Saturday, 22 December 2012

Manifesto dell'Unione europea

C'è uno spettro che si aggira per l'Europa: è lo spettro dell'Europa libera. Tutti, da speculatori a broker, da cinesi a russi, cercano di circoscriverlo, ma vanamente. La rivoluzione è in atto, è profonda e destinata al successo perchè la rivolzione guarda sempre al futuro, ed è per sempre. Se la rivoluzione va intesa nel suo senso più leninista - vale a dire come "quel movimento reale che abolisce lo stato di cose presente" - allora non c'è dubbio che l'Unione europea è già un rivoluzione in marcia, poich ha già segnato un punto di non ritorno con il passato e getta le basi per un punto di non ritorno con il presente. La vera rivoluzione non guara al presente, ma guarda al passato pensando all'avvenire: il vero cambiamento è quello che cancella gli errori e le aberrazioni della storia, provvedendo a costruire un domani dove non trovano spazi le distorsioni di ieri. L'Unione europea è tutto questo, è sarà molto altro ancora. I popoli lo percepiscono, ma allo stesso tempo guardano questo spettro con timore. Molti hanno tentanto di sabotare la rivoluzione affiancando all'idea di Europa unita e libera le tesi maoiste più radicali secondo cui la rivoluzione è e resta un atto di violenza. Nulla di più sbagliato. L'Europa è rinata nel segno della pace tra i popoli, nel principio dell'uguaglianza umana e sociale e sotto le insegne della tolleranza. Ebbene, se gli ideali di Europa unita e libera non riempiono gli animi e faticano a sbocciare nel cuore e nelle coscienze degli europei, è per via della propaganda contro-rivoluzionaria che offusca la mente di genti già corrotte dalle religioni divine e finanziarie, diaboliche espressioni della struttura economica. Ma capitalismo e capitale sono dottrine e fedi che non possono nulla contro lo spirito del tempo, e il tempo di piena libertà è ormai giunto. Lo spirito europeista si ha oramai trovato il momento storico per dare vita all'Unione europea. L'Unione europea è sinonimo di internazionale dei popoli, primo passo per la costruzione della nuova internazionale socialista che liberi tutti dall'oppressione e dalla classe padronale, oligarchia liberticida. Schengen ha permesso all'uomo di abbattere le barriere divisorie, più concettuali che reali: l'individuo è l'individuo sempre e dovunque, a Praga come a Berlino. Schengen ha abbattuto questo muro dei falsi miti capitalisti, riconsegnando l'uomo alla propria dimensione naturale, quella dell'intersocialità. L'unione europea ha permesso l'unione delle genti, riaffermando quel principio di uguaglianza fondamentale per la dignità di tutti, uomini, donne, anzioni, bambini. Uguaglianza di diritti, nelle fabbriche come negli uffici, nelle strutture dirigenziali come nelle sacche operaie e proletarie. Le crisi cicliche della storia e i soliti avversatori del cambiamento mettono ora in discussione questo processo che è sì guidato da grandi ideali, ma che è ben lungi da essere pura idea. Ma le rivoluzioni non si discutono: si compiono o si contrastano, ma comunque avvengono. La moneta unica, espressione materiale di quell'entità astratta che è l'economia di mercato, ha permesso l'abbattimento delle diverse strutture economiche. E non è che il primo passo: l'abolizione delle ventisette monete con l'introduzione della sola valuta europea non è che il preludio all'abolizione anche dell'ultimo denaro circolante. Non è utopia, è realtà. Anche il processo di riforma delle banche non è che il preludio all'abolizione del sistema neo-capitalista, il passo che serve per intraprendere quel percorso riformatore di cancellazione delle aberrazioni padronali. I capitalisti, che hanno sempre fatto della proprietà privata il loro primo comandamento, grazie alle loro esose banche hanno confuso e sottratto proprietà, rimettendo in discussione quello stesso comandamento da loro creato lasciando la classe lavoratrice a pagare i conti delle crisi che questi stessi padroni hanno generato. Ma oggi la creazione di un'unione bancaria permetterà la compensazione giusta e sacrosanta dei torti inflitti ai cittadini europei, cancellando una volta per tutto l'etica malsansa del profitto. Cittadini e cittadine europee, uomini e donne del continente, lavoratori di tutto il mondo unitevi: insieme renderemo possibile il vero cambiamento, consegnando ai nostri figli e alle generazioni a venire una società più giusta, più equa, più umana, una società davvero europea dove gli attuali stati non saranno che regioni, e dove le lingue non saranno altro che dialetti. Le barriere scompariranno, le idee egoistiche e nazionalistiche saranno una volta per tutte superate, e tutti si ergeranno fieri e uniti sotto un unico cielo, nel nome dell'Europa una e indivisibile, libera e giusta. La storia accoglierà il cambiamento e per tutti sarà una nuova era, il punto di arrivo di questa gloriosa rivoluzione.

Banche, Ue autorizza aiuti stati per 5 trilioni

L'ok di Bruxelles per il periodo ottobre 2008-ottobre 2012. Cifra choc per salvataggi comunque necessari ma da scongiurare nuovamente.

di Emiliano Biaggio

Tra il 2008 e il 2011 l’ammontare totale complessivo degli aiuti di stato usati per il settore finanziario è stato di 1.615 miliardi di euro, pari al 12,8% del Pil dell’Unione europea, ma tra l’1 ottobre 2008 e l’1 ottobre 2012 la Commissione europea ha approvato aiuti al settore finanziario per complessivi 5.058 miliardi di euro (40,3% del Pil dell’Ue). Sono i dati da capogiro rendicontati nello "European Commission’s 2012 State Aid Scoreboard", lo studio della Commissione Ue sugli aiuti di stato. Cosa significa? Detto in altri termini sono stati pompati nella casse delle banche di tutta Europa 1,6 trilioni di euro, e più del triplo potrebbero essere garantiti prima della fine dell'anno. Qualcuno si potrebbe indignare per questo, ma gli aiuti sono necessari. Chiudere le banche o lasciarle fallire vorrebbe dire ridurre sul lastrico tante famiglie: i risparmiatori perderebbero tutto senza avere alcun rimborso. Gli aiuti si rendono dunque necessari, ma certo evidenziano la fragilità del sistema europea. A preoccupare soprattutto le economie in linea teorica trainanti: Gran Bretagna, Irlanda e Germania sono infatti i tre paesi più in difficoltà. Tolta l'Irlanda, paese sotto programma di aiuti internazionali, gli altri due stati sono considerati come i più solidi e i più competitivi. Eppure Gran Bretagna, Irlanda e Germania insieme hanno beneficiato del 60% dei 1.600 miliardi di soldi iniettati nelle casse degli istituti di credito tra il 2008 e il 2011 (rispettivamente il 19%, il 16% e il 16%).
In un clima di disoccupazione e di sfiducia crescente, vedere quanti soldi sono stati dati alle banche e quanto poco è stato fatto per rilanciare l'occupazione è forse un aspetto ancor più irritante. Comprensibile, ma è per questo che tutti in Europa stanno lavorando un processo di riforma del sistema bancario, che dovrebbe garantire sicurezza ai risparmiatori e far ricadere solo sulle banche le responsabilità della cattiva gestione. Certo, impressiona vedere quante risorse sono state impiegate per salvare le banche. Si tratta di risorse sottratte alle politiche di rilancio economico, ma l'auspicio è che d'ora in avanti questa faraonica opera di ristrutturazione possa evitare il tracollo e garantire un futuro stabile.

Thursday, 20 December 2012

«Basta ingerenze di Ue e Stati Uniti sul Tibet»

La Cina avverte Bruxelles e Washington: state interferendo con i nostri affari interni

Un monaco tibetano portato via
di Emiliano Biaggio

L'Europa e gli  Stati Uniti si astengano dal prendere posizioni su questioni che riguardano solo e soltanto la Cina. Sale di tono il confronto tra Bruxelles, Washington e Pechino, con le autorità cinesi che invitano i rappresentanti delle istituzioni comunitarie e del governo Usa a non occuparsi di quanto avviene all'interno del paese asiatico. A scatenare l'incidente diplomatico la presa di posizione sul Tibet dell'Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza dell'Ue, Catherine Ashton, che è intervenuta sull'aumento del numero dei monaci buddisti che si uccidono protestare contro la politica cinese in Tibet e per richiamare l'attezione su una questione mai risolta improvvisamente tornata nelle agende politiche. Un intervento mal accolto, perchè arrivato a distanza ravvicinata da quello dell'amministrazione di Barack Obama. Strano ma vero, a pochi giorni di distanza Stati Uniti e Unione europea hanno sollevato il caso, per il disappunto del governo di Pechino. Di Tibet, da sempre, in Cina si preferisce non parlare. Una linea mantenuta anche quando lo scorso 11 dicembre Maria Otero, il sottosegretario di stato americano per la sicurezza dei civili e i diritti umani nonchè coordinatore speciale per le questioni tibetane, ha espresso «la profonda preoccupazione» della Casa Bianca per il numero sempre più elevato di monaci che si danno fuoco. «Le autorità cinesi - ha detto Otero - hanno risposto a questi incidenti con misure che irrigidiscono controlli già severi alle libertà di religione, espressione, riunione e associazione dei tibetani». Per Otero «la retorica ufficiale che denigra la cultura tibetana e quanti si immolano non fanno altro che accrescere il clima di tensione». Dichiarazioni che non sono passate inosservate a Pechino, dove però si è preferito tacere. Ma a distanza di pochi giorni sono arrivate le dichiarazioni di lady Ashton. «Siamo preoccupati per le restrizioni all'espressione dell'identità tibetana. Nel rispetto dell'integrità territoriale cinese, l'Unione europea esorta le autorità cinesi ad assicurare che i diritti civili, politici, economici, sociali e culturali dei tibetani siano rispettati». Inoltre Ashton ha chiesto alla Cina di «permettere libero accesso a tutte le aree autonome tibetane a diplomatici e giornalisti».
Le dichiarazioni di Ashton hanno indotto la Cina a replicare. Le parole dell'Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza dell'Ue risultano inaccettabili per i cinesi. Il Tibet "storico" era comprende le tre regioni del Kham, Amdo e U-Tsang, ma dal 1965 Kham e Amdo sono parte delle province cinesi del Qinghai, dello Sichuan, del Gansu e dello Yunnan. Oggi i cinesi per Tibet intendono lo Xizang, o regione autonoma tibetana (Tar), che comprende il territorio dello U-Tsang. Parlare di aree tibetane autonome al plurale, come ha fatto Ashton, significa automaticamente schierarsi col movimento tibetano che reclama l'indipendenza del Tibet storico. Immediata, quindi, la risposta di Pechino. «Le questioni tibetane sono totalmente questioni di politica interna della Cina», ha detto Hua Chunying, il portavoce del ministro degli Esteri cinese. «Recentemente alcuni politici di Stati Uniti e Unione europea hanno mosso accuse alla Cina per fatti riguardanti il Tibet. Tali affermazioni - ha aggiunto - sono spiacevoli ingerenze negli affari interni della Cina». Dal portavoce del ministro degli Esteri cinese è quindi giunto l'invito a «rispettare la sovranità della Cina e evitare di interferire nuovamente con le questioni di politica interna cinese».

Bersani si accredita all'Ue come leader credibile

Il segretario del Pd incontra Van Rompuy, Barroso e Juncker. Il presidente dell'Eurogruppo lo elogia, chiudendo definitivamente le porte a Berlusconi.

Pier Luigi Bersani
di Emiliano Biaggio

Dopo aver promosso Monti, l'Europa promuove anche Bersani. Un ulteriore messaggio di sfiducia nei confronti di Silvio Berlusconi, che nella sua ultima visita a Bruxelles ha fallito nel suo tentativo disperato di riaccreditarsi agli occhi della comunità europea come leader credibiled e probabile. Ma prima gli apprezzamenti per l'operato dell'attula capo di governo e poi gli attestati di stima per il segretario del Pd hanno di fatto chiuso le porte in faccia al cavaliere. Il messaggio che arriva dall'Europa è chiaro: Berlusconi forse potrà essere voluto dagli italiani, ma non è gradito in Europa. I leader dell'Unione europea questo non possono dirlo, ma possono lasciarlo intendere. Jean Claude Juncker lo ha fatto in modo piuttosto evidente. «Bersani - ha detto il presidente dell'Eurogruppo - è una persona intelligente e onesta, e credo abbia le migliori intenzioni per l’Italia e per l’Europa». Un trattamento di riguardo da parte di un esponente del Partito popolare europeo, gruppo che ospita il partito di Berlusconi, un Berlusconi nei cui confronti Juncker non ha più parole da spendere. Come svelato dal segretario del Pd al termine del suo incontro con Juncker. «Siccome con Juncker si può scherzare, gli ho detto di dire al mondo che Berlusconi non vincerà. A questa battuta Juncker ha risposto con un sorrisino, a cui però non voglio dare interpretazioni». C'è poco da dire, se non che Berlusconi ormai non è più considerato un leader credibile e che l'Europa preferisce altri interlocutori. Bersani si è presentato a Bruxelles per accreditarsi agli occhi dei presidenti di Commissione europea, Consiglio Ue ed Eurogruppo: il segretario del Pd sa che dalle prossime elezioni potrebbero arrivare incarichi di governo. In tal senso ha offerto garanzie circa il proseguimento del percorso avviato dal governo Monti. Il partito democratico, ha detto Bersani, avverte «l’esigenza di dare segnali di continuità nelle politiche per l’Europa, anche arricchendole». Ciò «consapevoli assieme al rigore occorre dare chance al lavoro e alla crescita». Un’affermazione, quest’ultima, che ricalca in pieno la visione montiana portata a Bruxelles in questi mesi: è stato proprio il capo del governo tecnico a spingere perché accanto all’imperativo della sostenibilità della finanza pubblica ci fosse l’impegno scritto di accelerare misure e politiche per il rilancio di occupazione e competitività. Una condivisione di obiettivi e di vedute che a detta di Bersani non sorprende. Anzi. «Noi abbiamo sempre sostenuto molto lealmente il governo Monti, anche in condizioni non semplici». Il capo di governo che potrebbe uscire dalle urne ha offerto garanzie anche circa l'impegno europeo del centro-sinistra italiano. A Josè Manuel Barroso, Herman Van Rompuy e Jean Claude Juncker «ho ricordato qual è la posizione del mio partito, che ha un forte matrice europeista e che fa della prospettiva europea la propria bandiera». In fin dei conti, ha sottolineano Bersani, «è stato il centro-sinistra a portare l’Italia nell’Euro. E a noi ci conoscono, siamo quelli di Prodi, di Padoa Schioppa. Sono tranquilli». E poi «sulla nostra capacità e sulla volontà riformatrice e di tenere i conti sotto controllo non si può dubitare», mentre «sull’altro versante ci sono spinte populiste e anti-europeiste». Per cui, ha rimarcato Bersani, «chi ha preoccupazioni per l’Italia si rivolga a noi». Certamente in Ue non si guarda più a Berlusconi.

Tuesday, 18 December 2012

Havel riapre il dibattito sul passato cecoslovacco

Eunews definisce il politico «il primo presidente della Cecoslovacchia post-sovietica», provocando le critiche di alcuni lettori.

Carrarmati a Praga, 1968
di Emiliano Biaggio

Nel mondo diviso in due blocchi la Cecoslovacchia era o no un paese sovietico? La domanda rischia di riaprire ferite ancora non rimarginate nei paesi dell'Europa dell'est, sotto lo stretto controllo dell'Unione sovietica. Ma il punto è proprio qui: i paesi europei nell'emisfero orientale del mondo diviso in due erano da considerarsi autonomi per quanto satelliti, o entità sovietiche? Un articolo sulla commemorazione del primo anniversario della morte di Vaclav Havel innesca la (polemica) discussione. Il Parlamento europeo ha deciso di montare sulla facciata della sede di Bruxelles un cuore in neon, per ricordare il cuore che il politico cecoslovacco aggiungeva alla sua firma. Nella spiegazione di tutto questo Eunews scrive che Havel è stato «il primo presidente della Cecoslovacchia post-sovietica». Un'affermazione - poi modificata con tanto di scuse - che non piace a una lettrice, la quale precisa che la Cecoslovacchia - oggi divisa in due stati indipendenti e sovrani, la Repubblica ceca e la Slovacchia - non è mai stata una parte dell'Unione sovietica. Vero. Ma ufficilamente a dettare le politiche di uno stato indipendente e sovrano solo nominalmente sono sempre stati i dirigenti dell'Urss. Certamente le attuali Repubblica ceca e Slovacchia hanno una storia diversa da quella delle repubblica baltiche o dall'Ucraina e della Bielorussia, tutti paesi incorporati nell'allora Unione sovietica, ma anche se ufficialmente la Cecoslovacchia non ha mai costituito una parte dell'Urss ne faceva parte "de facto" come tutti gli altri paesi dell'europa orientale. Altrimenti come si spiega l'invio di carrarmati a Praga nel 1968? Imperialismo rosso, si potrebbe rispondere. Va notato che il popolo cecoslovacco non si sentiva sovietico nè amava il sistema in cui si trovava, ma di fatto era il popolo di un paese comunista diretto da Mosca, e ciò rendeva automaticamente la Cecoslovacchia uno stato all'interno del modello sovietico. Forse ha ragione la lettrice: il portale eunews avrebbe dovuto definire Havel «il primo presidente della Cecoslovacchia post-comunista». E' un'espressione più precisa e formalmente corretta. Nella sostanza, però, cambia qualcosa? Il dibattito è ufficialmente (ri)aperto.

Sunday, 16 December 2012

bLOGBOOK

Otros delirios en español

¡Nada! No se propio que decir. ¿Pues es tal el vacio? Puede ser, claro que si, pero puede ser tambien que tal veces, simplemente, no hay nada que decir. Sino yo sè que habrìa mucho que escribir. ¿Que es?, ¿el natural miedo o solo la normal pereza de los hombres? Cual que sea, ¿cual es de los dos, aquello mas dificil por derrotar? Me estoy perdiendo, como siempre. El problema es que empiezo a pensar certas cosas y despues acabo a pensar otras. ¡Madre mia! Creo seriamente que sea un problema de vivir. Para ser sincero, credo que no se como estar a este mundo. ¡Nunca se que hacer! Y esto es verdad por cada cosa che hago y que tento que hacer. Es come si fuese un niño. No por todo, ¡claro!, pero es como si yo lo fuese. A lo mismo tiempo, me siento... me siento una persona problematica. Por fin puedo decid que he entendido de tener problemas a comunicar. Y esto es me puerta a no tener relacciones con el mundo que hay todo alrededor de mi. ¡Bueno!, y entoces ¿que puedo hacer? ¿Que tengo que hacer? Y sobre todo, ¿como?. No lo se. ¡Nada!. No se propio que decir. ¿Pues es tal el vacio que me siento?

Saturday, 15 December 2012

Sulla libertà di pensiero e l'anticonformismo



Tratto dall'album "Sono solo canzonette" (1980).

Ma che sarà, che cosa t'offrirà
quest'altra storia, quest'altra novità
l'unico rischio è che sia tutto finto
e che sia tutta pubblicità!...

Ma che ne sai, se non ci provi mai
che rischi corri se non vuoi volare
coi piedi a terra, legato alla ragione
ti passa presto, la voglia di sognare!

Ma è quello che vogliono da te
già appena nati ci hanno abituati
a non pensare, ma a darcene l'illusione
e sempre con la scusa della ragione!...

E anche se fosse solo finzione
solo il pretesto per fare una canzone!
vale la pena almeno di tentare
se è un'occasione per poter volare
allora non la sprecare, prova a volare!...

Attenzione-attenzione! Comunicato ufficiale!
parla l'organo del partito, non lasciatevi suggestionare!
Quella voce che vi invita a volare
è di un maniaco sabotatore!...
Spegnete la radio adesso
giradischi e registratori, presto!... presto!...

Ma la radio va e non si fermerà
ti prenderà per mano ti insegnerà a volare
visti dall'alto i draghi del potere
ti accorgi che son draghi di cartone!...

E anche se fosse solo finzione...

Attenzione-attenzione! A tutte le persone serie!
consapevoli, equilibrate, non lasciatevi suggestionare!
abbiamo ben altri progetti per voi
uomini del 2000, saggi e civili
perciò prestate attenzione
solo alla voce della ragione!...

Ma la radio va e non si fermerà ti prenderà per mano, ti insegnerà a volare, visti dall'alto i draghi del potere ti accorgi che son draghi di cartone!...

Ma non lo vedi sono di cartone
se resti a terra che vuoi capire
con la scusa di schiarirtele
ti confonderanno sempre più le idee
ti manderanno allo sbaraglio in questa
farsa, nel ruolo di comparsa!...

Ma basta che voli in alto
ma basta che ti alzi un poco
e forse scopri che quello che ti faceva
paura era soltanto un gioco!
e adesso, hai l'occasione per poter
volare, allora, non la sprecare, prova a volare!...

Prova ma che ne sai
se non ci provi mai non puoi
sapere se vale o no la pena
di tentare, è un'occasione
per volare, per volare!...

Adesso basta! Fatelo stare zitto!
Abbiamo troppo sopportato!
Abbiamo troppo tollerato!
E' un provocatore! Fatelo tacere!
....Fatelo tacere!....

AS Grifondoro, maggica giallo-rossa

Il riposo del guerriero

Dove vanno in vacanza i campioni del quidditch? Una domanda che generalmente non si pone nessuno, ma che invece i tifosi si pongono spesso. Soprattutto quelli del Grifondoro, ansiosi di incontrare i loro beniamini - capitan Potter in testa - nei luoghi di villeggiatura. Ma i maghi, si sa, sono maghi, mica babbani. E quindi, proprio per questo, in genere si mischiano proprio ai babbani per passare inosservati e soprattutto passare vacanze rilassanti e tranquille, lontani da sostenitori molesti e paparazzi fastidiosi. C'è chi invece si ferma a Hogwarts, godendosi i giorni d'estate al lago Nero. Proprio così: lo specchio lacustre ai piedi della scuola di magia più rinomata di Hogwarts con la bella stagione (e la scuola chiusa) si trasforma nel luogo di villeggiatura dei giocatori di quidditch. Ogni squadra ha il proprio campeggio con stabilimento balneare associato, riconoscibile dagli ombrelloni colorati dei colori sociali. Qui accanto vediamo lo stabilimento del Grifondoro. In base a un pacifico accordo con le sirene e i tritoni che popolano gli abissi, solo una piccola area del lago Nero è eccezionalmente riservata ai maghi del quidditch, ai quali è consentito per il periodo limitato di vacanze realizzare - tramite incantesimo - una battigia come quelle marine. Una leggenda vuole che la Piovra Gigante che vive nelle profondità del lago possa essere in realtà Godric Grifondoro, probabilmente diventato Animagus. Ciò spiegherebbe perchè ai giocatori di quidditch, specie a quelli del Grifondoro, sia permesso soggiornare sul lago. Ad ogni, quale che sia la storia attorno a questi stabilimenti, nessuno ci ha mai visto Harry Potter. Come mai? Semplice, per lui le vacanze sono sempre interamente babbane: le trascorre a casa Dursley, con gli zii Vernon e Petunia e il cugino Dudley.

Friday, 14 December 2012

Breviario

«Quanto sono importante lo sapete anche voi. Leggendo i giornali in questi giorni si vede scritto "torna Berlusconi, l'Europa trema". Quanta forza!».
Silvio Berlusconi, al vertice al Ppe (Bruxelles, 13 dicembre 2012)

Wednesday, 12 December 2012

12 dicembre

Piazza Fontana, Milano. Lapide commemorativa di una vergogna di stato.

Pyongyang lancia il satellite, il mondo condanna

L'Europa chiede nuove sanzioni, il Giappone invoca l'Onu.

di Emiliano Biaggio

La Corea del Nord alla fine ha messo in orbita il satellite per usi civili, contravvenendo alle disposizioni delle risoluzioni Onu e sfidando la comunità internazionale, che a più riprese ha chiesto al paese asiatico di rinunciare al progetto di lancio. Il governo di Pyongyang, nonostante la forte pressione internazionale ha messo in orbita il satellite, un satellite «pacifico», ha prontamente assicurato il regime di Kim Jong-un. Il mondo guarda però l'operazione con preoccupazione perchè condotta con missili a lungo raggio, e si teme che in futuro su quei vettori la Corea del Nord possa installare armi. L'operazione compiuta dal regime nordcoreano «è un altro passo nel tentativo che la Corea del Nord sta portando avanti da tempo di acquisire tecnologia missilistica», ha denunciato l'Alto rappresentante per gli Affari esteri e la politica di sicurezza dell'Ue, Catherine Ashton, pronta a chiedere nuove sanzioni. Ashton ha fatto sapere che a Bruxelles si sta meditando «una risposta appropriata, in stretta consultazione con i suoi più stretti alleati e in linea con le decisioni del Consiglio di Sicurezza dell'Onu, non escludendo eventuali, ulteriori misure restrittive». Una linea che rispecchia la posizione assunta dai paesi membri in occasione dell'ultima riunione del consiglio dei ministri degli Esteri, tenuta pochi giorni fa, prima che il satellite nordcoreano venisse lanciato. In quell'occasione tutti i ventisette avevano chiesto esplicitamente, nel caso in cui la Corea del Nord avesse portato avanti il suo programma, «una chiara risposta internazionale, insieme a decisioni da parte del Consiglio di sicurezza dell'Onu, che comprendano eventuali misure restrittive». Ora l'Europa procederà in questa direzione.
Condanna per il lancio del satellite è arrivato anche dal segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen. «Questo atto provocatorio aggrava le tensioni nella regione e i rischi di un'ulteriore destabilizzazione». L'operazione condotta dalle autorità nordcoreane, ha denunciato, «è una violazione diretta delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell'Onu». La Nato ha perciò
ribadito l'importanza che la Corea del Nord «rispetti la moratoria sui lanci missilitistici». Per fare in modo che ciò sia possibile probabilmente saranno necessarie nuove sanzioni. Intanto il Giappone ha chiesto la convocazione di una riunione straordinaria del Consiglio di sicurezza dell'Onu, il cui segretario generale, Ban Ki-moon, ha condannato l'azione di Pyongyang.

Monday, 10 December 2012

L'Europa impaurita da un ritorno di Berlusconi

Il presidente del Parlamento Ue lo dice apertamente, molte capitali tacciono ma da tutta Europa filtra preoccupazione per il dopo-Monti.

di Emiliano Biaggio

La crisi del governo italiano con il conseguente annuncio delle dimissioni di Mario Monti gela e divide l'Europa. A livello comunitario la perdita di un interlocutore come il professore preoccupa, per due motivi: si teme che il percorso avviato e portato avanti in questi mesi dall'esecutivo tecnico di Monti possa interrompersi, e si guarda al dopo Monti con una certa fibrillazione per paura che il meccanismo democratico possa riportare alla guida del paese Silvio Berlusconi. Lo afferma chiaramente il presidente del Parlamento europeo, Martin Schulz. «L'Europa ha bisogno di stabilità e Berlusconi è il contrario della stabilità», dice a margine della cerimonia di consegna del premio Nobel per la pace riconosciuto all'Ue. «Tanti dei problemi dell'Italia sono il risultato dei dieci anni in cui Berlusconi è stato premier», rincara la dose Schulz, nel 2003 al centro di un acceso battibecco proprio con Berlusconi – allora presidente del Consiglio – che diede al tedesco del "kapò". «Abbiamo visto che la responsabilità della coppia Napolitano-Monti ha stabilizzato molto l'Italia, dunque - dice apertamente Schulz - avrei preferito che Monti fosse arrivato a fine legislatura». Parole che non piacciono al vicepresidente della Commissione europea responsabile per l'Industria, Antonio Tajani, una carriera politica italiana tutta berlusconiana, spesa prima in Forza Italia e poi nel Pdl. «Non è opportuno che le istituzioni europee interferiscano nella vita democratica degli Stati membri», la replica immediata del commissario europeo. «Nella mia veste istituzionale io mi sono sempre astenuto dall'intervenire su questioni politiche interne dei paesi».
Se Tajani risponde per le rime a Schulz aprendo il dibattito interno all'Unione europea, Herman Van Rompuy e Josè Manuel Barroso glissano sulle vicende italiane, cercando di chiudere subito il dibattito innescato dal presidente del Parlamento europeo. Il presidente del Consiglio europeo preferisce non fare alcuna menzione alla crisi di governo, mentre il presidente della Commissione europea si limita a un implicito richiamo al rispetto degli impegni sottoscritti e, cosa più importante, a proseguire lungo la strada intrapresa da Monti. Non lo cita, ma il riferimento generale non può non includere l'Italia. «I nostri strumenti non sono sufficienti se non c'è vera convergenza fra i paesi», mette in guardia Barroso, il cui staff ricorda che in casi come questi di solito l'esecutivo comunitario sia solito trincerarsi dietro i silenzi e i «no comment». In Parlamento Ue, le cose sembrano funzionare diversamente: dopo Schulz a parlare di Italia è il primo vicepresidente dello stesso organismo comunitario, Gianni Pittella. «L’irresponsabilità del Pdl espone l’Italia in Europa», sostiene, e non a torto. Perchè se a livello comunitario c'è una certa preoccupazione, a livello di stati mebri la situazione non è molto dissimile. La scena dei leader Angela Merkel e Nicolas Sarkozy che sorridono quando in conferenza stampa congiunta si chiede se Berlusconi sia un partner affidabile è ancora nitida nella memoria dei tanti addetti ai lavori. Oggi alla guida della Francia non c'è più Sarkozy, ma in Germania c'è ancora Merkel. A Berlino si teme che un eventuale governo di discontinuità con la politica di riforme di Monti possa far finire nel mirino di speculazione e agenzie di rating anche la Germania: si teme, in sostanza, per il rischio di un possibile declassamento e la perdita della tripla A. C'è inquietudine anche a Parigi, dove l'Eliseo perde un interlocutore con cui in questi mesi ha dimostrato di lavorare bene, di certo meglio rispetto a quando i protagonisti – per entrambi i paesi – erano altri. A Parigi il timore è che adesso non si possa più mettere i tedeschi sotto pressione.

Sunday, 9 December 2012

"L'ultima Thule", il testamento musicale di Guccini

Esce l'album del cantautore, l'ultimo della carriera. «Ho sempre pensato che il mio ultimo disco si sarebbe chiamato così». 

di Emiliano Biaggio

Eccolo Guccini, finalmente. Alla fine il tanto atteso album è arrivato, per la gioia e la malinconia di quanti hanno avuto il piacere di conoscerlo musicalmente e accompagnarlo nella sua vita di accordi e suoni. Un Guccini diverso, e non solo perchè l'ultimo. «Ho sempre pensato che il mio ultimo disco si sarebbe chiamato così», aveva già anticipato un anno fa. Ora ci siamo. "L'ultima Thule" è il lavoro con cui l'artista emiliano-pavanese saluta folle e pubblico, in un congedo tanto naturale quanto umano. A settantadue anni suonati, è il caso di dire, Guccini canta la sua stanchezza e il suo smarrimento per un mondo che non sa più riconoscere. «Dov'è la ciurma che mi accompagnava e assecondava ogni ribalderia? Dove la forza che la circondava? Ora si è spenta ormai, sparita via». Anche per i più coraggiosi e tenaci Don Chisciotte il tempo passa, e l'eroe non può che cedere al peso degli anni. Così Guccini canta di sè dalla sua Pavana, dove da tempo vive stabilmente al ripardo da tutto. «E qui da solo penso al mio passato, vado a ritroso e frugo la mia vita, una saga smarrita ed infinita di quel che ho fatto, di quello che è stato». Si tracciano i bilanci di una carriera e di una vita, in un disco dai toni amari ma dai ritmi ora melodici ("canzone di notte n°4", "Notti", "L'ultima volta", "Quel giorno d'aprile"), ora malinconici ("Gli artisti"), ora incalzanti ("L'ulima thule"), ora allegri e burleschi ("Il testamento del pagliaccio"). «Non ho mai scritto canzoni allegre, ma questa volta ce l'ho messa tutta», ha detto Guccini prima dell'uscita del disco. Ma i suoi personaggi, anche quelli all'apparenza più divertenti portano con sè, come spesso accade, il canto dei mali del vivere. Il suo pagliaccio «l'ha finita la pagliacciata che chiamava vita», e «muore intossicato da sogni vani di democrazia», ucciso dalle «promesse non risolte». Eppure il suo pagliaccio, tolto il trucco, con il suo addio mette in scena il funerale di un'Italia al cui corteo funebre - chiuso dall'inno di Mameli - partecipano non solo «sei politici servi e un cardinale», ma anche ciò ha contraddistino l'ultimo scorcio di storia nazionale: «uno stilista mago del sublime, un vip con la troietta di regime e chi si svende per denari trenta; un onesto mafioso riciclato, un duro, puro e cuore di nostalgico, travestito da quasi democratico e che si sente padrone dello Stato». Uno stato patrimonio forse violato che Guccini, sepolto il pagliaccio, celebra in tutta la sua grandezza ricordando "quel giorno d'aprile" in cui «l'Italia cantando ormai libera allaga le strade sventolando nel cielo bandiere impazzite di luce», dopo aver pianto "su in collina" i tanti fratelli uccisi da una guerra mai finita nella memoria, nelle ferite, nei dolorosi ricordi. Eccolo l'ultimo Guccini, meno combattivo ma pur sempre identico a sè stesso nei contenuti e nelle riflessioni anche dopo quarantacinque anni di musica. E dopo tanti anni, eccolo di nuovo a celebrare quelle "notti" che se una volta, nella giovinezza, erano semplicemente ritratti di vita, oggi sono appena delle «boccate di vita», null'altro che «vasi di tempo che invecchiano l'uomo». A distanza di anni le notti restano però sempre esperienze «da cani randagi» da «viverle fino alla fine», anche se in modo diverso, come descritto nella l'ultima canzone di notte della serie - la quarta - che «racconta questo eterno vagabondo» che è il Guccini cantautore. O forse più semplicemente il Guccini uomo, perchè "gli artisti" «non nascono artisti, non sembrano strani animali ma nascono un po' come tutti, come individui normali». E da persona comune, Guccini si congeda. «Io semplice essere umano, costretto a costretti ideali, sono solo un umìle artigiano e volo con piccole ali». Eccolo Guccini, finalmente. O forse no. Perchè il saluto è forse il momento più difficile, e allora "L'ultima Thune" va preso per quello che è il suo valore primo, prima ancora del suo valore ultimo: è l'album con cui Guccini si ritira. I tempi lo impongono, del resto. E' forse l'ora di percorrere l'ultimo viaggio musicale, ma poi basta, perchè in questo mondo - Thule è il nome di un'isola leggerandaria, al di là del mondo conosciuto - per Guccini non c'è più posto. «Io che tornavo fiero ad ogni porto dopo una lotta, dopo un arrembaggio, non son più quello e non ho più il coraggio di veleggiare su un vascello morto». Guccini dice addio, va via, alla ricerca dell'isola non trovata e già cantata, ora suonata per l'ultima volta. «L'Ultima Thule attende e dentro il fiordo si spegnerà per sempre ogni passione, si perderà in un'ultima canzone di me e della mia nave anche il ricordo».

Saturday, 8 December 2012

8 dicembre. A proposito dell'Immacolata...


bLOGBOOK

Sogno di notte n°1

«Mi parli meglio di quel suo... Di quella cosa che la perseguita»
«Beh, a volte... Cioè, molto spesso direi... Beh... Sì, insomma... Mi sento a disagio»
«Che vuol dire si sente a disagio? Si spieghi meglio»
«Vuol dire che in alcuni momenti...»
«Quali momenti? Ce ne sono alcuni più particolari di altri?»
«Beh, sì. Oddio, a dire la verità mi capita spesso di non riuscire a parlare. Sì, insomma, ho di fronte a me una persona ma quando dovrei parlarle ho paura a parlarle. E quando lo faccio... Beh, è come se avessi dimenticato a parlare, o come se dovessi ancora imparare a parlare. Non riesco a fare niente, è come se non avessi più il controllo di me, dei miei gesti, delle mie azioni. Quando faccio o dico qualcosa, perchè solitamente non riesco a fare o dire un bel niente...».
«Mi dica: per caso, quando in queste situazioni poi riesce a parlare, le parole escono confuse, pasticciate, sente il cuore rimbombarle nelle orecchie e avverte un senso di calore sul volto?»
«Ehm... Come fa a saperlo? E' grave?»
«Non se lei lo reputale tale. Direi che normale, normalissimo. Mi dica: per caso questo suo "disagio" si manifesta in presenza di persone dell'altro sesso? Di ragazze?»
«...»
«Capito»
«Cos'è?»
«Timidezza»
«E come la curo?»
«Non c'è una cura. E non c'è una cura perchè non è una malattia. Ma su una cosa ha ragione: si può superare»
«Come?»
«Si butti. Impari a buttarsi e a fidarsi di sè stesso. Non abbia paura di non sentirsi all'altezza»
«Ma io sono nella media, come statura»
«L'ironia è un grande dote, ma a volte non è la risposta giusta. Mi stia a sentire: faccia appello a tutto il suo coraggio e affronti gli altri, chiunque essi siano. Vede, chi le persone come lei hanno un grande timore di disapprovazione, del giudizio degli altri. Questo timore provoca un senso di disistima e di inadeguatezza. Ma è solo una proiezione mentale. Certo, si può anche risultare poco simpatici, ma se non interagisce con le persone che la circondano difficilmente si riuscirà a farsi accettare. O piacere. Perchè magari potrebbe scoprire che agli occhi degli altri lei risulta una persona piacevole. Si fida di me, ma soprattutto si fidi di lei. E ora mi scusi, ma devo andare».
«Dove va?»
«Via. Il mio tempo è scaduto. E anche per lei è tempo di andare. Siamo arrivati»
«Come?»
«Manuel, we're arrived»
«Mmmm... Hawn! So it was just a dream...»

«Were you dreaming? So I'm sorry to have you woken up»
«There's no problem. Did I slept for all the time?»
«It seem so»
«Sorry. Maybe next time I'll partecipate more»
«That's ok. Maybe you were just tired»
«It seems so». 

«Ah ah ah!»
«Where are we?»
«Place Stephanie. You should remember me where is your place»
«D'you mean my home?»
«Exactly. Don't you remember where you live?»
«Of course I do. I live here»

Thursday, 6 December 2012

Siria, ecco cosa c'è sulla frontiera turca


Siria, sì della Nato ai missili sulla frontiera turca

La decisione presa dopo l'escalation di violenze. Rasmussen: «vogliamo dissuadere ogni minaccia»

Bandiere turca (in alto) e del Consiglio nazionale siriano
di Emiliano Biaggio

L'opzione militare per la cessazione della guerra civile in Siria diventa sempre più una possibilità per i paesi della Nato. L'Alleanza atlantica ha infatti disposto lo schieramento di missili patriot in Turchia, lungo la frontiera turco-siriana. Ufficialmente il via libera all'installazione delle batterie missilistiche risponde ad esigenze di sicurezza: si vuole infatti evitare un attacco da parte del regime di Bashar Assad, e i missili terra-aria con gittata massima di centosessanta chilometri si pensa possano rappresentare un più che valido deterrente. «La Siria ha i missili e le armi chimiche, e per questo è urgente fornire protezione aerea alla Turchia», ha detto il segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen. «Entro settimane», ha precisato, verrà installato il sistema missilistico, che  «sarà solo difensivo e in nessun modo supporterà una no-fly zone o operazioni d'attacco». Non prima di un mese arriveranno invece le due batterie missilistiche messe a disposizione della Germania: il governo federale ha dato l'ok alla fornitura dei missili, ma per effetto della dimensione delle batterie di missili - che includono radar, centri di comando e controllo, strutture per le comunicazioni - il trasporto non potrà che avvenire via mare, e questo richiederà tempo. Rasmussen ha sottolineato che la decisione adottata dai ministri degli Esteri dei paesi delle Nato sta a «dimostrare la nostra determinazione a dissuadere ogni minaccia». La Siria dunque inizia a preoccupare seriamente. In questi mesi la comunità internazionale ha cercato una soluzione diplomatica e pacifica per la questione siriana, ma adesso si assiste ad una militarizzazione della questione. Un'evoluzione che risponde alle richieste del governo di Ankara, che aveva chiesto protezione e assistenza nel timore di un'estensione del conflitto siriano oltre confine. La guerra civile si trascina ancora senza che si intravedano possibilità di fine delle ostilità, ma a preoccupare è soprattutto il possibile ricorso alle armi chimiche da parte del governo siriano. Persino la Russia - che si schiera con il regime di Assad - teme perchè un simile scenario possa presentarsi, proprio come lo temono all'interno della Nato.  L'alleanza atlantica comunque è pronta all'uso della forza come ultima opzione. «Il possibile uso di armi chimiche sarebbe completamente inaccettabile. In quel caso - ha  evidenziato Rasmussen - mi aspetterei una reazione immediata». La tensione in Medio Oriente dunque sale, e tutti già si preparano nell'eventualità che la situazione precipiti.

Breviario

«Non so cosa riusciremo a portare a casa in questa legislatura»
Giorgio Squinzi, presidente di Confindustria (Bruxelles, 5 dicembre 2012)

Monday, 3 December 2012

Madonna col porcellino




Un presepe classico: Maria, Giuseppe, i re magi, e... un maiale al centro della scena, al posto che dovrebbe essere occupato dal bambinello. Questa la curiosà natività proposta ed esposta a Bruxelles, nel cuore del centro della città accanto a uno dei simboli della capitale belga, il Mannekenpis. Non si conosce l'autore di questa curiosa riproposizione della nascita di Cristo, ma certo non passa inosservata. Verrebbe da dire che fa la sua porca figura, ma evitiamo scherzi di un certo tipo. Comunque, resta la Madonna col porcellino...

Thursday, 29 November 2012

L'Onu riconosce la Palestina come stato

Approvata a larga maggioranza la richiesta di Abu Mazen per lo status di paese non membro osservatore delle Nazioni Unite.

di Emiliano Biaggio
 
La Palestina è “stato osservatore” presso le Nazioni Unite. L'assemblea generale dell'Onu ha approvato la richiesta presentata dal presidente dell'Autorità nazionale, Abu Mazen, per il riconoscimento della Palestina come stato non membro osservatore. La richiesta è stata accolta con un'ampia maggioranza: 138 i voti favorevoli, appena 9 quelli contrari e 41 astensioni. Un voto storico, perchè sancisce il riconoscimento “de facto” della Palestina. Non a caso il presidente dell'Anp prima del voto ha chiesto che l'Onu concedesse «il certificato di nascita» allo stato palestinese. Dopo lo storico voto al palazzo di vetro Abu Mazen ha quindi invitato a fare in modo che giunga «il momento di dire basta all'occupazione e ai coloni, perché a Gerusalemme Est l'occupazione ricorda il sistema dell'apartheid ed è contro la legge internazionale». Sulla città, contesa e rivendicata dalla due fazioni, la Palestina non vuole sconti. I palestinesi, ha detto Abu Mazen, «non accetteranno niente di meno dell'indipendenza sui territori occupati nel 1967 con Gerusalemme Est». Israele, che incassa un duro colpo, non ci sta. Quelle di Abu Mazen, ha detto il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, sono «parole ostili, non da uomo che vuole la pace». Una pace che però non si intravede nemmeno tra le prospettive delle stato ebraico. Il voto di oggi, ha sottolineato Netanyahu, «non cambierà alcunché sul terreno, non avvicinerà la costituzione di uno Stato palestinese, ma anzi la allontanerà».
Ben altro l'auspicio dell'Unione europea. «Solo una soluzione politica del conflitto può portare a sicurezza, pace e prosperità durature ai palestinesi e agli israeliani», ha detto l'Alto rappresentante dell'Ue per la politica estera, Catherine Ashton. «L'Unione europea ha più volte espresso il suo sostegno al riconoscimento della Palestina all'interno dell'Onu come parte della soluzione al conflitto». Ma l'Europa sul voto ha votato non come Unione europea ma a livello di stati membri. Germania, Gran Bretagna, Paesi Bassi e Repubblica Ceca si sono astenuti, mentre hanno sostenuto Abu Mazen Austria, Cipro, Danimarca, Francia, Grecia, Irlanda, Italia, Malta, Portogallo e Spagna. Tra i paesi europei non Ue a votare per il riconoscimento della Palestina Islanda, Norvegia e Svizzera. Favorevoli anche tutti i paesi “Brics” (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica). L'Italia ha sciolto la riserva solo all'ultimo, a poche ore dal voto, per il disappunto di Israele. Ma cambia poco, almeno nell'economia del voto. La Palestina è riconosciuta dall'Onu.

Wednesday, 28 November 2012

Palestina, voto storico all'Onu

L'Assemblea generale si esprime sulla richiesta di riconoscimento dello status di paese non membro osservatore. Un "sì" e i territori saranno considerato uno stato.

di Emiliano Biaggio

La Palestina potrebbe scrivere una pagina storica per il processo di pace in Medio Oriente e, soprattutto, per la sua nascita a Stato a tutti gli effetti. Domani si vota alla Nazioni Unite la proposta di risoluzione per il riconoscimento della Palestina quale non membro osservatore dell'Onu, che se approvata sancirebbe di fatto il riconoscimento dell'entità come vero e proprio stato. Un voto tanto discusso quanto atteso, tanto delicato come decisivo. L'Autorità nazionale palestinese ostenta sicurezza: i voti perchè la risoluzione passi ci sarebbero. «La leadership palestinese crede che questa volta si raggiungerà una maggioranza schiacciante», ha fatto sapere Ibrahim Khreisha, rappresentante permanente palestinese presso il comitato per i diritti umani dell'Onu. A suo dire «è pienamente certo che che la maggioranza ci sarà: ci aspettiamo 140 voti a favore su 193, tra cui quelli di 12 stati europei». Un calcolo che se dovesse risultare errato lo sarebbe di poco, se è vero che il governo di Israele si sarebbe detto «rassegnato» all'idea di un riconscimento della Palestina. L'Europa arriverà al voto divisa: non ci sarà una posizione comune come Unione europea ma tante posizioni nazionali. Hanno già annunciato il proprio voto favorevole Austria, Cipro, Danimarca, Francia, Malta, Norvegia, Portogallo, Spagna e Svizzera, a cui si aggiungeranno i "sì" di Russia e Turchia. A favore anche Cina, India, Brasile e Sudafrica, contrari Canada, Stati Uniti, Israele e Germania. Probabili le astensioni di Italia e Belgio, paesi che ancora non hanno elaborato una linea. In bilico i Paesi Bassi, tentati per l'astensione ma per il "sì" in caso di voto. "Sì" condizionato della Gran Bretagna, che chiede - per sostenere la Palestina - tre cose: l'astensione dalla richiesta di entrare nella Corte penale di giustizia e nella Corte internazionale di Giustizia, una ripresa immediata e senza condizioni dei negoziati e che la risoluzione dell'Assemblea generale non chieda al Consiglio di sicurezza di seguirne le mosse. Si attende, dunque, col fiato sospeso: un voto favorevole potrebbe segnare le sorti della questione arabo-israeliane.

Tuesday, 27 November 2012

Philips licenzia 6.700 persone. E investe nel Psv

Solo in Belgio a rischio 354 posti di lavoro. L’azienda: “Difendiamo la nostra competitività”. E intanto allestisce l’Eindhoven per vincere in Eredivisie.

Mark Van Bommel con la maglia del Psv
di Renato Giannetti (per eunews)

Philips, il colosso dei prodotti tecnologici dei Paesi Bassi, saluta l’Europa. Destinazione sud-est asiatico, almeno per quanto riguarda la produzione di lampade al Led. Costi minori, maggiore produttività: un’identità ben nota e sempre più applicata dalle aziende dell’una volta ricco occidente oggi sempre più in bolletta. Per uno stabilimento che apre i battenti da una parte di solito ce n’è un altro che i battenti li chiude, o se non li chiude poco ci manca. Philips ha annunciato un piano di ristrutturazione aziendale lacrime e sangue da 2.200 licenziamenti in tutto il mondo, Belgio compreso. Si tratta solo dell’ultimo annuncio, che porta a 6.700 il numero di posti di lavoro tagliati complessivamente. Non più tardi di un anno fa la società aveva annunciato il licenziamento di 4.500 persone, a cui si aggiungono le 2.200 di questi mesi. Di queste 354 verranno tagliate nello stabilimento belga di Turhout, nella provincia di Anversa, al nord del paese. Numeri alla mano, Philips lavora alla cancellazione di più di un quinto della sua forza lavoro di Turnhout (dove lavorano, per ora, 1.600 addetti) e più del 10% della forza lavoro del Belgio (Philips dà lavoro a 2.500 persone in tutto il regno). La motivazione è sempre la stessa: si taglia per ridurre i costi e ritrovare competitività. “Certi cambiamenti organizzativi si impongono per conservare la nostra competitività e provvedere allo sviluppo economico futuro”, ha commentato Alasdair Waugh, direttore di Philips Turnhout. La notizia non è nuova: a giugno era stata annunciata l’intenzione di ridurre l’organico di 136 unità, e nelle scorse settimane è stata annunciata l’intenzione di rimettere ulteriormente mano al personale riducendolo di ulteriori 218 unità. I sindacati sono sul piede di guerra. Ortwin Magnus, del sindacato socialista Fgtb, ha ricordato che “il costo salariale non rappresenta che il 4% del prezzo del prodotto”. Quello che nessuno finora ha fatto notare è che Philips sacrifica sull’altare della crisi le famiglie quando potrebbe operare altri tipi di scelte, come disinvestire nella propria squadra di calcio.
Pochi sanno che Philips detiene e controlla il Psv di Eindhoven, la squadra più titolata dei Paesi Bassi dopo l’Ajax. Psv – acronimo olandese per Philips Sport Vereniging – significa “unione sportiva Philips”: fondata nel 1913 come squadra dei dipendenti aziendali, ben presto è diventata una delle squadre più in vista d’Europa (una coppa Campioni vinta nel 1988 e il merito di aver lanciato calciatori quali, tra gli altri, Gullit, Romario, Ronaldo, Van Nistelrooy e Robben). Disputa le proprie partite nel Philips stadion, un impianto il cui nome indica tutto, e lo sponsor stampato sulla maglia è da sempre – neanche a dirlo – Philips. Ebbene, dopo un periodo senza vittorie in Eredivisie (l’ultimo campionato vinto risale al 2008), si è pensato a un rilancio in grande stile della squadra, costruita per tornare alla vittoria in patria e ritornare competitiva nelle competizioni europee. Il Psv ha ingaggiato Dick Advocaat, il tecnico noto per aver vinto la coppa Uefa e la supercoppa Uefa con lo Zenit San Pietroburgo (la squadra per cui tifa il presidente russo, Vladimir Putin, ndr), aver vinto aver allenato le nazionali di Paesi Bassi, Belgio, Corea del sud e Russia. Un tecnico di caratura internazionale dallo stipendio non certo economico. Altro ingaggio di peso quello di Mark Van Bommel (valore di mercato 800.000 euro), affermato campione e giocatore pluri-vincitore (quattro campionati d’Olanda, uno scudetto col Milan, un campionato spagnolo e una coppa Campioni con il Barcellona). Oggi, dopo quattordici giornate, la squadra è prima in classifica (due punti di vantaggio su Twente e Vitesse, e sei punti sull’Ajax, quarta): la politica di investimento sta dando dunque i suoi frutti, ma i dipendenti della Philips difficilmente saranno contenti. Philips delocalizza a taglia il personale con la scusa della competitività. E’ chiaro. Che figura farebbe se dovesse dire che le risorse che ha le usa per far vincere la sua squadra di calcio? I dettagli economici del costo di gestione del club non si conoscono, ma certo è indubbio che è più sostenibile pagare il normale salario del dipendente che i faraonici stipendi del mondo del calcio.

Monday, 26 November 2012

Breviario

«Oggi noi non ci sentiamo messi in un angolo e trattati con minore dignità di altri paesi».
Mario Monti, presidente del Consiglio, al temine del vertice straordinario del Consiglio europeo (Bruxelles, 23 novembre 2012)

Saturday, 24 November 2012

Israele, vietato scriverne male o è censura

Piergiorgio Odifreddi
Ha scritto un articolo piuttosto critico nei confronti di Israele, per alcuni anche troppo critico. Talmente critico che Piergiorgio Odifreddi è stato censurato da repubblica.it per aver osato parallelismi con il nazismo. Troppo? Il nazismo non ci ha forse insegnato che certe pratiche vanno condannate? Il nazismo non ci ha forse insegnato che i crimini contro l'umanità vanno condannati? Se ce l'ha insegnato allora è nostro dovere condannare sempre qualunque violenza contro gli uomini e qualunque violazione dei diritti fondamentali, senza se e senza ma. Altrimenti vorrà dire che il nazismo non ci ha insegnato nulla. Pubblichiamo, come fatto già da altri, l'intervento di Odifreddi censurato. Qui di seguito il testo rimosso a seguito delle pressioni della comunità ebraica, come denunciato dallo stesso autore.

di Piergiorgio Odifreddi

Uno dei crimini più efferati dell'occupazione nazista in Italia fu la strage delle Fosse Ardeatine. Il 24 maggio 1944 i tedeschi "giustiziarono", secondo il loro rudimentale concetto di giustizia, 335 italiani in rappresaglia per l'attentato di via Rasella compiuto dalla resistenza partigiana il 23 maggio, nel quale avevano perso la vita 32 militari delle truppe di occupazione. A istituire la versione moderna della "legge del taglione", che sostituiva la proporzione uno a uno del motto "occhio per occhio, dente per dente" con una proporzione di dieci a uno, fu Hitler in persona.
Il feldmaresciallo Albert Kesselring trasmise l'ordine a Herbert Kappler, l'ufficiale delle SS che si era già messo in luce l'anno prima, nell'ottobre del 1943, con il rastrellamento del ghetto di Roma. E quest'ultimo lo eseguì con un eccesso di zelo, aggiungendo di sua sponte 15 vittime al numero di 320 stabilito dal Fuehrer. Dopo la guerra Kesselring fu condannato a morte per l'eccidio, ma la pena fu commutata in ergastolo e scontata fino al 1952, quando il detenuto fu scarcerato per "motivi di salute" (tra virgolette, perché sopravvisse altri otto anni). Anche Kappler e il suo aiutante Erich Priebke furono condannati all'ergastolo. Il primo riuscì a evadere nel 1977, e morì pochi mesi dopo in Germania. Il secondo, catturato ed estradato solo nel 1995 in Argentina, è tuttora detenuto in semilibertà a Roma, nonostante sia ormai quasi centenario.
In questi giorni si sta compiendo in Israele l'ennesima replica della logica nazista delle Fosse Ardeatine. Con la scusa di contrastare gli "atti terroristici" della resistenza palestinese contro gli occupanti israeliani, il governo Netanyahu sta bombardando la striscia di Gaza e si appresta a invaderla con decine di migliaia di truppe. Il che d'altronde aveva già minacciato e deciso di fare a freddo, per punire l'Autorità Nazionale Palestinese di un crimine terribile: aver chiesto alle Nazioni Unite di esservi ammessa come membro osservatore! Cosa succederà durante l'invasione, è facilmente prevedibile. Durante l'operazione Piombo Fuso di fine 2008 e inizio 2009, infatti, compiuta con le stesse scuse e gli stessi fini, sono stati uccisi almeno 1400 palestinesi, secondo il rapporto delle Nazioni Unite, a fronte dei 15 morti israeliani provocati in otto anni (!) dai razzi di Hamas. Un rapporto di circa 241 cento a uno, dunque: dieci volte superiore a quello della strage delle Fosse Ardeatine. Naturalmente, l'eccidio di quattro anni fa non è che uno dei tanti perpetrati dal governo e dall'esercito di occupazione israeliani nei territori palestinesi.
Ma a far condannare all'ergastolo Kesserling, Kappler e Priebke ne è bastato uno solo, e molto meno efferato: a quando dunque un tribunale internazionale per processare e condannare anche Netanyahu e i suoi generali?

Friday, 23 November 2012

Bce, gli stati votano Mersch

Il Consiglio Ue dà il via libera per il completamento del board, rompendo con il Parlamento europeo

Yves Mersch
di Emiliano Biaggio

Yves Mersch è il nuovo componente del consiglio esecutivo della Banca centrale europea. I capi di stato e di governo dei paesi Ue hanno votato la proposta di nomina del lussemburghese per ricoprire il posto lasciato vacante il 31 maggio scorso da Josè Manuel Gonzalez-Paramo. Mersch, sessantatre anni, avrà un mandato di otto anni ed entrerà in carica il 15 dicembre. A votare la proposta di nomina tutti tranne la Spagna, unico paese a votare contro.
Il voto dei capi di Stato e di governo dei paesi dell'Ue segna uno strappo istituzionale con il Parlamento europeo, che si era detto contrario alla nomina di Mersch esprimendosi per la presenza di un membro femminile nel board della Bce.

Wednesday, 21 November 2012

Tonio Borg, commissario Ue anti-aborto e immigrati

Il Parlamento europeo lo nomina nuovo responsabile per la Salute della squadra Barroso. Decisivo il voto di alcuni socialisti.

Tonio Borg
di Emiliano Biaggio

Cinquantacinque anni, maltese, antiabortista, contrario al divorzio, nemico delle coppie di fatto e dell'omosessualità, per nulla sensibile ai temi di immigrazione. E' il curriculum di Tonio Borg, nuovo commissario europeo per la Salute. Il Parlamento Ue ha accolto la proposta di candidato designato per sostituire John Dalli, dimessosi (o fatto dimettere, ancora non è chiaro) dopo essere finito sotto inchiesta dell’Ufficio anti-frode europea (Olaf) per una presunta corruzione da parte della lobby del tabacco. Con 386 voti a favore, 281 contrari e 28 astensioni, i deputati europei riuniti a Strasburgo in sessione plenaria hanno votato per Borg, che diventa così il nuovo componente della squadra di Josè Manuel Barroso. L’approvazione del Parlamento a un candidato commissario non è formalmente necessaria affinché questi possa essere designato, ma un parere negativo non avrebbe potuto essere facilmente ignorato visto che le regole obbligano il presidente della Commissione europea a prendere «seriamente in considerazione l’esito della consultazione del Parlamento». Per Barroso pericolo scampato, però, nonostante la divisione del Parlamento sull'uomo indicato dall'esecutivo comunitario: a rendere perplessi a Strasburgo le posizioni anti-abortiste di Borg, come le sue visioni sull’omosessualità. Famoso in patria per aver cercato di limitare la libera circolazione in Europa delle cittadine maltesi sospettate di voler praticare un’interruzione volontaria di gravidanza fuori dai confini dell’isola (a Malta l'aborto è vietato per legge, ndr), Borg - membro di spicco del partito nazionalista - ha sempre tentato di non riconoscere il divorzio (legalizzato nel suo paese dal 2011 a seguito di un referendum) e si ostina a non voler riconoscere i diritti delle coppie di fatto, sia omosessuali che eterosessuali. Come ministro dell’Interno, carica che ha ricoperto dal 1998 al 2008, è stato l’architetto del sistema di detenzione degli immigrati irregolari e nel 2002 è stato da Amnesty international per un espatrio di 230 richiedenti asilo eritrei che sarebbero stati sottoposti a maltrattamenti nel loro paese. Nell'Unione europea fresca di premio Nobel per la pace e da sempre - sulla carta - paladina delle istanze democratiche e del rispetto della dignità della persona, arriva dunque un esponente non proprio progressisticamente ispirato. Complice il pronunciamento di alcuni eurodeputati socialisti che, nella segretezza del voto, sono andati contro le indicazioni del gruppo: i “no” alla nomina di Borg quale nuovo commissario europeo per la Salute sono stati 281, quando la somma dei deputati liberali, verdi, di sinistra e socialisti insieme sarebbe 358, più della metà dei 754 deputati europei.

Agli italiani piace la polizia e il Vaticano

Sondaggio Ispo: i punti di riferimento nazionali restano gli stessi di sempre. Con rinnovato spirito campanilista.

di Emiliano Biaggio 

Dio, re, patria, famiglia: per gli italiani passa il tempo, ma non le tradizioni. Monarchici, fascisti, democristiani, berlusconiani ma comunque mai progressisti. Nel tempo che scorre gli italiani non vanno mai in controtendenza, e - anche con la dissaffezione crescente in tutto e la sfiducia generale di tutti - i punti di riferimento restano sempre quelli: dio, re e patria. Il sondaggio sondaggio Ispo “Gli italiani e l’Unione europea. Un rapporto che cambia?” presentato a Roma nella sede della rappresentanza della Commissione europea in Italia, non lascia margine di dubbio: gli italiani si fidano delle forze dell'ordine (ha molta fiducia in carabinieri e polizia il 72% degli intervistati), del presidente della Repubblica (57%) e della Chiesa cattolica (52%). In un paese dove il 96% degli italiani dice di non avere alcuna aspettativa nei partiti politici ciò dovrebbe allarmare: se non piaccioni i partiti politici non piace nemmeno il sistema che li ospita, e le pulsioni autoritarie rischiano di crescere. L'Italia e gli italiani, tuttavia, non rafforzano il proprio credo nei loro modelli tradizionali: lo studio Ispo mette in luce come sia diminuito l'attaccamento alle forze dell'ordine (piacevano all'85% degli italiani nel 2010, all'80% lo scorso anno e al 72% oggi), al capo dello Stato (84% di consensi nel 2010, 82% nel 2011, 57% nel 2012), nel cattolicesimo e nel suo clero (66% di consensi nel 2010, 60% nel 2011, 52% nel 2012). L'italiano è dunque sfiduciato, ma resta comunque attaccato alle proprie convizioni. E alle sue radici. In un momento di difficoltà ci si rifugia nel proprio campanile: dal 2011 al 2012 è cresciuto solo il senso di appartenenza al proprio comune (+2%), mentre è calato il sentimento europeistico (-4%), nazionalistico (-3%), regionalistico e provincialistico (-1% per entrambe le categorie). Una conferma della mentalità italiana, una sconfitto per il mondo globale.


Il sondaggio

Monday, 19 November 2012

Sulla guerra e le operazioni militari

Vignetta che spiega le ragioni per cui i leader politici sposano la linea dell'intransigenza e della violenza. In Israele, questo paga. E non solo lì.

FACT SHEET/ Israele, ecco quanto costa "colonna di nuvole"

Cifre esorbitanti. Che potrebbero risollevare le economie di molti paesi.


La stazione radio della difesa israeliana ha annunciato che è stato calcolato il costo dell'operazione "Colonna di nuvole", attuata da governo ed esercito di Israele contro i guerriglieri della striscia di Gaza. 
I primi quattro giorni sono costati ad Israele circa 63 milioni di dollari. Se l'operazione dovesse continuare con la stessa intensità il costo settimanale potrebbe raggiungere i 100 – 150 milioni di dollari. Includendo anche le truppe di terra per l'invasione dei territori, il costo potrebbe sfiorare addirittura il miliardo di dollari. Sempre a settimana. Di fronte a questi dati viene spontanea un'amara considerazione: la guerra è il solo settore che non conosce mai crisi.

Sunday, 18 November 2012

Israele e il dilemma della legittima difesa

Ogni volta che è attaccata, si difende e offende. Ogni volta si chiede risposta proporzionata, ma i numeri smentiscono sempre.

Un bambino gravemente ferito
l'e-dittoreale

Razzi palestinesi in territorio israeliano e Israele risponde. Una storia giù vista, che torna a riproporsi e a riproporre con sè i soliti interrogativi che sempre accompagnano le violenze infinite nel martoriato territorio palestinese. Il diritto di Israele a difendersi quanto giustifica azioni fuori misura? Fino a che punto è colpa dei palestinesi, frustrati per l'incapacità di Israele di trovare un accordo di pace? Le responsabilità e le colpe si confondono, le verità e le menzogne si perdono nelle nuvole di polvere che alzano bombe e razzi. Le vittime si contano solo che si diradano la "Colonna di nuvole", la nuova operazione militare lanciata dallo Stato ebraico in risposta alla rottura della tregua di Hamas. Le vittime sono almeno 70, 67 palestinesi e 3 israeliane. Solo nell'ultimo raid degli F-16 israeliani si piangono 10 bambini e 5 donne. Nella ripresa delle ostilità l'Europa - ancora una volta schieratasi senza esitazione con Israele - ha chiesto per mezzo dell'Alto rappresentante per gli Affari esteri, Catherine Ashton, solo che la risposta dello Stato ebraico «sia proporzionata». I numeri suggeriscono che questa reazione non lo sia, come sempre del resto: Israele ha una delle macchine militare meglio collaudate e funzionanti al mondo, la Palestina non è nemmeno uno stato. Per un razzo lanciato in Israele corrispondono caccia e carriarmati mossi verso i territori. I numeri portano a riflessioni tanto legittime quanto sbagliate quando si parla di Israele e delle questione ebraica: 70 morti, 67 palestinesi e 3 israliani. Venti palestinesi per ogni israeliani. Dieci fucilazioni per ogni tedesco ucciso. Altri tempi, altri regimi. La democrazia non più essere paragonata al totalitarismo. Ma le analogie sono da brividi. «Gli attacchi di razzi da parte di Hamas e di altre fazioni a Gaza che hanno dato inizio alla crisi attuale, sono del tutto inaccettabili per qualsiasi governo e devono fermarsi», sostiene Ashton. Non a torto. «Israele ha il diritto di proteggere la propria popolazione da questo tipo di attacchi», sostiene ancora Ashton, sempre non a torto. Ma la linea sottile tra ciò che è giusto e legittimo e ciò che non lo è più, dove si trova? Israele ha lanciato l'operazione "Colonna di nuovle", già definita «una eclatante aggressione contro l'umanità» (Mohamed Morsi, presidente egiziano). Raid aerei ininterrotti, stop agli aiuti umanitari, e anche bombardamento del palazzo che ospita i giornalisti a Gaza. D'accordo: Hamas ha fatto cadere missili su Gerusalemme dopo quarant'anni e a Tel Aviv sono stati riaperti i rifugi, ma questa è una reazione proporzionata? La risposta viene da sè, mentre le potenze occidentali si limitano a manifestare «preoccupazione» (Angela Merkel, cancelliere tedesco) e rispolverare i soliti inutili quanto ipocriti inviti al cessate il fuovo (Navi Pillay, portavoce dell'Alto commissario per i diritti umani dell'Onu). La verità, neanche troppo nascosta, è che Israele ha ragione a prescindere, quando è dalla parte del torto come in quella della ragione. La storia si conosce anche fin troppo bene, perchè si ripete ogni volta: operazione "Piombo fuso", operazione "Colonne di nuvole", Sabra e Shatila: le responsabilità e le colpe si confondono. Ma come sempre avviene si suddivodono. Ciò rende tutte le parti, nessuna escluda, colpevoli. Ma questo aspetto si continua colpevolmente e complicemente a tacerlo.

Friday, 16 November 2012

Nuova legge bavaglio, Tajani solleva il caso in Ue

Lettera al commissario europeo per la Giustizia. «Per eliminare il carcere sanzioni sproporzionate che limitano la libertà di stampa».

Antonio Tajani
di Emiliano Biaggio

Il caso Sallusti e il disegno di legge sulla diffamazione finiscono all'attenzione dell'Unione europea. A sollevare il tema il vicepresidente della Commissione europea responsabile per l'Industria, Antonio Tajani, che si è rivolto al collega Viviane Reding, commissario Ue per la Giustizia. Tajani ritiene che quanto sta accadendo nel suo paese di provenienza «possa essere in contraddizione con i nostri valori e principi in materia di libertà di stampa». Dubbi messi nero su bianco in una lettera inviata a Reding, per informarla della vicenda del direttore de Il Giornale, quotidiano per cui ha scritto Tajani prima di lanciarsi in politica. I giudici italiani, ricorda Tajani, hanno condannato Sallusti al carcere per omesso controllo di un articolo pubblicato sul giornale da lui diretto con contenuti a carattere diffamatorio contro la magistratura. Nel corso del dibattito che si è aperto in Italia, ricorda Tajani, «è stato sottolineato l’eccesso di questa misura che prevede la reclusione di un direttore di giornale sulla base di una responsabilità non correlata al contenuto di un articolo, ma alla mancanza di controllo». Inoltre, continua la lettera inviata a Reding, «il pretesto di evitare il carcere al direttore de Il Giornale, è stata proposta una nuova legge che eliminerebbe carcere per questo tipo di reati, ma introdurrebbe sanzioni elevate». Un similie aumento «sproporzionato» delle sanzioni, denuncia il vicepresidente della Commissione Ue, «è stato considerato quasi all’unanimità dai media come una grave limitazione della libertà di stampa». Ciò per Tajani rischia di essere «in contraddizione con i nostri valori e principi in materia di libertà di stampa». Da qui l'appello alla responsabile per la Giustizia di «chiedere ai servizi di verificare la compatibilità della legge italiana con i principi europei».

Thursday, 15 November 2012

Sì del Senato al carcere per i giornalisti

Passa con voto segreto l'emendamento che prevede anche sanzioni pecuniarie più severe. Severino delusa: «Il carcere venga escluso, si rafforzi il dovere di rettifica»

L'Aula del Senato
di Emiliano Biaggio (fonte: ilSole24ore)

Sì al carcere e a multe salatissime per i giornalisti. L'Aula del Senato ha approvato con voto a scrutinio segreto (131 sì, 94 no e 20 astenuti) l'emendamento presentato dalla Lega al disegno di legge Sallusti, varato in seguito alla condanna al direttore del Giornale Alessandro Sallusti. Il provvedimento, che ha trovato il sostegno dell'Api di Rutelli, prevede la possibilità «della reclusione fino ad un anno» o della multa da 5.000 la a 50.000 euro, tenuto conto della gravità dell'offesa e della diffusione dello stampato. Il governo ha cercato di evitare anche il voto: il sottosegretario alla Giustizia Antonino Gullo ha prima invitato la Lega a ritirare l'emendamento - ma senza riuscire a dissuadere il Carroccio - e quindi ha votato contro. Governo battuto, dunque. Delusa Paola Severino, ministro della Giustizia. «Il mio auspicio - commenta dopo il voto - è che possa riprendere il dibattito parlamentare che porti a un consolidamento della linea dell'esclusione del carcere». Severino auspica inoltre «un miglioramento delle misure a garanzia da una parte del diritto-dovere di informare, e dall'altra del diritto di riparazione, come la rettifica». Condanna del Consiglio d'Europa, l'organizzazione internazionale il cui scopo è promuovere la democrazia e i diritti dell'uomo. Nils Muiznieks, commisario per i diritti umani del Consiglio d'Europa, considera il voto del Senato un «grave passo indietro» per il nostro paese, a cui si guarda ora con «grande preoccupazione». Per il segretario della Lega, Roberto Maroni, non c'è motivo per cui preoccuparsi. Quello presentato, spiega, «è stato un emendamento-provocazione per risolvere il problema in modo serio e complessivo, non sull'onda delle emozioni», Insomma, «nessun rischio galera», assicura Maroni. L'emendamento presentato - e votato - «è stata un'iniziativa della Lega per far riflettere su un tema liquidato con troppa superficialità e fretta».

Wednesday, 14 November 2012

Breviario

«Women mean business». ("Donne vuol dire affari")
Viviane Reding, european commissioner for Justice, presenting the Eu Commission proposal for female quotas into the board of the publicy listed companies (Bruxelles, 14th of november 2012)

«Nessuna divergenza tra Francia e Germania»

Moscovici assicura: «Nessuna ingerenza, abbiamo una visione comune».

Pierre Moscovici
di Emiliano Biaggio

«Tra Francia e Germania non ci sono divergenze». Vuole metterlo in chiaro una volta per tutte Pierre Moscovici, il ministro delle Finance del governo Hollande. La Francia viene vista come in rotta di collisione con la Germania da quando all'Eliseo non c'è più Nicolas Sarkozy. Quella che per molti era l'asse "Merkozy" attorno a cui ruotavano tutte le decisioni europee, non esiste più. E allora la Francia, per non alimentare tensioni, soprattutto sui mercati, decide di ostentare distensione e serenità. Tipico di chi in genere non solo non è nè disteso nè sereno, ma al contrario è l'esatto opposto di ciò che dice. Moscovici e il suo collega tedesco Wolfgang Shaeuble decidono di organizzare una conferenza stampa congiunta, al termine dell'Eurogruppo che ha rimandato la decisione sulla Grecia. Una conferenza stampa congiunta per dire che «non ci sono divergenze». Una rappresentazione del contrario, perchè chi sa che va tutto bene non ha bisogno di farlo credere. Ma l'appuntamento, a sentire Moscovici, è stato messo in agenda «per dimostrare che c'è grande una cooperazione totale, trasparente, e il pieno impegno a lavorare insieme». Ad avvalorare questa tesi il fatto che «la Germania è stato il primo paese dove sono stato in visita» non appena nominato ministro, ricorda Moscovici. Con Schaeuble, tiene a precisare, «lavoriamo insieme fin dal primo giorno» del governo Hollande. I due paesi, mette in chiaro il ministro delle Finanze francese, «hanno una visione comune» dell'Europa e della gestione della crisi. Nessuna divisioni, quindi. Nessuna frattura. Nessuna competizione. «Non cè nessun malinteso nè ingerenza di un paese verso l'altro». Francia e Germania, «hanno delle responsabilità comuni e noi queste responsabilità ce le stiamo assumendo». I due paesi, a sentire Moscovici, stanno dcunque dimostrando maturità. E questo non per il sapiente ruolo politico che sanno interpretare, ma perchè tale ruolo spetta loro di diritto in quanto «perchè Francia e Germania sono la prime due economie d'Europa». Laconico Schaeuble: «Sono d'accordo», si limita a dire commentando le parole del suo interlocutore. Poche parole per la giusta chiarezza che serve. Nel gioco delle parti Francia e Germania sono davvero brave, l'auspicio è che siano altrettanto bravi anche in altri giochi.

Sunday, 11 November 2012

AS Grifondoro, maggica giallo-rossa

"You don't stand a chance against Gryffindor"

Il Grifondoro ha tifo organizzato, sostenitori appassionati, grande tradizione sportiva, storia di campioni e campionissimi, e da ultimo capitan Potter. Una squadra come questa non poteva non avere un inno ufficiale, il "Gryffindor rock", composto dagli Harry and the Potters, gruppo il cui nome dice tutto. Front-man del gruppo Marcus, di ritorno dal mondo dei babbani dopo aver riscosso grande successo con i Beehive, fortunata band in in circolazione fuori da ogni circuito magico nei gloriosi anni Ottanta. Quelli furono anni che infatti non richiedettero mai magie nè incantesimi, soprattutto nel panorama musicale babbano. Dopo aver fatto fortuna, Marcus ha quindi fatto ritorno nel regno della magia per fondare il suo nuovo gruppo e regalare all'amata corazzata giallo-rossa del quidditch l'inno che una squadra di questo calibro si merita. Notare il look dell'ex leader dei Beehive ora leader degli Harry and the Potters: una capigliatura che mostra l'attaccamento alla maglia e alla squadra. Squadra che promette battaglia - e magie - già dal suo inno: "You don't stand a chance against Gryffindor"...

Saturday, 10 November 2012

Biaggio risponde

Io non capisco una cosa...
Per quale motivo i giornalisti non devono andare in carcere?
stanno approvando in parlamento una legge ad personam, anzi ad castam...se qualcuno ha sbagliato, ha diffamato senza avere delle fonti certe,obiettive e chi aveva l'obbligo di controllare che un articolo diffamatario non venisse pubblicato e reso a tutti quanti deve pagare, anche con la reclusione...
In alcuni casi inoltre a seguit di diffamazione a mezzo stampa è necessaria la rettifica e quest'ultima viene messo in fondo alla pagina del giornale senza dare il risalto enfatico che aveva avuto la notizia diffamante... (Giancarlo, Albano laziale)


Caro Giancarlo, intanto ricordo che il nostro sistema giuridico prevede e disciplina le fattispecie di reato e di casistiche da te menzionate. Il codice penale ha infatti articoli dedicati a "Diffamazione a mezzo stampa" (artt. 595, 596, 596 bis, 597, 599 c.p.) e articoli relativi alla "Responsabilità del direttore e dell’editore" (artt. 57, 57 bis, 58, 58 bis c.p.). Il carcere per i giornalisti che ledono la dignità della persona è previsto, quindi stai tranquillo che la tua sete di giustizia è già calmata. Inzio a rispondere alla tua domanda con una domanda: è proporzionato il carcere per un diffamatore? Ebbeno, io dico di no. E' come dire che chi uccide merita la pena di morte. La base del nostro diritto afferma che la pena non deve mai avere carattere punitivo ma educativo (art. 27 comma 3 della Costituzione), per cui qui si pone la questione della giusta pena. La discussione si sposta, credo, dal piano giuridico al piano etico. La legge, quando c'è, si applica. So che in Italia ciò potrà suonare strano, ma in genere il principio è questo. Se la legge prevede il carcere per i giornalisti - e l'attuale legislazione lo prevede - sarà all'organo giudicante a stabilire i casi in cui questa eventualità si applichi. La questione, quindi, non è giuridica ma etico e morale. Mi chiedi perchè i giornalisti non devono andare in carcere: ebbeno io ritengo che non sia la pena giusta. A mio avviso il carcere per i giornalisti è troppo, anche perchè le sanzioni pecuniarie in caso di diffamazione non sono roba da poco. Ci sono poi altri modi per colpire i giornalsti, e sono previsti dall'ordine che regola la professione (quella della storia degli albi professionale meriterebbe altri ragionamenti...): censura, sospensione dalla professione, radiazione dall'albo. Anche qui le regole ci sono, ma si bypassano con la complicità dei direttori che permettono ai loro redattori di continuare a scrivere anche se non potrebbero. Il codice deontologico e le varie "carte" che regolano la professione hanno anche regole ben precise per quanto riguarda la rettifica, con la spiegazione di quando, come, e dove deve essere pubblicata nei casi in cui questa è necessaria. Qui si pone un altro problema del nostro paese: il mancato controllo del rispetto delle leggi. Come sempre avviene, quando si verificano casi che fanno discutere si chiede la linea dura. In tutta onesta sincerità non capisco perchè. Non credo che servano sempre nuove leggi ogni volta più severe, credo che basterebbe far osservare quelli già esistenti.  Nel caso specifico questo mancato controllo del rispetto delle leggi dipende dai limiti che l'autonomia della stampa (che poi autonoma non è, e se vuoi un giorno ti spiego perchè) ha come tutti gli ordini autoregolati e autogestiti. Queste disfunzioni di una professione autoregolata sono tali da giustificare il carcere? Io dico di no. Come certo saprai, il nostro sistema di diritto è un sistema garantista: per cui nessuno è colpevole fino a prova contraria (art. 27 comma 2 della Costituzione) e chiunque ritenga di aver subito un torto - di qualcunque fattispecie esso sia - ha tutti gli strumenti legali per far valere i propri diritti. Se quello che tu pensi è vero, allora anche per Vittorio Feltri si doveva richiedere il carcere per la sua campagna - poi risultata falsa e denigratoria - contro Dino Boffo. E provvedimenti penali si dovevano chiedere anche per la proprietà editoriale del quotidiano - nota a tutti - per cui Feltri agiva in qualità di direttore.
Il ddl sulla diffamazione è un legge ad personam nella misura in cui nasce - concettualmente - per rispondere al caso di una singola persona. Anche qui inizio a rispondere partendo da una domanda: quando parli di casta a chi ti riferisci? Dalla tua domanda credo ai giornalisti, ma anche quella che fa le leggi lo è, ed è ben più potente. Perchè se pensi che quella dei giornalisti sia una casta non hai torto: per certi versi lo è. Ma lo è fino a un certo punto. C'è chi sa bene che questa intoccabilità nei fatti presunta dei giornalisti non conferisce alcun potere. Che potere ha chi è sul libro paga del governo (con i fondi statali all'editoria) e dei grandi gruppi industriali (Agi con Eni, ilSole24ore con Confindustria...)? Io sono dell'idea che la vera casta sia un'altra: quella che dovrebbe legiferare per gli italiani e invece legifera solo per uno solo di essi. Questo è un problema di democrazia. E la democrazia, quella funzionante, ha tutti gli strumenti che servono per rivalersi su chi pensa di non poter scontare mai le proprie colpe. Anche ricorrendo al carcere, certo. Dipende dalla tipologia di reato, come tu certamente sai non per tutti i reati è prevista una simile opzione. E credo che nel rispetto di questa logica, per quanto detto, il carcere per chi scrive sia eccessivo. Si rischia di intimidire chi ha il diritto e il dovere di raccontare la verità e dissuaderlo a non farlo, proprio come avviene in quei paesi dove la democrazia o è un miraggio o un retaggio di un passato lontano.
                                                                                              Emiliano Biaggio