Saturday, 30 June 2012

Il calcio prima di tutto

C'è il Consiglio europeo, si discute delle sorti dell'Euro. Ma di fronte a Italia-Germania non c'è Barroso o Van Rompuy che tengano. Mini-filmato che offre, a livello internazionale, uno piccolo spaccato della categoria (fonte: repubblica.it)

Friday, 29 June 2012

Ue, Bruxelles promuove Monti e salva l'euro

Il Consiglio europeo vede il rilancio in grande stile dell'europeismo dell'Italia, che grazie Monti trova il meccanismo anti-speculazione.
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di Emiliano Biaggio

Hanno vinto Mario Monti e l'Europa. L'intesa sul meccanismo anti-spread raggiunta dall'Eurogruppo nell'ambito dei lavori del Consiglio europeo è infatti il risultato del lavoro del presidente del Consiglio, che torna a Roma con un rinnovato prestigio e una più' forte credibilità sul piano politico interno che su quello diplomatico esterno. Del lavoro del professore beneficia anche e soprattutto l'Europa, che riesce a dotarsi di una serie di meccanismi in grado di tutelare i paesi più fragili dell'Eurozona dagli attacchi speculativi. Un successo più di Monti che dell'Italia: questa la lettura degli addetti ai lavori dell'esito del vertice europeo terminato oggi e che ha varato, tra l'altro, l'atteso pacchetto per la crescita. Le misure adottate dai 17 dell'Eurozona rispondono, infatti, più alle esigenze spagnole che a quelle italiane, e il primo a riconoscerlo è lo stesso Monti: '«La possibilità per il fondo salva-stati di intervenire direttamente per ricapitalizzare le banche è importante soprattutto per la Spagna». Anche perchè ''in questo momento l'Italia - chiarisce Monti - non pensa di attivare il meccanismo», anche se «per il futuro non escludo nulla». L'ha dunque spuntata la Spagna su tutti, ed ecco il motivo perchè si attribuiscono meriti a Monti ma non riconoscimenti per il paese di cui è alla guida. Se l'Italia, pur al momento non interessata all'utilizzo del meccanismo, comunque fortemente voluto, acquista da questo vertice peso e credibilità, è la Spagna che porta a casa le misure di cui ha bisogno. Monti però ha fatto passare la sua linea e la sua politica, e in questo sta la sua bravura. «Abbiamo cercato di fare azione di promozione presso altri paesi di questa idea di forte sinergia tra disciplina di bilancio e misure per la crescita», spiega. Il risultato di questa azione? «Ormai pervada tutte le politiche economiche, mi pare di capire anche quella francese». Le misure per la crescita stabilite a Bruxelles alla fine sono quelle già ampiamente annunciate. Per cui via libera, sul piano politico, alla ricapitalizzazione della Banca europea per gli investimenti: la Bei verrà dotata di 10 miliardi aggiuntivi per mobilitare, si stima, 180 miliardi di nuovi investimenti. Via libera poi ai project bond: i paesi dell'Ue hanno deciso di «lanciare immediatamente»la fase pilota di questi strumenti che dovrebbero permettere investimenti per ulteriori 4,5 miliardi nei settori trasporti, energia e telecomunicazioni. Si' anche all'unione monetaria europea, per la quale dovrà essere predisposta una roadmap entro la fine dell'anno. Il presidente del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy ha dato mandato ai presidenti di Bce, Eurogruppo e Commissione europea di definirla. Una versione preliminare dovrà essere presentata a ottobre, per poi avere un rapporto definitivo entro il 31 dicembre 2012. E poi ancora c'è impegno condiviso ad aumentare la flessibilità nel mercato del lavoro e ad attuare la direttiva europea per la liberalizzazione dei servizi.
Ma il pacchetto crescita ha subito un brusco colpo quando Monti e il suo collega spagnolo, Mariano Rajoy, hanno puntato i piedi sul meccanismo anti-spread. Italia e Spagna hanno fortemente voluto l'adozione del meccanismo, minacciando di fatto il veto sul pacchetto crescita (esprimendo sulla questione una formale «riserva di attesa»). Una mossa sgridata ai capi di Stato e di governo dei paesi fuori l'Eurozona, preoccupati per un possibile nulla di fatto sulla crescita. La presa di posizione italo-spagnola ha indotto Van Rompuy a convocare la riunione dell'Eurogruppo nella notte, e alla fine è arrivata l'intesa sullo strumento con il quale i paesi “virtuosi” (cioè con i conti pubblici in ordine e processi di riforme in atto) possono contrastare la speculazione e di conseguenza il pacchetto per la crescita ha ricevuto l'ok di Monti e Rajoy ed è stato cosi' approvato. Il meccanismo chiesto e ottenuto da Monti prevede che il fondo salva-stati dell'Unione, l'Esm, potrà intervenire in maniera automatica nel caso in cui gli spread di una nazione virtuosa superino una data soglia. Per quei paesi che usufruiranno dell'aiuto dell'Esm non saranno poste condizioni aggiuntive rispetto agli impegni già presi con la Commissione Ue e l'Eurogruppo nell'ambito delle raccomandazioni specifiche per paese. Nè, soprattutto, vedrà interventi della troika (Commissione Ue-Bce-Fmi). Lo Stato interessato al meccanismo anti-spread dovrà comunque fare una richiesta formale di attivazione dell'intervento del Fondo di salvataggio, e sottoscrivere un protocollo d'intesa. Inoltre è prevista la possibilità di ricorrere all'Esm per la ricapitalizzazione diretta delle banche dei paesi dell'Eurozona. Si rafforza infine il ruolo della Banca centrale europea, che agirà per conto dei fondi salva-Stati (Efsf ed Esm) sui mercati, comprando titoli dei paesi e svolgendo un'azione di supervisione. Tutto però dovrà essere definito in maniera tecnica il prossimo 9 luglio, quando si riunirà nuovamente l'Eurogruppo. «Molti colleghi - rimarca Monti nella sua conferenza stampa finale - si sono complimentati, mi hanno detto che la scelta di Italia e Spagna di imporre una discussione approfondita su questi meccanismi ha permesso di uscire da qui con qualcosa di definito». Merito di Mario Monti, che riconsegna all'Italia quel ruolo europeista che Silvio Berlusconi le aveva fatto perdere.

Thursday, 28 June 2012

Mad in Italy, rubrica pseudo-politica da ridere (vol. 55, (la) lotta continua)



Spazio dedicato a cosa succede in Italia. Chi fa che cosa, dove, come e soprattutto perchè. Protagonisti e comparsate nel paese dove tutto (ma proprio tutto!) è davvero possibile.

di Emiliano Biaggio - «Voglio continuare a essere il leader dei moderati». Silvio da Arcore si candida nuovamente a nuova nuova guida del paese. Bossi è finito, Fini è sparito, Monti non durerà. E allora? Allora il cavaliera riorganizza le armate. Ciò che resta del Pdl sconfitto sul campo di battaglia elettorale e dilaniato dalle guerre civili deve andare avanti. Berlusconi ha un solo obiettivo: «Lavorare ogni giorno, con tutte le mie forze, come ho sempre fatto, affinché, terminata la fase comunque transitoria del governo Monti, un centrodestra in parte rinnovato e più ampio torni a guidare il Paese». «Non c'e limite al peggio», commenta il segretario del Pd. Ma si riferisce a Berlusconi o al suo Pd, dove Renzi promette di fare piazza pulita? «Senza fare nomi caro D'Alema, Veltroni, Rosy, Franco Marini, in questi anni avete fatto molto per il paese, per l'Italia, ma adesso anche basta». Renzi “il rottamatore” rottama la vecchia classe dirigente di un Pd votato al cambiamento. Da chi non si sa, però «io credo che noi siamo maggioranza nel Pd, se non lo saremo, prenderemo atto. Non io Matteo, ma noi amministratori. Non siamo extraterrestri». No, è solo il Pd. Che Renzi vuole trasformare. «La nostra scommessa è essere maggioranza». Ci riuscirà? Se Buffon scommette forse sì. Ma intanto «vanno cambiate idee, forme e facce…», dice Renzi. No no, è falso. «Bisogna scartare gli inetti tra i vecchi», dice invece Deborah Serracchiani. Che sbaglia, e infatti Renzi, molto democraticamente, glielo fa notare. «Non si deve per forza stare appiccicati alla poltrona, non l’ha ordinato il medico». A Berlusconi forse invece sì, perchè torna a reclamare il trono di primo ministro perduto per l'avvento della tecnocrazia. «C'è stata una pausa nella democrazia del nostro Paese», attacca Silvio da Arcore. Tanto tempo fa, in un terra neanche a noi troppo lontanta, «c'era un governo democraticamente eletto, che stava governando in modo certamente non abominevole, ma a un certo punto c'è stata la crisi dello spread e delle Borse e sono arrivati i nominati dal presidente della Repubblica ma la situazione non è cambiata». Questo dimostra che «non era colpa mia» se le cose andavano male. Così come non è colpa sua se la sua trasformazione dell'Italia non è avvenuta. «Chiedo scusa agli italiani, nel 1994 li ho illusi. Mi ero impegnato a mettere in atto una rivoluzione liberale. Non ci sono riuscito, ma mi illudevo che si potesse fare». Il problema, rivela Berlusconi, è che «mi sono reso conto solo dopo delle difficoltà: io sono un perseguitato dalla giustizia. Ieri mattina si è tenuta la 2.637ma udienza contro di me». L'in nero cavaliere pronuncia quindi il suo proclama col quale annuncia la sua nuova discesa in campo. «Se dovessi rispondere a chi mi chiede se oggi io abbia ancora intenzione di dedicarmi alla politica e dedicarmi al Paese, io dovrei rispondere in un solo modo: “Sì io ci sto, ma mi dovete dare il 51 per cento”». Il che significa governabilità e possibilità di fare quello che vuole. Tipo mettere una croce sopra la magistratura. «Io stesso, fino ai primi momenti di Mani Pulite, conservavo, pur con crescenti perplessità, quella fiducia nei magistrati che mi aveva insegnato mio padre», ammette Berlusconi. Che poi tornara ad affondare il colpo contro le toghe rosse. «Se c'è una cosa che non perdonerò mai a certi magistrati è proprio il fatto di aver distrutto questo sentimento, che era un valore e un ideale». Ma il Berlusconi che verrà non scenderà a patti col nemico. «La sinistra, quando vince, non scende a patti», denuncia alla nazione. «Quando nel 2006 prevalsero per 24.000 voti alle elezioni politiche proponemmo un governo di unità nazionale per gestire il paese spaccato a metà. Non si peritarono neppure di rispondere». Nel Pdl, invece, «non abbiamo esitato a farci da parte perchè abbiamo ritenuto che questo sarebbe stato più conveniente per il paese al fine di consentire una larga convergenza di fronte all'emergenza. Questa è la differenza tra noi e loro». Oltre al fatto che loro non hanno una ricetta anti-crisi e Berlusconi sì. «Cominciamo a stampare euro noi con la nostra Zecca...», suggerisce il premier che fu ignorando che stampare euro è una prerogativa della sola Banca centrale europea. «Era una battuta, detta tra l’altro con ironia», spiega in una nota diffusa per chetare la solita stampa che mistifica la realtà. «Che venga scambiata per una proposta, è cosa grave per chi dice di fare informazione». Però a dire il vero proprio una battuta ironica non era. «Ho lanciato l'idea di domandarsi se noi, e gli altri Stati, non si abbia la convenienza, qualora la Bce non abbia poteri più forti, di uscire noi dall'euro: apriti cielo, mi hanno accusato di tutto e invece non è poi una cosa così peregrina, certamente avremmo il vantaggio di poter svalutare la nostra moneta, all'occorrenza». E comunque «la Bce sia più forte o la Germania esca dall'euro». Berlino tace, la presidente dei senatori del Pd invece no. «Da Berlusconi, che ha governato fino a qualche mese fa contribuendo a portare il Paese nell'attuale situazione di difficoltà, non accettiamo stupidaggini travestite da lezioni di economia». Ad Anna Finocchiaro fa eco il suo leader, Pierluigi Bersani. «Vorrei che Berlusconi ci evitasse queste uscite». Bersani, per una volta non sei solo...

Tuesday, 26 June 2012

Egitto, Israele pensa a batteria radar sul confine

La vittoria dei Fratelli Musulmani preoccupa lo stato ebraico, che sarebbe pronto a militarizzare la frontiera.
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Lo stato di Israele
 di Emiliano Biaggio

Evidentemente Israele non si fida del nuovo Egitto, perchè sta pensando di schierare un sistema satellitare di intercettazione missili lungo l'intera frontiera che separa lo Stato ebraico dalla repubblica araba musulmana d'Egitto. La situazione lungo il confine sud si è andata deteriorando man mano che Hosni Mubarak ha perso potere: prima è stato riaperto il valico di Rafah, che il vecchio presidente provvedeva ad aprire a singhiozzo, e adesso la vittoria del partito Libertà e giustizia – espressione politica del movimento dei Fratelli musulmani – agita il sonno di molti politici israeliani e di altrettanti ufficiali di Tzahal, le forze armate israeliane. Per il momento sembra si tratti solo di indiscrezioni, che non sono state confermate a livello ufficiale. Ma queste voci non sono state neppure smentite, segno che quest'idea evidentemente è quantomeno presa in considerazione e ritenuta percorribile. Non sarebbe infatti un problema per il governo di Tel Aviv: il sistema radar che si sta pensando di installare è analogo a quello che Israele già utilizza lungo le frontiere con il Libano e la Striscia di Gaza. Il muro già eretto al proprio a sud, lungo il confine egiziano, non basta più a contenere le spinte anti-israeliane degli integralisti islamici e quindi Israele pensa a delle contromisure. E' un dato di fatto che nella regione del Sinai, a ridosso della frontiera israelo-egiziana, gruppi di integralisti filo-palestinesi abbiano preso a sparare missili Katyuscia dall'Egitto verso Israele. Solo questo mese due razzi sono caduti nel Negev, nel sud dello stato ebraico. Si teme dunque un'escalation della tensione e, soprattutto, delle offensive di questi piccoli gruppi di attivisti. Ad avvalorare la tesi di una militarizzazione del confine con l'Egitto le perplessità espresse dal ministro della Difesa di Israele, Ehud Barack. «Ci aspettiamo che la nuova leadership egiziana rispetti tutti gli accordi internazionali, compreso il trattato di pace con Israele». Dichiarazioni che dimostrano come ad Israele non si fidino troppo di Morsi, e che non si dia nulla per scontato.
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Monday, 25 June 2012

L'Islam sotto le piramidi

I Fratelli Musulmani vincono le elezioni in Egitto, che segna la svolta coranica.
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Mohammed Morsi
l'e-dittoreale

Da repubblica araba a repubblica araba e islamica. L'Egitto cambia. E lo fa radicalmente. Le elezioni nel paese che fu di Mubarak segnano la vittoria dei Fratelli Musulmani, formazione di matrice coranica che promette di cambiare il paese in senso democratico. Mohammed Morsi ottiene il 51,7% dei voti e diventa il nuovo presidente dell'Egitto. «Siamo arrivati a questo momento grazie al sangue versato dai martiri della rivoluzione. L'Egitto – annuncia il neopresidente – inizierà una nuova fase della sua storia». Il punto è capire quale fase si aprirà, se quella di uno stato arabo moderno o quella di un nuovo sultanato stile medio-Oriente. Nessuno si aspettava che dopo decenni di regime di Mubarak il popolo egiziano scegliesse la soluzione dell'integralismo religioso, tutti speravano che fossero altri gli interlocutori con cui dover a che fare. Ma la democrazia ha in sé queste e altre variabili. O inconvenienti. Sembra di rivivere la situazione della Palestina, dove le elezioni libere e democrattiche volute dall'Occidente – Stati Uniti su tutti – scontentarono l'intero scacchiere mondiale perchè dalle urne uscì vincitore quell'Hamas – islamico e integralista come il movimento dei Fratelli Musulmani – che tutti davano per sconfitto. In quel caso i pionieri della democrazia furono i primi a riconoscere che in quel frangente la democrazia non funzionò, e l'esito di quelle elezioni venne ignorato. Le consultazioni vennero considerate nulle e Hamas divenne improvvisamente un movimento terroristico, finendo nella lista nere delle organizzazioni da abbattere. Merito della pressione di Israele, oggi più che mai preoccupato da cosa succederà adesso che i Fratelli Musulmani – quelli che simpatizzano per i fratelli arabi palestinesi – controllano un paese la cui stabilità e soprattutto il non coinvolgimento nell'infinita questione israelo-palestinese sono di fondamentale importanza. Hosni Mubarak manteneva una situazione di stabilità alle relazioni bilaterali, anche se questo non coincideva con i sentimenti di gran parte del popolo egiziano. Il nuovo leader del paese dei faraoni ha promesso che «manterremo tutti gli accordi e i trattati internazionali perché siamo interessati alla pace dinanzi a tutto il mondo». Il riferimento evidente è all'accordo di pace firmato nel 1979 dall'Egitto con Israele, da sempre criticato dagli islamisti e ancora difficile da digerire all'interno del movimento di Morsi. Bisogna come si evolverà questo islamismo legal-democratico organizzato nel Partito Libertà e Giustizia, espressione dello stesso gruppo islamista e presieduto dallo stesso Morsi, che ha rinunciato alla sua attività di militanza per guidare un paese da ricostruire. La storia insegna che i movimenti islamici con la democrazia ben poco si sposano e difficilmente si trovano, che quasi mai si coniugano con la dignità della donna, eguaglianza di diritti, tolleranza e progressismo. L'Egitto, che da quando esiste non ha mai avuto altro che dei, faraoni, re e capi autoritari, non può imparare a volare in un battito d'ali. I problemi del paese restano allo stato delle cose irrisolti. Bisogna capire che ne sarà della minoranza cristiana ora che i musulmani hanno il potere, ma soprattutto bisogna coinvolgere la popolazione nel cambiamento: ha votato solo il 51% degli aventi diritto. C'è la metà della nazione da dover includere nella vita del paese. Un segno inequivocabile di questa volontà deve darla Morsi, che nelle trattative per la formazione del nuovo governo dovrà consultare tutte le diverse forze sociali e politiche. E' l'auspicio del governo degli Stati Uniti, il primo a congratularsi col nuovo presidente per il successo elettorale auspicando, non a torto, che l'Egitto rimanga «un pilastro di pace, sicurezza e stabilità regionale». Questa è l'incertezza più grande del nuovo Egitto, il meno laico di sempre e il più coranico che mai.

Rehn: «Presto il nostro staff a Madrid»

Il commissario Ue per gli Affari economici e monetari attiva la task force europea per la Spagna dopo la richiesta formale di Madrid di aiuti per le banche.
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Olli Rehn
di Emiliano Biaggio
 

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La Commissione europea non perde tempo e già lavora al salvataggio delle banche spagnole. Dopo la lettera del governo di Madrid in cui si chiede formalmente e ufficialmente aiuto all'Eurogruppo per il settore bancario spagnolo, Olli Rehn ha immediatamente attivato la sua squadra. «Ho dato istruzioni al nostro staff di iniziare i lavori per una valutazione dello stato del settore bancario spagnolo e per vedere di cosa ha bisogno», ha detto il commissario europeo per gli Affari economici e monetari, che ha accolto «positivamente» la richiesta formale di Madrid. I tecnici della Commissione europea, ha aggiunto, saranno «presto» nella capitale spagnola. L'assistenza, ha ribadito Rehn, sarà data «insieme agli staff dell'Autorità bancaria europea (Eba), della Banca centrale europea (Bce) e del Fondo monetario internazionale (Fmi)». La Spagna riceverà aiuti «in forma di prestiti Efsf ed Esm», i due fondi salva-stati dell'Ue. Il secondo (l'Esm) dovrebbe entrare in funzione l'1 luglio (a condizione che gli stati che contribuiscono per il 90% delle risorse ne ratificano il trattato di entrata in vigore per quella data, cosa che non sembra sarà rispettata), e si procederà dunque con l'assistenza da Efsf. «Se dobbiamo iniziare a fornire assistenza dobbiamo farlo con gli strumenti che abbiamo a disposizione», ha spiegato il responsabile per l'Economia della Commissione Ue. Ancora tutte da definire le condizioni per la concessione del prestito, ma da Bruxelles fanno sapere di voler chiudere - e firmare - un protocollo d'intesa nel giro di «qualche settimana». Il tema finirà dunque nell'agenda dei lavori della prossima riunione del Consiglio europeo di giovedì e venerdì prossimi. Intanto Rehn ha già anticipato che le condizione che verranno imposte alla Spagna «si concentreranno su riforme specifiche del settore bancario». Tra queste alcune condizioni riguarderanno i piani di ristrutturazione, che «dovranno rispettare in pieno le regole Ue in materia di aiuti di stato». Inoltre si chiederanno condizioni generali per tutte le banche spagnole, non solo quelle aiutate, come «requisiti di supervisione e di regolazione» degli istituti di credito. Rehn ha quindi chiesto all'esecutivo di Mariano Rajoy di «continuare ad attuare le riforme necessarie per correggere il deficit eccessivo».

Sunday, 24 June 2012

Mad in Italy, rubrica pseudo-politica da ridere (flashback: vol. 53 bis, parte II - Lega ladrona)

Spazio dedicato a cosa succede in Italia. Chi fa che cosa, dove, come e soprattutto perchè. Protagonisti e comparsate nel paese dove tutto (ma proprio tutto!) è davvero possibile.


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di Emiliano Biaggio - La situazione per la Lega intanto si fa sempre più insostenibile: dalle telefonate intercettate tra l'ormai ex tesoriere del Carroccio Belsito e Dagrada, emerge il sommerso: «Tu – dice Delgrana a Belsito – al capo precisi la cosa del discorso soldi. Castelli vuole andare a vedere la “cassa” e quelli che sono i problemi, perché comunque tu non è che puoi nascondere quelli che sono i “costi della famiglia”, cioè da qualche parte vengono fuori». Sì, dalle sviste di altri. Dei revisori dei bilanci della Lega, ad esempio. In sei – tre esterni e tre interni – non facevano nulla. «Io – ammette candidamente Dagrada – gli preparavo tutta la relazione, gliela inviavo e loro non facevano altro che firmarmela... non guardavano un cazzo». Colpa loro che sono dei fannulloni, quindi. No?! 'Fannulloni? Vergogna!', tuona Brunetta. 'Renato, vedi che non sei più ministro', gli ricordano. 'Ah, già'. Comunque, ci sono da giustificare «i costi liquidi dei ragazzi di Renzo». Sono «151.000» euro, dice Belsito, ex tesoriere al corrente dei conti e dei conti corrente. «No – corregge Dagrada – 251mila euro sono i ragazzi, ma sono fuori gli alberghi, che non ti riesco a scindere quando girano con lui, mi entrano nel cumulo e riprendere tutte le fatture è impossibile». Alessandro Marmello, autista e bodyguard di Renzo Bossi, sente che le cose si mettono male e di fatto si costituisce. «Non ce la faccio più, non voglio continuare a passare soldi al figlio di Umberto Bossi in questo modo», si sfoga. Si, ma quale modo? «E' denaro contante che ritiro dalle casse della Lega a mio nome, sotto la mia responsabilità. Lui incassa e non fa una piega, se lo mette in tasca come fosse la cosa più naturale del mondo. Adesso basta, sono una persona onesta». La persona onesta spiega meglio: «Poteva essere la farmacia, ristoranti, la benzina per la sua auto, spese varie, cose così. Insomma, quando avevo finito la scorta di denaro andavo in cassa, firmavo e ritiravo. Mi è capitato anche di dover fare il pieno di benzina pure per la sua auto privata». Ovviamente si tratta di «soldi pubblici, almeno credo, non spendibili per accontentare le spese personali di Renzo Bossi». La casata padana più influente del regno del nord è in crisi, e come se non bastasse su re Umberto si abbatte le profezia di Nadia Dagrada, intercetta dagli inquirenti. «Se queste persone mettono mano ai conti del Federale – dice a Francesco Belsito riferendosi proprio agli investigatori – vedono quelle che sono le spese della moglie, dei figli, e a questo punto salta la Lega». Che infatti salta. Si dimette Renzo Bossi. «Ha fatto bene a dimettersi, erano due mesi che mi diceva che era stufo di stare in Regione», commenta il padre. Rosi Mauro viene espulsa dal consiglio federale del partito, e alla fine anche re Umberto cede e abdica. «Mi dimetto per il bene del movimento e dei militanti», annuncia al popolo padano. «La priorità è il bene della Lega e continuare la battaglia». Il partito quindi c'è ancora, messo nelle mani dei triumviri reggenti Roberto Maroni, Roberto Calderoli e Manuele Dal Lago. «Nessuno mi ha chiesto le dimissioni», fa sapere l'Umberto che fu signore di Padania. «L'ho deciso io, perchè ero di intralcio, ma il fatto che io abbia dato le dimissioni non vuol dire che io scompaia». Una promessa o una minaccia? «Resto nella Lega, da ultimo sostenitore o da segretario io resto sempre a disposizione della causa». Bossi cerca di salvare la faccia, almeno quella. «Chi sbaglia paga, qualunque sia il cognome che eventualmente porti». E così si fa da parte. E' il 5 aprile 2012: a vent'anni esatti dalle elezioni del '92, prima vera vittoria politica della Lega Nord, Umberto Bossi si dimette. Si chiude un'era politica. Ma continua tutto il resto. (2 di 2, the end)

Mad in Italy, rubrica pseudo-politica da ridere (flashback: vol. 53 bis, parte I - Lega ladrona)


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Spazio dedicato a cosa succede in Italia. Chi fa che cosa, dove, come e soprattutto perchè. Protagonisti e comparsate nel paese dove tutto (ma proprio tutto!) è davvero possibile.
 
 di Emiliano Biaggio - «La Lega è pericolosa, perché è sotto l'occhio non solo di Roma farabutta che ci ha dato questo tipo di magistrati ma anche della militanza, quindi bisogna fare le cose giuste che interessano la gente». Re Umberto tuona dall'alto dell'alta Italia. Se la prende con il governo centrale e con l'Italia (strano, eh?) e con i magistrati. Alt: coi magistrati? Sì sì. Ma parla Bossi o Berlusconi? Parla Bossi, che non gradisce le indagini sul suo partito. «A mio parere sa tanto di organizzato», commenta Umberto da Cassano Magnago. Il problema è che anche le forze dell'ordine pensano lo stesso, che la Lega sia in realtà un centro del crimine organizzato. 'Centro? Noi non siamo terroni!', rispondono le camicie verdi. «Noi siamo nemici di Roma padrona e ladrona», continua Bossi. Peccato che a essere ladrona è proprio la sua Lega. Il suo tesoriere, Francesco Belsito indagato per truffa ai danni dello Stato, riciclaggio e appropriazione indebita. Possibile? Possibile. Ben tre procure (Milano, Napoli e Reggio Calabria) avviano un'inchiesta sui finanziamenti della Lega e scoprono quello che tutti non avrebbero mai pensato. Fino a oggi, ovviamente. Che la Lega ha molti scheletri nell'armadio e ancor più soldi nel materasso. Dalle telefonate intercettate tra l'ormai ex tesoriere del Carroccio, Francesco Belsito, e Nadia Dagrada, segretaria amministrativa del partito, viene fuori la lista della spesa. Nel rendiconto non ufficiale delle uscite del partito ci sono «i costi di tre lauree pagate con i soldi della Lega», «i soldi per il diploma di Renzo Bossi», «i 670.000 euro per il 2011 e Nadia – spiega Belsito – dice che non ha giustificativi, oltre ad altre somme ingenti per gli altri anni». Ci sono poi «le autovetture affittate per Riccardo Bossi (figlio di re Umberto, nda), tra cui una Porsche», «i costi per pagare i decreti ingiuntivi di Riccardo Bossi», «le fatture pagate per l'avvocato di Riccardo Bossi», «altre spese pagate anche ai tempi del precedente tesoriere Balocchi», «una casa in affitto pagata a Brescia», «i 300.000 euro destinati alla scuola Bosina di Varese per Manuela Marrone», la moglie del grande capo padano. Questi 300.000 euro, scrivono i carabinieri, sono soldi « che Belsito non sa come giustificare, presi nel 2011 per far fare loro un mutuo e che lui ha da parte in una cassetta di sicurezza». Fantascienza. Macchè. Nei conti che tiene Belsito c'è tutto e anche di più: nella cartella denominata “the family” c'è tutto quello che la reale famiglia di re Umberto ha speso in questi anni di leadership assoluta. Ci sono anche 130.000 di altre spese. A cosa sono servite? Semplice, «per il diploma e la laurea di Rosy Mauro e del suo compagno Pier Moscagiuro». Una volta c'erano le scuole di partito, oggi invece i partiti mandano a scuola. Come cambia il mondo. Così la vicepresidente del Senato, la vice della seconda carica più importante dello Stato, si paga lauree – la sua e quella del compagno – con i soldi dei contribuenti. «Anche Renzo dal 2010 sta prendendo una laurea in un'università privata di Londra», spiega ancora ai magistrati la segretaria del partito di Bossi. «So che ogni tanto ci va a frequentare e chiaramente le spese sono tutte a carico della Lega, ed anche qui credo che il costo sia sui 130.000». Come no! Gli inquirenti mettono le mani su un diploma di laurea ottenuto dal figlio del Senatùr il 29 settembre del 2010 all'Università “Kristal” di Tirana”, dove Renzo Bossi detto “il trota” ha conseguito una laurea in gestione aziendale alla facoltà di economia aziendale. Uno di quegli investimenti sicuri e ben oculati, visto che l'Albania non fa parte dell'Unione europea e le lauree di questo paese non sono riconosciute.
«La Lega è parte lesa», accusa l'ex ministro dell'Interno Roberto Maroni. Lesa da chi? Le carte sembrano dire da Bossi. Macchè. «Chiunque conosca Umberto Bossi e la sua vita personale e politica, non può' essere neanche lontanamente sfiorato dal sospetto che abbia commesso alcunche' di illecito», dice l'ex premier Silvio Berlusconi. Peccato che le tre procure qualche sospetto invece ce l'abbiano. «Altro che Roma ladrona», irride Felice Belisario, presidente dei senatori dell'Idv. «La Lega che si e' sempre messa sul piedistallo dell'integrità morale, adesso si ritrova nei guai fino al collo». Vero. Belsito si dimette, come peraltro chiesto da Maroni e dai maroniani. «Maroni non è un Giuda», sottolinea Bossi. «Sono stato io a chiedere a Belsito si dimettersi, per fare chiarezza. E lui si è dimesso», fa sapere nel tentativo di placare il putiferio e le polemiche. Ma non ci riesce, perchè dalle indagini emergono «esborsi effettuati per esigenze personali di familiari del leader della Lega Nord», come i lavori di ristrutturazione della villa di Gemonio di Umberto Bossi, soggiorni e cene ai figli di Bossi e aRosi Mauro. «Denuncerò chi ha utilizzato i soldi della Lega per sistemare la mia casa», annuncia re Umberto, anche lui come Scajola circondato da amici sconosciuti ma generosi che comprano o ristrutturano case. (1 di 2. to be continued...)

Friday, 22 June 2012


Originali, spiritose, goliardiche? Oppure trash, kitch e di pessimo gusto? E' aperto il dibattito. Certo è che queste mutande non possono far discutere, in un modo o nell'altro. Ma viene da chiedersi: chi avrebbe mai il coraggio di regalarle alla propria lei? Eppure fa parte delle dieci lingerie più eccentriche da regalare a una donna. Che ci crediate o no, esiste una speciale collezione intimo unisex, pensata esclusivamente per lei, composta da soli indumenti di dubbio gusto ma certamente diversi dal solito. Tra la linea esclusiva anche queste mutande con pelo finto. Il motivo? Ma è semplice: tira più un pelo di...




Thursday, 21 June 2012

Parlamento Ue, sì all'agenzia di rating europea

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La commissione Problemi economici ha dato il via libera per l'avvio delle consultazioni attivando l'iter.
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Leonardo Domenici
 di Emiliano Biaggio

Il Parlamento europeo è favorevole all'istituzione di un'agenzia di rating dell'Ue. Nel corso dell'esame della relazione sulle “nuove disposizioni per responsabilizzare le agenzie di rating”, la commissione Problemi economici del Parlamento europeo ha deciso di compiere i primi passi verso la creazione di un istituto col compito di valutare i titoli obbligazionari emessi dai paesi membri. L'organismo parlamentare ha approvato quella parte che prevede l'avvio del processo per la costituzione di un'agenzia di rating europea, compito che spetterà alle istituzioni comunitarie esistenti. Allo stesso tempo tutti soggetti finanziari regolati (banche, assicurazioni, fondi d'investimento) saranno tenuti – secondo il testo adottato – a produrre un proprio quadro di autovalutazione, così da essere già preparati ad affrontare i propri rischi. Ancora, la proposta di legge Ue vuole impedire agli istituti regolamentati di vendere asset nel momento in cui dovessero subire un declassamento.
Per garantire una maggiore trasparenza dell'operato delle agenzie che oggi danno giudizi agli stati (Moody's, Fitch, Standard&Poor's), a queste si chiede di fornire prova documentata dell'imparzialità dei propri giudizi, introducendo la validità del principio della responsabilità civile per questi soggetti. «Queste agenzie devono assumersi la loro responsabilità civile» per gli effetti che i loro giudizi possono avere, sostiene Leonardo Domenici (S&D), relatore della relazione. Il diritto a cui le agenzie di rating devono rispondere, a suo giudizio, quello del paese di residenza dell'investitore. Ma non è finita qui. Le agenzie, denuncia Domenici, «sono spesso costruire su un conflitto di interessi», in quanto «sono finanziate dalle stesse persone che vengono valutate». La legislazione proposta dal Parlamento europeo propone quindi di introdurre una clausola che vieta all'agenzia di valutare un credito su richiesta di una persona che detiene più del 5% del capitale o il diritto di voto nell'agenzia, o che è nella posizione di esercitare un'influenza significativa nel suo settore d'attività. Sempre in ragione del conflitto di interessi denunciato da Domenici a un'agenzia non deve essere permesso di dare giudizi su soggetti che detengono più del 2% del suo capitale. Su tutte queste misure adesso il Parlamento può avviare i negoziati con le parti interessate, e non è escluso che il tema di un'agenzia di rating comunitaria possa finire sul tavolo del prossimo consiglio europeo.

Tuesday, 19 June 2012

AS Grifondoro, maggica giallo-rossa

I babbani pensano che sia un'altra trovata di quella casa di giocattoli chiamata Lego, e ritengono dunque che i pupazzetti qui raffigurati non siano altro che nuovi protagonisti di chissà quale nuova linea per bambini. Tze. Babbani! Nel mondo dei non babbani non c'è mago o strega che non sappia chi siano i pupazzetti qui raffigurati: capitano Potter e la sua squadra. Proprio così: nessuna magia, ma solo realtà. Se preferite, un mito. Perchè la squadra del Grifondoro è magica, è vero, ma anche qualcosa di più. La compagine di quidditch più giallo-rossa e più popolare di tutta Hogwats è talmente fantastica da meritarsi una serie di riproduzioni per i più piccoli. Anche se, va detto, che anche se originariamente tali riproduzioni erano state concepite per i giovanissimi maghetti e le giovanissime streghette, ormai queste rappresentazioni dei grandi dello sport nazionale del regno della magia sono un culto per maghi e streghe di tutte le età, ovviamente tutti sostenitori della magica giallo-rossa. Pare che, esattamente come i personaggi delle figurine contenute nella caramelle "tutti i gusti più uno", anche queste simpatiche riproduzioni in plastica di Potter e compagni ogni tanto si stufino di stare immobili e inizino a svolazzare per tutta casa e inscenare partite di allenamento di quiddich. Ma niente paura, con delle apposite formule magiche si può impartire ordini precisi a questi campioni in miniatura. Questo i babbani non possono saperlo, e continueranno a pensare che si tratti solo di una banale linea di giocattoli. Peccato. Ma in fin dei conti i babbani sono babbani. E il Grifondoro è il Grifondoro. E nel regno (sportivo) della magia è risaputo: c'è solo l'A.S. Grifondoro!

Monday, 18 June 2012

Gibilterra, nuove tensioni Spagna-Gran Bretagna

Visite ufficiali inglesi sgradite alla corona spagnola riaprono una disputa mai chiusa.
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Gibilterra
 di Emiliano Biaggio

Gibilterra torna ad agitare le acque del Mediterraneo. Spagna e Gran Bretagna riaccendono improvvisamente una disputa mai risolta, e che la corona di Spagna vuole decidere una volta per tutte. Scaramucce e provocazioni rendono improvvisamente l'aria carica di tensione. Dal 1713 la Gran Bretagna possiede e controlla la città e il castello di Gibilterra, insieme al porto e alle fortificazioni. Ma il trattato di Utrecht, firmato quell'anno tra le due corone, non concesse ai britannici né l'istmo, né le acque territoriali né lo spazio aereo, lasciando il controllo del punto di accesso al Mediterraneo una disputa che continua ancora oggi. La gestione delle acque è motivo di continue tensioni i due governi, e lo è ancor di più dopo che il governo di Gibilterra – dipendenza britannica - ha revocato ai pescherecci di Algesiras e de La Linea (Cadice) – comuni spagnoli – il permesso di pescare nelle acque circostanti la Rocca.
La settimana scorsa (era il 13 giugno), a Gibilterra sono “sbarcati” in visita ufficiale il principe Eduardo - il primogenito di Elisabetta II - con sua moglie. I conti di Wessex sono rimasti per tre giorni, ma il punto è che in Spagna ha dato fastidio anche solo la presenza degli esponenti della casa reale britannica. Immediata la replica delle autorità di Madrid: il governo spagnolo ha annullato il viaggio a Londra della regina Sofia, precedentemente previsto per partecipare alle celebrazioni del Giubileo di Elisabetta II, vale a dire il sessantesimo anniversario dell'incoronazione della sovrana del Regno Unito. A rendere ancor più incandescente la situazione la gigantografia della regina Elisabetta II, alta un'ottantina di metri, proiettata da Gibilterra sulla Rocca, visibile solo dal versante spagnolo della località de La Linea, considerata da Madrid un'ulteriore provocazione. Madrid risponde quindi un con una provocazione: mercoledì re Juan Carlos in persona visiterà la caserma della guardia civil nella baia di Algesiras, nello Stretto di Gibilterra.
Una volta erano conosciute come le colonne d'Ercole, il confine che si pensava dividesse il mondo umano e quello divino. Una frontiera dove si pensava finisse il mondo, un varco oltre il quale le destinazioni erano ignote e i destini segnati. Oggi quelle colonne d'ercole dello stretto di Gibilterra non fanno più tanta paura, ma continuano a rappresentare un punto incerto sulle mappe di navigazione di ogni imbarcazione.

Sunday, 17 June 2012

bLOGBOOK - Parlando con uno sconosciuto


Parlando con uno sconosciuto

 «Sono scappato dal mio paese, sono scappato dalla dittatura». Mahmud non ha alcun problema a ricordare il suo passato, un passato che per quanto distante è sempre presente. «Ormai sono vent'anni che vivo qui in Belgio...». Lascia la frase in sospeso. Si capisce che avrebbe tanto da raccontare, molto da dire, ma non sa da che parte cominciare. Oltretutto il suo inglese non è così fluente come lo sono le altre due lingue che parla, il francese e l'olandese. Oltre alla sua lingua madre: il farsi. «Ormai sono un cittadino belga, ma sono nato in Persia». Non lo chiama Iran, come gli ayatollah hanno voluto dopo la rivoluzione teocratica e la cacciata dello scià. Ma la differenza d'età è tale ed è da talmente tanto tempo che il suo paese non viene più chiamato come lo chiama ancora lui che Mahmud si trova costretto ad aggiornare i suoi ricordi. «Conosci il mio paese? E' l'Iran». E' da lì che è venuto via Mahmud, all'inizio degli anni Novanta, quando ormai fu chiaro a chiunque che la fine della monarchia non fu quell'ondata di cambiamento che ci si attendeva.
Oggi Mahmud ha un negozio di abbigliamento lungo una delle vie principali di Saint Gilles, quartiere molto trendy di Bruxelles. Nella sua auto, un suv nuovo, un seggiolino sta a testimoniare come qui quest'esule si sia rifatto una vita. Non parla della sua vita privata, preferisce piuttosto parlare della sua nuova vita. «Il Belgio ha fatto tanto per me, e io ogni giorno cerco di ripagare la fiducia e gli sforzi che questo paese hanno fatto per me». Ormai ha preso la cittadinanza, parla le due lingue ufficiali, sta studiando la storia del paese, paga le tasse. E come può dà una mano. Bruxelles è un punto di transito, crocevia per gente che cerca nuove esperienze, nuove occasioni, nuove possibilità. E sono molte le persone che qui possono avere bisogno di aiuto, anche solo di semplici informazioni. Mahmud questo lo sa, ed è per questo che non ha esitato ad accompagnarmi là dove dovevo andare.
«Così anche tu sei scappato», mi dice dopo aver sentito la mia storia. Per lui noi due siamo uguali: siamo auto-esiliati. Anche se per motivi completamente diversi. «Quando decidi di abbandonare il tuo paese decidi di abbandonare il tuo paese, e poco importa cosa ti spinge a farlo». Mahmud ha ragione: sapere cosa ti porta via non è che un dettaglio. «Vai via perchè dove stai non puoi più vivere, e ti fermi dove puoi farlo». Mahmud lo sa meglio di tanti altri, ha la sua personale esperienza di vita a supportare la veridicità delle sue parole. «Certo, all'inizio tutto è difficile, tutto ti sembra insormontabile: lasci gli amici, gli affetti, arrivi in un mondo che non è il tuo... Però alla fine capisci che stai bene e allora resti». Lui l'ha fatto, e ormai non torna indietro. Dopo vent'anni tutto cambia, e anche le nostalgie svaniscono. «Sono nato in Persia, ma ormai sono cittadino belga», ripete. «Certo, il tempo è quello che è...». Dopo tutti questi anni Mahmud non si è ancora abituato a questo clima, a queste stagioni che giocano a nascondino. Si può capirlo, del resto. Ma ci sono cose che non si possono cambiare. «Ho cambiato vita e ho cambiato paese, quello che doveva fare l'ho fatto. Cos'altro dovrei fare? E poi meglio non pretendere troppo».

Friday, 15 June 2012

"I soldi della Cia al Dalai Lama"

La Sueddeutsche Zeitung: nel 1951 il leader della non violenza approvò la lotta armata. Gli Usa addestrarono per anni i guerriglieri, salvo poi sacrificare l'appoggio alla causa per la realpolitik e la normalizzazione dei rapporti con la Cina.

 Di Andrea Tarquini per Repubblica.it 

Il Dalai Lama sapeva dall'inizio dell'appoggio della Cia, i servizi segreti americani, alla lotta armata del popolo tibetano contro l'occupante cinese. A quanto pare approvò, pur essendo simbolo mondiale della non violenza. Cominciò con impegni segreti Usa col legittimo governo tibetano, dunque col Dalai Lama in persona, dal 1951 al 1956, dopo la brutale occupazione cinese del Tibet nel 1950. La storia è narrata dagli investigative reporters della Sueddeutsche Zeitung, e sicuramente avrà provocato salti di gioia all'ambasciata cinese a Berlino. I primi contatti risalgono a un anno dopo l'aggressione cinese. Sono tra il Dalai Lama e agenti americani attraverso l'ambasciata Usa a New Delhi e il consolato a Calcutta. Il Pentagono assicurò al Dalai Lama in persona, scrive la Sueddeutsche, armi leggere e aiuti finanziari al movimento di resistenza. Nell'estate 1956, l'operazione della Cia in Tibet diventa un dossier a sé, assume il nome di "ST Circus".
Si propone, dicono carte segrete e testimonianze dei veterani Cia come John Kenneth Knaus, di "fare il possibile per tenere in vita il concetto di un Tibet autonomo". E "sviluppare resistenza contro sviluppi in Tibet guidati dalla Cina comunista". Knaus racconta il suo primo, freddo incontro con il Dalai Lama. Washington si impegnò ad addestrare guerriglieri tibetani nella lotta armata contro l'occupante cinese, ad armarli, e anche a versare 180mila dollari l'anno, scrive il quotidiano liberal di
Monaco citando un presunto dossier segreto, "somme dichiarate come aiuto finanziario al Dalai Lama".
Ai memorandum della Cia seguirono i fatti. I guerriglieri tibetani furono addestrati in campi segreti prima in isole dei mari del sud, poi a Camp Hale sulle montagne rocciose, dove le condizioni climatiche erano simili a quelle tibetane. I contatti col Dalai Lama e col suo seguito c'erano sempre, anche durante la sua avventurosa fuga dal Tibet occupato a Dharamsala in India. I guerriglieri addestrati dalla Cia furono fino a 85mila, la loro organizzazione si chiamava "Chushi Gangdrug". (continua a leggere)

L'idea Ue: un "commissario" speciale per il Tibet

Il Parlamento europeo approva una risoluzione a sostegno del territorio che fu occupato dai cinesi, in un atto di umanità a un popolo oppresso e in un atto di sfida alla Cina. E alla Commissione Ue.

di Emiliano Biaggio

La situazione in atto in Tibet preoccupa l'Europa, tanto da indurre il Parlamento Ue a chiedere all'alto rappresentante della Politica estera dell'Ue, Cathrine Ashton, di istituire un responsabile per la regione cinese, una sorta di "commissario" speciale per il Tibet. Con una mozione approvata dall'Assemblea a Strasburgo, si esorta la nomina di «un coordinatore speciale per la promozione dei diritti umani in Tibet», che «riferisca regolarmente della situazione e fornisca assistenza ai rifugiati tibetani».
  Il testo, approvato a larga maggioranza, è stato presentato a seguito del deteriorarsi della situazione nel luogo. Dal 2009 a oggi, infatti, ben trentotto tibetani - principalmente monaci e monache - si sono arsi vivi in segno di protesta contro la politica repressiva cinese nel territorio della regione autonoma tibetana (Tar). Da qui la decisione del Parlamento europeo di incalzare la Commissione Barroso - piuttosto timida nei confronti dei cinesi - a farsi sentire. La risoluzione chiede infatti alla Ashton di affrontare il tema «in ogni incontro con rappresentanti della repubblica popolare cinese». Una critica neanche troppo velata all'ultima visita ufficiale di un membro del governo di Pechino a Bruxelles: in quell'occasione Barroso decise di non organizzare alcun punto stampa per timore di domande troppo scomode. Il tema Tibet è, ancora oggi, un argomento piuttosto delicato per la Cina, così come quello dei diritti umani. Il parlamento europeo sfida allora il gigante asiatico: la risoluzione chiede di far pressione perchè la Cina riconosca «una significativa autonomia al territorio storico del Tibet». Parole che pesano come macigni. Fino all’invasione e all’occupazione cinese del 1950, il Tibet era composto dalle tre regioni del Kham, Amdo e U-Tsang; i cinesi invece- da un punto di vista territoriale-  considerano il Tibet come la Regione Autonoma tibetana (Tar), creata nel  1965 e comprendente in larga parte quella che per secoli è stata la regione dello U- Tsang: in quell’anno il Tibet  venne di fatto smembrato, dal momento che il Kham e l’Amdo divennero parte delle province cinesi del Qinghai, dello Sichuan, del Gansu e dello Yunnan. Il Parlamento europeo va insomma incontro alle posizioni dei Dalai Lama - la massima autorità spirituale e politica tibetana - osteggiato dalla Cina, che lo accusa di attività sovversiva in quanto contrario all'idea di una sola Cina. Il Parlamento Ue anche su questo è piuttosto chiaro, e «rifiuta» l'idea per cui il Dalai Lama è un minaccia all'unità cinese.
  I deputati europei hanno scelto la linea dura nei confronti delle autortià cinesi: di fronte al deteriorarsi della situazione in Tibet, hanno chiesto, nella risoluzione, «accesso senza restrizioni per la stampa e le organizzazioni umanitarie» in Tibet, e hanno esortato Cathrine Ashton a far sì che il responsabile Ue per il Tibet, già che c'è, «monitori il rispetto dei diritti umani in Cina». La risposta della Cina a tutto questo è facilmente prevedibile. Resta da capire come reagirà a questa risoluzione la Commissione Ue.

Thursday, 14 June 2012

Breviario

«Un po' di purificazione farà bene all'Europa».
Angela Merkel, cancelliere tedesco, il 13 giugno 2012, per sottolineare gli effetti benefici di una crisi dalla quale l'Europa avrà molto da imparare.

Wednesday, 13 June 2012

Roma, finalmente la linea B1

Entra in funzione il tratto Bologna-Conca d'oro. La mobilità dell'Urbe cambia volto.

di Emiliano Biaggio

Finalmente Roma ha una nuova linea di metropolitana. O meglio, ha una rinnovata linea metro. Entra in funzione il primo tratto della linea B1, il prolungamento della linea B, che fino a oggi permetteva di viaggiare tra Rebibbia e Laurentina. Da oggi la linea si biforcherà alla stazione di piazza Bologna, da dove i treni potranno o proseguire verso Rebibbia oppure andare verso Conca d'oro, passando per le altre due stazioni di Sant'Agnese e Libia. Se tutto va bene per la fine del 2013 la linea sarà in servizio anche a Jonio, la quarta delle sette fermate previste in questo prolungamento pensato da Walter Veltroni. Piano piano la capitale rinnova la propria linea ferrata sotterranea, colmando parzialmente quel gap di trasporto pubblico che la separa da tutte le altre capitali europee. Perchè è vero che tutte le strade portano a Roma, ma solo quelle. La metropolitana no. Almeno, non ancora. Per questo l'apertura della nuovo tratto di linea B1 è per Roma e i romani una buona notizia. Anche perchè arriva con ben sei mesi di ritardo: l'entrata in funzione del tratto era previsto per fine 2011, ma ritardi e problemi tecnici non hanno permesso di rispettare il cronoprogramma.

Monday, 11 June 2012

Una breve intervista chapliniana

Dopo l'essenziale monologo finale, in Monsieur Verdoux vengono offerti gli ultimi spunti di riflessione con questo piccolo scambio di battute.

Verdoux, dovete ammetterlo: il delitto non rende.
No. Cioè, non quello al dettaglio.
Che vorreste dire?
Per avere successo in qualunque cosa bisogna essere organizzati
Non vorrete lasciare la vita con questa cinica affermazione?
Fare l’idealista in certi frangenti sarebbe esagerato, non le pare?
Che sono quelle teorie sul bene, il male e il tempo?
Ho inciampato su entrambe. Un napoletano avrebbe fatto dietro-front. Ah, paese felice…
La felicità non è fatta per i mortali
Chi può dirlo? Nessuno l’ha vista. Non si sa.
Datemi uno spunto che contenga una morale. Voi, il tragico campione di una vita di delitto…
Non mi pare di potermi considerare un campione in tempi come questi.
Beh, voi lo siete di certo in fatto di ammazzamenti.
Quelli erano affari.
Gli altri non gli affari in quel modo.
Eppure è quella la base di molti grossi affari: guerre, conflitti… Tutti affari. Un omicidio è delinquenza, un milione è eroismo. Il numero legalizza.

(da Monsieur Verdoux, di e con Charlie Chaplin, 1947)

bLOGBOOK

 Basta guardare le nuvole e si capisce subito che cosa sarà. Che tempo sarà. Sarà il tipico tempo belga, fatto di nubi e pioggia. E pure un po' di vento. Basta sporgersi dall'oblò dell'aereo per rendersi conto di essere tornati. Altrove le nubi che fende l'aereo sono bianche, di un bianco puro e immacolato, espressione di un cielo dove è piacevole stare, sia che ci si trovi sotto che in mezzo. In Belgio le nubi sono sempre grigrio scuro, a volta color delle notte, e non c'è bisogno di vedere le goccie d'acqua che solcano il finestrino dell'aereo nè di toccare terra per capire dove già si è e verso dove si sta andando. Per chi vive in certi posti da un certo tempo nulla dovrebbe essere motivo di sorpresa, al contrario tutto dovrebbe risultare piuttosto noto e normale, ma a certi scenari davvero non ci si abitua mai. E risulta ancor più difficile accettare determinate cose se paragonate al mondo circostante. Nel caso concreto, risulta difficile credere che in natura esista un alternarsi delle stagioni. Il Belgio è anti-ciclico, in questo. Il Belgio è, essenzialmente, il luogo non comune dove non c'è spazio per i luoghi comuni: in Belgio non solo non esistono più le mezze stagioni, ma non esistono neppure le stagioni intere, quelle vere e proprie. Un lungo autunno a volte dai tratti invernali segna un'unica dimensione dalla quale si entra e si esce solo varcando i confini nazionali. O forse basta solo addormentarsi: per certi aspetti Bruxelles è come un sogno. Per chi ama dormire lungo il tragitto aereo, il viaggio sembra portare da un mondo reale ad un altro onirico. Difficile dire quale sia l'uno e quale sia l'altro, eppure è così: si guardano le nuvole bianche, candide, immacolate, dalle sembianze di teneri batuffoli d'ovatta. Si resta qualche istante a contemplarle, quindi si chiudono gli occhi. E quando si riaprono le nuvole sono scure, minacciose, inquietanti, come cariche d'odio. Una volta a terra, basta guardare il cielo per capire che cosa sarà. E gli ombrelli che vengono presi da ogni singolo bagaglio sono lì a dimostrarlo. 

Friday, 8 June 2012

Dall'Europa alla Cina via Goteborg


Ai cinesi fa gola il più grande porto del nord Europa e viaggiano sempre più verso la Svezia. Così l'aeroporto di Landvetter diventa il punto di incontro di affari, interessi e nuovi scenari.

di Emiliano Biaggio

 E’ il secondo aeroporto di Svezia, ma mira a essere il primo della Scandinavia. La crescita del traffico aereo, i biglietti aerei comprati dai novergesi e soprattutto il flusso di cinesi sempre crescente, costringono per forze di cose Goteborg a ripensare le proprie strategie. La Svezia è un paese di nove milioni di abitanti, e cinque milioni di loro, ogni anno, si serve di Landvetter, il più grande dei due aeroporti cittadini (il secondo, il City airport di Goteborg, non è sulla terraferma ma sull’isola di Hisingen). L’importanza e le potenzialità di Goteborg sono tutti nei numeri: cinque milioni di passeggeri l’anno, dieci volte la popolazione urbana (nella città vivono cinquecentomila persone). «Il traffico è cresciuto sensibilmente», premette Jessica Waller, direttore per lo Sviluppo economico del comune di Harryda, dove sorge l’impianto di Landvetter. Parla alla platea di Genval (Bruxelles), riunita “Aeroporti come polo di sviluppo economico”, la due-giorni sugli aeroporti regionali organizzata da Sowaer- Società vallona degli aetoporti) e Arc- Conferenza aeroportuale delle regioni.
   «Ci sono norvegesi che si servono del nostro aeroporto, arrivando dal sud del loro paese», spiega Waller. E poi «è cresciuto notevolmente il numero dei passeggeri provenienti dall’Asia, soprattutto cinesi». Non è un caso. Il porto di Goteborg è il più grande del Nord Europa ed ha un accesso sia al fiume che al mare. Per Goteborg transitano merci e affari. La Cina fiuta il business nord-europeo, la Svezia – almeno a Landvetter – pensa al ritorno economico di una presenza cinese continua. Un’opportunità unica per lo scalo svedese, soprattutto in un momento non proprio felice per le compagnie scandinave: la danese Cimber Sterling Group ha da poco dichiarato bancarotta, mentre Sas Ab, la concorrente di Lufthansa in Scandinavia con base a Stoccolma, ha annunciato perdite per 108,2 milioni di dollari nel primo quadrimestre del 2012, un passivo superiore ad ogni aspettativa. Ma a Goteborg adesso si fondono e si confondono interessi economici e strategie commerciali. Ricerca di occasioni e voglia di fare affari, tutto questo passa per Goteborg. E forse da qui tutto questo ci partità anche.
   «Vogliamo un collegamento con la Cina», rivela Waller. «Pensiamo quantomeno a Pechino. I cinesi stanno diventando passeggeri sempre più di strategica importanza». Ma come collegare Goteborg al gigante asiatico? Non certo con le compagnie low-cost, che comunque sono molto attive (tra le altre, volano su e da Landavetter AirBerlin, Iceland Express e Onur Air). «E’ il mercato a decidere», si limita a rispondere la responsabile per lo Sviluppo economico del comune di Harryda. «E’ la domanda che crea l’offerta». E a proposito di offerta, l’aeroporto di Goteborg intende offrire un migliore collegamento con il resto del paese. «Stiamo progettando la realizzazione di una linea ferroviaria che ci consenta di collegare l’aeroporto non solo con Goteborg ma anche con Stoccolma». Per ora l’unico collegamento con il terminal è l’autostrada. In un paese con 9 milioni di persone e in una città con mezzo milione abitanti forse è un’opzione sostenibile, ma costruire una linea ferrata Landvetter-Goteborg che si ricollega alla linea Goteborg-Stoccolma è un’occasione per alimentare anche la domanda interna. E non solo. «Oggi gli aeroporti possono ricevere aiuti solo per i nodi intermodali», ricorda Waller. Il riferimento è alle leggi Ue in materia di aiuti di stato. La Svezia non è nell’Euro, ma fa comunque parte dell’Europa. Anche se guarda oltre, molto più a est.

La crisi arriva anche nei Balcani. Colpa dell’Ue

(fonte: eunews)

Lentamente, ma la crisi sta arrivando anche ai Balcani occidentali, e l’aspetto drammatico e’ che sta pesantemente accentuando la criticita’ sociale dell’area. Secondo un rapporto della Banca mondiale, presentato oggi a Bruxelles nella sede dell’European policy centre (Epc), dopo il 2.2% di crescita registrato nel 2011, Serbia, Albania, Montenegro, Kosovo, Macedonia e Bosnia nel 2012 subiranno un drástico rallentamentio all’1,1%. In pratica, la crisi dell’Unione europea sta penalizzando “l’attivita’ economica e deprimendo le entrate dei governi”, scrive il rapporto. C’e’ anche una buona notizia, il minuscolo settore finanziario dell’Area “e’ ancora relativamente ben messo, nonostante gli elevati livelli di rischio e la vulnerabilit’ a shock negativi, in particolare il rischio di contagio che potrebbe arrivare da sud se la crisi greca dovesse peggiorare”. Tutto sommato, come ha rilevato Rosa Balfour, Capo del programma Europa nel Mondo dell’Epc, i sei paesi “hanno comunque fino ad oggi mostrato una resistenza abbastanza buona al contagio dalla Grecia”. (leggi tutto)

Wednesday, 6 June 2012

L'Europa che non c'è

La Commissione Ue presenta le proposte di riforma del settore bancario che dovrebbero essere una risposta alla crisi. Vecchie di quindici anni.

Michel Barnier, responsabile per il mercato Ue
l'e-dittoreale
 
Ci si attendeva un strategia di contentimento del rischio e un piano anti-crisi, ci si aspettava uan nuova regolamentazione del sistema bancario tale da rendere gli istituti di credito più sicuri e più credibili, e invece la Commissione europea ha partorito una soluzione vecchia, tardiva e del tutto inutile. La direttiva contenente le proposte di modifica del settore, annunciata in pompa magna dai più importanti commissari dell'Unione, non è che la dimostrazione della risposte inadeguate e tardive di un'Ue incapace di leggere la situazione e di fornire le risposte che davvero servirebbero. Lo ammette, forse inavvertitamente, il commissario europeo per il mercato interno, quando nel presentare il pacchetto di riforme fa presente che «se avessimo adottato queste diposizioni dieci-quindici anni fa crisi come quelle in atto oggi non le avremmo avute». L'Europa risponde solo oggi a una crisi che nella migliore delle ipotesi risale solo a dieci anni, nella peggiore anche a molti di più. Che le misure proposte siano inutile si capisce dalla prontezza di riflessi dell'Europa: in quindici anni le situazioni cambiano, gli scenati mutano, le società si ridisegnano, i mercati si trasformano. Ne è consapevole Barnier quando dice che «i tempi della democrazia non sono i tempi dei mercati». Come egli stesso sa e riconosce «i tempi dei mercati sono più veloci di quelli della democrazia». La riflessione sorge spontanea, e la condivide col pubblico Barnier, a cui è affidato l'ingrato compito di spacciare per decisiva un'iniziativa priva di logica nè utilità. «Perchè questa proposta arriva ora? Perchè dovevamo farla». Ammissione implicita di forti difficoltà, prima ritenute impensabili oggi realtà ineludibile a cui si risponde in emergenza.
   Barnier cerca di far credere che tutto servirà per andare oltre la crisi. «Dobbiamo pensare al futuro», dice.«La proposta di direttiva di oggi non serve per affontare le crisi come quelle che adesso sta vivendo la Spagna, ma per evitare che crisi analoghe si ripetano». L'Europa non risolverà la crisi. Se ci si attendeva qualcosa di decisivo si è rimasti senza dubbio scontenti. Per non dire esterrefatti. A cosa servono queste misure proposte da Bruxelles? A niente. Per la cronaca, la commissione europea chiede alla banche di essere pronte al peggio: la proposta di direttiva impone alla banche di redigere piani di risanamento che stabiliscano le misure da adottare in caso di deterioramento delle finanze. Contestualmente le varie attività di controllo nazionale dovranno vigilare sulla banche e preparare anch'esse dei piani di risoluzioni della crisi, soprattutto nei casi piu' insostenibili. Un lavoro "ex-ante" che vedrà l'Eba, l'Autorita' bancaria europea, svolgere un ruolo di coordinamento tra le 27 autorita' di controllo dei paesi membri. L'Eba, secondo il piano, «agevolera' azioni congiunte e, se necessario, svolgerà un ruolo di mediazione vincolante». Questa disposizione, sottolinea il commissario europeo per il Mercato interno, Michel Barnier, presentando il testo, «getta le basi per un vigilanza delle entità trans-frontaliere sempre più integrata a livello Ue». Una necessità, dato che oggi quasi il 60% si trovano sul suolo di uno stato ma appartengono a un altro stato, grazie ad anni di deregulation, liberalizzazioni selvagge, acquisizioni incontrollate. Previsto, inoltre, la creazione di fondi "cuscinetto" all'interno delle banche pari ad almeno l'1% del totale dei depositi coperti, così da avere liquidità residua in caso di necessità. L'idea di fondo è che bisogna limitare il ricorso agli aiuti pubblici, soprattutto in tempo di austerity e alla luce del patto di equilibrio di bilancio.
  A proposito di austerità va detto che la l'unica ricetta cha ha saputo offrire la Commissione Barroso è la formula lacrime e sangue per i cittadini, non a caso sempre più delusi e scontenti di questa europa. Come non esserlo? Se oggi a Bruxelles si sono finalmente avute le risposte che si attendevano quindici anni fa non è certo di questa squadra di commissari, che si dimostra però del tutto inadeguata. Gli strumenti veri, quelli che servirebbero davvero (agenzia di rating europea, eurobond, politiche di stimolo dei consumi) vengono continuamente scartati, la loro discussione continuamente rinviata. Forse li avremo, come per gli interventi sulle banche, tra quindici anni. Quando sarà troppo tardi e non serviranno più.

Tuesday, 5 June 2012

L'insostenibile sgradevolezza dell'essere...Chiesa

Il Papa parla di famiglia, ribadendo la chiusura e le posizioni di retroguardia di un'istituzione lontana dalla gente e dal mondo reale.

Papa Benedetto XVI.
 l'e-dittoreale

Ci risiamo. Il pontefice torna a parlare di temi tanto cari alla Santa madre Chiesa, e lo fa come solo Santa madre Chiesa sa fare: con la miopia e l'arretratezza di sempre. La famiglia, quella vera, è solo quella costruita attorno al matrimonio. Tutto il resto o è perversione, è peccato, è eresia. «La famiglia è quella fondata sul matrimonio tra l’uomo e la donna», ha ricordato papa Ratzinger a Milano in occasione del VII incontro mondiale delle famiglie. Che Benedetto XVI dica certe cose non soprende: certi valori non sono nè in vendita nè in discussione in Vaticano. Ma soprende, nell'era di internet e della robotica, nel XXI secolo, dopo teorie evoluzionistiche provate e comprovate, sentire la leggenderia e fiabesca visione creazionista di tutto. Famiglia compresa. «Dio ha creato l’essere umano maschio e femmina, con pari dignità, ma anche con proprie e complementari caratteristiche perché i due fossero dono l’uno per l’altro, si valorizzassero reciprocamente e realizzassero una comunità». Non soprende, invece, che il Pontefice non abbia dedicato neppure un passaggio alle coppie di fatto e ai nuclei famigliari sorti al di fuori del matrimonio: se una cosa non si cita o non esiste oppure non si considera.
Ratzinger ha però voluto dedicare una parola a quanti, «pur condividendo gli insegnamenti della Chiesa sulla famiglia, sono segnati da esperienze dolorose di fallimento e di separazione». A tutti lori Benedetto XVI ha voluto dire che «il Papa e la Chiesa vi sostengono nella vostra fatica», e li ha incoraggiati a «rimanere uniti alle vostre comunità», auspicando che «le diocesi realizzino adeguate iniziative di accoglienza e vicinanza». Solidarietà umana e cristiana a quanti nel matrimonio, anzichè trovarsi, si perdono: è questo il sostegno pratico che l'alto clero offre a individuo in difficoltà? Ancora una volta la Santa madre Chiesa offre una ricetta rivoluzionaria per la risoluzione dei problemi del mondo, con il Papa che, auspicando «accoglienza» per i separati, offre l'immagine di uno sfollato accolto nei tendoni della protezione civile. Paolo Ferrero, segretario di Rifondazione comunista, cita le scritture per mandare chiari messaggi a chi di dovere. «Guai anche a voi, dottori della legge, perchè caricate la gente di pesi difficili da portare, e voi non toccate quei pesi neppure con un dito! (Luca, 11:37-40 e 46)». La traduzione sarebbe quanto mai semplice: il pontefice, per definizione, pontifica e basta. Per questo per Ferrero le parole del Papa «sono la discutibile opinione di un uomo su cosa pensi Dio». Anche questa, però, è un'opinione personale, e quindi discutibile. La famiglia, invece, non si discute. Almeno per la Chiesa. Che si mostra ancora una volta per quello che è: creazionista e quindi retrograda, intransigente e quindi discriminatrice, commiserevole e quindi lontana. Un'istituzione sgradevole, e per questo il più delle volte sconveniente.


Ue-Serbia, prime difficoltà

Per Bruxelles a Srebrenica fu genocidio, per Nikolic solo un «grande crimine».

Tomislav Nicolic, presidente della Serbia
 fonte: eunews

Prime difficoltà tra Unione europea e il nuovo presidente serbo, il nazionalista, conservatore Tomislav Nikolic, che vorrebbe riportare Bosnia e Kosovo sotto l’autorità di Belgrado. Il giorno del suo insediamento, il 31 maggio, l’uomo che al terzo confronto elettorale ha finalmente sconfitto Boris Tadic, ha affermato che «a Srebrenica non vi è stato genocidio, ma un grande crimine commesso da alcuni esponenti del popolo serbo, che bisogna trovare, processare e condannare». Una frase che contrasta con la lettura che l’Europa ed il Mondo hanno dato del massacro di quasi 8.000 bosniaci musulmani, realizzato nel 1995 dalle armate di Ratko Mladic, ora sotto processo al tribunale dell’Aia. La frase di Nikolic ha alzato un vespaio di polemiche sdegnate ed ha indotto i corrispondenti a Bruxelles a chiedere alla Commissione europea come il 14 giugno Jose Manuel Barroso incontrerà Nikolic, in visita di presentazione, dopo queste dichiarazioni. Pia Ahrenkilde Hansen, portavoce del presidente della Commissione ha affermato che «non accetteremo mai alcun tentativo di revisionismo: quello di Srebrenica fu un genocidio, un crimine contro tutta l’umanità che non permetteremo si ripeta. Questa è la nostra posizione e la riaffermeremo ogni volta che sarà necessario».
Un atteggiamento diverso da quello verso la Cina, con la quale l’Unione è molto tollerante e accondiscendente. Circa l’incontro, dunque «c’è sempre la necessità del dialogo». Dice la portavoce e, diversamente da quanto accaduto dopo il vertice con il governo cinese, al quale non fece seguito alcun incontro stampa, questa volta «organizzeremo momenti per la comunicazione».

Sunday, 3 June 2012

bLOGBOOK - Atomium

Bruxelles, l'Atomium illuminato

Bruxelles, atomium illuminato

Saturday, 2 June 2012

"Povera Italia" (Giacomo Lariccia)



Un video musicale di un artista che va conosciuto. Uno dei tanti cervelli in fuga.