Wednesday, 30 June 2010

Crimini e criminali, i nuovi ideali dl'Italia

Gli elogi ai mafiosi definiti «eroi», le politiche delle sanatorie. Così, oggi, chi infrange la legge e va contro lo Stato viene santificato. In barba alla legalità.

l'e-dittoreale

Marcello Dell'Utri condannato in appello a sette anni di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa. Per la Corte d'appello Dell'Utri intrattenne stretti rapporti con la vecchia mafia di Stefano Bontade e poi, dopo il 1980, con gli uomini di Totò Riina e Bernardo Provenzano, almeno fino alla stagione delle stragi di Falcone e Borsellino nel 1992. Ma il senatore del Pdl è assolto per le «condotte successive al 1992, perché il fatto non sussiste». Dell'Utri e i suoi alleati festeggiano (condannato a 9 anni in primo grado, ne erano stati chiesti 11 in appello), ma la Corte riconosce la colpevolezza. Premesso che ognuno è innocente fino a prova contraria - e Dell'Utri andrà avanti con i ricorsi fino alla Cassazione - gli elogi che il parlamentare imputato riserva a Vittorio Mangano, definito «eroe», sintetizzano il clima del paese oltre che definire ancor meglio la posizione del condannato. Basta ricordare chi è Vittorio Mangano per capire che se Dell'Utri da una parte si proclama innocente, dall'altra conferma le simpatie per quegli ambienti criminosi - e loro protagonisti - dei quali Dell'utri è stato riconosciuto se non proprio frequentatore comunque non del tutto estraneo. Se i punti di riferimento, gli «eroi» da seguire e imitare sono criminali di serie A, vuol dire che i valori delle legalità, della giustizia, dello Stato, sono ormai venuti meno. Se si disprezza così tanto lo Stato arrivando ad esaltare chi combatteva lo Stato, appare difficile lavorare per il paese e chiamare all'unità nazionale.
Non è un caso se oggi l'Italia appare profondamente divisa e litigiosa, tra un nord che rivendica con forza la propria indipendenza e un sud abbandonato (come dimostra il caso di Pomigliano d'Arco), tra un Pdl che attacca istituzioni e gli altri partiti che difendono Repubblica e Costituzione repubblicana. Un paese che con le dichiarazioni di Dell'Utri assiste solo all'ultimo episodio di oltraggio al buonsenso, delle regole, di quell'uguaglianza sancita in Costituzione ma sempre aggirata. Se i padrini o i loro "picciotti" sono la regola, la parola d'ordine e il motivo d'orgoglio, se chi si fa beffe di assetti statali e giuridici è santificato, non può sorprendere se in quattro e quattr'otto viene eletto un nuovo ministro che subito si avvale del legittimo impedimento. Brancher è ancora imputato per il tentativo di scalata ad Antonveneta ed è accusato di appropriazione indebita. Il leader dell'Idv, Antonio Di Pietro, ricorda agli italiani distratti che «Brancher è già prescritto, depenalizzato e anche reo confesso». Come se non bastasse «abbiamo scoperto che Brancher è un ministro coadiutore perchè deve aiutare un ministro che è già in carica. Ma non poteva farlo da sottosegretario?». Già, non poteva? Di Pietro pone domande legittime, dal Pdl arrivano risposte palesi di altrettanto palesi violazioni delle regole di comportamento e dell'ordine dei valori fin qui vigenti. Siano essi politici, ideologici, morali. La decadenza dei costumi - e non è la prima volta che il sottoscritto si ritrova a scriverlo - non è che l'indice del lento e inesorabile disfacimento di una nazione. E' forse un caso che la nostra, di nazione, sia guidata da un personaggio con un passato da P2 (altro potere occulto, proprio come la mafia)? E' un caso che la stessa persona proceda con condoni e sanatorie anzichè punire chi trasgredisce? I valori che stanno passando non fanno che segnare il destino del nostro paese. Che ha in Mazzini, Garibaldi, Falcone e Borsellino, i proprio eroi. Loro e quanti promuovono un'Italia unita all'interno di uno stato di diritto. Tutti gli altri, sono personaggi che meritano solo di essere dimenticati.

Legge bavaglio, le critiche di Pizzetti: «su libertà di stampa allarmi giustificati»

Il garante della privacy: «spostato equilibrio». Ma il ddl intercettazioni sarà in Aula alla Camera il 29 luglio.

di Emiliano Biaggio

Con il ddl sulle intercettazioni «si sposta oggettivamente il punto di equilibrio tra libertà di stampa e tutela della riservatezza, tutto a favore della riservatezza». Questo «può giustificare che da molte parti si affermi che, così facendo, si pone in pericolo la libertà di stampa». Questo il giudizio del presidente dell'Autorità garante per la privacy, Francesco Pizzetti, sul controverso provvedimento voluto dal presidente del Consiglio. Pizzetti da una parte sostiene che le critiche circa una limitazione della libertà di stampa hanno «un qualche eccesso», in quanto nel testo «si pongono limiti specifici alla pubblicabilità delle intercettazioni, non perché contenute in atti giudiziari, che come tali possono essere diffusi per riassunto, ma in quanto dati raccolti con lo strumento delle intercettazioni». Dall'altra parte, però, per il garante della Privacy siamo di fronte «non alla tutela in concreto e rispetto a casi specifici di questo diritto, quanto piuttosto a una difesa anticipata, disposta in via generale e astratta, nei confronti di qualunque dato raccolto». E questo «nel presupposto che, in ragione della natura dello strumento di indagine usato, debba sempre prevalere la tutela di questi dati perché raccolti nell'ambito di conversazioni tra persone». Critiche, insomme. Ma Berlusconi e i suoi vanno avanti: il testo del ddl sulle intercettazioni sarà in aula alla Camera il 29 luglio, dopo l'esame della manovra economica. Lo ha deciso la conferenza dei capogruppo di Montecitorio. Una scelta «irragianevole» per Gianfranco Fini. E non solo per lui.

Friday, 25 June 2010

Tra tagli e manovre, aumenta il budget per i voli di stato.

Vito: «per il 2010 stanziati 8 milioni di euro in più».

di Emiliano Biaggio

Tagli per circa 25 miliardi di euro, per una manovra economica anti-crisi che a ministri, viceministri e sottosegretari taglia meno di 100 euro al mese e appena 1.110 euro all'anno. Miracolo anche della fresca nomina di Aldo Brancher quale nuovo ministro. A parità di tagli, spalmati questi su un numero maggiore di componenti del governo, i tagli pro-capite si riducono. Verrebbe da chiedere al presidente del Consiglio come mai in tempi in cui sono richiesti sacrifici questi debbano essere alla cittadinanza e non alla politica. Peccato che Berlusconi sia volato in Canada per il G8. A proposito di volare, ma quanto costano alla collettività i voli di Stato? E quanti sono? Anche questo capitolo di bilancio è coinvolto dai tagli alle spese? Assolutamente no, anzi: rispetto all’anno scorso, i fondi a disposizione sono stati incrementati di 8 milioni. Più in dettaglio, per quest’anno sono stati stanziati 36,8 milioni a fronte dei 28 milioni dell’anno scorso. I dati sono ufficiali: a fornirli lo stesso Governo, attraverso il ministro per i rapporti col parlamento, Elio Vito, rispondendo a un'interrogazione di alcuni parlamentari del Pd (tra gli altri, Zamparutti e Beltrandi). Però, tiene a puntualizzare Vito, di questi 36,8 milioni «solo 5,5 sono destinati al funzionamento, mentre i rimanenti 31,3 sono destinati a spese di investimento». Ma quando si chiede al ministro quanto costa, nel dettaglio, ogni volo, Vito non fornisce cifre precise, spiegando che «il livello della spesa, fatti salvi gli adeguamenti dei costi del personale e dei beni strumentali, si pone in rapporto diretto con il numero di ore di volo effettuate, e queste a loro volta dipendono dalle esigenze delle attività istituzionali», con particolare riferimento alla sicurezza delle personalità di Stato e di governo, alla cura dei rapporti internazionali, agli interventi di natura umanitaria. L’anno scorso le missioni compiute per ragioni di Stato sono state 1.963, quelle effettuate per ragioni sanitarie-umanitarie sono state 428 per un totale dunque di 2.391 interventi. Insomma, mediamente qualcosa come 6-7 missioni al giorno. Nei primi tre mesi di quest’anno le missioni sono già arrivate a quota 585, di cui 486 per ragioni di Stato e le altre 99 per motivi umanitari e sanitari.

Un nuovo ministro. Per l'anti-giustizia.

Aldo Brancher nominato a sorpresa di tutti. Un giallo politico, risolto con l'immediato ricorso al legittimo impedimento.

di Emiliano Biaggio

Aldo Brancher nominato ministro per l'Attuazione del Federalismo: è l'ultimo - in ordine temporale - componente di un governo Berlusconi partito snello e ingrossatosi poi col passare del tempo. Una decisione che, dalle reazioni - soprattutto degli alleati del presidente del Consiglio - sembra essere estemporanea. «C'è un solo ministro per il federalismo, e sono io», dice Umberto Bossi a Pontida, visibilmente contrariato per l'arrivo del neo-collega. «Per il federalismo- aggiunge il leader del Carroccio- la coppia è sempre quella, io e Calderoli. Ad Aldo Brancher si è pensato di dare il decentramento, che è certo importante ma è un'altra cosa». Malumori che certo non fanno piacere a un premier già ai ferri corti con Gianfranco Fini, ma a disinnescare ogni eventuale meccanismo esplosivo ci pensa lo stesso Brancher, che si dice disposto a cambiare il nome del dicastero da ministero per l’Attuazione del federalismo a ministero del Decentramento. Insomma, la nomina di Brancher è un giallo inatteso: nessuno si aspettava un ministro "fotocopia", per un'investitura tanto improvviso quanto sospetta. Prima la manovra dei tagli da 24 miliardi, poi Bossi che accoglie tiepidamente Brancher nella squadra di governo: perchè una decisione anti-economica, frettolosa e non condivisa? La risposta la fornisce il neo-ministro Brancher. «Non potrò essere in aula perché devo organizzare il nuovo ministero», e questo rappresenta un impedimento più che legittimo per non presenziare all'udienza del processo per il tentativo di scalata ad Antonveneta da parte di Bpi, procedimento nel quale Brancher è imputato insieme alla moglie. Brancher è imputato di appropriazione indebita e la moglie, Luana Maniezzo, di ricettazione. Il neo-ministro, quindi, si avvale dello scudo giudiziario e attraverso il legittimo impedimento chiede la sospensione del processo fino al prossimo 7 ottobre. Ma il curriculum di Aldo Brancher dice che egli contribuì alla diffusione del settimanale Famiglia cristiana, facendone uno dei più venduti d'Italia. Poi la carriera in Fininvest e Publitalia all'ombra di Fedele Confalonieri, il coinvolgimento in Tangentopoli nel 1993, l'elezione alla Camera dei deputati, la poltrona di sottosegretario alle Riforme. È considerato vicino al ministro dell'Economia Giulio Tremonti e con lui è uno degli uomini di raccordo del Pdl con la Lega di Umberto Bossi. E' vicino a Berlusconi. Facile capire allora il perchè di questa "nomina lampo". Svela il mistero, per chi non avesse capito, Felice Belisario, capogruppo Idv al Senato: «Come volevasi dimostrare, l'inutile ministero è stato inventato solo per consentire al neoministro Brancher di avvalersi del legittimo impedimento e sottrarsi al processo sul tentativo di scalata Antonveneta. Una squallida farsa, l'ennesimo colpo di mano di Berlusconi». Antonio Di Pietro, svela l'altro significato di questa mossa politica. «Il messaggio che si manda ai cittadini sia uno solo: il delitto paga e che conviene fare il delinquente perchè magari si diventa anche ministro».

Thursday, 24 June 2010

«Per la fine del prossimo secolo le Maldive saranno scomparse»

L'allarme del presidente maldivese, che avverte: non sparirà solo l'intero arcipelago, perchè in futuro, per colpa del clima, finiremo tutto sott'acqua.

di Emiliano Biaggio
«Il mio paese è in grave difficoltà». Allo stato attuale «in 16 isole stiamo sfollando la popolazione per l'erosione delle coste» e «in 50 isole ci sono problemi idrici». Insomma, «la situazione è drammatica, e potremmo non sopravvivere come nazione alla fine del prossimo secolo». L'allarme è di Mohamed Nasheed, presidente delle Maldive, già protagonista del primo consiglio dei ministri (le Maldive sono una repubblica presidenziale) sott'acqua. Un atto, risalente a pochi mesi fa (ottobre 2009), con il quale si volle portare l'attenzione del mondo alle conseguenze dei cambiamenti climatici. Oggi Nasheed torna ad avvertire del problema. Un problema non solo delle Maldive, ma del pianeta.
«Se non ci muoviamo ora in futuro vivremo tutti sott'acqua», avverte il presidente maldivese. Per questo, esorta, occorre ripensare il modello di vita e di sviluppo dell'intero pianeta. «Uno sviluppo a basse emissioni di carbonio è possibile». Come? Puntando sulle fonti presenti in natura. Come spiega Nasheed, «i combustibili fossili sono difficili da reperire, mentre il sole, il vento e il mare no». Rinunciare al petrolio, per il presidente delle Maldive, non è un dramma. «L'uomo non è più nell'età della pietra non perchè la pietra sia finita, ma perchè sono stati preferiti altri materiali». In ottica più moderna l'invito, neanche troppo implicito, è alla scelta di altre tecnologie. Il presidente delle Maldive indica quindi quelle che a suo giudizio sono le due direttrici da seguire in vista della conferenza mondiale sul clima di Cancun. In primo luogo un accordo tra chi vuole veramente un accordo vincolante con una formula "o dentro o fuori". Come spiega, «nel cercare soluzione condivise due paesi si accordano: ma se un terzo non è d'accordo, che si fa? Si abbassano le asticelle per includere il terzo stato. E se un quarto paese non è d'accordo con gli altri tre? Si abbassano ancora le asticelle». Questo, critica, «non è fare accordi, è diluire» gli obiettivi. L'idea è quindi quella di una specie di "club" che detti la linea: solo chi la sposa può avere diritti (magari in altri campi, come ad esempio quello commerciale). In secondo luogo, continua Nasheed, non bisogna badare ai governi: «Si ottengono risultati solo se si ascolta la gente comune, e non i politici» se è vero che «noi politici facciamo quello che ci chiede la gente». E alle Maldive come «in tutto il mondo» la gente chiede di «intervenire» contro i cambiamenti climatici, conclude Nasheed.

Wednesday, 16 June 2010

Afghanistan, non (più) solo oppio

Nel sottosuolo oro, rame, litio, petrolio e gas. E già le compagnie straniere pensano al loro sfruttamento.

di Emanuele Bonini
 
Il suolo afghano nasconde un tesoro. Un tesoro di risorse naturali: oro, gemme, rame, ferro e litio. Un "bottino" da mille miliardi di dollari (all'incirca 810 miliardi di euro), che può fare dell'Afghanistan - paese fino a oggi tra i più poveri al mondo - uno stato una nazione importante. Ancor più importante e strategico di quanto non lo sia oggi. A dare la notizia di questo Eldorado asiatico i geologi assoldati dal Pentagono, che avrebbero rilevato la presenza delle risorse naturali studiando vecchie carte tracciate dai sovietici ai tempi della campagna afghana. Quanto incide questa improvvisa ricchezza dell'Afghanistan? Al momento difficile dirlo, ma è certo che «ci sono potenzialità sensazionali», sostiene David Petraeus, capo delle Comando centrale dell'esercito degli Stati Uniti. Un messaggio chiaro per l'amministrazione Usa, sempre più intenzionata a disimpegnarsi. Adesso restare vorrebbe dire garantirsi la gestione e il controllo di queste ricchezze, se effettivamente ci sono. Perchè se da una parte la rilevazione può sembrare un tentativo per convincere Obama a restare, dall'altra il presidente afghano, Ahmid Karzai, non ha nascosto che la sfida sarà far partire lo sfruttamento industriale delle risorse minerarie. Allo stato attuale l'Afghanistan da solo non sarebbe in grado di sfruttarle completamente. Forse neanche a livello inziale. Qui le compagnie straniere potrebbere avere un ruolo chiave. E infatti è pronta la corsa delle grandi compagnie per lo sfruttamento delle nuove risorse. Che non sono "solo" oro, rame, ferro e litio: nel paese dei talebani sono stati scoperti anche giacimenti di gas e petrolio, soprattutto al confine settentrionale con le ex repubbliche sovietiche. Le corporation si preparano, i governi anche. L'Afghanistan appare destinato a dipendere dai voleri di soggetti stranieri.

Tuesday, 15 June 2010

Rebus elettorali in Belgio e Paesi Bassi

Nel regno d'Orange un testa a testa tra liberali e laburisti, nella Belgique vincono i fiamminghi indipendentisti. In entrambi i paesi la difficoltà di dare un volto politico alla nazione.

di Emiliano Biaggio

Elezioni "da urlo" in Paesi Bassi e Belgio: dalle urne escono due paesi profondamenti divisi e spaccati. Nei Paesi Bassi il Partito liberale (Vvd) di Mark Rutte, con 31 seggi sui 150 della Camera bassa, è la prima forza nazionale, seguito dal Partito laburista (Pvda) di Jacob Cohen con 30 seggi. Nessuno ha i numeri per formare un governo, e adesso l'ago della bilancia il Partito per la libertà (Pvv), con 24 seggi e vero vincitore delle consultazioni olandesi: la formazione di estrema destra di Geert Wilders passa da 9 a 24 seggi. Anche se nessuno ne vuole parlare esplicitamente, insomma, la possibilità di un coinvolgimento dell'estrema destra nel governo - al limite con un appoggio esterno - è una delle possibilità sul tavolo. L'ipotesi di una "grande coalizione", che metta insieme liberali, laburisti, ecologisti (10 seggi) e i centristi di D66 (10), non viene ancora oggi scartata del tutto ma appare improbabile. La regina Beatrice ha avviato le consultazioni per capire chi potrà essere in grado di formare un governo, ma si pensa ci vorranno mesi per costituire il nuovo esecutivo.
Non meno spinosa la questione belga: primo partito infatti è N-Va (Nuova alleanza per le Fiandre) del separatista fiammingo Bart De Wever, che alla Camera avrà 27 seggi su 150, uno in più dei socialisti (Ps) di Elio di Rupo. Una situazione analoga a quella dei Paesi Bassi, come risultato delle urne, ma profondamente diverso: la N-Va vince al nord - fiammingo - mentre il partito socialista al sud - francofono. Le urne sanciscono quindi la spaccatura in due sempre più marcata in questi ultimi anni tra una maggioranza francofona che vuole un Belgio unito e una minoranza fiamminga molto più ricca che spinge per la secessione. Perdono terreno tre partiti: le due formazioni leberali, l'Mr francofono e l'Open-Vld fiammingo (che avranno rispettivamente 18 e 13 seggi, perdendone cinque ciascuno), e il Vlaams Belang, paritito di estrema destra separatista e xenofobo, che ottiene 12 seggi e ne perde anch'esso cinque. Stabili i verdi francofoni di Ecolo (8 seggi), mentre aumentano i consensi dei loro 'cugini' fiamminghi, i Groen! (5 seggi). Insomma, un paese diviso in due e con partiti analoghi nelle altrettante zone linguistiche, e non a caso nelle Fiandre si può votare solo per le liste fiamminghe, in Vallonia solo per quelle francofone. Solo nella regione bilingue di Bruxelles-capitale gli elettori hanno la possibilità di scegliere fra partiti fiamminghi e francofoni, ma adesso i fiamminghi del nord chiedono l'abolizione della provincia "speciale". Dopo le consultazioni, il re Alberto II ha assegnato ad Elio di Rupo il compito di formare il nuovo governo. Di Lupo rassicura: «Il Belgio non è più sull'orlo dell'esplosione». De Wever, che ha accettato il mandato affidato all'avversario a aperto a di Lupo, ricorda che la riforma dello Stato è un «punto centrale dei negoziati» per formare il governo. Insomma, anche qui ancora tutto da stabilire.

Bankitalia: «debito pubblico a 1.812 miliardi»

Il governo: «il dato non preoccupa». L'opposizione: «verso l'insolvenza». E intanto le entrate tributarie calano dell'1,86% nonostante lo scudo fiscale.

di Emiliano Biaggio
Italia sempre più "in rosso": il debito pubblico raggiunge ad Aprile a 1.812 miliardi di euro, dato mai raggiunto finora. Lo dicono i dati di Bankitalia, da cui emerge anche che il debito delle amministrazioni è aumentato rispetto a quello del mese precedente di 15,1 miliardi, raggiungendo con ciò un nuovo massimo storico. Che vuol dire? Che diversi soggetti sono in credito con lo Stato. Ma a preoccupare l'Italia non è il debito pubblico - del quale devono preoccuparsi i contribuenti - ma il rapporto tra il debito pubblico e il Prodotto interno lordo, quell'indice Deficit/Pil tanto importante per verificare la solidità finanziaria ed economica di uno Stato, tra le condizioni per far parte di determinati "club" come il Patto di stabilità dell'Ue e l'Ue stessa. Il governo, che ha appena varato una manovra anti-crisi da circa 25 miliardi, non appare preoccupata dai dati diffusi da palazzo Koch: «Quello che conta non è il debito ma la sua sostenibilità», afferma il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi. «Abbiamo un disavanzo sul Pil più contenuto rispetto ad altri Paesi e con la manovra- aggiunge- rientra nei parametri europei». «Il dato sul debito non preoccupa», afferma Renato Brunetta, ministro della Funzione pubblica. Non la pensa così il leader dell'Italia dei Valori, Antonio Di Pietro, secondi cui «il governo ci sta portando verso il default». Il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, taglia corto: «Il governo ha fatto quello che bisognava fare per ridare fiducia ai mercati». L'esecutivo rassicura: se da una parte il debito pubblico raggiunge cifre record, dall'altro le famiglie italiane hanno una ricchezza finanziaria e immobiliare che è pari a 5,5 volte il Pil, nonchè un livello di indebitamento molto inferiore rispetto a quello della media euro (60% del reddito disponibile contro 95% medio in Eurolandia). Eppure, se il debito continuerà a peggiorare e la crescita resterà bassa, a settembre il Tesoro potrebbe mettere in cantiere un’altra manovra anti-deficit, segno che la situazione non è proprio rosea. Ciò vale anche e soprattutto per gli italiani: se già si vedono stipendi e aumenti bloccati e pensionamenti posticipato da 12 a 18 mesi dei casi, cosa si dovranno ancora attendere? Se la situazione deficit, al momento, non preoccupa i governanti, Un dato che sicuramente non può piacere al governo è quello fiscale: nel primo quadrimestre del 2010, rileva ancora Bankitalia, le entrate tributarie si sono attestate a quota 104,794 miliardi di euro, in calo dell’1,86% rispetto ai primi quattro mesi del 2009. Ma lo scudo fiscale non doveva rimpinguare le casse dello Stato? Evidentemente qualcosa non ha funzionato, ed evidentemente qualcos'altro non va, come dice a chiare lettere Felice Belisario, capogruppo Idv al Senato. «Debito pubblico alle stelle, entrate tributarie in calo. Mentre i dati di Bankitalia fotografano un'Italia che preoccupa sempre di più, il gatto e la volpe, ovvero Berlusconi e Tremonti, rispondono a questa situazione d'emergenza con una manovra depressiva e assolutamente inefficace oltre che vergognosamente iniqua». E si pensa anche a un ddl intercettazioni che non risolve il problema e che, dati Bankitalia alla mano, non serve al paese.

Sunday, 13 June 2010

I siti nucleari dell'Iran


(fonte foto: Limes)

Arabia Saudita, spazio aereo aperto a Israele per raid contro l'Iran

Sale la tensione in Medio Oriente, dove l'opzione militare nei confronti di Teheran è sempre più presa in considerazione.

L’Arabia saudita ha concesso l’uso del proprio spazio aereo a Israele per un eventuale attacco contro impianti nucleari iraniani. Lo rivela il Times nella sua edizione on line, citando fonti della difesa nel Golfo persico che hanno chiesto di rimanere anonime. Pochi giorni dopo l’imposizione di nuove sanzioni a Teheran da parte del Consiglio di sicurezza dell’Onu, le fonti affermano che Riad ha concesso a Israele uno stretto corridoio aereo nel nord del Paese per accorciare la distanza dallo Stato ebraico e la Repubblica islamica. Le forze saudite hanno già condotto test per assicurarsi che i caccia bombardieri israeliani non vengano abbattuti per errore da jet di Riad o dalla contraerea.
«I sauditi hanno concesso a Israele l’autorizzazione a sorvolare il loro territorio, in accordo con il Dipartimento di Stato statunitense», ha detto una fonte delle difesa statunitense. Fonti in Arabia saudita hanno riferito che negli ambienti della difesa della monarchia del Golfo si dà per scontato un accordo del genere se Israele dovesse decidere di attaccare l’Iran. Malgrado le tensioni far i due Paesi, Israele a Arabia saudita condividono una forte diffidenza nei confronti della Repubblica islamica e temono le sue ambizioni nucleari. I quattro maggiori obiettivi di un eventuale raid sarebbero gli impianti per l’arricchimento dell’uranio di Natanz e Qom, l’impianto di Isfahan per la conversione di minerale in gas destinato alle centrifughe per l’arricchimento e il reattore ad acqua pesante di Arak. Fra i bersagli secondari vi sarebbe la centrale nucleare di Bushehr, costruita dai russi ma non ancora attiva. Tutti gli obiettivi si trovano ad oltre 2.000 chilometri da Israele, al limite del raggio d’azione dei suoi bombardieri, anche con un rifornimento in volo, e un corridoio aereo in Arabia saudita accorcerebbe quindi significativamente la distanza, sottolineano le fonti. (fonte: laStampa.it)

Saturday, 12 June 2010

Università, quella italiana la più abbandonata d'Europa

Italia ai primi posti, ma in senso negativo, in tema di abbandono degli studi universitari e post-diploma superiore, con conseguente infoltimento delle persone in cerca di una occupazione. Dati Eurostat alla mano, la dispersione scolastica dei ragazzi tra i 18 e 24 anni e’ stata nel 2008 pari al 14,9% nella Europa a 27, e il 16,5% nell’eurozona. Ebbene, l’Italia si pone ben sopra la media, al 19,7%, a fronte dall’11,8% di Francia e Germania, e del 17% del Regno Unito.
Una dispersione che ha evidenti ricadute sul mondo del lavoro: meno gente completa l’istruzione terziaria, più sono coloro che si mettono in cerca di occupazione. E anche qui l’Italia davvero non brilla, con un tasso di occupazione del 58, 7% a fronte di una media dell’Europa a 27 del 65,9%. Soltanto Ungheria e Malta registrano una percentuale più bassa di quella esibita dal nostro paese.
Le riforme strutturali necessarie per una ripresa forte e sostenibile e gli elementi per una nuova strategia saranno al centro dei lavori che il consiglio europeo esaminerà il prossimo 15 giugno. Sviluppo della ricerca, miglioramento dei livelli di istruzione, inclusione sociale, programmi annuali di stabilità e convergenza saranno tra i temi caldi. E del resto le vicende di questi giorni, che stanno scuotendo l’Europa e le Borse mondiali, mostrano quanto sia necessario intervenire tempestivamente, con misure efficaci e coordinate.
Ancora un dato, che rende visibile e drammaticamente tangibile l’attuale difficile situazione: il 17% della popolazione dell’Ue-27 è a rischio povertà. Ebbene, in Italia tale percentuale tocca il 16%, contro il 13% della Germania e della Francia, e l’11 del Regno Unito. E certo non può consolare che c’è chi se la passa peggio: Lettonia, con il 26% di popolazione a rischio povertà, Romania (23%), Bulgaria (21%), Grecia, Spagna e Lituania, tutti al 20%. (fonte: agenzia FuoriTutto)

Thursday, 10 June 2010

Ddl intercettazioni, il senato vota la fiducia

Acqua, in Europa ce n'è sempre meno

Lo dice uno studio della Commissione Ue su carenza idrica e siccità.

di Alberto Fiorillo
«Anche se nel 2009 nei paesi dell'Europa meridionale le precipitazioni sono state più elevate rispetto agli anni precedenti, non sarà possibile arrestare l'eccessivo sfruttamento delle risorse idriche europee notoriamente limitate, e invertire le tendenze in atto senza un'azione piu' incisiva». Perciò, «una politica efficace di tariffazione dell'acqua e misure nel campo dell'efficienza e del risparmio idrico sono tutti elementi essenziali che potranno permettere all'Europa di disporre di acqua a sufficienza e di qualità adeguata a soddisfare le esigenze degli utilizzatori e ad affrontare le sfide poste dai cambiamenti climatici». E' questo, in sintesi, il messaggio contenuto nell'ultimo Rapporto della Commissione europea sulla carenza idrica e sulla siccità intitolato "2012 Water scarcity and droughts".
In molte aree dell'Ue l'equilibrio tra domanda di acqua e risorse disponibili ha raggiunto un punto critico, spiega la Commissione, e già oggi alcuni stati membri presentano una scarsità permanente che non interessa più esclusivamente l'area mediterranea: in Repubblica Ceca, ad esempio, ci sono zone colpite con frequenza da carenza idrica e la Francia e il Belgio hanno comunicato situazioni di eccessivo sfruttamento delle falde acquifere. La Commissione europea evidenzia che da anni insiste affinché gli Stati membri adottino politiche in questo campo, ad esempio per quanto riguarda le tariffe, il miglioramento degli strumenti di gestione idrica e misure in materia di efficienza e risparmio idrico. Uno studio commissionato dall'Ue nel 2009 chiedeva l'introduzione di requisiti obbligatori per i dispositivi che utilizzano acqua nell'ambito dell'estensione della direttiva sulla progettazione ecocompatibile potrebbe permettere un notevole risparmio. Se fossero inclusi tutti i dispositivi domestici che utilizzano acqua sarebbe possibile ridurre il consumo idrico totale del 19%, pari ad una diminuzione del 3,2% del volume di acqua estratto ogni anno nell'Ue. Riducendo il consumo idrico dei prodotti connessi al consumo di energia, come rubinetti, docce e vasche, si potrebbe anche ridurre del 20% il fabbisogno di energia necessaria per riscaldare l'acqua. Infine, modificando la durata delle docce, la frequenza dei bagni o l'utilizzo dei rubinetti, il consumo di acqua potrebbe ridursi del 20-30% circa.

Wednesday, 9 June 2010

Ddl intercettazioni, tassello di un golpe manifesto

Berlusconi blinda il testo con la fiducia al Senato e dettando la linea di voto per la Camera. E attacca stampa, magistratura e Costituzione. «E' un inferno governare rispettando la Carta».

di Emiliano Biaggio

«Ora basta. Ci sono gli emendamenti studiati insieme, poi ci sarà l'ok del Senato ed il testo non sarà più modificato alla Camera. La decisione del Pdl è vincolante per i senatori e per i deputati». Silvio Berlusconi non accetta ripensamenti, e blinda il ddl intercettazioni. Restano il carcere per i cronisti che pubblicano intercettazioni ed atti giudiziari, restano le multe per centinaia di migliaia di euro per l'editore che non evita la pubblicazione. Non si potrà scrivere nemmeno per riassunto, e prima di informare bisognerà attendere la fine delle indagini preliminari. Il bavaglio è pronto, con tanto di fiducia. Al Senato il testo verrà licenziato in questo modo, dopo aver già stabilito come si dovrà votare nell'altro ramo del Parlamento. Che sia decreto o legge non fa differenza: le leggi ormai le fa il governo. In questo caso predisponendo un testo che il Parlamento dovrà solo notificare. MA nonostante questo Berlusconi non è soddisfatto: «Avrei preferito un testo più incisivo per impedire abusi nell'utilizzo delle intercettazioni, ma- afferma- il compromesso raggiunto dimostra che il Pdl è un partito democratico in cui le decisioni vengono prese con il contributo di tutti». Parlamento esautorato e bavaglio all'informazione: due colpi di anti-democrazia per una deriva sempre maggiore. Berlusconi infatti non si limita alla censura, ma va oltre, all'annientamento dell'atuale ordinamento. Accusa potere giudiziario e stampa di aver impedito quel bavaglio assoluto da lui fortemente voluto ma non ottenuto. «Lobby dei magistrati e dei giornalisti ci hanno impedito di giungere ad un testo che difenda al 100% il nostro diritto di libertà», lamenta. La sovranità, attacca, «nel nostro Paese dovrebbe essere del popolo, che la conferisce al Parlamento, ma oggi non è più del Parlamento. La sovranità è passata a questa corrente della magistratura e ai suoi pm, che attraverso la Corte costituzionale abrogano le leggi». Frasi da colpo di stato, da dittatore incontrastato quale il premier è sempre di più nonostante - parole sue - non abbia potere. «Il presidente del Consiglio non ha nessun potere, è un inferno governare rispettando la Carta». La Carta è la Costituzione, quella che prevede all'articolo 21 la libertà di stampa, quella che all'articolo 3 riconosce il principio di uguaglianza, anche quella di fronte alla legge (anche se il premier si costruisce legittimi impedimenti). La Costituzione prevede anche - all'articolo 96 - che «il presidente del Consiglio dei ministri ed i ministri, anche se cessati dalla carica, sono sottoposti, per i reati commessi nell'esercizio delle loro funzioni, alla giurisdizione ordinaria». Proprio come Berlusconi, che estende il ddl intercettazioni ai processi in corso (tra cui i suoi). Gli italiani non reagiscono, garantendo quel tacito e silenzioso consenso che fu alla base dell'ascesa del fascismo. Ma quella è storia di ieri, oggi invece assistiamo alla continua opera di demolizione della democrazia.
(fonte foto: AdnKronos)

Thursday, 3 June 2010

«Il Ddl intercettazioni non deve cambiare»

Berlusconi detta la linea: non si torna indietro. E intanto "corregge" Floris in tv.

di Emiliano Biaggio
Il testo del ddl intercettazioni «non deve essere stravolto», quindi sì ad aggiustamenti purchè marginali, poichè «la sostanza della legge non deve cambiare». Silvio Berlusconi è perentorio. Avvisa i suoi, e soprattutto avvisa i finiani. Il premier lo dice chiaro e tondo: «Basta con questo logoramento, è il momento della verità». Fini? «Vedremo se ci segue o no». Avvertimenti agli ex-An, promesse a quanti saranno toccati dalla legge che impone multe salate per gli editori, e anche il carcere per i cronisti. Bavaglio all'informazione, questo il progetto: è dai tempi dell'editto di Sofia che Berlusconi ha dichiarato guerra al dissenso e anche alla più semplice opera di racconto della vera realtà dei fatti che smaschera silenzi e menzogne di governo. Un progetto che Berlusconi ha già realizzato per quanto riguarda la Tv - basti pensare alla nuova linea del Tg1 - dove è tornato a far sentire la sua lunga mano: interviene a sorpresa in diretta a Ballarò, per contestare sondaggi che lo vedono in calo e per lo spazio che la tv pubblica presta per questi dati. L'Ipsos sostiene che Berlusconi ha perso il 4% dei consensi e che se si tornasse a votare a breve il Pdl prenderebbe il 37,2% dei voti, ma Berlusconi non ci sta: solleva la cornetta e agli italiani dice: «I sondaggi apparsi sono fasulli. Ho in mano il sondaggio di Euromedia, in cui il presidente del Consiglio ha il 62% di apprezzamento da parte degli italiani e il mio governo, unico governo che in Europa ha vinto le elezioni del medio termine, è vicino al 50%. Tanto vi dovevo, perché non posso accettare che in una televisione di Stato si dicano queste menzogne». Il premier ha chiamato per «correggere» i sondaggi mandati in onda durante il talk-show, il cui conduttore Giovanni Floris replica così al premier: «Ciò che veramente è inaccettabile in una televisione di Stato è che si inizi un dialogo ma poi si insulti e si butti giù il telefono prima che arrivi la risposta». Ma cosa si può dire a chi non gradisce contraddittori? Intanto si pensa di rimettere mano ai palinsesti Rai e di Raitre in particolare: nel mirino Serena Dandini, e tutti quanti non fanno ridere il potere.

Manovra, per governo sacrifici per pochi spicci

Mentre gli italiani si vedono stipendi congelati, possibilità di andare in pensioni rinviate e aumenti autostradali, ministri e sottosegretari avranno tagli annui di 1.110 euro. E intanto si moltiplicano le poltrone al ministero dell'Ambiente.

di Emiliano Biaggio

Con i tagli di stipendio a ministri e sottosegretari previsti dalla manovra si risparmieranno 72.165 euro l’anno. Lo chiarisce la relazione tecnica della manovra appena depositata in Senato. Considerando che nella squadra del presidente del Consiglio ci sono 24 ministri e 37 sottosegretari (61 persone in tutto, quindi), in media, facendo rapidi calcoli, ad ognuna delle persone toccate dalla manovra da 24 miliardi verranno tolti 1.183,03 euro all'anno. Se poi consideriamo che ci sono anche 4 viceministri, se come sembra i tagli riguarderanno anche loro, allora ogni membro dell'esecutivo si vedrà un taglio di 1.110,23 euro. Niente rispetto a quanto guadagnano, ma niente rispetto a quello che invece dovranno subire gli italiani (congelamento degli stipendi e rinvio dell'entrata in pensione da 12 a 18 mesi a seconda della categoria, solo per fare degli esempi). Berlusconi aveva detto di non voler mettere le mani nelle tasche degli italiani: appare chiaro che si riferiva ai pochi colleghi di governo. Per tutti gli altri invece si prefigurano aumenti dei pedaggi sulla rete autostradale Anas e sui raccordi autostradali, che potranno scattare già dall'1 luglio. Lo dice la relazione illustrativa al decreto legge sulla manovra. Il testo prevede «la previsione di una fase transitoria in cui Anas è autorizzata a applicare una maggiorazione tariffaria forfetaria di 1 euro per le classi di pedaggio A e B e di 2 euro per le classi di pedaggio 3,4,5 presso le stazioni di esazione delle autostrade a pedaggio che si interconnettono con le autostrade e i raccordi autostradali in gestione diretta Anas». Tale fase transitoria decorre «dal primo giorno del secondo mese successivo a quello di entrata in vigore del presente decreto e fino alla data di applicazione dei pedaggi, comunque non oltre il 31 dicembre 2011». Da Berlusconi, insomma, bugie. i sacrifici non saranno per tutti, ma per tutti tranne qualcuno. A denunciare un'ulteriore tassello dello scandalo i senatori del Pd Roberto Della Seta e Francesco Ferrante: «Ai cittadini, specie agli impiegati della pubblica amministrazione, si impone una manovra lacrime e sangue, ma- fanno sapere- ai piani alti del Ministero dell’Ambiente è tutta un’altra musica, con la nomina di nuovi direttori generali che declassano altri già presenti assumendone le funzioni e duplicando gli stipendi». La scelta del ministro dell'Ambiente, sottolineano, è «avallata dal ministro della Funzione Pubblica» Renato Brunetta. Questa vicenda della moltiplicazione delle poltrone al ministero dell'Ambiente per Ferrante e Della Seta «è sintomatica dell’atteggiamento arrogante e predatorio del centrodestra nell’amministrazione della cosa pubblica». Per tutti dovrebbe essere chiaro come Berlusconi menta agli italiani, prendendoli in giro con irrisori sforzi come tagli di 1.110 euro. Per inciso: su una manovra da 24 miliardi di tagli, quanti sono 72.165 euro? Considerato che l'1% di 24 miliardi è pari a 240 milioni, i 72 mila euro non sono che pochi spicci...

Wednesday, 2 June 2010

L'inviolabile confine di Israele e dell'ebraicità

Nove morti per un blitz ritenuto giusto e legittimo, in nome del popolo eletto. Che in virtù del proprio autoriconosciuto status viola le leggi, mettendo in crisi diplomazia e sistema di regole.

l'e-dittoreale*

Attaccare in acqua internazionali imbarcazioni di attivisti, provocando la morte di una decina di loro. E poi portare i superstiti nel proprio stato e nei propri centri di detenzione per poi firmare decreti d'espulsione con il caloroso invito a non farsi più vedere nei paraggi. Tutto ineccepibile e giusto, perchè esprimere dissenso contro Israele non è permesso, avvicinarsi allo stato ebraico nemmeno. Un tabù, proprio come la messa in discussione dell'operato israeliano, che se compiuto equivarrebbe all'automatico antisemitismo. E così le Tzahal possono attaccare navi battenti bandiera turca, sparare su parte dell'equipaggio e arrestare tutti gli altri solo perchè era loro intenzione portare aiuti umanitari ai palestinesi a gaza, dove il blocco decretato dalle autorità israeliane costringe a condizioni dure - se non estreme - un milione e mezzo di palestinesi. Ma solidarizzare con gli arabi vuol dire sposare tesi negazioniste e posizioni antisemite; contestare le decisioni di Israele vuol dire razzismo e nazionalsocialismo. Così, mentre nella comunità internazionale montano reazioni e contestazioni, Israele - con il governo, le forze armate, il leader di Kadima Tzipi Livni, difende la legittimità e la doverosità dell'intervento. L'Onu, con il segretario generale Ban Ki-moon, si dice indignata; in Germania si dicono invece scioccati dall'accaduto; l'Italia chiede chiarimenti; gli Stati Uniti annullano visite ufficiali. Alla fine, a distanza di giorni, l'Onu condanna, ma non prende provvedimenti. Male. E' giunto il momento di scegliere, scegliere se infrangere o meno i tabù, decidere se i tabù vengano prima dei valori e delle regole. Il tabù è Israele, il valore la legalità. Se gli atti di Israele continuano a passare tra l'inazione di quanti potrebbero prendere provvedimenti, si creano i presupposti perchè tutti si facciano beffe delle regole: come fare a dire all'Iran di rinunciare al proprio programma nucleare se Israele non firma la risoluzione che vuole un Medio Oriente libero da atomiche? Come si fa a dire alla giunta militare birmana di rispettare i diritti umani quando Israele mette a dura prova la sopravvivenza dei palestinesi nella Striscia di Gaza e fa puntualmente quello che vuole? Ma Israele, fanno sapere da Tel Aviv, non fa quello che vuole, ma ciò che deve: difendersi. Sparare su membri degli equipaggi, in questo caso, era diventato inevitabile poichè alcuni di essi avevano spranghe e coltelli: poco rispetto alle dotazioni israeliane. Ma da quelle parti la storia di Davide e Golia la conoscono bene, e sanno che basta poco per liberarsi del nemico. Intanto Israele perde l'unico interlocutore nella regione, rischia di favorire l'estremismo islamico turco e vede crescere l'odio dell'intero mondo arabo e musulmano. Forse se Israele scendesse dal suo piedistallo e per una volta mettesse da parte la storia del popolo eletto accettando le giuste conseguenze del proprio operato, farebbe un grande favore a sè stesso e all'intera comunità internazionale. Altrimenti finisce per legittimare i vari Ahmadinejad e minare i valori - oggi precari - su cui si è faticosamente lavorato per costruire l'ordine mondiale. Anni fa un sondaggio dell'Ue ha mostrato come per molti Israele sia un paese destabilizzante: oggi i fatti danno ragione a quanti, da tempo, preferiscono la legalità ai dogmi dell'ebraicità.


(poi editoriale per la puntata del 4 giugno 2010 di
E' la stampa bellezza, su Radio Libera Tutti)

Tuesday, 1 June 2010

Repubblica Ceca, il governo al centrodestra

Elezioni, i socialdemocratici del Cssd primo partito. Ma i numeri per formare un esecutivo ce li hanno Ods, Top09 e Affari pubblici. Klaus "benedice" la coalizione tripartito.

di Emiliano Biaggio

Anche la Repubblica Ceca svolta a destra: nelle elezioni per il rinnovo della Camera bassa la spuntano i partiti di centrodestra, che adesso daranno vita a una coalizione di governo: i conservatori del partito Democratico Civico (Ods) del presidente della Repubblica Vaclav Klaus e del probabile prossimo primo ministro Petr Necas, ha ottenuto il 20% dei voti, mentre il Top 09, partito di destra dell'ex ministro degli Esteri, Karel Schwarzenberg, ha ottenuto il 17% delle preferenze. Ai centristi di i centristi di Affari pubblici va l'11% dei voti, grazie al quale Ods e Top09 andranno al governo. «Formeremo un governo di responsabilità di bilancio», afferma il leader di Ods, Petr Necas, che può contare su un 48% dei voti e la maggioranza dei seggi. Pronto a dimettersi invece il socialdemocratico, Jiri Paroubek, leader del Cssd (partito socialdemocratico) primo partito del paese ma nonostante questo sconfitto: la formazione di centrosinistra ha infatti conquistato il 22,4% dei voti, ma non ha i numeri per poter ambire a governare. I comunisti, infatti, raccolgono l'11,3% dei consensi, risultato peggiore dal 1989 che pone il partito per la prima volta da 21 anni fuori dalle prime tre formazioni nazionali. Tradotto in seggi, un'alleanza tra socialdemocratici e comunisti non darebbe più di 83 deputati su 200. Numeri da opposizione, non certo di maggioranza. Non a caso il presidente delle Repubblica, Vaclav Klaus, al termine delle consultazioni non ha tardato a dire che un governo di coalizione di centrodestra è l'unica strada percorribile in quanto la sola che offra le condizioni di governabilità. La Repubblica ceca, insomma, ha scelto: va a destra. Si allunga quindi la lista degli stati conservatori e nazionalisti sullo scacchiere europeo: governi di destra e centrodestra si hanno infatti in Francia, Italia, Gran Bretagna, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Croazia, Ungheria, Bulgaria, Lituania, Lettonia, Malta. Governi di stampo centrista si hanno in Germania, Svizzera e Finlandia.