Thursday, 31 January 2013

Être journalistes au Conseil europèen


Le areee di lavoro riservate ai giornalisti per il loro lavoro "live" al momento dell'arrivo dei ministri e dei capi di governo dei paesi membri. Veri e propri recinti come in ogni bioparco che si rispetti.

Wednesday, 30 January 2013

bLOGBOOK - Amsterdam by snow

Amsterdam by snow

Amsterdam sotto la neve ancora non l'avevo mai vista. Non è bella solo pe via del fascino che la neve dona a paesaggi e città, ma è bella èerchè è tutta un'altra città. Bambini, giovani e adulti che camminanon laddove non è possibile in condizioni atmosferiche ordinarie: i canali ghiacciati diventano piste di pattinaggio, i laghi lastricati per l'occasione sono posti per passeggiate, svivolate e altre sfide di pattinaggio. C'è che si fa ritrarre sotto un ponte, mentre imita lo sfrozo di un titano o una fatica di Ercole facendo finta di sostenere e sollevare la struttura. Amsterdam sotto la neve sembra uscita da uno dei dipinti di Bruegel e della scuola fiamminga. Il gelo della stagione fredda viene compensato dal caloroe umano che si sprigiona per la città: la neve dona l'opportunità per fare ciò che altrimenti non sarebbe possibile. Proprio come questo incontro, impensabile solo fino a poco tempo fa, eppure già oggetto di racconto e memoria. Una persona che ha scoperto cosa significhi star fuori di casa, un'altra che ha capito che l'aereo in realtà non è nè un ostacolo così insormontabile nè quel mostro così pauroso che credeva, e una terza persona che si ritorva a dover andare incontro alla vita. Davvero insolita, questa compagnia. Davvero ben assortita, questa famiglia.
Le biciclette sono tutte al loro posto: la neve rende più pigri anche gli olandesi, comunque abituati a pedalare in condizioni estreme. Cigni e papere starnazzano altrove, ora che i canali non sono navigabili. Dove vanno le anatre quando il laghetto di Central park è gelato? Ancora non ho trovato un risposta.
Amsterdam sotto la neve è forse solo un sogno, un'immagine di un mondo lontano da quello reale. Poi la neve si scioglie e tutto torna com'era prima, e tutto riprende il corso abituale proprio come il flusso dell'acqua nei canali di questa città che si risveglia lentamente dal torpore invernale. I pattinatori per pochi giorni scompaiono, gli aerei decollano, i treni partono, le persone si disperdono. Ma non c'è malinconia. Amsterdam non è malinconica. Forse è tutto il resto, a volte, a esserlo.


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Amsterdam

Tuesday, 29 January 2013

Paesi Bassi, il ritorno di un re dopo oltre un secolo

La regina Betrice abdica a favore dell figlio. L'ultima volta di un uomo alla guida del regno risale al 1890.

Beatrice d'Olanda. foto Ansa
di Emiliano Biaggio

I Paesi Bassi tornano ad avere un re dopo dopo centoventitre anni. Dopo trentatre anni di regno la regina Beatrice ha abdicato a favore del figlio, Guglielmo-Alessandro, che salirà al trono come Guglielmo IV d'Orange-Nassau. Il nuovo sovrano diventerà nuovo re il 30 aprile, e per quel giorno (che è anche il "queen's day", l'anniversario del primo giorno di regno di Beatrice) i Paesi Bassi torneranno ad avere un uomo alla guida del regno. L'ultimo re fu Guglielmo III d'Orange-Nassau, il cui regno terminò il 23 novembre 1890. Da allora si sono succedute solo donne (Guglielmina, Giuliana e Beatrice), ma questa successione dinastica tutta al femminile adesso volge al termine. «Non abdico per stanchezza, ma per lasciare la mia funzione nelle mani della nuova generazione», ha spiegato la regina Beatrice nel discorso pronunciato ai suoi sudditi. «E' con la massima fiducia che consegno il 30 aprile il trono a mio figlio, il principe Guglielmo e sua moglie Maxima. Sono convinta che sono pronti per assumere questa responsabilità».
Guglielmo IV, primogenito di Beatrice, quarantasei anni ad aprile, ha già fatto parlare di sè nel 2002, quando ha sposato Maxima Zorreguieta, figlia di un ex membro del governo argentino del dittatore militare Jorge Videla. All'epoca il matrimonio suscitò grande scalpore, con una parte del popolo olandese contrario ad avere sul proprio territorio e come membro della casa reale una persona legata alla dittatura argentina.

«Berlusconi soffocò l'Italia, con Monti stabilità»

Il commissario europeo per gli Affari economici, Olli Rehn, critica l'ex capo del governo ed elogia il professore. Insorge il Pdl.

Olli Rehn
di Emiliano Biaggio (fonte: Asca)

«Il governo Berlusconi ha deciso di non rispettare più gli impegni presi con l'Europa e così facendo ha soffocato la crescita economica italiana». Invece l'esecutivo di Mario Monti «è stato in grado di stabilizzare la situazione». Questo il giudizio di Olli Rehn, il commissario europeo per gli Affari economici e monetari. Rispondendo a una domanda in Parlamento europeo, dove è intervenuto nell'ambito della settimana parlamentare europea, Rehn ha ricorda che l'Italia «aveva preso impegni di consolidamento di bilancio nell'estate 2011 per facilitare l'intervento della Banca centrale europea nel mercato secondario per l'acquisto di titoli di Stato». Poi, però, «quando il governo Berlusconi decise di non rispettare più gli impegni assunti il costo del finanziamento per lo Stato è aumentato». Successivamente, «con la formazione del governo Monti la situazione si è stabilizzata», e questo per per Rehn «è un chiaro esempio di "fattore fiducia"» che l'Italia ha offerto a tutti.
Le dichiarazioni del commissario europeo vengono duramente contestate in Italia. Per il segretario del Pdl, Angelino Alfano, «è inaccettabile che Rehn, vicepresidente di un'istituzione indipendente quale la Commissione Europea, intervenga nella campagna elettorale di uno Stato membro, peraltro con affermazioni false, tecnicamente sbagliate e facilmente smentibili». «Rehn mente sapendo di mentire», sostiene Renato Brunetta, coordinatore dei dipartimenti del Pdl. «Dopo le sue dichiarazioni odierne non possiamo che chiederne le dimissioni». Per il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, quella di Rehn non è altro che la classica "scoperta dell'acqua calda". Il commissario europeo per gli Affari economici e monetari «non ha scoperto una gran novità». Sull'operato di Berlusconi «non c'è bisogno dei commenti dell'Ue e di nessuno. Basta guardare i dati di questi dieci anni».

Friday, 25 January 2013

Israele, Netanyahu vince ma è senza maggioranza

La coalizione Likud-Israel Beytenu ottiene 31 seggi ed è primo partito, ma i partiti di centro-destra hanno solo voti in più alla Knesset.

Benjamin Netanyahu
di Emiliano Biaggio

Israele punisce Benjamin Netanyahu, primo ministro uscente e vincitore delle elezioni per un pugno di voti. Pochi, per avere ancora una maggioranza che gli consenta di governare con tranquillità, forse addirittura troppo pochi per garantire la sopravvienza del prossimo esecutivo. I partiti di centro-destra ottengono appena 62 seggi su 120 (31 seggi all'alleanza tra il Likud di Netanyahu e Israel Beytenu di Avigdor Lieberman, 11 seggi allo HaBayit HaYehudi del nazionalista Naftali Bennett, 11 seggi agli ultra-ortodossi sefarditi di Shas, 7 seggi agli ultradossi ashkenaziti di Yahadut HaTorah HaMeukhedel). Vero vincitore delle elezioni è il giornalista televisivo Yair Lapid, che con i 19 seggi conquistati dal suo Yesh Atid si afferma come secondo partito nazionale davanti al partito laburista (16 seggi). Sei seggi conquistati dai liberali di HaTnuah, il partito di Tzipi Livni, tanti quanti quelli ottenuti dal partito di sinistra Meretz. Appena due seggi per Kadima, il partito che fu di Ariel Sharon. «E' chiaro che gli israeliani hanno deciso che vogliono che continui a fare il primo ministro», il commento di Netanyahu, che preferisce non pensare, almeno per ora, alla delicata fase politica che aspetta lo stato ebraico. Lapid - ago della bilancia - sembra intenzionato a rilanciare il processo di pace. «Senza un accordo con i palestinesi l’identità sionista d’Israele è in pericolo». Ma soprattutto c'è la possibilità che ceda agli inviti degli altri partiti di centro e di sinistra per un governo senza Netanyahu: con equilibri che si reggono su meno di una manciata di voti tutto è possibile. Il presidente della repubblica, Shimon Peres, dovrà avviare le consultazioni parlamentari con i partiti prima di formare un nuovo governo. Tutti guardano al nuovo Israele con grande interesse: ci si chiede quali scenari si possano aprire per il futuro della questione arabo-israeliana.

Thursday, 24 January 2013

FACT SHEET / I paesi più a rischio colpo di stato

La speciale mappatura realizzata dal ricercatore statunitense Jay Ulfelder. Le più forti instabilità nell'Africa sub-sahariana.

fonte: Asca

Guinea Bissau, Sudan, Mali, Madagascar e Mauritania presentano rispettivamente i governi più instabili del mondo e sono «ad altissimo rischio» colpo di Stato nel 2013. Lo stima il ricercatore e politologo statunitense Jay Ulfelder, attraverso un'elaborazione di modelli matematici capace di classificare i 30 esecutivi sul pianeta con il maggior rischio di essere rovesciati illegalmente attraverso l'uso della forza. La tabella, ripresa anche dall'edizione on-line del Washington Post, mostra un allarme diffuso particolarmente tra i Paesi dell'Africa sub-sahariana (nove dei primi dieci in graduatoria provengono da quella regione), dove le condizioni sociali, infrastrutturali ed economiche sono fortemente condizionate dall'attivismo di cellule estremiste radicali di matrice islamica. Tra questi sorprende la presenza del Sud Sudan, al ventesimo posto tra i Paesi ad alto rischio golpe, indipendente dal 9 luglio 2011 e membro ufficiale dell'Onu dal 14 luglio dello stesso anno. Stupisce anche il balzo al decimo gradino (avanti persino ad Haiti, Cambogia, Ecuador e Afghanistan) di Timor est, lo Stato del sud-est asiatico dove l'11 febbraio 2008 un gruppo di militari ribelli ha tentato di rovesciare il governo nazionale. La Guinea-Bissau è capofila dei paesi ad alto rischio "in virtù" del golpe del 13 aprile del 2012 e dei precenti colpi di stato del 2009 e del 2010. Seguono - nel non proprio onorevole podio - Sudan e Mali, con quest'ultimo messo a dura prova dal golpe di marzo del 2012 e dalla 'Battaglia di Gao' combattuta per l'autonomia della regione dai gruppi islamisti dei Mujao e degli Ansar Dine contro i tuareg del Movimento Nazionale per la Liberazione dell'Azawa (Mnla). Il Niger occupa la nona posizione della graduatoria: lo stesso Ulfelder sottolinea tuttavia che il suo modello matematico «ha probabilmente sopravvalutato i rischi di un golpe» nello Stato amministrato da Mahamadou Issoufou, considerando come variabile portante il colpo di Stato già registrato nel 2010. Sul fronte latino-americano, sono Haiti (docidesimo) ed Ecuador (quattordicesimo) i paesi più esposti al rischio di colpi di Stato nel 2013. Ruanda, Burkina Faso, Zimbabwe, Gambia e Liberia chiudono la graduatoria dei 30 luoghi più instabili del mondo sul profilo amministrativo. La Siria, dove da quasi due mesi si susseguono ininterrotamente sommosse popolari contro il regime di Bashar al Assad, viene collocata solo al venticinquesimo posto, dietro Costa d'Avorio (ventiquattresimo), Yemen (ventitreesimo) e Tanzania (ventiduesima). Stupisce infine che l'Egitto, recentemente teatro di violenti scontri e dibattiti politici tra le fazioni laiche e musulmane del Paese, non figuri tra i 30 paesi ad alto rischio di golpe. Per quest'anno è quarantanovesimo.

Wednesday, 23 January 2013

Breviario

«Sono lieto di rivolgermi al signor Grilli e non al signor Grillo».
Philippe Lamberts, deputato europeo dei Verdi, rivolgendosi a Vittorio Grilli nel corso dell'audizione del ministro dell'Economia in commissione Problemi economici del Parlamento europeo. (Bruxelles, 21 gennaio 2012).

Tuesday, 22 January 2013

«Disimpegno vietato, i cattolici vadano a votare»

Appello della Cei nel bel mezzo della campagna elettorale. Bagnasco e la Chiesa cercano i voti degli indecisi, scrivendo l'agenda politica dei candidati.

Angelo Bagnasco, presidente Cei
di Emiliano Biaggio

L'elettorato cattolico deve far sentire la propria voce, e i politici credenti devono convergere sui grandi temi etici. In piena campagna elettorale la Chiesa torna a parlare ai fedeli, portatori di valori, credenze e soprattutto voti. I vescovi scelgono la stampa vaticana per parlare, come sempre fanno, agli italiani. In un'intervista a Famiglia Cristiana il presidente della Cei, Angelo Bagnasco, si rivolge ai milioni di cittadini che a fine febbraio saranno chiamati a votare il nuovo Parlamento e, con esso, a contribuire alla formazione del nuovo governo. Nel clou della campagna elettorale, e con i sondaggi che hanno iniziato a dare indicazioni ben chiare e precise, la Santa Sede - come sempre avviene in questi casi - irrompe nella scena politica italiana. Con il pretesto di rivolgersi ai fedeli, la libera Chiesa in libero Stato ancora una volta manda il proprio messaggio politico-elettorale con chiare indicazioni da manifesto di partito. «Circola spesso l'immagine di un Paese disamorato, privo di prospettive, quasi in attesa dell'ineluttabile», esordisce Bagnasco. «La crisi economica e sociale è però il sintomo drammatico di uno spaesamento più profondo. L'effetto è un ripiegamento sul privato e una fuga nella demagogia che allontana la possibilità di un cambiamento. Ma a un cattolico quest'atmosfera di disimpegno non è consentita e partecipare con il voto è già un modo concreto per non disertare la scena pubblica». I fedeli ancora una volta non sono invitati ad andare in Chiesa e seguire la messa, ma a votare secondo coscienza cristiana e indicazione ecclesiastica. Analogamente viene trattato anche l'elettorato passivo, a cui il presidente della Conferenza episcopale italiana dà precise indicazioni politiche. «La presenza di esponenti cattolici in schieramenti differenti dovrà accompagnarsi a una concreta convergenza sulle questioni eticamente sensibili». Bagnasco ricorda quindi che «l'insignificanza si produce quando all'appartenenza dichiarata non segue un'azione centrata sui valori di riferimento dell'antropologia cristiana e si perseguono logiche più vicine al proprio tornaconto che al perseguimento del bene comune». Se si è fedeli per davvero, si servono umilmente e incondizionatamente i propri leader, e se ne seguono ed eseguono gli ordini. La libera Chiesa in libero Stato impartisce le sue disposizioni: le guardie svizzere in borghese certamente risponderanno. Infine, forte del passato esattoriale e indulgente del suo paese, Bagnasco ricorda l'importanza del rispetto fiscale. «Non esiste una legge "ad ecclesiam". La Chiesa le tasse finora le ha pagate, contrariamente a ciò che si dice e si scrive. Evadere le tasse è peccato». Infrangere uno dei dieci comandamenti ("non dire falsa testimonianza"), per un credente lo è anche di più.

Monday, 21 January 2013

Neve a Bruxelles, Parlamento Ue inaccessibile

Audizione di Grilli presieduta da un altro deputato, cancellata quella di Fabius.

Neve al parco del Cinquantenario
di Emiliano Biaggio 

Strano ma vero. Anche in Belgio e nell’efficiente Nord Europa la neve può rappresentare un problema, nonostante paese e regione siano abituati a vivere e convivere con inverni rigidi e nevosi. Eppure basta una nevicata e le capitali si bloccano. Così in Parlamento europeo diventa davvero difficile arrivare, se non addirittura impossibile. Lo dimostrano Sharon Bowles e Laurent Fabius, presidente della commissione Problemi economici del Parlamento europeo la prima, ministro degli Esteri francese il secondo. Entrambi dovevano essere nella sede del Parlamento europeo quest’oggi, ma nessuno dei due è riuscito ad arrivarci. «Ci dispiace che Sharon Bowles non sia qui, ma ha avuto dei problemi ed è bloccata da qualche parte per la neve», ha detto Wolf Klinz, presidente di turno della commissione Problemi economici aprendo l’audizione del ministro dell’Economia, Vittorio Grilli. Un’audizione che avrebbe dovuto presiedere Bowles, ma che causa maltempo ha dovuto “cedere” al collega. «Non possiamo aspettarla e le restituirò il posto non appena sarà tra noi», ha aggiunto Klinz. Ma Bowles, almeno per tutta la durata dell’audizione – un’ora e mezza circa – non si è vista.
Annullata anche l’audizione di Fabius, atteso per riferire della missione in Mali. Nemmeno lui è riuscito a raggiungere il Parlamento europeo. Anche in questo caso, per via della neve che copre tutto il “fronte nord” del Continente. L’Europa non deve fare i conti solo con la crisi dell’euro, a quanto pare. Si ritrova per un giorno divisa per la neve. Davvero poco incoraggiante.

Assemblea consultiva saudita, è l'ora delle donne

Il re emana il decreto con cui nomina 30 componenti femminili all'interno del solo organismo politico del regno. E' la prima volta nella storia.

Abdullah bin Abdulaziz Al Saud
di Emiliano Biaggio

L'Arabia Saudita scrive una nuova importante pagina della propria storia nominando per la prima volta in assoluto componenti femminili all'interno dell'Assemblea consultiva, l'organo con il compito di proporre leggi al re. Dei 150 membri che lo compongono 30 saranno donne, in applicazione alla nuova norma che stabilisce quote rosa per non meno del 20% del numero complessivo dei consiglieri reali. A firmare il decreto di nomina lo stesso re saudita Abdullah bin Abdulaziz Al Saud. Un fatto di notevole importanza, in un paese tra i più rigidi in fatto di applicazione di legge islamica. Basti pensare che secondo la legge in vigore in Arabia Saudita, le donne necessitano del permesso di un tutore maschio per lavorare, viaggiare all'estero e persino sottoporsi a cure mediche. Va detto che l'Arabia saudita sta compiendo qualche piccolo passo verso una nuova condizione del mondo femminile: l'attuale monarca ha portato avanti timidi ma comunque significativi progetti di emancipazione femminile, con la realizzazione di una città per sole donne dove permettero loro di lavorare, fare carriera e contribuire alla produttività del paese. Ovviamente le realtà restano separate, e anche nell'Assemblea consultiva la storia non sarà diversa: non ci sarà alcun contatto con gli uomini. Per le 30 consigliere ci saranno entrate e uscite separate, così come i loro uffici. Nel promulgare il regio decreto Abdullah bin Abdulaziz Al Saud ha però sottolineato come le 30 donne avranno stessi diritti e doveri dei colleghi maschi.

Friday, 18 January 2013

Dai cinesi ai turisti, Tibet sempre più colonizzato

Diffusi i dati del 2012: nello Xizang oltre 10 milioni di visitatori

Evoluzione del flusso turistico in Tibet. Foto People's daily
di Emiliano Biaggio

E' record di turisti nella Regione autonoma tibetana (Tar, o Xizang), il cuore del Tibet storico. Nel 2012 i turisti - interni e stranieri - hanno raggiunto e superato la soglia dei dieci milioni (10,58, secondo i dati diffusi dall'Ufficio per il turismo della regione), per un incremento del 21,7% rispetto all'anno precedente. Un risultato ottenuto grazie alle campagne di promozione del governo e alle politiche di trasporto adottate in questi anni. La Cina ha sempre voluto fare di questa porzione di Tibet, centro del popolo e della cultura tibetana, un terra dove confondere le identità locali fino a farle scomparire. Promozione turistica e costruzione di linee di collegamento con il resto del paese sono le politiche di Pechino per soddisfare la voglia di stravolgere usi e costumi della popolazione tibetana - una minoranza, ormai, nella capitale Lhasa - e mostrare al mondo la faccia buona del regime, quella che promuove sviluppo e ricchezza. Solo nel 2012 i turisti hanno portato nello Xizang 12,65 miliardi di yuan (l'equivalente di circa due miliardi di dollari). Le autorità regionali e nazionali non spiegano a chi sono andati a questi introiti, ma è risaputo che ad avere il controllo della vita economica dello Xizang è l'etnia Han, mentre quella tibetana è esclusa da tutto. Quest'anno intanto nella regione sono stati aperti tre nuovi parchi naturali, nell'ambito della politica di promozione del territorio che mira ad avere 15 milioni di turisti l'anno a partire dal 2015.

Wednesday, 16 January 2013

bLOGBOOK

L'ultima volta che ho camminato per un parco innevato è stato a Grenoble. Parc du Mistral. Ancora lo ricordo. Faceva freddo, proprio come adesso. Era buio: in inverno la notte arriva sempre prima. La neve scricchiolava sotto i piedi, le macchine lanciavano i loro ruggiti di ogni cilandrata. Quanto tempo è passato? Ho sempre avuto difficoltà a rimettere in ordine i miei ricordi. Non li ho mai saputi catalogare: confondo quello che ho fatto nel 2002 con ciò che mi è capitato nel 2003. Se non avessi questo diario ora starei ancora qui a domandarmi quand'è che andai a trovare Erika la prima volta. Era solo il 2010, avrei detto fosse prima. E' una vita che sto qui, almeno a me pare. Ma ciò spiega solo in parte questa mia difficoltà a rimettere ordine ai ricordi della mia vita. Dovrebbe essere semplice, in fin dei conti: non ho vissuto molto. Eppure...
E' tutto come allora: la stessa luce, lo stesso freddo, lo stesso scricchiolio sotto gli scarponi, lo stesso rumore di auto sottofonda. Al posto della torre Mistral ci sono le Arcades du Cinquantenaire, che ricordano tanto la porta di Brandeburgo. Perchè mi è tornato alla mente Grenoble e quel viaggio? Perchè mi è tornata alla mente Erika? Tra tutti i pensieri che mi agitano davvero questi non mi aspettavo potessero arrivare ad affollare la testa. Non che sia un problema, anzi. Li accolgo con un certo piacere. E' lì che scrissi le prime pagine di questo diario, limitandomi a mettere delle foto con didascalie essenziali per spiegare dove mi fossi cacciato. Dovevo scriverci un piccolo racconto di viaggio, ma quel libro iniziato è rimasto incompiuto. Portarlo a compimento ora, ricordando a posteriori sarebbe troppo complesso. Quante cose dimenticherei...
L'ultima volta che ho camminato per un parco innevato è stato a Grenoble. Prima la neve era un evento raro, e per questo sempre desiderato. Ora che è quasi la normalità non ha più alcun fascino. Questo freddo mi sta rendendo freddo. Erika... Magari mi troverò a camminare per i parchi innevati di Stoccolma. No, non va a Stoccolma. Dov'è che va? Stupido che non sei altro, e sì che te l'ha detto! Ah, già: Lund. Chissà, magari un giorno potrei ritrovarmi da quelle parti.
«Excusez-moi monsieur, vous savez où est la guichet?»
«La guichet?»
«Oui, la guichet»
«La guichet de la metro?»
«Non, du train»
«Tout droit, vouz traversez la rue et vous la trouvez a droite, devant la Commission européene».
«Merci monsieur»
Non mi fido del mio francese, ma pare abbia capito. E cosa più importante, per una volta ho capito io. A cosa pensavo prima di essere interrotto? Ah, è tardi e fa freddo. E' ora che torni a casa.

Tuesday, 15 January 2013

«Il 2013 segni la svolta per il Medio Oriente»

Il portavoce di Ashton ricorda l'impegno dell'Ue per una soluzione a due stati. «Entrambe le parti devono vivere in pace».

Micheal Mann. foto reuters
di Emiliano Biaggio

Questo deve essere l'anno della svolta in Medio oriente. Israele e Autorità nazionale palestinese devono giungere a creare le premesse per un accordo definitivo e duraturo, segnando un cambio di marcia rispetto al passato e a quanto è stato - o non è stato - fino ad oggi. Sono posizione e convinzione dell'Unione europea, che avrà il non facile compito di cercare di rilanciare i negoziati di pace. «Il 2103 deve segnare passi avanti significativi nel processo di pace nella regione», sottolinea Micheal Mann, portavoce dell'Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza dell'Ue, Catherine Ashton. «L'ultima riunione del consiglio Affari esteri - ricorda Mann - ha stabilito che l'Alto rappresentante deve guidare il processo di pace, ed è sua intenzione farsi carico di questo compito». L'Ue, quindi, andrà avanti. «La questione arabo-israeliana è ai primi posti della nostra agenda», continua il portavoce di Ashton. «La soluzione a cui mira da sempre l'Unione europea è una soluzione a due stati, con due entità che possono vivere in pace e sicurezza». A Bruxelles non lo dice nessuno, ma molto, quasi tutto, dipenderà dalle parti in causa. Da una parte c'è la politica israeliana degli insediamenti, dall'altra ci sono i razzi sparati dai militanti di Hamas. Entrambe le fazioni non aiutano il processo di pace. Entrambe.

Monday, 14 January 2013

Allarme Ue: in Italia disoccupazione senza freni

Solo in cinque mesi bruciati quasi 7.000 posti di lavoro, in un anno giovani senza impiego cresciuti del 5%

di Emiliano Biaggio

In Italia è emergenza disoccupazione. Negli ultimi anni sono stati persi posti di lavoro, e per il futuro le cose non sembrano essere destinate a migliorare. Al contrario, «nel 2014 sono previsti aumenti piuttosto significativi nella disoccupazione». A tracciare questo quadro della situazione, tutt'altro che rassicurante, lo Eu employment and social situationquarterly review, rapporto della Commissione sull'andamento dell'occupazione e la situazione sociale in Europa. Diffuso nella sua versione aggiornata a livello quadrimestrale, lo studio mette in risalto – peraltro ben nota – l'emorragia occupazione del nostro paese. In un anno – da novembre 2011 a novembre 2012 – il tasso di disoccupazione è passato dal 9,3% all'11,1% (+1,8%) , con la disoccupazione giovanile passata dal 32,1% al 37,1% (+5%). Non solo: negli ultimi mesi (da luglio a novembre 2012) sono state licenziate 9.619 persone, anche a causa dei piani di ristrutturazione di Ilva (lo studio Ue cita 1.942 disoccupati) e Intesa San Paolo (1.000). La realtà italiana, spiega il documento della Commissione Ue, è fortemente condizionata dall'andamento dell'economia nazionale, «ulteriormente deteriorata» in questi ultimi mesi.
A inizio 2012 il presidente della Commissione europea, Josè Manuel Barroso, ha inviato una lettera agli otto paesi membri con il più alto tasso di disoccupazione giovanile, tra cui l'Italia (gli altri sono Grecia, Irlanda, Lettonia, Lituania, Portogallo, Slovacchia, Spagna), per informare dell'invio di squadre speciali (o action team) per lavorare alla soluzione del problema. Un problema risolto, a quanto pare, solo in parte. In pochi mesi – da gennaio a maggio – in Italia è stato possibile trovare una collocazione nel mondo del lavoro 128.300 giovani, beneficiari dei 3,6 miliardi messi a disposizione dall'Unione europea. Ma l'Ue da sola non può finanziare l'occupazione giovanile, e spetta quindi agli stati membri. «La situazione in atto richiede azioni in urgenti» in Italia come nel resto dell'Unione europea, sottolinea lo studio. In attesa che gli stati varino politiche anti-cicliche la Commissione presenterà «nelle prossime settimane» un pacchetto di investimenti per la crescita e la coesione. Il pacchetto, anticipa Jonathan Todd, portavoce del commissario europeo per l'Occupazione e gli Affari sociali, Laszlo Andor, fornirà assistenza agli stati membri per mobilitare «vaste quote» di capitale umano e «assicurare l'inclusione sociale delle persone più svantaggiate»

Saturday, 12 January 2013

L'Unione europea si riscopre socialista?

Van Rompuy cita Ho Chi Min, Juncker Marx e difende la classe operaia E Barroso incontra il segretario del Partito comunista del Viet Nam

foto: eunews
di Renato Giannetti (per eunews)

Marx, Ho Chi Min, classe operaia. Nell’Europa della crisi che morde e delle politiche di austerità che impongono sacrifici ai cittadini, si riscoprono improvvisamente – e anche con un po’ di sorpresa – modelli e concezioni propri di ben altri momenti storici. Uno spettro si aggira per l’Europa? Solo quello della crisi, che però – oltre a generare i naturali timori per le difficoltà e le incertezze del presente – contribuisce a produrre nuove espressioni dell’Europa. Sono le espressioni – più comuniste che comunitarie – usate dai leader dell’Unione europea, che tutti hanno colto e prontamente rilanciato sui media di tutto il mondo.
Il nuovo corso lo ha inaugurato il presidente del Consiglio europeo, citando Ho Chi Min in occasione della sua visita in Vietnam dello scorso 1 novembre. “Come disse il presidente Ho Chi Min: La tempesta è un buona occasione per il pino e il cipresso di dimostrare la loro forza e la loro stabilità”. Parole di cortesia, quelle di Herman Van Rompuy, proferite per fare bella figura con il paese ospitante? Quasi certamente sì, la diplomazia in fin dei conti è anche questo. Ma Van Rompuy non è stato il solo a stupire per le citazioni da “libricino rosso” (che scrisse il leader comunista cinese Mao Tze-Tung). Non più tardi di ieri il presidente dell’Eurogruppo, Jean-Claude Juncker, ha portato Karl Marx e il marxismo in Parlamento europeo. Ai deputati della commissione Problemi economici ha sottolineato l’importanza di rispondere alle “rivendicazioni essenziali di salario minimo legale in tutta l’area dell’eurozona, altrimenti rischiamo di perdere la nostra credibilità e, per dirla alla Marx, il sostegno della classe operaia”. Marx, Ho Chi Min, classe operaia. L’Unione europea oggi parla così. E giovedì il presidente della Commissione europea, Josè Manuel Barroso, riceve Nguyen Phu Trong, il segretario del Partito comunista vietnamita…

Wednesday, 9 January 2013

Italia, basta barare con i bilanci pubblici

Nel nostro paese si mettono in rendiconto solo i pagamenti avviati, e non tutti i debiti contratti. Dalla Commissione Ue l'invito a modificare le norme.

Antonio Tajani
di Emiliano Biaggio

Come fare a ridurre i debiti e diminuire la lista dei conti da pagare? Non considerare i pagamenti da fare e non dichiararli nel resoconto di spesa. E' quello che fa da sempre l'Italia, dove la pubblica amministrazione - in ritardo cronico quando si tratta di pagare le aziende private a cui affida dei servizi - non conteggia in bilancio le commesse stipulate ancora da pagare. Funziona così: si mette in bilancio solo il debito contratto che si è iniziato a pagare, ma non si mette - e quindi non si conteggia - la voce dei saldi da pagare arretrati e che ancora non si è iniziato a pagare. Un modo di fare che altera i conti, con bilanci passivi dichiarati più leggeri di quanto siano effettivamente, con i debiti non calcolati di cui è difficile calcolarne l'entità. Si ferifica una sorta di "falso in bilancio" legale, con cui le amministrazioni pubbliche contribuiscono a dare vita a un sistema di conti non proprio sotto controllo per via di consuntivi sempre approssimativi per via delle voci mancanti. Un modo di fare che a Bruxelles inizia a non essere tollerato. Il Commissario europeo per l'Industria, Antonio Tajani, esorta il nostro paese a cambiare sistema e mettere in bilancio ogni voce, inclusi quindi tutti i debiti, anche i pagamenti alle aziende ancora non erogati. «C'è un problema con le norme italiane sulla contabilità dello Stato, che prevedono l'iscrizione a debito nel momento in cui si cominciano a pagare gli arretrati e non quando le Pubbliche amministrazioni sottoscrivono i contratti e gli impegni di spesa con i fornitori». Per Tajani è necessario «armonizzare a livello Ue le norme di contabilità dello Stato, per evitare differenze di trattamento fra i diversi paesi membri». Un chiaro invito all'Italia a prendere esempio da altri paesi. «Sarebbe il caso che l'Italia rivedesse l'attuale sistema».

Tuesday, 8 January 2013

Nella bolla di Bruxelles

Nonostante le ristrettezze economiche, per i corrispondenti dalla capitale dell’Ue non è difficile trovare materiale per i loro pezzi. Il problema semmai è un eccesso d’informazione che rischia di deformare la realtà.

di James Panichi (fonte: presseurop)

 Ogni giorno, negli ultimi due mesi, ho piazzato il mio computer portatile nell'area riservata alla stampa della Commissione europea, letteralmente a pochi passi dalla sala per le conferenze stampa. Ogni volta mi ritrovo circondato da un esercito multinazionale (e multilingue) di giornalisti precari che approfittano del wifi gratuito e di quello che ha tutta l'aria di essere un caffè regalato (come è possibile che costi 90 centesimi a tazza?). I corrispondenti con la C maiuscola, che lavorano per i pezzi grossi della stampa, sono riuniti dietro l'angolo all'International press centre ospitato nel Résidence palace. Noi freelance invece siamo ammassati in una stanza affollatissima.
Dato che sono l'unico australiano in giro e non ho affinità con gli altri anglofoni, sono stato adottato da un gruppo di italiani. Mi hanno subito informato che i miei diritti umani vengono calpestati ogni volta che mangio al ristorante della Commissione (quello del Consiglio europeo dall'altro lato della strada è molto meglio). Gli italiani sono un battaglione molto interessante: sono intelligenti, eloquenti, parlano un buon inglese e sono quasi tutti sulla trentina. Uno di loro si è creato una nicchia gestendo una piccola agenzia di stampa e una rivista di aviazione; un altro ha trovato un impiego nell'ufficio di Bruxelles di un canale via cavo italiano; un altro ancora gestisce una newsletter sull'agricoltura. Passano tutti da un contratto all'altro, a volte da un lavoro all'altro, e sono sempre alla ricerca di un incarico retribuito.
Mi hanno presentato al decano del corpo dei giornalisti italiani a Bruxelles: un distinto gentiluomo il cui biglietto da visita sembra una tautologia: collaboratore fisso. Mi hanno raccontato che il suo giornale non vuole pagarlo come corrispondente da Bruxelles, ma ha accettato di comprargli un certo numero di articoli a settimana e pagargli una sorta di onorario. Non è l'unico: di recente il secondo quotidiano italiano, La Repubblica, ha sostituito il suo corrispondente da Bruxelles in pensione con… la stessa persona: gli hanno detto che poteva tenersi l'incarico ma in qualità di collaboratore occasionale con contratto esclusivo. Oggi l'ufficio di Bruxelles del quotidiano romano è composto da un ex corrispondente che incrementa la pensione svolgendo lo stesso lavoro che faceva prima.
Insomma, capirete, non è certo la vita eccitante che qualcuno potrebbe associare al giornalismo nella più importante città d'Europa. Un giorno mi è capitato di intercettare un giornalista che chiedeva al telefono informazioni sul pranzo servito (gratis) alla conferenza che avrebbe dovuto seguire. “Quando dici sandwich, di che tipo di sandwich parli?”. Poco dopo mi sono ritrovato vicino a un cronista impegnato in un braccio di ferro con il suo giornale, che lo voleva a un incontro annuale in patria ma non intendeva pagare il biglietto aereo. Il capufficio alla fine ha ceduto, ma il giornalista è stato obbligato prendere un volo Ryanair da Charleroi (la città che odiano un po' tutti, a un'ora di macchina a sud di Bruxelles). Il giornalista ha passato il resto della giornata a brontolare.
È difficile dire in che modo questa precarietà influisca sulla qualità della copertura delle notizie europee, soprattutto considerando che molti dei freelance che siedono vicino a me mentre scrivo questo pezzo hanno sempre vissuto questa condizione. Lavorano a ritmo serrato. A mezzogiorno assistono a una conferenza stampa e poi passano l'ora successiva a battere al computer come forsennati. Non viaggiano quasi mai, e ammettono candidamente di non avere tempo per documentarsi. Sono qui per racimolare le notizie comode che l'Unione europea offre loro ogni giorno.
Se le notizie facili sono il tuo mestiere, lavorare all'Unione europea è una pacchia. Ogni giorno le caselle postali fuori dalla sala stampa della Commissione europea si riempiono di dispacci per i media che illustrano importanti (e costose) decisioni politiche. Puoi procurarti abbastanza facilmente il numero di telefono cellulare di eloquenti consiglieri (poliglotti) in grado di fornirti un contesto o una citazione volante per la notizia. Puoi presenziare alle “riunioni tecniche”, e se giochi bene le tue carte puoi persino accaparrarti un'intervista con un commissario.
Per i media elettronici ci sono due canali online che coprono gli eventi Ue (in Lussemburgo, a Bruxelles e a Strasburgo) e più video on demand di quanti ne possa contenere qualsiasi memory card. Gli studi e i tecnici sono messi a disposizione gratuitamente. Se vuoi registrare un'intervista televisiva con un eurodeputato ti basta chiamare i ragazzi del settore audiovisivo.
Un giorno ho messo assieme tutte le comunicazioni ufficiali che sono riuscito a trovare, quindici: un annuncio del commissario alle politiche regionali sulla competizione e l'assistenza pubblica; una commissione del parlamento europeo che voleva indagare sulla Common european sales law; un annuncio del vicepresidente Catherine Ashton sulle elezioni in Ucraina; l'approvazione da parte della Commissione della fusione di due compagnie di comunicazioni… Nel frattempo la mia casella di posta elettronica si è riempita di messaggi inviati da istituzioni Ue di cui ignoravo l'esistenza.
(leggi la seconda parte dell'articolo)

Monday, 7 January 2013

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Altre riflessioni, stavolta natalizie

C'è sempre un po' di malinconia quando finisce il Natale. Perchè termina il tempo di stare con i propri familiari e i propri amici più stretti, e perchè si dovrà attendere un anno per tornare a godere di certe atmosfere. Perchè si è atteso un anno intero per avere un nuovo Natale, per poi vederlo passare in un battibaleno: dura sempre troppo poco il Natale. E poi le feste si chiudono con l'arrivo di un nuovo anno, e c'è sempre un pizzico di nostalgia a pensare che abbiamo vissuto un altro anno della nostra vita. Diciamo la verità: c'è sempre un po' di malinconia quando finisce il Natale perchè a Natale si sta sempre bene, per questo dispiace che finisca. Ma in questo dopo-festa è forse ancor più malinconico, con questi alberi di Natale abbandonati per le strade. Le strade sono improvvisamente viali alberati da ciò che resta del Natale, alberi spogli della loro dignità più che dei loro addobbi. Alberi vivi, veri, non finti. Alberi la cui vita viene abbandonata e regalata agli eventi, quasi sempre gli uomini della nettezza urbana. C'è sempre un po' di malinconia quando finisce il Natale, perchè si capisce quanto l'essere umano tenda a dimenticare con estreme facilità e naturalità. Un desiderio cullato per giorni, forse per settimane, viene fatto svanire dopo che questo si è realizzato: di questo si tratta. Una volta appagata la voglia di dare sfogo ai propri capricci e alle proprie vanità tutto si tratta come se nulla fosse stato, in totale non curanza. Quale altro senso può avere, altrimenti, il volere a tutti i costi un albero di Natale per poi comprarlo - anche a prezzi non proprio economici - e ternelo dentro casa una decina di giorni o poco più? Il Natale è un vezzo per tutti senza che nessuno se ne renda conto, neppure quando è finito. Si vuole a tutti i costi l'albero nuovo e verde, per poi disfarsene dopo pochi giorni una volta esaurito il suo scopo. E' il cielo grigio di qui che rende cupi. Forse sono solo fantasie. Eppure il percorso di questi alberi lasciati per strada non è simile all'indole umana di dimenticarsi di tutto e tutti da un momento all'altro? O meglio, nel momento esatto in cui si ritiene soddisfatto il proprio interesse o non si ritiene più utile continuare ad avere determinati comportamenti. C'è sempre un po' di malinconia quando finisce il Natale. Perchè si sta bene, e forse perchè viene messa a nudo l'umana ipocrisia dell'uomo.

Sunday, 6 January 2013

AS Grifondoro, maggica giallo-rossa

Befana? Macchè, Nimbus

La Befana non esiste. E' meglio chiarirlo subito, una volte per tutte. Purtroppo i babbani hanno dovuto mistificare la realtà creando storie tanto fantasiose quanto assurde per spiegare un fenomeno assai normale per i maghi e ma senza alcun dubbio fuori dalla portata di quanti non credono alla magia: una strega a cavalcioni di una scopa. Alcuni secoli fa una strega sbadata si fece vedere dai babbani volare nel cielo con la scopa. Si trattava dell'addetta alla prova e al collaudo delle Nimbus, i prodotti realizzati dalla stessa azienda di scope da corsa. Si trattò di un incidente pagato a caro prezzo: la legge dei maghi vieta di farsi vedere dai babbani, e così la collaudatrice di scope venne licenziata. Va aggiunta una cosa: quando venne vista, la strega indossava un abito giallo-rosso, (come si può vedere nella rappresentazione dell'epoca, a sinistra). Dire che non si trattò di una casualità è forse scontato: alla Nimbus si tifava Grifondoro. E oggi? Oggi come allora la Nimbus realizza le più veloci scope da corsa mai viste, e capitan Potter - con la sua Nimbus 2000 - è il principale testimonial di questa casa produttrice che tanto ha rivoluzionato il quidditch e non solo. I collaudatori di scopi tifano ancora Grifondoro? Difficile dirlo, dato che si aggirano solo nel mondo della magia.
Ma a Hogwarts c'è chi sostiene di sì dopo aver visto l'ultima collaudatrice di Nimbus, anche lei vestita in giallo-rosso (raffigurata nella foto a destra). I babbani intanto continuano a festeggiare la befana, a pensare che sia una vecchina buona che porta dolci. Tz, babbani!

Saturday, 5 January 2013

Breviario

«Non sono una persona sorridente, ma c'è gente che ha sorriso troppo e ha fatto male all'Italia».
Mario Monti, presentando il simbolo della lista civica "Scelta civica - con Monti per l'Italia" (Roma, 4 gennaio 2012)

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Riflessioni di un giorno piovoso

Piove. Ti dici che è normale, in gennaio. Provi a convincerti che non c'è nulla di strano, semmai di strano è che da quelle che una volta erano le tue parti ci sia stato il sole, nonostante la stagione. Piove. Ti dici che è normale dato che è il Belgio, un paese dove la pioggia è caratteristica forse anche più del cioccolato, delle patate fritte e delle birre. Cerchi di tirarti su con la vita, di farti coraggio, ma guardi quel paesaggio bagnato e lucido di pioggia contornato di profondo grigio scuro e senti che non ce la fai. E' normale, ti dici. Il tempo influisce sull'animo. Ancor più se l'animo è già provato da logoramenti e tormenti interiori. Un bimbo ride e tu ridi con lui senza sapere perchè, o forse invece lo sai e anche piuttosto bene. Ma è un attimo, e il riso è già un ricordo del passato, quasi un gesto inafferrato. Piove. E' incredibile quanto possa intristire un acquazione. Quanta malinconia cade giù insieme a quella pioggia? Te lo chiedi e non rispondi, lasciando in sospeso questa intima riflessione e non perchè non abbia idea della risposta ma perchè, al contrario, la conclusione la conosci già e non ti piace. Piove. E quando pensi di essere caduto per terra anche tu come quelle gocce, ecco che qualcosa cambia. Una risposta che non ti aspettavi ti viene suggerita da chissà chi, e ti trovi a chiederti perchè quella consapevolezza non l'avessi trovata prima. Piove, è vero. Ma quella pioggia l'hai già attraversata mille volte. Quasi sempre ti è scivolata via, qualche volta ti ha inzuppato, ma non ti ha mai scalfito. Non sei mai annegato, neppure quando non avevi ombrelli e le tue scarpette di tela tutto potevano fuorchè fornirti aiuti o protezione. Piove. Ti dici che non ti piace, ma capisci che non puoi evitarlo. Piove. Che ti piaccia o no, questo è il mondo. Non è il tuo mondo ti dici, e anche con qualche ragione. Ma non tutto dipende da te, a partire da questa pioggia. Piove. E' normale, non smetterà mai di farlo. Tu puoi solo continuare a passarci in mezzo. E anche se può sembrarlo, non è cosa di poco conto.