Gli elogi ai mafiosi definiti «eroi», le politiche delle sanatorie. Così, oggi, chi infrange la legge e va contro lo Stato viene santificato. In barba alla legalità.
l'e-dittoreale
Marcello Dell'Utri condannato in appello a sette anni di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa. Per la Corte d'appello Dell'Utri intrattenne stretti rapporti con la vecchia mafia di Stefano Bontade e poi, dopo il 1980, con gli uomini di Totò Riina e Bernardo Provenzano, almeno fino alla stagione delle stragi di Falcone e Borsellino nel 1992. Ma il senatore del Pdl è assolto per le «condotte successive al 1992, perché il fatto non sussiste». Dell'Utri e i suoi alleati festeggiano (condannato a 9 anni in primo grado, ne erano stati chiesti 11 in appello), ma la Corte riconosce la colpevolezza. Premesso che ognuno è innocente fino a prova contraria - e Dell'Utri andrà avanti con i ricorsi fino alla Cassazione - gli elogi che il parlamentare imputato riserva a Vittorio Mangano, definito «eroe», sintetizzano il clima del paese oltre che definire ancor meglio la posizione del condannato. Basta ricordare chi è Vittorio Mangano per capire che se Dell'Utri da una parte si proclama innocente, dall'altra conferma le simpatie per quegli ambienti criminosi - e loro protagonisti - dei quali Dell'utri è stato riconosciuto se non proprio frequentatore comunque non del tutto estraneo. Se i punti di riferimento, gli «eroi» da seguire e imitare sono criminali di serie A, vuol dire che i valori delle legalità, della giustizia, dello Stato, sono ormai venuti meno. Se si disprezza così tanto lo Stato arrivando ad esaltare chi combatteva lo Stato, appare difficile lavorare per il paese e chiamare all'unità nazionale.
Non è un caso se oggi l'Italia appare profondamente divisa e litigiosa, tra un nord che rivendica con forza la propria indipendenza e un sud abbandonato (come dimostra il caso di Pomigliano d'Arco), tra un Pdl che attacca istituzioni e gli altri partiti che difendono Repubblica e Costituzione repubblicana. Un paese che con le dichiarazioni di Dell'Utri assiste solo all'ultimo episodio di oltraggio al buonsenso, delle regole, di quell'uguaglianza sancita in Costituzione ma sempre aggirata. Se i padrini o i loro "picciotti" sono la regola, la parola d'ordine e il motivo d'orgoglio, se chi si fa beffe di assetti statali e giuridici è santificato, non può sorprendere se in quattro e quattr'otto viene eletto un nuovo ministro che subito si avvale del legittimo impedimento. Brancher è ancora imputato per il tentativo di scalata ad Antonveneta ed è accusato di appropriazione indebita. Il leader dell'Idv, Antonio Di Pietro, ricorda agli italiani distratti che «Brancher è già prescritto, depenalizzato e anche reo confesso». Come se non bastasse «abbiamo scoperto che Brancher è un ministro coadiutore perchè deve aiutare un ministro che è già in carica. Ma non poteva farlo da sottosegretario?». Già, non poteva? Di Pietro pone domande legittime, dal Pdl arrivano risposte palesi di altrettanto palesi violazioni delle regole di comportamento e dell'ordine dei valori fin qui vigenti. Siano essi politici, ideologici, morali. La decadenza dei costumi - e non è la prima volta che il sottoscritto si ritrova a scriverlo - non è che l'indice del lento e inesorabile disfacimento di una nazione. E' forse un caso che la nostra, di nazione, sia guidata da un personaggio con un passato da P2 (altro potere occulto, proprio come la mafia)? E' un caso che la stessa persona proceda con condoni e sanatorie anzichè punire chi trasgredisce? I valori che stanno passando non fanno che segnare il destino del nostro paese. Che ha in Mazzini, Garibaldi, Falcone e Borsellino, i proprio eroi. Loro e quanti promuovono un'Italia unita all'interno di uno stato di diritto. Tutti gli altri, sono personaggi che meritano solo di essere dimenticati.
l'e-dittoreale
Marcello Dell'Utri condannato in appello a sette anni di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa. Per la Corte d'appello Dell'Utri intrattenne stretti rapporti con la vecchia mafia di Stefano Bontade e poi, dopo il 1980, con gli uomini di Totò Riina e Bernardo Provenzano, almeno fino alla stagione delle stragi di Falcone e Borsellino nel 1992. Ma il senatore del Pdl è assolto per le «condotte successive al 1992, perché il fatto non sussiste». Dell'Utri e i suoi alleati festeggiano (condannato a 9 anni in primo grado, ne erano stati chiesti 11 in appello), ma la Corte riconosce la colpevolezza. Premesso che ognuno è innocente fino a prova contraria - e Dell'Utri andrà avanti con i ricorsi fino alla Cassazione - gli elogi che il parlamentare imputato riserva a Vittorio Mangano, definito «eroe», sintetizzano il clima del paese oltre che definire ancor meglio la posizione del condannato. Basta ricordare chi è Vittorio Mangano per capire che se Dell'Utri da una parte si proclama innocente, dall'altra conferma le simpatie per quegli ambienti criminosi - e loro protagonisti - dei quali Dell'utri è stato riconosciuto se non proprio frequentatore comunque non del tutto estraneo. Se i punti di riferimento, gli «eroi» da seguire e imitare sono criminali di serie A, vuol dire che i valori delle legalità, della giustizia, dello Stato, sono ormai venuti meno. Se si disprezza così tanto lo Stato arrivando ad esaltare chi combatteva lo Stato, appare difficile lavorare per il paese e chiamare all'unità nazionale.
Non è un caso se oggi l'Italia appare profondamente divisa e litigiosa, tra un nord che rivendica con forza la propria indipendenza e un sud abbandonato (come dimostra il caso di Pomigliano d'Arco), tra un Pdl che attacca istituzioni e gli altri partiti che difendono Repubblica e Costituzione repubblicana. Un paese che con le dichiarazioni di Dell'Utri assiste solo all'ultimo episodio di oltraggio al buonsenso, delle regole, di quell'uguaglianza sancita in Costituzione ma sempre aggirata. Se i padrini o i loro "picciotti" sono la regola, la parola d'ordine e il motivo d'orgoglio, se chi si fa beffe di assetti statali e giuridici è santificato, non può sorprendere se in quattro e quattr'otto viene eletto un nuovo ministro che subito si avvale del legittimo impedimento. Brancher è ancora imputato per il tentativo di scalata ad Antonveneta ed è accusato di appropriazione indebita. Il leader dell'Idv, Antonio Di Pietro, ricorda agli italiani distratti che «Brancher è già prescritto, depenalizzato e anche reo confesso». Come se non bastasse «abbiamo scoperto che Brancher è un ministro coadiutore perchè deve aiutare un ministro che è già in carica. Ma non poteva farlo da sottosegretario?». Già, non poteva? Di Pietro pone domande legittime, dal Pdl arrivano risposte palesi di altrettanto palesi violazioni delle regole di comportamento e dell'ordine dei valori fin qui vigenti. Siano essi politici, ideologici, morali. La decadenza dei costumi - e non è la prima volta che il sottoscritto si ritrova a scriverlo - non è che l'indice del lento e inesorabile disfacimento di una nazione. E' forse un caso che la nostra, di nazione, sia guidata da un personaggio con un passato da P2 (altro potere occulto, proprio come la mafia)? E' un caso che la stessa persona proceda con condoni e sanatorie anzichè punire chi trasgredisce? I valori che stanno passando non fanno che segnare il destino del nostro paese. Che ha in Mazzini, Garibaldi, Falcone e Borsellino, i proprio eroi. Loro e quanti promuovono un'Italia unita all'interno di uno stato di diritto. Tutti gli altri, sono personaggi che meritano solo di essere dimenticati.