla vendita al dettaglio. Ma non solo: infatti le attività principali della compagnia sono esplorazione, estrazione, trasporto e commercializzazione degli idrocarburi (petrolio e gas); petrolchimica (Shell Chemicals) e fonti rinnovabili (petrolio, idrogeno ed energia solare). Fa parte delle sei "supermajor" del mondo insieme a BP, Chevron, ConocoPhillips, ExxonMobil e Total. Negli anni Shell è stata criticata da gruppi ambientalisti e per la difesa dei diritti umani per alcune questioni, in particolare in Sud Africa e Nigeria: durante gli anni Ottanta Shell fu accusata di sostenere il regime di segregazione razziale continuando ad operare nel paese. Shell fu anche accusata di aver infranto le sanzioni. In Nigeria è stata accusata di aver provocato danni ambientali connessi alle attività petrolifere nella terra degli Ogoni nella zona del delta del Niger.
SONANGOL: è una società parastatale che detiene il controllo della produzione di petrolio e gas in Angola. Alla vigilia dell’indipendenza dello Stato africano dal Portogallo, nel 1976, la compagnia Angol (Angol Sociedade de Lubrificantes e Combustivels, sussidiaria dell’impresa portoghese Sacor) venne nazionalizzata e scorporata, dando vita, così, alla Sonangol e alla Direzione Nazionale del Petrolio (Direcção Nacional de Petróleos). Per sviluppare il proprio business, la Sonangol si è avvalsa della cooperazione tecnica della Sonatrach e dell’Eni. E' una delle principali compagnie del continente, anche in virtù del fatto che l'Angola è all'interno dell'Opec. Attualmente SONANGOL possiede stabilimenti oltreoceano a Brazzaville, Hong Kong, Houston, Londra e Singapore.
SONATRACH: acronimo di Enterprise Nationale Sonatrach, è la compagnia statale dell’Algeria, che gestisce le risorse energetiche del paese. Le sue origini risalgono alla Société Nationale de Transport et de Commercialisation des Hydrocarbures, creata il 31 gennaio 1963 dal governo algerino e poi diventata, nel 1966, la Société Nationale pour la Recherche, la Producion, le Transport, la Transformation et la Comercialisation des Hydrocarbures. La denominazione Sonatrach fu assunta nel 1981, dopo che l’impresa consolidò la sua posizione grazie anche alla realizzazione di joint-ventures con le principali compagnie multinazionali, costituite soprattutto per condurre le attività estrattive. Attualmente è una delle aziende leader nella fornitura di gas e petrolio a livello globale, con l’obiettivo di espandere ulteriormente le proprie capacità produttive e di esportazione.
Monday, 14 September 2009
Guida delle compagnie petrolifere (Q-SA)
Petrolio in ogni continente, con compagnie che trivellano da oltre un secolo e che continueranno a farlo per molto tempo. Questo, in sintesi, il quadro dell'industria petrolifera, che sul mercato vanta la presenza di più Paesi e più soggetti operanti. Ecco, dalla A alla Z, la guida le principali compagnie petrolifere internazionali. di Ugo Guarnacci ed Emiliano Biaggio
QP: la Qatar Petroleum è la compagnia nazionale del Qatar, fondata dal governo nel 1974 ed incaricata di gestire le risorse energetiche del paese. Dopo la prima guerra mondiale e con la caduta dell’Impero Ottomano, il Qatar entrò nella sfera d'influenza della Gran Bretagna e, di conseguenza, la prima concessione petrolifera sul territorio dell'emirato venne affidata, nel 1935, all’Anglo Persian Oil (APOC), la compagnia da cui poi sarebbe nata la BP. APOC creò, come sua controllata, la Petroleum Development Qatar Ltd., affidandole la conduzione delle attività di ricerca ed estrazione del greggio. La nazionalizzazione della società ebbe luogo un anno dopo il primo shock petrolifero del 1973, in quanto il governo di Doha era intenzionato ad acquisire pieno potere nello sfruttamento dei propri giacimenti. Oggi è attiva nelcampo dell'estrazione, della raffinazione e della vendita del petrolio. Oltre a essere la principale azienda petrolifera dell'emirato, la Qatar Petroleum è la principale azienda nazionale: il 60% del Pil del Qatar è prodotto dalle attività della QP. La compagnia ha sviluppato un'importante rete anche nel settore del gas: QP ha lavorato e tutt'ora lavora al progetto "Dolphin gas", che intende unire le reti di gasdotti di Qatar, Oman ed Emirati arabi. Presidente della compagnia è il ministro per l'Energia e l'industria nonchè vicepremier, attualmente Abdullah Bin Hamad Al-Attiyah. Nonostante sia un’impresa statale di fama internazione, la Qatar Petroleum può anche essere descritta come un’azienda “familiare”, dal momento che, nella holding, le posizioni direttive sono occupate principalmente dai membri della famiglia reale degli al-Thani.
REPSOL YPF: acronimo di Refineria de Petróleos de Escombreras Oil - Yacimientos Petrolíferos Fiscales, è una società spagnola attiva nei settori del petrolio e del gas naturale, con interessi in 30 paesi. L’azienda è nata nel 1999 dall’acquisizione dell’argentina YPF da parte dell’iberica Repsol, diventata a qul punto una amultinazionale. REPSOL è stata fondata in Spagna, nel 1986, prendendo origine dall’Instituto Nacional de Hidrocarboros (INH), un organismo costituito, a sua volta, nel 1981 - dopo la firma dei Patti della Moncloa (1977) - con l’intento di riorganizzare il settore energetico nel quadro più ampio di una nuova stagione politica ed economica. Nel 1997, completato il piano di privatizzazione, Repsol ha cessato di essere una compagnia di proprietà dello Stato e, due anni dopo, ha assunto il pieno controllo dell’impresa argentina YPF (di cui deteneva il 15% già nel 1998). Yacimientos Petrolíferos Fiscales (YPF) venne creata nel 1922, sotto il governo di Hipólito Yrigoyen, e fu la prima azienda statale a nascere fuori dall’ex URSS. Attualmente REPSOL YPF vanta più di 37.000 dipendenti in tutto il mondo, e conta oltre 250 filiali. Attiva nei campi di esplorazione, estrazione, raffinazione, trasporto e commercializzazione di petrtolio e gas, secondo la rivista Fortune è la quindicesima azienda di raffinazione del petrolio al mondo. E' prima, in termini di fatturato, tra tutte le compagnie energetiche dell'intera area di lingua spagnola (Europa e Americhe). E' al centro delle critiche delle associazioni per i diritti umani, che accusano di "svendere" lo stato e la popolazione Sahrawi in cambio dei giacimenti al largo delle coste del Sahara Occidentale. Il governo marocchino ha riconosciuto alla compagnia i diritti di esplorazione ed estrazione in cambio del riconoscimento spagnolo dell'autorità del governo di Rabat sul territorio dell'ex colonia spagnola.
SAUDI ARAMCO: è la compagnia nazionale dell'Arabia saudita. La storia della Saudi Aramco comincia il 29 maggio 1933, quando il governo saudita firmò un accordo di concessione petrolifera con la Standard Oil of California (Socal), che permise all’impresa di effettuare delle prospezioni sul territorio. Non avendo ottenuto alcun successo, nel 1934 la Socal trasferì il 50% della concessione ad una delle sue filiali, la California Arabian Standard Oil, e la parte restante fu acquistata dalla Texas Oil Company. Dopo quattro lunghi anni di ricerca infruttuosa del greggio, nel 1938 venne scoperto il primo giacimento, denominato “Dammam numero 7”. Nel 1944, il nome della società che opera in Arabia viene cambiato in Aramco (Arabian American Oil Company) e, due anni dopo, con l’intento di aumentare il capitale d’investimento dell’impresa, due nuovi partner acquisirono quote azionarie: la Standard Oil of New Jersey e la Socony Vacuum. Ad entrambe le compagnie venne offerta la medesima parte, pari al 25% delle azioni. Tuttavia, la Socony Vacuum, più cauta rispetto alla Standard Oil of New Jersey, decise di limitare la sua partecipazione al 10%. Nel 1948, la proprietà dell’Aramco era, quindi, così suddivisa: 30% alla Standard Oil of California (poi Chevron), 30% alla Texas Oil Company (successivamente Texaco), 30% alla Standard Oil of New Jersey (in seguito Exxon), 10% alla Socony Vacuum (poi Mobil Oil). Nel 1973, il governo saudita acquisì una quota dell’Aramco del 25%, per aumentarla al 60% nel 1974 ed assumerne, infine, il pieno controllo nel 1980. Nel novembre 1988, Re Fadh sancì la nascita della Saudi Arabian Oil Company, o Saudi Aramco. Nonostante il forte scetticismo di molti osservatori occidentali, la società ha conosciuto, nel tempo, un fiorente sviluppo, anche sotto la direzione del management nazionale, ed ha conquistato il primato mondiale. Lo stesso presidente della Royal Dutch Shell, Mark Moody-Stuart, dovette ammettere che «la Saudi Aramco si comporta e profuma come una normale compagnia petrolifera». Possiede la quasi totalità delle risorse di idrocarburi del regno e, dal punto di vista sia delle riserve che della produzione, è di gran lunga la prima compagnia petrolifera mondiale. Le riserve ammontano a 264 miliardi di barili, la produzione adesso è stata portata a 10,8 milioni di barili al giorno. Per produrre tanto e immettere sul mercato tutto questo occorrono alla compagnia oltre 51.000 dipendenti.
QP: la Qatar Petroleum è la compagnia nazionale del Qatar, fondata dal governo nel 1974 ed incaricata di gestire le risorse energetiche del paese. Dopo la prima guerra mondiale e con la caduta dell’Impero Ottomano, il Qatar entrò nella sfera d'influenza della Gran Bretagna e, di conseguenza, la prima concessione petrolifera sul territorio dell'emirato venne affidata, nel 1935, all’Anglo Persian Oil (APOC), la compagnia da cui poi sarebbe nata la BP. APOC creò, come sua controllata, la Petroleum Development Qatar Ltd., affidandole la conduzione delle attività di ricerca ed estrazione del greggio. La nazionalizzazione della società ebbe luogo un anno dopo il primo shock petrolifero del 1973, in quanto il governo di Doha era intenzionato ad acquisire pieno potere nello sfruttamento dei propri giacimenti. Oggi è attiva nelcampo dell'estrazione, della raffinazione e della vendita del petrolio. Oltre a essere la principale azienda petrolifera dell'emirato, la Qatar Petroleum è la principale azienda nazionale: il 60% del Pil del Qatar è prodotto dalle attività della QP. La compagnia ha sviluppato un'importante rete anche nel settore del gas: QP ha lavorato e tutt'ora lavora al progetto "Dolphin gas", che intende unire le reti di gasdotti di Qatar, Oman ed Emirati arabi. Presidente della compagnia è il ministro per l'Energia e l'industria nonchè vicepremier, attualmente Abdullah Bin Hamad Al-Attiyah. Nonostante sia un’impresa statale di fama internazione, la Qatar Petroleum può anche essere descritta come un’azienda “familiare”, dal momento che, nella holding, le posizioni direttive sono occupate principalmente dai membri della famiglia reale degli al-Thani.
REPSOL YPF: acronimo di Refineria de Petróleos de Escombreras Oil - Yacimientos Petrolíferos Fiscales, è una società spagnola attiva nei settori del petrolio e del gas naturale, con interessi in 30 paesi. L’azienda è nata nel 1999 dall’acquisizione dell’argentina YPF da parte dell’iberica Repsol, diventata a qul punto una amultinazionale. REPSOL è stata fondata in Spagna, nel 1986, prendendo origine dall’Instituto Nacional de Hidrocarboros (INH), un organismo costituito, a sua volta, nel 1981 - dopo la firma dei Patti della Moncloa (1977) - con l’intento di riorganizzare il settore energetico nel quadro più ampio di una nuova stagione politica ed economica. Nel 1997, completato il piano di privatizzazione, Repsol ha cessato di essere una compagnia di proprietà dello Stato e, due anni dopo, ha assunto il pieno controllo dell’impresa argentina YPF (di cui deteneva il 15% già nel 1998). Yacimientos Petrolíferos Fiscales (YPF) venne creata nel 1922, sotto il governo di Hipólito Yrigoyen, e fu la prima azienda statale a nascere fuori dall’ex URSS. Attualmente REPSOL YPF vanta più di 37.000 dipendenti in tutto il mondo, e conta oltre 250 filiali. Attiva nei campi di esplorazione, estrazione, raffinazione, trasporto e commercializzazione di petrtolio e gas, secondo la rivista Fortune è la quindicesima azienda di raffinazione del petrolio al mondo. E' prima, in termini di fatturato, tra tutte le compagnie energetiche dell'intera area di lingua spagnola (Europa e Americhe). E' al centro delle critiche delle associazioni per i diritti umani, che accusano di "svendere" lo stato e la popolazione Sahrawi in cambio dei giacimenti al largo delle coste del Sahara Occidentale. Il governo marocchino ha riconosciuto alla compagnia i diritti di esplorazione ed estrazione in cambio del riconoscimento spagnolo dell'autorità del governo di Rabat sul territorio dell'ex colonia spagnola.
SAUDI ARAMCO: è la compagnia nazionale dell'Arabia saudita. La storia della Saudi Aramco comincia il 29 maggio 1933, quando il governo saudita firmò un accordo di concessione petrolifera con la Standard Oil of California (Socal), che permise all’impresa di effettuare delle prospezioni sul territorio. Non avendo ottenuto alcun successo, nel 1934 la Socal trasferì il 50% della concessione ad una delle sue filiali, la California Arabian Standard Oil, e la parte restante fu acquistata dalla Texas Oil Company. Dopo quattro lunghi anni di ricerca infruttuosa del greggio, nel 1938 venne scoperto il primo giacimento, denominato “Dammam numero 7”. Nel 1944, il nome della società che opera in Arabia viene cambiato in Aramco (Arabian American Oil Company) e, due anni dopo, con l’intento di aumentare il capitale d’investimento dell’impresa, due nuovi partner acquisirono quote azionarie: la Standard Oil of New Jersey e la Socony Vacuum. Ad entrambe le compagnie venne offerta la medesima parte, pari al 25% delle azioni. Tuttavia, la Socony Vacuum, più cauta rispetto alla Standard Oil of New Jersey, decise di limitare la sua partecipazione al 10%. Nel 1948, la proprietà dell’Aramco era, quindi, così suddivisa: 30% alla Standard Oil of California (poi Chevron), 30% alla Texas Oil Company (successivamente Texaco), 30% alla Standard Oil of New Jersey (in seguito Exxon), 10% alla Socony Vacuum (poi Mobil Oil). Nel 1973, il governo saudita acquisì una quota dell’Aramco del 25%, per aumentarla al 60% nel 1974 ed assumerne, infine, il pieno controllo nel 1980. Nel novembre 1988, Re Fadh sancì la nascita della Saudi Arabian Oil Company, o Saudi Aramco. Nonostante il forte scetticismo di molti osservatori occidentali, la società ha conosciuto, nel tempo, un fiorente sviluppo, anche sotto la direzione del management nazionale, ed ha conquistato il primato mondiale. Lo stesso presidente della Royal Dutch Shell, Mark Moody-Stuart, dovette ammettere che «la Saudi Aramco si comporta e profuma come una normale compagnia petrolifera». Possiede la quasi totalità delle risorse di idrocarburi del regno e, dal punto di vista sia delle riserve che della produzione, è di gran lunga la prima compagnia petrolifera mondiale. Le riserve ammontano a 264 miliardi di barili, la produzione adesso è stata portata a 10,8 milioni di barili al giorno. Per produrre tanto e immettere sul mercato tutto questo occorrono alla compagnia oltre 51.000 dipendenti.
Saturday, 12 September 2009
Guida delle compagnie petrolifere (PETROC-PL)
Petrolio in ogni continente, con compagnie che trivellano da oltre un secolo e che continueranno a farlo per molto tempo. Questo, in sintesi, il quadro dell'industria petrolifera, che sul mercato vanta la presenza di più Paesi e più soggetti operanti. Ecco, dalla A alla Z, la guida le principali compagnie petrolifere internazionali. di Ugo Guarnacci ed Emiliano Biaggio
PETROCHINA: compagnia cinese nata il 5 novembre 1999 dal processo di ristrutturazione aziendale che ha interessato la China National Petroleum Corporation (CNPC). Forbes nella sua lista "Forbes 2000 The World’s Leading Companies" ha riconosciuto a PetroChina lo status di più grande azienda cinese e quattordicesima azienda del mondo. La società si è affermata come la più proficua della Cina, agevolata dal duopolio, condiviso con la Sinopec, nella commercializzazione e distribuzione dei prodotti petroliferi. Opera nei settori di gas, petrolio e chimica, con assett nell'esplorazione e nella raffinazione. La compagnia è attiva, tra l'altro, in Sudan, dove ha notevoli interessi esplorativi ed estrattivi. Questo è alla base del sostegno riconosciuto al governo locale che dalle autorità cinesi, tra le accuse e le proteste degli altri paesi. Questo sostegno al governo sudanese, che prosegue nella guerra in Darfur, ha portato molti investitori stranieri, specie statunitensi, a disinvestire su PetroChina. Ciò non ha intaccato la compagnia, che nel 2007, con 336 miliardi di dollari, per la prima volta ha superato in valore di mercato la ExxonMobil. Proprio con ExxonMobil ha firmato nel 2009 un contratto per l'estrazione di gas naturale liqueffati dai giacimenti australiani di Gordon, che assicura rifornimenti al paese asiatici per vent'anni. Nel maggio 2007, l’impresa ha annunciato di aver scoperto il più grande giacimento mai trovato, nell’ultimo decennio, sul territorio cinese, situato sulla costa nord-orientale in un campo denominato Jidong Nanpu. Oltre che per le questioni legate al Darfur, PetroChina è al centro di polemiche per via del progetto del gasdotto "est-ovest": lungo 4.000 chilometri, attraversa 10 province della Cina dallo Xinjiang a Shanghai. Nel complesso, non gode di buona fama in termini di sostenibilità e rispetto per l'ambiente. In PetroChina lavorano oltre 460.000 persone.
PETROECUADOR: anche nota come Empresa Estatal Petróleos del Ecuador, è la compagnia statale dell’Ecuador. Nata il 26 settembre 1989 da ciò che restava della CEPE (Corporación Estatal Petrolera Ecuadoriana, fondata nel 1972), la società opera attraverso tre divisioni principali: Petroproducción per l’esplorazione e l’estrazione, Petroindustrial per la raffinazione del greggio, Petrocomercial per il trasporto e la commercializzazione, all’interno dell’Ecuador, del prodotto raffinato. Petroecuador si occupa anche della gestione del “Sistema de Oleoducto Transecuatoriano” (SOTE), complesso di pipelines destinato al trasporto del petrolio ed originariamente costruito, nel 1972, per la Texano-Gulf. Diverse ONG, tra cui Amazon Watch, accusano l’impresa ecuadoriana di compromettere fortemente l’ecosistema in cui vivono le popolazioni indigene degli Huaorani e Cofan, stanziate per lo più nella regione orientale della foresta amazzonica.
PETROLIFERA: la Petrolifera petroleum Ltd è una compagnia canadese con sede a Calgary, Alberta, attiva in Sudamerica. Di fondazione recente - è nata nel 2004 - opera nei settori di gas e petrolio, produce ed effettua esplorazioni del sottosuolo. Ha interessi su circa 30.000 metri quadrati di superficie con petrolio e gas naturale in concessioni e licenze ottenute in Argentina, Combia e Peru. Attualmente è una delle compagnie con le migliori prospettive nell'America del sud.
PETRONAS: abbreviazione di Petroliam Nasional Berhad, è l’ente di Stato per gas e petrolio della Malaysia, fondato il 14 agosto 1974 attraverso il “Petroleum Development Act”, che attribuisce alla società diritti esclusivi di operare nelle attività onshore e offshore del paese. Petronas è una corporation di notevoli dimensioni, che ingloba al suo interno 103 imprese di sua proprietà, 19 società in cui detiene una partecipazione azionaria e 57 aziende affiliate - una rete che le consente di essere presente in 31 nazioni. E' l'ottava azienda al mondo per utili, e una delle più redditizie dell'Asia. In tutto il mondo ha quasi 40.000 dipendenti e asset per 110 miliardi di dollari. L'espansione del gruppo si è avuta negli anni Novanta, quando ha messo piede in Indonesia, Cambogia e Vietnam, ma soprattutto in Africa. Nel continente è presente in Algeria, poi nel 2002 ha firmato contratti di estrazione - con divisione degli utili - con Gabon, Cameroon, Nigeria ed Egitto. Lo stesso ha fatto con Yemen, in Medio Oriente. Nel 2007, in Mauritania, ha acquistato gli asset della Woodsite Energy Ltd. L'anno successivo, Petronas ha scoperto giacimenti petroliferi nel sottosuolo dello stato africano. La sede della compagnia si trova nelle torri Petronas di Kuala Lumpur, progettate dall’architetto Cesar Pelli e costruite nel 1998. A oggi sono il secondo edificio più alto del mondo.
PLUSPETROL: è la principale compagnia petrolifera argentina. Fondata nel 1976, opera principalmente all'interno dello Stato, nei settori di gas e petrolio. Per lo più produce greggio ed effettua esplorazioni, ma negli ultimi anni ha allargato i propri orizzonti al sud America e ai settori dell'energia elettrica. Obiettivo dichiarato da Pluspetrol è poter competere a livello internazionale.
PETROCHINA: compagnia cinese nata il 5 novembre 1999 dal processo di ristrutturazione aziendale che ha interessato la China National Petroleum Corporation (CNPC). Forbes nella sua lista "Forbes 2000 The World’s Leading Companies" ha riconosciuto a PetroChina lo status di più grande azienda cinese e quattordicesima azienda del mondo. La società si è affermata come la più proficua della Cina, agevolata dal duopolio, condiviso con la Sinopec, nella commercializzazione e distribuzione dei prodotti petroliferi. Opera nei settori di gas, petrolio e chimica, con assett nell'esplorazione e nella raffinazione. La compagnia è attiva, tra l'altro, in Sudan, dove ha notevoli interessi esplorativi ed estrattivi. Questo è alla base del sostegno riconosciuto al governo locale che dalle autorità cinesi, tra le accuse e le proteste degli altri paesi. Questo sostegno al governo sudanese, che prosegue nella guerra in Darfur, ha portato molti investitori stranieri, specie statunitensi, a disinvestire su PetroChina. Ciò non ha intaccato la compagnia, che nel 2007, con 336 miliardi di dollari, per la prima volta ha superato in valore di mercato la ExxonMobil. Proprio con ExxonMobil ha firmato nel 2009 un contratto per l'estrazione di gas naturale liqueffati dai giacimenti australiani di Gordon, che assicura rifornimenti al paese asiatici per vent'anni. Nel maggio 2007, l’impresa ha annunciato di aver scoperto il più grande giacimento mai trovato, nell’ultimo decennio, sul territorio cinese, situato sulla costa nord-orientale in un campo denominato Jidong Nanpu. Oltre che per le questioni legate al Darfur, PetroChina è al centro di polemiche per via del progetto del gasdotto "est-ovest": lungo 4.000 chilometri, attraversa 10 province della Cina dallo Xinjiang a Shanghai. Nel complesso, non gode di buona fama in termini di sostenibilità e rispetto per l'ambiente. In PetroChina lavorano oltre 460.000 persone.
PETROECUADOR: anche nota come Empresa Estatal Petróleos del Ecuador, è la compagnia statale dell’Ecuador. Nata il 26 settembre 1989 da ciò che restava della CEPE (Corporación Estatal Petrolera Ecuadoriana, fondata nel 1972), la società opera attraverso tre divisioni principali: Petroproducción per l’esplorazione e l’estrazione, Petroindustrial per la raffinazione del greggio, Petrocomercial per il trasporto e la commercializzazione, all’interno dell’Ecuador, del prodotto raffinato. Petroecuador si occupa anche della gestione del “Sistema de Oleoducto Transecuatoriano” (SOTE), complesso di pipelines destinato al trasporto del petrolio ed originariamente costruito, nel 1972, per la Texano-Gulf. Diverse ONG, tra cui Amazon Watch, accusano l’impresa ecuadoriana di compromettere fortemente l’ecosistema in cui vivono le popolazioni indigene degli Huaorani e Cofan, stanziate per lo più nella regione orientale della foresta amazzonica.
PETROLIFERA: la Petrolifera petroleum Ltd è una compagnia canadese con sede a Calgary, Alberta, attiva in Sudamerica. Di fondazione recente - è nata nel 2004 - opera nei settori di gas e petrolio, produce ed effettua esplorazioni del sottosuolo. Ha interessi su circa 30.000 metri quadrati di superficie con petrolio e gas naturale in concessioni e licenze ottenute in Argentina, Combia e Peru. Attualmente è una delle compagnie con le migliori prospettive nell'America del sud.
PETRONAS: abbreviazione di Petroliam Nasional Berhad, è l’ente di Stato per gas e petrolio della Malaysia, fondato il 14 agosto 1974 attraverso il “Petroleum Development Act”, che attribuisce alla società diritti esclusivi di operare nelle attività onshore e offshore del paese. Petronas è una corporation di notevoli dimensioni, che ingloba al suo interno 103 imprese di sua proprietà, 19 società in cui detiene una partecipazione azionaria e 57 aziende affiliate - una rete che le consente di essere presente in 31 nazioni. E' l'ottava azienda al mondo per utili, e una delle più redditizie dell'Asia. In tutto il mondo ha quasi 40.000 dipendenti e asset per 110 miliardi di dollari. L'espansione del gruppo si è avuta negli anni Novanta, quando ha messo piede in Indonesia, Cambogia e Vietnam, ma soprattutto in Africa. Nel continente è presente in Algeria, poi nel 2002 ha firmato contratti di estrazione - con divisione degli utili - con Gabon, Cameroon, Nigeria ed Egitto. Lo stesso ha fatto con Yemen, in Medio Oriente. Nel 2007, in Mauritania, ha acquistato gli asset della Woodsite Energy Ltd. L'anno successivo, Petronas ha scoperto giacimenti petroliferi nel sottosuolo dello stato africano. La sede della compagnia si trova nelle torri Petronas di Kuala Lumpur, progettate dall’architetto Cesar Pelli e costruite nel 1998. A oggi sono il secondo edificio più alto del mondo.
PLUSPETROL: è la principale compagnia petrolifera argentina. Fondata nel 1976, opera principalmente all'interno dello Stato, nei settori di gas e petrolio. Per lo più produce greggio ed effettua esplorazioni, ma negli ultimi anni ha allargato i propri orizzonti al sud America e ai settori dell'energia elettrica. Obiettivo dichiarato da Pluspetrol è poter competere a livello internazionale.
Guida delle compagnie petrolifere (PER-PETROB)
Petrolio in ogni continente, con compagnie che trivellano da oltre un secolo e che continueranno a farlo per molto tempo. Questo, in sintesi, il quadro dell'industria petrolifera, che sul mercato vanta la presenza di più Paesi e più soggetti operanti. Ecco, dalla A alla Z, la guida le principali compagnie petrolifere internazionali. di Ugo Guarnacci ed Emiliano Biaggio
PERENCO: gruppo anglo-francese operante nei settori di petrolio e gas, nasce nel 1975 con base a Singapore. Iniziò con esplorazioni nel golfo Persico e nel sud-est asiatico, per diventare operativo nelle trivellazioni a partire dal 1980, anno in cui venne fondata la Techfor, compagnia di trivellazione di Perenco. Nel 1982 acquisì la francese Cosifor, consolidando la propria posizione sul mercato internazione ed entrando a far parte dei grandi colossi petroliferi. E' presente in 14 Paesi, e vanta oltre 4.000 dipendenti in tutti il mondo. Opera dall'Africa al sud America, nei deserti come nelle foreste. Cerca da tempo di esplorare e trivellare il suolo della foresta amazzonica. In Peru' è al centro di proteste e sollevazioni delle popolazioni indigene.
PERTAMINA: acronimo di Perusahaan Tambang Minyak Negara, è la compagnia nazionale dell’Indonesia, sorta nell’agosto 1968, dalla fusione tra Pertamin (fondata nel 1961) e Permina (fondata nel 1957). E' la maggiore compagnia al mondo per produzione ed esportazione di gas naturale liquefatto (Gnl). Nel 1973 era già in grado di produrre da sè quasi il 30% del petrolio indonesiano. Il rimanente 60% lo estraeva in partnership con Chevron (che nella zona opera sotto il marchio Caltex). Verso la fine del decennio la compagnia rischiò la bancarotta, per via di investimenti sbagliati e debiti contratti che non riusciva a pagare, ma soprattutto per via di tangenti pagate nel corso degli anni. Il governo si fece carico del risanamento della Pertamina, che agli inizi degli anni Ottanta stipulò accordi di cooperazione con Chevron e Total che le permisero di risollevarsi e riacquistare la propria posizione sul mercato. A oggi è una controllata statale, e possiene sei raffinerie e vanta una produzione di un milioni di barili di greggio al giorno. Ha poi riserve da 31 tonnellate di petrolio l'anno. Sebbene il petrolio e il gas rimangano le sue attività fondamentali, Pertamina sta cercando di specializzarsi, sotto il controllo del Ministero per le imprese statali, anche in altri ambiti, dal cemento ai fertilizzanti, fino ad arrivare al settore immobiliare e delle telecomunicazioni. La compagnia è nel mirino degli osservatori per il rispetto dei diritti umani, secondo i quali Pertamina porterebbe avanti politiche interne anti-sindacali.
PETROBRAS: Petróleo Brasileiro S.A (Petrobras) è una compagnia petrolifera brasiliana, fondata, nel 1953, per impulso dell’allora presidente del Brasile, Getúlio Vargas. Fondata dallo Stato con lo scopo di gestire le attività del settore petrolifero per conto dell'Unione (lo Stato federale, União in portoghese), in sostituzione del vecchio Consiglio nazionale del petrolio (Cnp). Oggi È una delle prime 15 compagnie petrolifere mondiali, e non è più un’azienda statale, in quanto il governo federale controlla solo il 32,2% del suo pacchetto azionario. La sede legale della società è a Rio de Janeiro, anche se Petrobras ha ormai ramificato la propria attività ben oltre i confini nazionali, affermandosi a livello globale, tanto che nel 2005 è stata essere inserita dal “Financial Times” tra le cinquecento imprese più grandi del mondo. Ha oltre 74.000 dipendenti, e dispone di una tecnologia avanzata per la perforazione in acque profonde e ultra profonde, con dei record mondiali di profondità (2 km). Ha raggiunto una produzione di petrolio di oltre di 2 milioni di barili al giorno. In Brasile, Petrobras sponsorizza numerose iniziative artistiche, culturali e volte alla difesa dell’ambiente. Tra quest’ultimo tipo di programmi, di particolare rilievo è il finanziamento di progetti per lo studio e la salvaguardia delle balene, attraverso il “Brazilian Right Whale Project” e il Brazilian Humpback Whale Institute. Nel 2006 il presidente della Bolivia, optò per la nazionalizzazione delle riserve di gas e petrolio presenti nel sottosuolo boliviano, assestando un duro colpo alla comapagnia: Petrobras operava era nel 46% delle riserve di greggio boliviano ed era responsabile del 75% delle esportazioni in Brasile. Nel 2006, dopo continui "braccio di ferro" Petrobras e governo boliviano raggiunsero un accordo per cui la compagnia prende il 18% dei profitti derivanti dalla produzione e vendita del petrolio della Bolivia.
PERENCO: gruppo anglo-francese operante nei settori di petrolio e gas, nasce nel 1975 con base a Singapore. Iniziò con esplorazioni nel golfo Persico e nel sud-est asiatico, per diventare operativo nelle trivellazioni a partire dal 1980, anno in cui venne fondata la Techfor, compagnia di trivellazione di Perenco. Nel 1982 acquisì la francese Cosifor, consolidando la propria posizione sul mercato internazione ed entrando a far parte dei grandi colossi petroliferi. E' presente in 14 Paesi, e vanta oltre 4.000 dipendenti in tutti il mondo. Opera dall'Africa al sud America, nei deserti come nelle foreste. Cerca da tempo di esplorare e trivellare il suolo della foresta amazzonica. In Peru' è al centro di proteste e sollevazioni delle popolazioni indigene.
PERTAMINA: acronimo di Perusahaan Tambang Minyak Negara, è la compagnia nazionale dell’Indonesia, sorta nell’agosto 1968, dalla fusione tra Pertamin (fondata nel 1961) e Permina (fondata nel 1957). E' la maggiore compagnia al mondo per produzione ed esportazione di gas naturale liquefatto (Gnl). Nel 1973 era già in grado di produrre da sè quasi il 30% del petrolio indonesiano. Il rimanente 60% lo estraeva in partnership con Chevron (che nella zona opera sotto il marchio Caltex). Verso la fine del decennio la compagnia rischiò la bancarotta, per via di investimenti sbagliati e debiti contratti che non riusciva a pagare, ma soprattutto per via di tangenti pagate nel corso degli anni. Il governo si fece carico del risanamento della Pertamina, che agli inizi degli anni Ottanta stipulò accordi di cooperazione con Chevron e Total che le permisero di risollevarsi e riacquistare la propria posizione sul mercato. A oggi è una controllata statale, e possiene sei raffinerie e vanta una produzione di un milioni di barili di greggio al giorno. Ha poi riserve da 31 tonnellate di petrolio l'anno. Sebbene il petrolio e il gas rimangano le sue attività fondamentali, Pertamina sta cercando di specializzarsi, sotto il controllo del Ministero per le imprese statali, anche in altri ambiti, dal cemento ai fertilizzanti, fino ad arrivare al settore immobiliare e delle telecomunicazioni. La compagnia è nel mirino degli osservatori per il rispetto dei diritti umani, secondo i quali Pertamina porterebbe avanti politiche interne anti-sindacali.
PETROBRAS: Petróleo Brasileiro S.A (Petrobras) è una compagnia petrolifera brasiliana, fondata, nel 1953, per impulso dell’allora presidente del Brasile, Getúlio Vargas. Fondata dallo Stato con lo scopo di gestire le attività del settore petrolifero per conto dell'Unione (lo Stato federale, União in portoghese), in sostituzione del vecchio Consiglio nazionale del petrolio (Cnp). Oggi È una delle prime 15 compagnie petrolifere mondiali, e non è più un’azienda statale, in quanto il governo federale controlla solo il 32,2% del suo pacchetto azionario. La sede legale della società è a Rio de Janeiro, anche se Petrobras ha ormai ramificato la propria attività ben oltre i confini nazionali, affermandosi a livello globale, tanto che nel 2005 è stata essere inserita dal “Financial Times” tra le cinquecento imprese più grandi del mondo. Ha oltre 74.000 dipendenti, e dispone di una tecnologia avanzata per la perforazione in acque profonde e ultra profonde, con dei record mondiali di profondità (2 km). Ha raggiunto una produzione di petrolio di oltre di 2 milioni di barili al giorno. In Brasile, Petrobras sponsorizza numerose iniziative artistiche, culturali e volte alla difesa dell’ambiente. Tra quest’ultimo tipo di programmi, di particolare rilievo è il finanziamento di progetti per lo studio e la salvaguardia delle balene, attraverso il “Brazilian Right Whale Project” e il Brazilian Humpback Whale Institute. Nel 2006 il presidente della Bolivia, optò per la nazionalizzazione delle riserve di gas e petrolio presenti nel sottosuolo boliviano, assestando un duro colpo alla comapagnia: Petrobras operava era nel 46% delle riserve di greggio boliviano ed era responsabile del 75% delle esportazioni in Brasile. Nel 2006, dopo continui "braccio di ferro" Petrobras e governo boliviano raggiunsero un accordo per cui la compagnia prende il 18% dei profitti derivanti dalla produzione e vendita del petrolio della Bolivia.
Friday, 11 September 2009
Ricordando l'11 settembre. L'altro.
Nel 1973 il golpe cileno. Ordito dallo stesso Paese che oggi vorrebbe estirpare il terrorismo.
di Emiliano Biaggio
Otto anni fa l’incidente che sconvolse l’America e cambiò il mondo, perché il mondo, dopo l’attacco alle torri gemelle di New York, non è stato più lo stesso. A otto anni di distanza da quell’attacco il mondo ricorda, e si interroga. Oggi, a sei anni di distanza dagli aerei scagliati contro il World Trade Center, il terrorismo è stato sconfitto? Pentagono, Cia e Casa Bianca non sembrano aver offerto la risposta che ognuno di noi avrebbe voluto sentire, anzi, e le varie registrazioni audio e riapparizioni in video del signore del terrore, Osama Bin Laden, sembra confermare che dopo otto anni la lotta al terrorismo è tutt’altro che conclusa, forse è addirittura appena cominciata.
Intanto oggi il mondo tutto si unisce nel ricordo del dolore e della rabbia per la morte e il terrore che l’11 settembre di otto anni fa hanno squarciato il cielo newyorkese, con scene tanto apocalittiche da far rimanere increduli i passanti prima e i telespettatori poi a quanto avvenuto. Duro e difficile richiamare alla mente i momenti dell’11 settembre, di quell’altro 11 settembre. Già perché c’è un altro identico giorno, distante 28 anni da quello Usa: l’11 settembre del golpe cileno, del palazzo della Moneda in fiamme, del tradimento del generale Augusto Pinochet. Un attacco alla democrazia ordito dalle multinazionali del rame, dall'allora segretario di Stato Henry Kissinger, e da quella stessa Cia che oggi pianifica le strategie da adottare per contrastare il terrorismo. A trentasei anni di distanza da una delle pagine più buie della storia cilena e una delle più nere dei "democratici" Stati Uniti, tutti esprimono solidarietà alla ferita America mentre solo in pochi ricordano come un Paese che non accetta di finire sotto attacco, di attacchi ne ha sferrati, e tutt’ora continua a sferrarne. Pochi, probabilmente, sono disposti a credere che chi si erge a paladino di giustizia e democrazia è poi il primo che le infrange. Ecco perché oggi, 11 settembre, otto anni dopo l’attacco alle torri gemelle e trentasei anni dopo il golpe cileno, il mondo si interroga. Ma ben altre sono le domande che ci si dovrebbe porre, perché è certo: il terrorismo non è mai morto. E questo, a Washington, lo sanno bene.
di Emiliano Biaggio
Otto anni fa l’incidente che sconvolse l’America e cambiò il mondo, perché il mondo, dopo l’attacco alle torri gemelle di New York, non è stato più lo stesso. A otto anni di distanza da quell’attacco il mondo ricorda, e si interroga. Oggi, a sei anni di distanza dagli aerei scagliati contro il World Trade Center, il terrorismo è stato sconfitto? Pentagono, Cia e Casa Bianca non sembrano aver offerto la risposta che ognuno di noi avrebbe voluto sentire, anzi, e le varie registrazioni audio e riapparizioni in video del signore del terrore, Osama Bin Laden, sembra confermare che dopo otto anni la lotta al terrorismo è tutt’altro che conclusa, forse è addirittura appena cominciata.
Intanto oggi il mondo tutto si unisce nel ricordo del dolore e della rabbia per la morte e il terrore che l’11 settembre di otto anni fa hanno squarciato il cielo newyorkese, con scene tanto apocalittiche da far rimanere increduli i passanti prima e i telespettatori poi a quanto avvenuto. Duro e difficile richiamare alla mente i momenti dell’11 settembre, di quell’altro 11 settembre. Già perché c’è un altro identico giorno, distante 28 anni da quello Usa: l’11 settembre del golpe cileno, del palazzo della Moneda in fiamme, del tradimento del generale Augusto Pinochet. Un attacco alla democrazia ordito dalle multinazionali del rame, dall'allora segretario di Stato Henry Kissinger, e da quella stessa Cia che oggi pianifica le strategie da adottare per contrastare il terrorismo. A trentasei anni di distanza da una delle pagine più buie della storia cilena e una delle più nere dei "democratici" Stati Uniti, tutti esprimono solidarietà alla ferita America mentre solo in pochi ricordano come un Paese che non accetta di finire sotto attacco, di attacchi ne ha sferrati, e tutt’ora continua a sferrarne. Pochi, probabilmente, sono disposti a credere che chi si erge a paladino di giustizia e democrazia è poi il primo che le infrange. Ecco perché oggi, 11 settembre, otto anni dopo l’attacco alle torri gemelle e trentasei anni dopo il golpe cileno, il mondo si interroga. Ma ben altre sono le domande che ci si dovrebbe porre, perché è certo: il terrorismo non è mai morto. E questo, a Washington, lo sanno bene.
Guida delle compagnie petrolifere (NN-PE)
Petrolio in ogni continente, con compagnie che trivellano da oltre un secolo e che continueranno a farlo per molto tempo. Questo, in sintesi, il quadro dell'industria petrolifera, che sul mercato vanta la presenza di più Paesi e più soggetti operanti. Ecco, dalla A alla Z, la guida le principali compagnie petrolifere internazionali.
di Ugo Guarnacci ed Emiliano Biaggio
NNPC: la Nigerian National Petroleum Corporation è un’impresa statale creata dal governo federale nigeriano, il 1 aprile 1977, per regolare e gestire le proprie risorse di greggio. Ha dato vita ad una serie di joint-ventures con diverse compagnie straniere - Shell, ExxonMobil, Agip, Total, Chevron - sfruttando questa collaborazione per condurre le attività di esplorazione, estrazione e potenziamento del comparto petrolifero. La vigilanza sulla società è stata affidata al Dipartimento per le risorse petrolifere, una divisione del Ministero del petrolio incaricata di controllare la regolarità delle licenze e dei permessi, nonché la conformità alla normativa in materia ambientale.
PDVSA: Petróleos de Venezuela S.A. é la compagnia petrolifera statale del Venezuela, che, oltre ad occuparsi del business petrolifero, ha sviluppato anche una filiera di ricerca e produzione del gas naturale. Fu creata nel 1975 dalla “Ley Orgánica”, che riserva allo Stato il monopolio sull’industria ed il commercio del greggio e fa della società un potente strumento, nelle mani del governo venezuelano, per definire la politica economica del paese. Nel 2002, la decisione del Presidente Hugo Chavez di cambiare la dirigenza della PDVSA fu un esempio lampante della forte influenza che le autorità nazionali esercitano sulla compagnia. Nel dicembre dello stesso anno, tale provvedimento scatenò un grande sciopero, che fu duramente represso: i diciottomila lavoratori dell’impresa che presero parte alla protesta furono licenziati in tronco. Il petrolio rappresenta, per il Venezuela, una risorsa strategica con cui uscire dalla paralisi economica e non stupisce, quindi, che lo stesso Chavez abbia optato per un “nazionalismo petrolifero”. Tra il 2005 e il 2006, il Presidente ha cominciato ad introdurre condizioni sempre più restrittive per l’operato delle società straniere, imponendo che la PDVSA entrasse a maggioranza in progetti detenuti dalle multinazionali. Il business della società è in continua espansione e, ormai da due anni, è approdato anche Cina, al fine di conquistare, vista la sua elevata domanda di greggio, un mercato strategico. Proprio nel febbraio 2006 PDVSA ha ottenuto la certificazione ISO 9001:2000 per il suo sistema di distribuzione a livello globale.
PEMEX: Pemex (Petróleos Mexicanos) è la compagnia nazionale messicana, creata il 7 giugno 1938 come ente nazionale incaricato di gestire ed amministrare efficientemente gli idrocarburi, favorendo un rapido sviluppo del paese. La proposta di dar vita ad una società controllata direttamente dallo Stato fu avanzata dell’allora Presidente Lázaro Cárdenas, convinto della necessità di espropriare le attività delle imprese petrolifere straniere operanti sul territorio messicano, considerato anche il loro rifiuto di migliorare le condizioni di lavoro dei dipendenti. Dopo la costituzione di Pemex, il governo si impegnò a firmare, nel 1942, il contratto collettivo con il Sindicato de Trabajadores Petroleros en la República Mexicana. Nel 1992, la società è stata divisa in quattro rami: PEMEX Esplorazione e Produzione (PEP), PEMEX Raffinazione (PXR), PEMEX Gas e Petrolchimica Basica (PGPB) e PEMEX Petrolchimica (PPQ). All’inizio del 2007, la società ha annunciato di avere in cantiere progetti ambiziosi, come la ristrutturazione della raffineria Lázaro Cárdenas (la più antica del paese), la riorganizzazione del comparto petrolchimico, l’avvio della ricerca e produzione del gas.
di Ugo Guarnacci ed Emiliano Biaggio
NNPC: la Nigerian National Petroleum Corporation è un’impresa statale creata dal governo federale nigeriano, il 1 aprile 1977, per regolare e gestire le proprie risorse di greggio. Ha dato vita ad una serie di joint-ventures con diverse compagnie straniere - Shell, ExxonMobil, Agip, Total, Chevron - sfruttando questa collaborazione per condurre le attività di esplorazione, estrazione e potenziamento del comparto petrolifero. La vigilanza sulla società è stata affidata al Dipartimento per le risorse petrolifere, una divisione del Ministero del petrolio incaricata di controllare la regolarità delle licenze e dei permessi, nonché la conformità alla normativa in materia ambientale.
PDVSA: Petróleos de Venezuela S.A. é la compagnia petrolifera statale del Venezuela, che, oltre ad occuparsi del business petrolifero, ha sviluppato anche una filiera di ricerca e produzione del gas naturale. Fu creata nel 1975 dalla “Ley Orgánica”, che riserva allo Stato il monopolio sull’industria ed il commercio del greggio e fa della società un potente strumento, nelle mani del governo venezuelano, per definire la politica economica del paese. Nel 2002, la decisione del Presidente Hugo Chavez di cambiare la dirigenza della PDVSA fu un esempio lampante della forte influenza che le autorità nazionali esercitano sulla compagnia. Nel dicembre dello stesso anno, tale provvedimento scatenò un grande sciopero, che fu duramente represso: i diciottomila lavoratori dell’impresa che presero parte alla protesta furono licenziati in tronco. Il petrolio rappresenta, per il Venezuela, una risorsa strategica con cui uscire dalla paralisi economica e non stupisce, quindi, che lo stesso Chavez abbia optato per un “nazionalismo petrolifero”. Tra il 2005 e il 2006, il Presidente ha cominciato ad introdurre condizioni sempre più restrittive per l’operato delle società straniere, imponendo che la PDVSA entrasse a maggioranza in progetti detenuti dalle multinazionali. Il business della società è in continua espansione e, ormai da due anni, è approdato anche Cina, al fine di conquistare, vista la sua elevata domanda di greggio, un mercato strategico. Proprio nel febbraio 2006 PDVSA ha ottenuto la certificazione ISO 9001:2000 per il suo sistema di distribuzione a livello globale.
PEMEX: Pemex (Petróleos Mexicanos) è la compagnia nazionale messicana, creata il 7 giugno 1938 come ente nazionale incaricato di gestire ed amministrare efficientemente gli idrocarburi, favorendo un rapido sviluppo del paese. La proposta di dar vita ad una società controllata direttamente dallo Stato fu avanzata dell’allora Presidente Lázaro Cárdenas, convinto della necessità di espropriare le attività delle imprese petrolifere straniere operanti sul territorio messicano, considerato anche il loro rifiuto di migliorare le condizioni di lavoro dei dipendenti. Dopo la costituzione di Pemex, il governo si impegnò a firmare, nel 1942, il contratto collettivo con il Sindicato de Trabajadores Petroleros en la República Mexicana. Nel 1992, la società è stata divisa in quattro rami: PEMEX Esplorazione e Produzione (PEP), PEMEX Raffinazione (PXR), PEMEX Gas e Petrolchimica Basica (PGPB) e PEMEX Petrolchimica (PPQ). All’inizio del 2007, la società ha annunciato di avere in cantiere progetti ambiziosi, come la ristrutturazione della raffineria Lázaro Cárdenas (la più antica del paese), la riorganizzazione del comparto petrolchimico, l’avvio della ricerca e produzione del gas.
Thursday, 10 September 2009
Guida delle compagnie petrolifere (K-N)
Petrolio in ogni continente, con compagnie che trivellano da oltre un secolo e che continueranno a farlo per molto tempo. Questo, in sintesi, il quadro dell'industria petrolifera, che sul mercato vanta la presenza di più Paesi e più soggetti operanti. Ecco, dalla A alla Z, la guida le principali compagnie petrolifere internazionali.
di Ugo Guarnacci ed Emiliano Biaggio
KPC: Creata nel 1980, la Kuwait Petroleum Corporation è una holding di proprietà dello Stato kuwaitiano e controlla, a sua volta, la Kuwait National Petroleum Company, società nazionalizzata nel 1975. Quest’ultima gestisce direttamente, per conto della KPC, le tre raffinerie di greggio più importanti del paese: Mina Al-Ahmadi, Mina Abdulla e Shuaiba. Dopo l’invasione del Kuwait da parte dell’Iraq di Saddam Hussein, la compagnia trasferì la sua sede presso gli uffici della Kuwait Petroleum International di Londra, per poter continuare normalmente le sue attività commerciali usufruendo dell’immunità dall’asset freeze, imposto sugli interessi kuwaitiani d’oltreoceano dalla allora CEE, dagli Stati Uniti e dal Giappone.
Nel 2000 ha potuto beneficiare di 15,9 miliardi di dollari erogati dalla United Nation Compensation Commission per i danni e le perdite subite durante l’occupazione irachena. L’alta conflittualità che sta caratterizzando l’Iraq continua, però, a rappresentare, per la Corporation, un motivo di forte preoccupazione per la sicurezza dei giacimenti petroliferi situati al confine con il paese.
LUKOIL: è la più grande compagnia petrolifera russa e una delle maggiori al mondo. La società ha avuto origine, nel 1991, dalla fusione di tre aziende - la Langepasneftegaz, la Uraineftegaz e la Kogalymneftegaz – e, nel nome, ha mantenuto le iniziali delle imprese accorpate. Nel 2009 le sue riserve di petrolio hanno raggiunto i 14 miliardi e mezzo di barili, tanto che è la seconda compagnia al mondo per riserve di greggio, dietro solo alla statunitense ExxonMobil. Presente in 16 Paesi (Azerbaijan, Bielorussia, Bulgaria, Cipro, Repubblica Ceca, Estonia, Finlandia, Georgia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Repubblica di Macedonia, Moldavia, Polonia, Romania, Serbia, Stati Uniti e Ucraina), Lukoil conduce le sue attività di esplorazione ed estrazione del greggio e del gas non soltanto in Russia, ma anche in altri nove paesi: Kazakhstan, Azerbaijan, Uzbekistan, Egitto, Iran, Iraq, Colombia, Venezuela e Arabia Saudita.
NIOC: la National Iranian Oil Company è la compagnia nazionale dell’Iran, leader nel settore del petrolio e del gas. Le sue origini si intrecciano con le vicende storiche iraniane e, soprattutto, con la rivoluzione islamica, che consentì all’Ayatollah Khomeini di salire al potere. Il 7 gennaio 1979, il Consiglio Rivoluzionario decretò la fine di ogni concessione petrolifera precedentemente stipulata con le compagnie straniere, attribuendo piena ed esclusiva sovranità in materia alla National Iranian Oil Company. Le attività della società sono state fortemente ostacolate dallo scoppio, il 22 settembre 1980, della prima Guerra del Golfo: i ripetuti attacchi da parte irachena hanno danneggiato e distrutto siti petroliferi vitali, nonché rilevanti infrastrutture, come la raffineria di Abadan. La National Iranian Oil Company è, tuttavia, riuscita ad uscire da una fase di stallo ed ha puntato su una ristrutturazione infrastrutturale, giungendo, così, a beneficiare di impianti moderni come quelli situati nelle tre isole di Kharg, Lavan and Siri, dotati di 17 moli da cui salpano le petroliere dirette verso i principali mercati di esportazione.
NOC: la National Oil Corporation Libya è stata fondata il 12 novembre 1970, per assumere il controllo e la gestione del settore petrolifero libico. Formalmente riconosciuta dal segretariato del Congresso Generale del Popolo nel 1979, la compagnia è stata incaricata della realizzazione di progetti di sviluppo volti a sfruttare in modo efficace ed efficiente le risorse petrolifere del paese, consentendogli una crescita economica duratura. A cavallo degli Ottanta e Novanta, con l'embargo prima degli Stati Uniti (1986) e con le sanzioni delle Nazioni Unite poi (1992 e 1993), è stata costretta ad un ridimensionamento e ad operare come compagnia nazionale e locale. Nel 2003 e nel 2004 la Libia prima risarcisce i famigliari delle vittime del volo Pan-Am, poi rinuncia al nucleare e nel 2005 riprende attività di esplorazione. Per quanto concerne queste attività, la società libica collabora con le principali imprese multinazionali - anche per quanto concerne l'estrazione - con l’intento di condividere know-how e tecnologie all’avanguardia. Attraverso l'olandese Tamoil vende all'estero buona parte dei propri prodotti petroliferi: con Tamoil, Noc risulta produttore e distributore in Italia, Germania, Svizzera ed Egitto.
di Ugo Guarnacci ed Emiliano Biaggio
KPC: Creata nel 1980, la Kuwait Petroleum Corporation è una holding di proprietà dello Stato kuwaitiano e controlla, a sua volta, la Kuwait National Petroleum Company, società nazionalizzata nel 1975. Quest’ultima gestisce direttamente, per conto della KPC, le tre raffinerie di greggio più importanti del paese: Mina Al-Ahmadi, Mina Abdulla e Shuaiba. Dopo l’invasione del Kuwait da parte dell’Iraq di Saddam Hussein, la compagnia trasferì la sua sede presso gli uffici della Kuwait Petroleum International di Londra, per poter continuare normalmente le sue attività commerciali usufruendo dell’immunità dall’asset freeze, imposto sugli interessi kuwaitiani d’oltreoceano dalla allora CEE, dagli Stati Uniti e dal Giappone.
Nel 2000 ha potuto beneficiare di 15,9 miliardi di dollari erogati dalla United Nation Compensation Commission per i danni e le perdite subite durante l’occupazione irachena. L’alta conflittualità che sta caratterizzando l’Iraq continua, però, a rappresentare, per la Corporation, un motivo di forte preoccupazione per la sicurezza dei giacimenti petroliferi situati al confine con il paese.
LUKOIL: è la più grande compagnia petrolifera russa e una delle maggiori al mondo. La società ha avuto origine, nel 1991, dalla fusione di tre aziende - la Langepasneftegaz, la Uraineftegaz e la Kogalymneftegaz – e, nel nome, ha mantenuto le iniziali delle imprese accorpate. Nel 2009 le sue riserve di petrolio hanno raggiunto i 14 miliardi e mezzo di barili, tanto che è la seconda compagnia al mondo per riserve di greggio, dietro solo alla statunitense ExxonMobil. Presente in 16 Paesi (Azerbaijan, Bielorussia, Bulgaria, Cipro, Repubblica Ceca, Estonia, Finlandia, Georgia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Repubblica di Macedonia, Moldavia, Polonia, Romania, Serbia, Stati Uniti e Ucraina), Lukoil conduce le sue attività di esplorazione ed estrazione del greggio e del gas non soltanto in Russia, ma anche in altri nove paesi: Kazakhstan, Azerbaijan, Uzbekistan, Egitto, Iran, Iraq, Colombia, Venezuela e Arabia Saudita.
NIOC: la National Iranian Oil Company è la compagnia nazionale dell’Iran, leader nel settore del petrolio e del gas. Le sue origini si intrecciano con le vicende storiche iraniane e, soprattutto, con la rivoluzione islamica, che consentì all’Ayatollah Khomeini di salire al potere. Il 7 gennaio 1979, il Consiglio Rivoluzionario decretò la fine di ogni concessione petrolifera precedentemente stipulata con le compagnie straniere, attribuendo piena ed esclusiva sovranità in materia alla National Iranian Oil Company. Le attività della società sono state fortemente ostacolate dallo scoppio, il 22 settembre 1980, della prima Guerra del Golfo: i ripetuti attacchi da parte irachena hanno danneggiato e distrutto siti petroliferi vitali, nonché rilevanti infrastrutture, come la raffineria di Abadan. La National Iranian Oil Company è, tuttavia, riuscita ad uscire da una fase di stallo ed ha puntato su una ristrutturazione infrastrutturale, giungendo, così, a beneficiare di impianti moderni come quelli situati nelle tre isole di Kharg, Lavan and Siri, dotati di 17 moli da cui salpano le petroliere dirette verso i principali mercati di esportazione.
NOC: la National Oil Corporation Libya è stata fondata il 12 novembre 1970, per assumere il controllo e la gestione del settore petrolifero libico. Formalmente riconosciuta dal segretariato del Congresso Generale del Popolo nel 1979, la compagnia è stata incaricata della realizzazione di progetti di sviluppo volti a sfruttare in modo efficace ed efficiente le risorse petrolifere del paese, consentendogli una crescita economica duratura. A cavallo degli Ottanta e Novanta, con l'embargo prima degli Stati Uniti (1986) e con le sanzioni delle Nazioni Unite poi (1992 e 1993), è stata costretta ad un ridimensionamento e ad operare come compagnia nazionale e locale. Nel 2003 e nel 2004 la Libia prima risarcisce i famigliari delle vittime del volo Pan-Am, poi rinuncia al nucleare e nel 2005 riprende attività di esplorazione. Per quanto concerne queste attività, la società libica collabora con le principali imprese multinazionali - anche per quanto concerne l'estrazione - con l’intento di condividere know-how e tecnologie all’avanguardia. Attraverso l'olandese Tamoil vende all'estero buona parte dei propri prodotti petroliferi: con Tamoil, Noc risulta produttore e distributore in Italia, Germania, Svizzera ed Egitto.
Guida delle compagnie petrolifere (ES-I)
Petrolio in ogni continente, con compagnie che trivellano da oltre un secolo e che continueranno a farlo per molto tempo. Questo, in sintesi, il quadro dell'industria petrolifera, che sul mercato vanta la presenza di più Paesi e più soggetti operanti. Ecco, dalla A alla Z, la guida le principali compagnie petrolifere internazionali.
di Ugo Guarnacci ed Emiliano Biaggio
ESSO: nome e marchio commerciale internazionale usato da ExxonMobil (vedi ExxonMobil). Il marchio è presente anche in alcuni stati degli Stati Uniti quali Pennsylvania, Delaware, Arkansas, Tennessee, e Louisiana. Presente anche in Europa. Capita di vedere il marchio nella versione con il simbolo del dollaro statunitense al posto delle 'S'.
EXXONMOBIL: è nata nel 1999 dalla fusione delle due compagnie petrolifere statunitensi Exxon e Mobil, entrambe discendenti dalla Standard Oil, il colosso di John D. Rockefeller fondato nel 1870 e scorporato, nel 1911, in seguito alla sentenza della Corte Suprema, in 34 imprese indipendenti. Due di queste imprese indipendenti erano proprio la Standard Oil Company of New Jersey (diventata poi Exxon) e la Standard Oil Company of New York (successivamente Mobil). L’accordo raggiunto tra le società in questione rappresenta un unicum nella storia del petrolio in America, perché ha riunito due delle compagnie del cartello che, quasi un secolo prima, un provvedimento dell’Antitrust aveva abolito. Sotto la presidenza di Lee Raymond, il gruppo, che detiene la maggior quantità di riserve globali di petrolio, ha conosciuto un rapido sviluppo, distinguendosi per una gestione finanziaria efficace e prudente. Il nuovo presidente, Rex Teillerson (nominato nel febbraio 2004), sembra seguire la rigorosa linea del suo predecessore, volta a mantenere alta la reputazione della più grande società petrolifera degli Stati Uniti. Fa parte delle sei "supermajor" del mondo insieme a Royal Dutch Shell, BP, Chevron, ConocoPhillips e Total, ed è la prima compagnia al mondo per riserve di petrolio.
INOC: L’Iraq National Oil Company è la società fondata, nel 1966, dal governo iracheno, per potenziare l’industria petrolifera nazionale, soprattutto nell’estrazione del greggio, dato che il processo di raffinazione era già condotto dall’Oil Refineries Administration (1952) ed il trasporto locale era stato affidato ad altre aziende statali. Per ricostruire la storia di questa compagnia, bisogna tornare indietro nel tempo fino al 1912, quando fu costituita la Turkish Petroleum Company, impresa controllata per il 50% dalla Banca nazionale turca (due anni dopo questa quota azionaria sarà detenuta dall’Anglo-Persian Oil), per il 25% dalla Deutsche Bank e l’altro 25% dalla Royal Dutch Shell.
Nel 1925, la Turkish Petroleum Company ottenne la concessione petrolifera in Iraq e, tre anni dopo, concluse il "Red Lines Agreement” con la Near East Development Company, per condurre in joint-venture le attività di esplorazione. Nel 1929, la Turkish Petroleum Company cambiò il proprio nome in Iraq Petroleum Company e continuò a mantenere il controllo sul petrolio iracheno fino al 1966. Fu proprio in quell’anno che il governo iracheno decise di optare per la nazionalizzazione della società (completata nel 1972, con la nascita definitiva dell’’Iraq National Oil Company) e di consolidarne l’operato attraverso l’”Iraq-Soviet Protocol” (1967), un accordo di cooperazione tecnica con l’URSS.
La compagnia ha dovuto affrontare gli ostacoli che la prima e la seconda Guerra del Golfo hanno posto alla commercializzazione del petrolio iracheno. Il 6 agosto 1990, con la risoluzione n. 660, le Nazioni Unite imposero un embargo totale sul petrolio iracheno. Il Paese restò fuori dal mercato mondiale del petrolio sino alla fine del 1996, riducendo la produzione fino al 20% del suo potenziale e mantenendo un modesto livello di esportazioni, sotto forma di contrabbando, verso le vicine Giordania e Turchia. Nel dicembre 1996, Saddam Hussein accetta il programma ONU conosciuto come “Oil-for-food”, che consentiva al paese di esportare petrolio per due miliardi di dollari nell’arco di sei mesi ed attribuiva a una Commissione delle Nazioni Unite la gestione dei ricavi, da impiegare per l’acquisto di medicine e cibo a favore della popolazione irachena. Infine, solo con la risoluzione n. 1284 del 1999 fu eliminato ogni vincolo all’esportazione del greggio iracheno. A tracciare il cammino futuro dell’Iraq National Oil Company concorrerà la proposta di legge, conosciuta come “Iraq Oil Law”, approvata dal Gabinetto iracheno nel febbraio 2007 e sottoposta al vaglio del Consiglio iracheno dei rappresentanti nel maggio 2007. Tale disegno legislativo prevede, infatti, un “Production Share Agreement”, che attribuirebbe alla società statale la completa gestione di 17 degli 80 giacimenti petroliferi e lascerebbe i restanti 2/3 dei siti, scoperti o ancora da scoprire, sotto il controllo delle compagnie multinazionali.
di Ugo Guarnacci ed Emiliano Biaggio
ESSO: nome e marchio commerciale internazionale usato da ExxonMobil (vedi ExxonMobil). Il marchio è presente anche in alcuni stati degli Stati Uniti quali Pennsylvania, Delaware, Arkansas, Tennessee, e Louisiana. Presente anche in Europa. Capita di vedere il marchio nella versione con il simbolo del dollaro statunitense al posto delle 'S'.
EXXONMOBIL: è nata nel 1999 dalla fusione delle due compagnie petrolifere statunitensi Exxon e Mobil, entrambe discendenti dalla Standard Oil, il colosso di John D. Rockefeller fondato nel 1870 e scorporato, nel 1911, in seguito alla sentenza della Corte Suprema, in 34 imprese indipendenti. Due di queste imprese indipendenti erano proprio la Standard Oil Company of New Jersey (diventata poi Exxon) e la Standard Oil Company of New York (successivamente Mobil). L’accordo raggiunto tra le società in questione rappresenta un unicum nella storia del petrolio in America, perché ha riunito due delle compagnie del cartello che, quasi un secolo prima, un provvedimento dell’Antitrust aveva abolito. Sotto la presidenza di Lee Raymond, il gruppo, che detiene la maggior quantità di riserve globali di petrolio, ha conosciuto un rapido sviluppo, distinguendosi per una gestione finanziaria efficace e prudente. Il nuovo presidente, Rex Teillerson (nominato nel febbraio 2004), sembra seguire la rigorosa linea del suo predecessore, volta a mantenere alta la reputazione della più grande società petrolifera degli Stati Uniti. Fa parte delle sei "supermajor" del mondo insieme a Royal Dutch Shell, BP, Chevron, ConocoPhillips e Total, ed è la prima compagnia al mondo per riserve di petrolio.
INOC: L’Iraq National Oil Company è la società fondata, nel 1966, dal governo iracheno, per potenziare l’industria petrolifera nazionale, soprattutto nell’estrazione del greggio, dato che il processo di raffinazione era già condotto dall’Oil Refineries Administration (1952) ed il trasporto locale era stato affidato ad altre aziende statali. Per ricostruire la storia di questa compagnia, bisogna tornare indietro nel tempo fino al 1912, quando fu costituita la Turkish Petroleum Company, impresa controllata per il 50% dalla Banca nazionale turca (due anni dopo questa quota azionaria sarà detenuta dall’Anglo-Persian Oil), per il 25% dalla Deutsche Bank e l’altro 25% dalla Royal Dutch Shell.
Nel 1925, la Turkish Petroleum Company ottenne la concessione petrolifera in Iraq e, tre anni dopo, concluse il "Red Lines Agreement” con la Near East Development Company, per condurre in joint-venture le attività di esplorazione. Nel 1929, la Turkish Petroleum Company cambiò il proprio nome in Iraq Petroleum Company e continuò a mantenere il controllo sul petrolio iracheno fino al 1966. Fu proprio in quell’anno che il governo iracheno decise di optare per la nazionalizzazione della società (completata nel 1972, con la nascita definitiva dell’’Iraq National Oil Company) e di consolidarne l’operato attraverso l’”Iraq-Soviet Protocol” (1967), un accordo di cooperazione tecnica con l’URSS.
La compagnia ha dovuto affrontare gli ostacoli che la prima e la seconda Guerra del Golfo hanno posto alla commercializzazione del petrolio iracheno. Il 6 agosto 1990, con la risoluzione n. 660, le Nazioni Unite imposero un embargo totale sul petrolio iracheno. Il Paese restò fuori dal mercato mondiale del petrolio sino alla fine del 1996, riducendo la produzione fino al 20% del suo potenziale e mantenendo un modesto livello di esportazioni, sotto forma di contrabbando, verso le vicine Giordania e Turchia. Nel dicembre 1996, Saddam Hussein accetta il programma ONU conosciuto come “Oil-for-food”, che consentiva al paese di esportare petrolio per due miliardi di dollari nell’arco di sei mesi ed attribuiva a una Commissione delle Nazioni Unite la gestione dei ricavi, da impiegare per l’acquisto di medicine e cibo a favore della popolazione irachena. Infine, solo con la risoluzione n. 1284 del 1999 fu eliminato ogni vincolo all’esportazione del greggio iracheno. A tracciare il cammino futuro dell’Iraq National Oil Company concorrerà la proposta di legge, conosciuta come “Iraq Oil Law”, approvata dal Gabinetto iracheno nel febbraio 2007 e sottoposta al vaglio del Consiglio iracheno dei rappresentanti nel maggio 2007. Tale disegno legislativo prevede, infatti, un “Production Share Agreement”, che attribuirebbe alla società statale la completa gestione di 17 degli 80 giacimenti petroliferi e lascerebbe i restanti 2/3 dei siti, scoperti o ancora da scoprire, sotto il controllo delle compagnie multinazionali.
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